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L’indipendenza del Kossovo
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Abbiamo deciso di scrivere qualche riga sulla recente indipendenza del Kossovo dopo aver visto le immagini della devastazione delle chiese operata dalle milizie albanesi, segnalateci da un amico di Ferrara (www.rastko.org.yu/kosovo/crucified/churches) che hanno provato la mia sensibilità di cristiano e mi hanno imposto di riflettere sui tragici avvenimenti.

Si vede soprattutto negli ultimi dieci anni che UE ed USA, soprattutto sulla politica estera, spesso non sono andati sempre in sintonia, ma stavolta, proprio sull’indipendenza del Kossovo, frizioni ed incomprensioni non ce ne sono state.
E’ vero che la regione balcanica interessata, de facto aveva una propria amministrazione autonoma sin dal ‘99, ma che si sappia le Nazioni Unite con una propria risoluzione (la 1244) prevedevano
Un’ ampia autonomia nell’ambito dell’integrità territoriale di Belgrado (annullata poi dai recenti sviluppi, politici,militari e diplomatici!).

Lo scenario che si apre adesso è che il Kossovo, frazionando ulteriormente lo scenario geografico dei Balcani, si possa prestare al meglio per gli interessi di tutti i tipi, soprattutto quelli legati ai traffici sponsorizzati dalla criminalità organizzata che vedranno nella nascente banca kossovara il proprio punto di riferimento, dopo che le amministrazioni bancarie di Montecarlo, Cipro, Madeira si sono rivelate poco affidabili e più attentamente controllate; inoltre, il traffico di armi, che da lì è passato e tuttora continua a passare, sembra proveniente dagli USA ma attraverso l’Albania, sotto la supervisione di formazioni locali di eterogenea natura, aumenterà la forza dei gruppi che hanno sia connotazione politica (l’UCK) sia criminale, che approfittano congiuntamente della occasione per consolidare il loro potere sul territorio con sicuri proventi.

Emblematica una cartina didattica riportata dal TGCOM, dove si evidenziava che oramai il Prodotto Interno Lordo del Kossovo è dato al 50% dai traffici illegali di droga, armi, petrolio e prostituzione (il restante dagli aiuti umanitari, dalle rimesse degli emigranti e dalla stagnante economia locale, in massima parte di natura agricola); quello che colpisce, sempre in riferimento alla suddetta cartina, è come, nei Balcani, il neo-costituito Stato abbia una natura monoetnica (difficile a dirsi per l’intera regione balcanica) dove circa il 90% della popolazione locale è costituita da albanesi (il restante da Serbi, Rom e Turchi).

Ricordiamo che la regione kossovara, nella passata amministrazione yugoslava, era importante anche per le miniere di rame e di zinco (e in parte di altri metalli, preziosi) che hanno scatenato gli appetiti dei soliti noti che sperano in una interessata assegnazione dei proventi minerari; a ciò si aggiunge la politica di privatizzazione (già in atto da anni) di circa 300 società pubbliche (eredi della passata amministrazione socialista) che verranno cedute come al solito ai migliori acquirenti.

Lo scenario politico aperto, in un’ottica di più ampio raggio, concretizzerà in misura più radicale le tensioni tra Oriente ed Occidente; non v’è più quella «false flag», a cui eravamo abituati, dello «scontro di civiltà» panacea di tutti i mali, che scopre gli altari laici della lotta all’Islam e fa impugnare dai parte della borghesia benpensante la spada della Ragione, visto che sono stati proprio i Paesi occidentali laici, dei diritti umani e del relativismo morale, ad aver sostenuto profondamente la creazione d’uno Stato islamico nel cuore dell’Europa.

V’è poi il problema sollevato dalla costruzione d’un oleodotto di grande portata, Nabucco (sponsorizzato dagli USA) o South Stream (sponsorizzato da Mosca) che solleverebbe ulteriori polemiche dovute ai grandi interessi che si muovono dietro la geopolitica balcanica e che lasciano spesso a guardare un’Europa oggigiorno apatica e lontana dal vero cuore pulsante dell’interesse comune.

Le tensioni saliranno ulteriormente quando il gigante russo provvederà a fornire assistenza alle tante repubbliche che sperano di rientrare nell’orbita post-sovietica (Ossezia, Abkasia, Prinestrovie-Transdinistria), che si trovano invece incorporate oggi come province ribelli in Paesi antirussi e filo occidentali (Georgia e Moldavia).

Luca Schiano


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