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Tornare all’Architettura: i misfatti in corso d’opera
15 Gennaio 2013
Per presentare i volumi II° e III° della serie: «Tornare all’Architettura» (qui la presentazione del I°) è opportuno citare i misfatti che sono in corso d’opera. Questi misfatti mostrano quanto è urgente riflettere sulle tendenze dell’architettura.
Una «nuvola» come Palazzo dei Congressi
Fra poco verrà inaugurato nel quartiere EUR di Roma un edificio chiamato «nuvola». Si tratta di un edificio simbolo, un edificio che potrebbe rappresentare la fase terminale dell’architettura della nostra epoca, perché poi nell’ immediato futuro anche solo immaginare una follia più folle appare quasi impossibile. L’architettura in passato si è a lungo cimentata con l’acqua, chiamata a far parte di palazzi e di facciate, come la celeberrima fontana di Trevi. Ma con le nuvole mai. Il vapore, anche se acqua condensata in minuscole goccioline, sembrava molto lontano da un suo ingresso nell’ architettura. Eppure un architetto: Massimiliano Fuksas, per primo, sfidando le leggi della fisica e del ridicolo, ha tolto di mezzo questa mancanza.
Massimiliano Fuksas
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Così la nostra archistar quasi italiana (1) ha ideato un edificio in cui l’aspetto dominante è un grande elemento informe, con uno scheletro distorto. Dice Fuksas in una intervista del 2006: «É stata adottata come «nuvola» da altri, io non l’ho mai chiamata così. É stata davvero la gente, ed oggi a Roma si conosce la «nuvola». I tempi di realizzazione saranno anche relativamente brevi, infatti per il 2006 dovrebbe essere finito».
Come previsione si può dire che è stata un tantino azzardata. Come dichiarazione circa la paternità del nome come vedremo è una bugia. I lavori iniziarono di fatto nel febbraio 2008. Se tutto va bene il sindaco Alemanno, immemore del suo programma elettorale con cui si è fatto eleggere, inaugurerà l’ opera nel gennaio 2013. Già proprio quel programma in cui faceva bella mostra il proposito di demolire il museo dell’Ara Pacis, progettato dall’ ebreo-americano Meier, voluto dal sindaco precedente Veltroni, nonostante un coro quasi unanime di critiche sollevate da personaggi dell’ italica cultura. L’idea della demolizione venne abbandonata subito, appena il neosindaco si insediò, avendo ricevuto la tempestiva visita di autorevoli rappresentanti della comunità ebraica romana. Per amore della verità il suggerimento di utilizzare l’architetto Meier a Roma era venuto dal Vaticano, che gli aveva affidato il progetto della chiesa di Tor Tre Teste. Una chiesa che avrebbe dovuto assomigliare a tre vele e che invece suggerisce l’immagine di una cipolla spampinata. Dopo un così brillante esordio il sindaco Veltroni pensò di affidare alla consacrata archistar Meier la realizzazione del museo dell’Ara Pacis, destinato a sostituire con grande magnificenza quello precedente dell’ architetto Morpurgo. Coloro che si opponevano al progetto di Meier pubblicarono una raccolta di progetti alternativi, tutti poco convincenti. In realtà si fanno critiche, giustissime, ma non esistono oggi forza e volontà necessarie per creare un’architettura nuova, che possa subentrare a quella attuale. Alemanno, ormai conquistato dalla modernità, ha definito la creazione di Fuksas addirittura «un vero gioiello nel cuore di Roma«, nonché «una struttura necessaria, perché la Capitale senza un grande Centro congressi è sostanzialmente impensabile».
Forse Alemanno colpevolmente ha dimenticato che Roma proprio all’EUR ha già un centro congressi, opera dell’architetto Adalberto Libera (2). Un edificio iniziato nel 1938 e destinato all’Esposizione del 1942, quell’Esposizione che non vide mai la luce.
