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Grano scarso: accaparramenti e panico
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Da lunedì il grano è rincarato del 30% nelle borse granarie statunitensi.
Alla borsa di Minneapolis, il «bushel» (misura volumetrica, pari a 35 litri) è con un picco di 25 dollari e passa.
Si acquista disperatamente a qualunque prezzo perché «la scarsità di granaglie continua ad essere il fattore determinante sui mercati mondiali», dicono gli analisti del settore.
Le riserve mondiali sono al livello più basso da mezzo secolo: bastano per solo dieci settimane.

Naturalmente i giornali britannici attribuiscono tutto il problema al «climate change», responsabile dei cattivi raccolti degli ultimi due anni (1).
Ma - a parte che secondo la FAO il calo della produzione è modesto, essendo passato da 624 a 600 milioni di tonnellate - gli analisti del settore forniscono altre ragioni.
«Sono ormai decenni che in tutto il mondo non si investe abbastanza nella produzione agricola», dice Arlan Suderman, della rivista specializzata «Farm Progress» (2).
La speculazione globale non ama investire nel settore primario, dove i profitti sono modesti e
i tempi lunghi; ha preferito finanziare i mutui subprime e gonfiare di soldi i derivati.

Altra causa citata, la crescente abitudine di cinesi e indiani, finalmente benestanti, di mangiare carne: 110 milioni di tonnellate in più ogni anno sono destinati al nutrimento del bestiame da allevamento.
E naturalmente, sui mercati, a fianco dei compratori che sono utilizzatori finali (industrie panificatrici dolciarie, oleifici, birrerie, eccetera), agiscono gli speculatori che puntano a profitti sul rialzo di ogni grano, soya o mais.
Gli utilizzatori finali usavano comprare «just in time», ossia solo la quantità necessaria per le loro lavorazioni.
Oggi, nel panico, comprano per tenersi da parte delle riserve, dato che i prezzi salgono.

Gli speculatori accentuano il fenomeno, trattando i grani come un qualunque titolo in rialzo.
Inoltre, il deprezzamento del dollaro agisce per sé come motivo di rincaro (come per il petrolio).
«Stiamo cominciando ad entrare nella fase di accaparramento del ciclo inflazionistico», spiega Farm Progress: siccome la moneta si deprezza, chi ne ha compra oggi più che può, aspettandosi rincari maggiori domani.
Il grano - come ogni materia prima - è in qualche modo moneta, facilmente scambiabile e accettata da tutti; e vale più del dollaro.
Non è un caso che uno dei massimi compratori sia da giorni la Cina, strapiena di dollari che si deprezzano.

Le motivazioni cinesi ufficiose sono due: contrastare il rincaro dei generi alimentari da inflazione che colpisce la sua popolazione e minaccia una rivolta sociale, e costituirsi delle riserve in vista delle Olimpiadi.
Ovviamente, più accaparra e più rincara il costo del cibo all’interno.
In USA si nota una corsa all’accaparramento dei terreni agricoli, con il curioso fenomeno relativo: mentre i prezzi degli immobili calano (per lo scoppio della bolla subprime), le zolle rincarano.

Già negli anni ‘90 si vide una corsa speculativa o di panico all’accaparramento; quando poi l’offerta, stimolata dai rincari, divenne eccessiva, ci fu un crollo dei prezzi.
Ma oggi, dicono a Farm Progress, questo rischio di crollo dei prezzi agricoli non sembra affatto prossimo.
«La stagione del raccolto in USA è in ritardo per l’inverno particolarmente freddo» (e noi siamo qui a parlare di riscaldamento globale prodotto dalle emissioni umane…).
Ciò ritarda anche il momento in cui gli speculatori, temendo di restare con tonnellate di grano comprato caro e di doverlo vendere al ribasso, cominciano a farsi prudenti ed escono dal gioco, lasciandovi gli onesti utilizzatori finali.
Del grano, gli speculatori, non sanno che farsi, se non come una fiche del grande casinò.

Dato l’accaparramento dei terreni, anche il granturco subisce rincari perché gli operatori temono che più ettari saranno messi a cultura per il frumento da alimentazione umana, sottraendo spazio al granturco per alimentazione animale.
Anche se la FAO prevede che entro 12 mesi la situazione tornerà ad una relativa normalità,
gli effetti del panico sono ovvii: rincaro del cibo, che colpirà tutti noi, ma soprattutto i poveri, e non è esclusa la minaccia di carestia.

Nel Medio Evo i poveri pregavano: «a peste, fame et bello libera nos, Domine».
Liberaci, Signore, dalla pestilenza, dalla guerra e dalla fame.
Una preghiera che la globalizzazione e il capitalismo terminale rendono di nuovo attuale.



1) Jonathan Leake, «Food shortages loom as wheat crop shrinks and prices rise», Times, 24 febbraio 2008.
2) Arlan suderman, «Panic wheat buying across the US», North Queensland Register, 26 febbraio 2008.



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