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Adesso attenti al comunismo di ritorno
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L’Inghilterra mette una tassa sui visti dei migranti non-UE che vogliono restare più di sei mesi.
Il motivo: gli immigrati devono contribuire alla spese del sistema sanitario e sociale, su cui gravano.
I vecchi, che usano poi il sistema sanitario, e i bambini che usano le scuole, pagheranno più dei giovani adulti (1).

Per ora, la tassa è lieve: altre 20 sterline sulle 200 che gli extracomunitari che vogliono entrare in Gran Bretagna più di sei mesi (evidentemente per lavorare).
Per di più, l’aggravio non colpisce gli immigrati dell’Est, polacchi in primo luogo, che negli ultimi anni affollano i servizi pubblici (scuole, ospedali, trasporti) fino a metterli in crisi; sono ormai cittadini europei.
Infine, la somma che si spera di raccogliere, 15 milioni di sterline annue, è ben lontana dai 250 di cui i municipi (su cui grava il peso sociale dell’immigrazione) dicono di aver bisogno per non aumentare le imposte locali.

E tuttavia, il provvedimento, dovuto alla crisi finanziario-economica che colpisce la Gran Bretagna più e prima dell’Europa continentale, segna un cambiamento di mentalità.
Qualunque studente italiano che sia stato in Inghilterra sa come fosse facile e informale trovare lavoro, in un clima di totale e allegra «deregulation».
Era un aspetto trionfale dell’ideologia iperliberista, il cui profeta, Adam Smith, nacque proprio là: la «libera circolazione di uomini», oltre che di merci e di capitali.

Ora basta.
I nuovi arrivati nel regno del liberismo assoluto devono sapere - si legge nel Libro Verde governativo che annuncia il provvedimento - che il Bengodi è finito, che i servizi sociali di un Paese occidentale hanno un alto costo, a cui gli immigrati devono contribuire.

E’ un provvedimento che forse dovrebbe insegnare qualcosa alla «sinistra» italiana (ed anche alla «destra») che regala i servizi pubblici ai rom e agli immigrati in genere, clandestini compresi,
in nome di una «solidarietà» catto-comunista che penalizza di fatto chi in Italia è nato e vissuto ed ha pagato le tasse da una vita.
Basta provare ad entrare in una ASL a chiedere un documento, per passare ore in fila, dietro a code di immigrati che iscrivono figli, nipoti e nonne intrasportabili al nostro servizio sanitario, come fosse gratuito.

Gli immigrati sono lesti a capire che da noi hanno servizi sanitari che ai loro Paesi devono pagare cari, e ne approfittano, affollando ambulatori e facendo man bassa di medicinali.
Non è colpa loro, è colpa nostra.
Della nostra, specifica ideologia italiota: il «solidarismo», il grande alibi della Casta.

Per spiegarmi, torniamo un momento all’ideologia britannica.
Essa sta tramontando rapidissimamente, sotto la spinta della crisi economica più grave dell’ultimo secolo.
Il governo britannico ha violato senza esitare il dogma iper-liberista, tutto «mercato» e niente «Stato», nazionalizzando la Northern Rock, la banca rovinata dalle sue stesse sfrenate avventure
nel regno dell’iper-liberismo.
«Nazionalizzazione», parola tabù solo qualche mese fa, non significa solo che lo Stato copre le perdite; significa che lo Stato controllerà la gestione, prima affidata ai demenziali banchieri del «mercato» senza regole.
Ora, si stringono i freni.

Dopo questo fatto, «la politica britannica non sarà mai più la stessa», esordisce infatti il giornalista Steve Richard su l’Independent (2).
E incolpa i politici, la cosiddetta «sinistra» come la cosiddetta «destra», di essere «prigionieri del passato, incapaci di vedere quel che avviene sotto i loro occhi: ossia che l’età del mercato libero di svilupparsi selvaggiamente senza il minimo controllo sta per finire».
E’ una filippica lucidissima contro il pensiero unico economico che «ha formato la politica britannica da almeno due decenni».
Il governo conservatore, per 18 anni, ha guardato all’economia degli Stati Uniti come un modello cui ispirarsi.

Il «Nuovo» Laburismo ha fatto lo stesso.
Tony Blair e Gordon Brown hanno dato lezioni agli altri europei sulle virtù del modello liberista anglosassone, questo mercato quasi senza regole e con «poco Stato», dove migliaia di fiori sarebbero sbocciati.
Nei suoi discorsi sul bilancio, Brown s’è preso gioco dei tassi di crescita dell’Eurozona, mentre rendeva omaggio alla eccezionale crescita dell’economia americana, facendo capire che solo la Gran Bretagna in Europa era altrettanto sana.
Non sentiremo più questi discorsi nei prossimi mesi.