I comunicati stampa inneggiano: «Il Nuovo Centro Congressi sarà un’opera dallo straordinario valore artistico, caratterizzata da soluzioni logistiche innovative e dalla scelta di materiali tecnologicamente avanzati nel settore edilizio. La struttura sorgerà in una zona strategica dello storico quartiere dell’Eur, inserita a pieno nel contesto urbano, su un’area di circa 27 mila metri quadrati di proprietà di EUR SpA. La parte visibile del Nuovo Centro Congressi (NCC) sarà il risultato dell’ interazione di tre elementi: la teca, la «nuvola» e l’albergo».
La teca, così chiamata in modo un tantino enfatico, sarebbe, credo, la parte esterna dell’edificio. La «nuvola» è «l’elemento architettonico caratteristico del progetto: la sua struttura sarà costituita da una membrana di materiale innovativo (fibra di vetro e silicone in grado di garantire sicurezza antincendio), membrana che avvolgerà una gabbia d’acciaio, il tutto ’galleggerà’, sospesa nella «teca» di acciaio e vetro alta 40 metri, larga 70 e lunga 175. ….». Il progetto del NCC ha cercato ovviamente di essere eco-compatibile, utilizzando l’ energia prodotta da fonti rinnovabili.
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Ecco il progetto della «nuvola». Istintivamente viene suggerita non l’immagine di una nuvola ma quella di un gigantesco profilattico, un monumento al preservativo, così raccomandato e così utile… (3). Orfani degli oggi aborriti trionfalismi retorici di un recente passato, molti monumenti odierni finiscono per cadere nella banalità e nel ridicolo.
Fuksas assicura che: «Tra pochi mesi il telo traslucido, semitrasparente, comincerà a invadere la teca e la notte si illuminerà come una strana lanterna. Di giorno invece la luce penetrerà all’interno».
Il complesso sarà in grado di ospitare eventi con caratteristiche molto differenziate, con una capienza di quasi 8.000 posti, suddivisi tra l’auditorium «sospeso» all’interno della Nuvola, che potrà accogliere 1.800 persone, le grandi sale congressuali che potranno disporre di complessivi 6.000 posti.
Ed ecco alcuni scorci del cantiere dove appare lo scheletro della «nuvola» al cui interno dovrebbe essere alloggiata una sala di conferenza. Non ci sarà poi da stupirsi se si dirà che i congressisti hanno la testa nelle nuvole!
Si può confrontare questo Nuovo Centro Congressi con il non lontano Palazzo dei Congressi progettato dall’architetto Libera e recentemente ristrutturato con la dotazione delle ultime strutture tecnologiche. L’intenzione è quella di utilizzare il Nuovo Centro Congressi e il (vecchio) Palazzo dei Congressi simultaneamente in determinate occasioni, proprio nell’ ottica di ciò che dovrebbe diventare il primo polo congressuale d’Italia. Quindi avremo due centri Congressi poco lontani l’uno dall’altro. Ma il sindaco Alemanno aveva detto che Roma non poteva fare a meno del Nuovo Centro Congressi. Aveva dimenticato che a poca distanza ce n’era un altro.
Il (vecchio) Palazzo dei Congressi all’EUR
Infatti a Roma ci saranno due edifici monumentali a poca distanza l’uno dall’ altro, destinati a svolgere le stesse funzioni: ospitare mostre e congressi. Il primo palazzo ha una storia alle spalle e mantiene i legami con l’ architettura e con il significato della storia, il secondo è privo di senso. Anzi è la demenza che si materializza. Appartiene a quella che potrebbe essere una civiltà terminale. E’ stato pensato, scelto, voluto e pagato solo perché simbolo di una modernità di cui neppure conosciamo il vero significato, noi che siamo ormai ai margini della storia. Quindi scelto come sacrario ad un dio ignoto e mostruoso, senza una ragione, senza che sia neppure possibile chiedersi se sia lecito porsi domande. Come gli idoli dell’isola di Pasqua, eretti dal popolo dei Maori, idoli giganteschi e muti, che guardano l’eterna e misteriosa immensità dell’oceano.