«Di colpo, si alzano una serie di domande ben diverse: perché le attività della Northern Rock non sono state più strettamente regolamentate? Perché il governo non ha nazionalizzato la banca prima? Quanto è grave la situazione economica in USA? … Il dibattito verte su quali nuove e dure regole imporre al ‘mercato’, non quante meno. I politici sono costretti a lasciarsi alle spalle gli anni ‘80, nonostante se stessi. Saranno tempi duri sia per il New Labour (la ‘sinistra’) come per i Conservatori (la ‘destra’), uniti nella credenza nella vecchia ortodossia».

Se cose del genere si possono scrivere su un giornale inglese, vuol dire una cosa certa: il liberismo senza freni sta passando di moda, travolto dalla catastrofe e dalla depressione che ha provocato.
E se passa di moda nella patria di Adam Smith, passerà di moda anche negli Stati Uniti, che l’hanno applicato, ed imposto al mondo, con rigore dottrinario.

Dovremmo rallegrarci, visto che abbiamo sempre detto e scritto che il liberismo totalitario e globale era non meno rovinoso del socialismo reale, e che abbiamo descritto i sintomi del capitalismo terminale, la sua irresponsabilità, i suoi costo umani e sociali.
Invece, dobbiamo preoccuparci per un motivo specifico: il superliberismo, passato di moda negli USA, passerà di moda anche in Italia, che riceve le mode dagli Stati Uniti e le cambia dopo che cambiano negli Stati Uniti.
E questo sarà un problema tutto nostro.

Perché?
Perché i nostri politici (non parliamo degli economisti) hanno assunto il liberismo made in USA, appunto, come una moda.
Ossia senza capirlo né pensarlo in proprio, ma solo perché chi non era liberista, per così dire, non era accettato in società.
Abbiamo visto l’intera classe dirigente del partito comunista italiano (fino a ieri DS, oggi PD), dopo decenni di discorsi sul «plusvalore», sullo «sfruttamento capitalista», e sulla proprietà statale dei mezzi di produzione, gettare alle ortiche Marx da un giorno all’altro, e travestirsi da Tony Blair; segno che anche Marx per loro era una moda, un’ideologia accettata da subalterni dell’URSS, ma mai veramente studiata in proprio.
E fosse solo questo.

Il fatto è che di colpo tutti, da D’Alema a Veltroni, si sono messi a dare lezioni di capitalismo terminale, a ricordarci i comandamenti del dogma: il salario va assoggettato al «mercato» e alle sue leggi di domanda-offerta, il lavoro è una merce che in Italia compete con quello cinese (dunque che volete farci se le paghe si abbassano), aumentate la «produttività», bisogna introdurre «la concorrenza» nel settore pubblico, bisogna «privatizzare»…
Mai una critica alla globalizzazione, da quella sinistra di potere, mai un allarme per la fuga di posti di lavoro in Romania o Cina.

Anzi.
Se ben ricordate - era solo ieri - deridevano Tremonti, il solo che lanciava l’allarme: è un «colbertista», è un «dirigista»!
Che personaggio demodé, che veste ancora l’ideologia dell’altro ieri!
Ciampi, Prodi, Bersani si sono dati a «privatizzare» tutto, dalle Ferrovie ai trasporti municipali, Bersani ha voluto deregolamentare anche taxisti e barbieri: il primo della classe.

Attenzione: ora che la moda sta per cambiare in USA, questi liberisti alla moda torneranno alle vecchie parole d’ordine, convinti che sia il loro momento di tornare di moda, che il crollo del liberismo globale dottrinario confermi il marxismo fallimentare.
Ci diranno: noi l’abbiamo sempre detto che occorre il socialismo, il controllo dello Stato sull’economia privata; lo sapevamo, noi, che la verità sta nella «solidarietà sociale», che bisogna mettere i ceppi alle imprese private e punirle, che bisogna aumentare i salari oltre la produttività; ora è il momento di «nazionalizzare» banche, ferrovie, centrali del latte.

Qui è il pericolo.
Perché i costi sociali che il crollo del capitalismo sta per accollarci, sembreranno dare ragione alle loro ricette sub-marxiste, già provate disastrose dalla storia.
Bisognerà allora ricordare che, questi liberisti, il liberismo thatcheriano non l’hanno mai applicato. O meglio: l’hanno applicato furbescamente, pro domo loro.
Solo in Italia, infatti, esistono «SpA pubbliche», ossia società per azioni quotate in Borsa, il cui azionista di maggioranza però è il Tesoro: il che significa che le perdite di quelle psudo-SpA le paga quello che i soldi al Tesoro li dà, il contribuente.
E’ il caso delle ex Ferrovie dello Stato diventate Trenitalia SpA, è il caso di Alitalia.