Dal confronto tra i due edifici possiamo constatare che cosa è successo in questi ultimi settanta anni, quando ormai le velleità imperiali del regime fascista appaiono come una ingenua parodia dell’attuale impero mondiale, che domina con gli strumenti implacabili del pensiero unico nichilista e la ferocia della speculazione finanziaria sovranazionale.
Una sfilata dei misteriosi idoli dell’isola di Pasqua
Le basi ideologiche su cui si fonda l’idea di Fuksas circa il ruolo sociale dell’ architettura si possono scoprire in questa frase, estratta da un’intervista (4) concessa ad Area nel 1999.
Fuksas dice: «non dobbiamo proporre la concertazione con gli abitanti, niente di tutto questo, dobbiamo semplicemente, ma necessariamente, prendere coscienza del nostro ruolo critico. Questo non significa riidentificare un nuovo potere perché, nella società attuale, l’economia è così labile e fluttuante, che il potere non domanda immagini solide per essere rappresentato. L’architetto non può rivendicare il «principe», o creare consensi, ma può, anzi deve, porsi una diversa e più attuale questione: «c’è una domanda di arte e di architettura oggi? E se sì, quali sono le nostre possibili risposte?».
È difficile non vedere l’inconsistenza di questa domanda retorica e della sua quasi risposta. Poi se Fuksas dice che rifiuta la scomoda concertazione con gli abitanti, se rifiuta il «principe», se trova labile il potere degli speculatori finanziari, un potere che non chiede immagini durature per essere rappresentato, da chi dovrebbe provenire la domanda di arte e d’architettura? Esisterebbe solo il ruolo critico dei grandi architetti? Fuksas vorrebbe consacrare il potere sovrano di questa ristretta casta in un mondo labile e fluttuante?
Tutto questo non è solo ridicolo ma anche piuttosto dispendioso, perché le opere nate per rispondere a questa ipotetica domanda di architettura pesano non poco sui pubblici bilanci.
Ma costi quel che costi l’obbiettivo per Roma sarà comunque quello di presentarsi sul mercato internazionale con il Polo Fieristico Congressuale più grande d’Europa, più all’avanguardia quanto a stile, consolidando la città nell’èlite delle grandi capitali europee come Parigi, Vienna, Barcellona, Berlino ed Amsterdam.
Poi a che cosa servono tutti questi centri congressi? Migliaia di personaggi che si spostano da un capo all’altro del pianeta per riunirsi, per discutere su tutto senza approdare a nulla, perché i reali centri decisionali sono occulti e si avvalgono degli infiniti strumenti di comunicazione telematici. Questi congressisti assomigliano ai chierici, che in epoca medioevale si spostavano senza sosta da un monastero all’altro. Un’umanità che vaga da un conclave ad un altro per creare e disfare gruppi iniziatici, che parlano linguaggi comprensibili solo agli affiliati. E tutto questo dovrebbe rendere anche denaro tra cuochi, personale d’ albergo e addetti ai massaggi oltre ad accompagnatori ambisex? Qui a Roma a questo scopo esistevano già luoghi deputati agli incontri: erano le terme, dove un’umanità di varia natura faceva fitness e intanto parlava d’affari e di tutte le cose importanti nel grande impero. Non era meglio tornare alle antiche terme.
Ricostruzione di un calidarium di terme romane
Ecco come apparirà l’interno del NCC
Oggi con la ricostruzione digitale, andando a prendere idealmente i resti sparsi nei vari musei del mondo, le immagini delle terme di Caracalla sono state ricostruite perfettamente e minuziosamente. Si potrebbero ricostruire concretamente in cemento e marmi, tornare a far scorrere l’acqua calda e fredda, dove mettere a bagno i nostri vip del momento. Sono passati 2000 anni ma l’Occidente sembra non aver compiuto molta strada.
Il Nuovo Centro Congressi, con il suo gigantesco profilattico appeso, dentro cui saranno ospitati uomini zombi, riuniti in conclave, avrà come scopo principale quello di ospitare eventi e congressi di folli, privi di ragione perché la ragione è stata perduta, perché la scienza è stata usata per cancellare i sogni, le speranze dell’infinito e dell’eterno. Questo è accaduto in questi ultimi settanta anni, eppure solo pochi hanno il coraggio di capirlo, pur essendo i fatti di una evidenza accecante. Cancellata questa speranza rimane solo il presente. Ma il presente inesorabilmente si trasforma in passato e per il pensiero dominante il passato è il nulla. Quindi il presente, a cui pensiamo di appoggiarci, in realtà è il nulla.
Gli adepti favorevoli al nuovo corso affermano a gran voce che questa è la modernità, i contrari si limitano a far notare che a Roma tutto si degrada e non si trovano i soldi neppure per l’ordinaria manutenzione. Ne viene fuori una modernità intessuta di miseria, di disperazione e di morte, di vuoto e di nulla. Il nulla reso visibile nello scherno e nel ghigno del ridicolo, fatto passare per arte, dove l’autore (Fuksas) afferma di curare la sua malinconia immergendosi nell’atmosfera del cantiere che sta costruendo la «nuvola».
Il film-documentario di Elisa Fuksas
Riportiamo una descrizione del film realizzato dalla figlia di Fuksas, Elisa; film che riesce a essere migliore dell’edificio che vorrebbe esaltare. Leggiamoci un riassunto. È un documentario sulla maxi-opera, considerata addirittura un nuovo simbolo della Città Eterna. (testo in parte ricavato da un articolo di Lidia Lombardi – IL TEMPO.it -12.11.2012).
«Una pellicola che racconta l’invenzione e il lavoro, la polvere del cantiere, il sudore di quelli che ci lavorano e come pulsa, cambia, spera, progetta tra mille intoppi Roma. Narra il sogno di un architetto che si invera nella realtà, ma anche quello di un benzinaio che vede crescere dietro le sue spalle un edificio che ha un nome mitico e un grande futuro. Il film si intitola "Nuvola parte I", è stato realizzato da Elisa Fuksas con il sostegno di Eur Spa… una pellicola che è molto più di un documentario».
«Parla della “Nuvola” di Massimiliano Fuksas, come nella fama e nell’immaginario collettivo già si chiama il nuovo Centro Congressi dell’Eur. E ne parla assemblando inquadrature metafisiche, omaggio al razionalismo dechirichiano del quartiere, con i primi piani dell’architetto che - casco in testa e t-shirt nera, in cima a un ponteggio o sotto una immensa trave di calcestruzzo - misura con lo sguardo i pilastri, riflette e spiega desideri e aneliti, il senso finale del suo lavoro, e anche come siamo noi, gli italiani»…
«La regista punta l’obiettivo sui gruisti, sui montatori dei ponteggi, sui geometri, indagando il loro punto di vista sull’opera che stanno costruendo. Tra la fatica quotidiana e le incertezze per il futuro gli “abitanti del cantiere” raccontano il loro modo di approcciarsi a una costruzione tanto singolare. Orgogliosi di un’opera di cui si parla “persino al paese in Abruzzo” o che “tra vent’anni potrai dire di averlo fatto tu” ma soprattutto contenti, come lo stesso Fuksas rileva, dell’aver dovuto affrontare mille difficoltà tecniche, di essersi trovati di fronte a un lavoro fuori dall’ordinario, secondo un gusto che forse si può definire tipicamente italiano di riuscire bene nelle cose difficili. Il montaggio ondeggia poi tra le atmosfere surreali del cantiere, con le sue geometrie metalliche e le nuvole che le attraversano, e il racconto fatto da Fuksas in persona che ripercorre l’iter del progetto mescolando aneddoti, riflessioni filosofiche o mistiche, invettive, giudizi tranchant... In uno stato d’animo che lui stesso definisce melanconico ma proiettato al futuro, poiché dopo aver dovuto aspettare 65 anni per costruire la prima opera nella sua città ora finalmente vi vede nascere la sua opera più visionaria. Fuksas parla proprio del cantiere come una “sorta di piccola vacanza”, dove ricaricarsi dalle delusioni e dai momenti di sconforto immergendosi nel “fare” architettura. Dichiara anche di non chiedersi più se gli piaccia o meno la sua Nuvola, ora che ha preso quasi la forma definitiva, ma di essere entusiasta di aver messo in moto una “fabbrica” di centinaia di persone che, muovendo verso l’ignoto, è riuscita a costruire un’opera che pochi anni fa sembrava impossibile.