Soprattutto, è il caso delle decine di migliaia di «società partecipate», a livello statale, regionale e comunale: le vecchie centrali del latte, o gli ospedali, o i trasporti municipali, o le aziende di raccolta rifiuti, che sono state per incanto «privatizzate», e da allora non forniscono i servizi di quando erano pubbliche.
Ma ne forniscono parecchi a lorsignori.
I dirigenti di quelle aziende, ora, sono «manager»: stipendio triplicato, perché licenziabili.
Ma perché dopotutto sono manager «pubblici», sono scelti dalla «politica», ossia - traducendo - mettiamo a quei posti i nostri candidati trombati, i nostri clienti che ci hanno spalleggiato nel malfare.

Insomma: hanno applicato il liberismo metà e metà.
Specialmente nella metà che fa comodo a loro.
Le SpA pubbliche e «partecipate», le hanno assoggettate al diritto privato per evitare i controlli cui erano soggette quando erano pubbliche.
Per esempio: prima, se le FFSS volevano vendere, poniamo, un loro terreno o immobile, dovevano indire un’asta pubblica, all’offerta più alta.
Oggi, come SpA, possono vendere senza controllo: basta il voto di maggioranza nel consiglio d’amministrazione.
E che importa se vendono sottocosto a un amicone, a un compare o a un cliente di partito?
Sono società «private», dei loro beni fanno quello che vogliono.
I manager, in quanto licenziabili, sono legati a filo doppio alla «politica»: devono ingraziarsi il ministro o l’assessore, altrimenti non li riconferma.
Il potere della «politica» è diventato più totale che nel socialismo reale.
Ma, in Italia, sotto forma di privatizzazione.

La «politica» ha sottratto le sue mangiatoie insieme al «libero mercato» (Alitalia e Trenitalia, quale «mercato»?), e anche al controllo pubblico.
Ancor ieri il governo Prodi - benchè in uscita - ha fatto il colpaccio: ha sottratto al controllo della Corte dei Conti tutte le «società partecipate dallo Stato, amministrazioni o enti pubblici».
Già, perché la Corte dei Conti controlla per dovere come spendono i soldi gli enti pubblici, e ormai tutto il macchinismo statale è un insieme di «Società per Azioni».
Comodo, comodissimo.
In questo caso, le partecipate sono private.
Ma quando poi Alitalia e Trenitalia perdono miliardi, diventano «pubbliche»: nel senso che le perdite sono coperte dallo stato ossia da Pantalone.

Guardate, è questo il problema.
Il problema specificamente italiano.
E’ così, con queste pseudo-privatizzazioni, che è nata e prosperata la Casta ingorda e parassitaria.
E’ lì che ha piazzato a migliaia i suoi parassiti.
Sottratti al rigore delle leggi di mercato come al controllo pubblico, questi sono diventati ricchissimi, gestendo ospedali come a Vibo Valentia e la raccolta dei rifiuti solidi come a Napoli, o il pubblico denaro come a Milano e Genova, dove i comuni si sono accollati (o hanno accollato ai cittadini) centinaia di milioni di buchi in derivati.
E’ da lì che la spesa pubblica, anziché diminuire alleggerita dagli enti statali e parastatali, è cresciuta - a debito, per giunta.
Il costo delle «partecipate» incontrollate ammonta ad una quarantina di miliardi di euro.
E mantiene i parassiti ammanicati che stanno spolpando il Paese, a cominciare dagli operai.

L’Inghilterra e gli USA non conoscono questo genere di furberia mascalzona.
Là, al liberismo hanno creduto, l’hanno applicato con rigore; ora che s’è dimostrato fallimentare, Londra onestamente, pragmaticamente, applica misure che sono il contrario del dogma.
Ma da noi, questa onestà non c’è.
Ricordatelo, quando Bersani o Prodi, Veltroni o D’Alema, cominceranno a proporre - secondo la moda del momento -  nuove «nazionalizzazioni».
Vogliono solo derubarci di più.

Lo faranno con la spinta di Bertinotti e Diliberto, a cui non parrà vero di tornare «socialisti reali», e capeggiare «la lotta di classe».
Lo faranno con l’aiuto dei cattolici e di parte della Chiesa, in nome della «solidarietà»: non vedete che ci sono tanti disoccupati?, dunque più tasse, salario minimo garantito, più posti pubblici parassitari… questa è la vera, immarcescibile ideologia italiota.
Quella che sopravvive a tutte le mode ideologiche: rubare denaro pubblico in nome della «solidarietà», della socialità.
La «solidarietà» è il grande alibi della Casta e dei suoi milioni di parassiti protetti a posto e stipendio fisso.

Ricordatevelo, perché presto sentirete fare questi discorsi a Visco, a Bersani (il privatizzatore), ai vescovi e a Veltroni (l’ex Tony Blair de’ noantri).
Intervento pubblico nell’economia e nelle imprese, ci diranno, ecco la soluzione.
Traducete: intervento della «politica», delle loro manacce grasse sui soldi nostri di tartassati.


1) Christopher Hope, «Migrants must pay a tax to enter UK», Telegraph 20 gennaio 2008.
2) Steve Richards, «British politics will never be the same again», Independent, 19 febbraio 2008.

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