“Questa è la mia prima opera a Roma, ed è strano l’abbia potuta fare solo a 65 anni, mentre all’estero si lavora per il proprio Paese molto prima”, attacca.
Ma non è tanto vena polemica, è invece soddisfazione per un traguardo raggiunto. L’antefatto sono le date d’avvio dell’impresa, il giorno che ha decretato Fuksas vincitore del concorso internazionale, quella di inizio lavori, con il prete che benedice la posa della prima pietra davanti al sindaco Alemanno in fascia tricolore e sorriso di circostanza.
“L’idea della Nuvola mi è venuta durante i viaggi in Usa, quando, negli anni ’90, insegnavo alla Columbia University. In volo da Parigi a New York guardavo le nuvole, da sopra” (ecco svelata la bugia).
Così la sfida di una costruzione che dentro un parallelepipedo rinchiudesse forme ondulate.
“Di giorno prenderanno luce dal sole perché la scatola è di vetro, coperta da pannelli fotovoltaici trasparenti e di notte dalle illuminazioni interne dei punti di ristoro, delle sale da concerto, da conferenza. L’hanno chiamata Nuvola ma per me è più vicina a un’astronave o ai frattali, questa forma che sembra quasi voler uscire dal cubo che la imprigiona”.
Sogni di un architetto che si fanno cemento e ferro, bulloni, gru, carpenteria. Sogno felliniano sorto proprio dove era il prato spelacchiato di “Boccaccio ’70”, quando issano su il cartellone pubblicitario di una bellona che offre un bicchiere bianco e i bambinetti cantano “Bevete più latte, il latte fa bene…”. Entrano in scena i comprimari, attori non professionisti, come le comparse reclutate nel dopoguerra a Cinecittà. Sono i carpentieri, i gruisti, l’addetto al montaggio delle cellule. Dicono di viverci 12 ore al giorno, dentro la Nuvola che stanno costruendo, arrivano alle 6, mangiano là dentro, le sera tornano a casa e il giorno dopo fanno lo stesso. Ma hanno l’orgoglio del mestiere.
“Un domani passerò di qua e penserò: ecco, l’ho fatta io, con queste mani, con queste dita”, dicono. “Alle imprese, alle maestranze piacciono di più i lavori complessi”, chiosa Fuksas, “ed è una caratteristica di noi italiani. Le cose semplici non sono di questo popolo”.
Anche se poi capita che i tempi non si rispettano mai, anche se “solo qui si passa da subappalto a subappalto, senza che abbia visto mai un coordinatore”. Eppure per lui il cantiere è “felicità”, una “vacanza quando sono arrabbiato, perché mi mette davanti al costruito, alle mani che trasformano la materia cerebrale in qualcosa di utile”.
La “sceneggiatura” comprende pure un cameo di Kounellis. L’artista cammina in campo lungo a fianco di Fuksas, confessa che lui finisce di pensare a una sua opera dieci minuti prima di averla completata. Capita anche all’architetto, ed è l’essenza della vita, il principio e la fine, la nascita e la morte. Però Fuksas va oltre: “L’ideale sarebbe costruire un edificio senza disegnarlo. E senza neanche pensarlo”. Poi la Nuvola pare irreale in un effetto notte. Titoli di coda».
Commento: sarebbe stato meglio neppure cominciare, risparmiando 300 milioni di euro circa.
Raffaele Giovanelli
• TORNARE ALL’ARCHITETTURA (Parte I)
• TORNARE ALL’ARCHIETTURA (Parte II)
• TORNARE ALL’ARCHITETTURA (Parte III)
1) Massimiliano Kuksas è nato a Roma nel 1944, figlio di un medico lituano di origine ebraica e di una italiana di origini francesi ed austriache, dopo la morte prematura del padre si trasferisce a Graz presso la nonna materna. Torna a Roma per frequentare il liceo. Siamo alla fine degli anni ’50 e Fuksas ha modo di conoscere esponenti della cultura italiana dell’epoca, tra cui Pasolini, Asor Rosa, Caproni. Conosce anche Giorgio De Chirico, e lavorerà presso il suo studio di Piazza di Spagna. Si iscrive alla Facoltà di Architettura della Sapienza. Nel frattempo viaggia in tutta Europa, e lavora per un breve periodo nello studio di Jørn Utzon. Partecipa attivamente ai moti del sessantotto che, come noto, presso la Facoltà di Architettura di Roma raggiunsero il culmine nella battaglia di Valle Giulia. Fu questo l’episodio che indusse Pasolini a schierarsi dalla parte della polizia. Si laurea nel 1969. Sarà con la palestra per il Comune di Paliano, pubblicata dalla rivista francese Architecture d’Aujourd’hui, che il suo studio GRANMA raggiungerà la fama oltralpe. Partecipa a Parigi ad un’esposizione dei progetti di giovani architetti europei, tra cui vi erano Rem Koolhaas e Jean Nouvel (a cui assomiglia nell’aspetto). Nel 1988 fonda lo studio di Parigi, quello di Vienna nel 1993 e nel 2002 quello di Francoforte. Dal 1994 al 1997, anno della sua elezione a consigliere di amministrazione dell’Institut Français d’Architecture, è stato membro delle commissioni urbanistiche di Berlino e di Salisburgo e visiting professor presso l’École Spéciale d’Architecture di Parigi, l’Accademia di belle arti di Vienna, la Staatliche Akademie der Bildenden Künste di Stoccarda e la Columbia University di New York. Poco dopo la demolizione dell’ecomostro di Punta Perotti, Fuksas ha affermato che anche numerosi altri edifici andrebbero distrutti in quanto "In Italia ci sono 9 milioni di palazzi abusivi" tra essi egli cita lo ZEN di Palermo e il Corviale di Roma. Tanta solerzia nel condannare le brutture altrui potrebbero ritorcersi contro di lui. La chiesa di Foligno opera di Fuksas, un gigantesco cubo adatto piuttosto ad ospitare una centrale nucleare, è una colpa grave commessa dalla commissione ecclesiastica che lo scelse nel 2001, nel concorso nazionale bandito dalla Conferenza Episcopale Italiana per la costruzione di una nuova Chiesa. La Giuria ha così motivato la scelta: “come segno deciso e innovativo, che risponde alle ricerche internazionali più avanzate, divenendo il simbolo della rinascita della città dopo il sisma”. Ma è una chiesa? 2) Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi a Roma. Il progetto iniziale risale al 1937, quando fu emesso un bando per la realizzazione di un palazzo che ospitasse i congressi e i ricevimenti ufficiali, durante la progettata Esposizione Universale del 1942,. L’architetto Adalberto Libera vinse il bando e iniziarono subito i lavori per costruire un palazzo che doveva caratterizzare la grande epoca mussoliniana. Grande importanza fu subito attribuita all’architettura che doveva avere forme moderne e funzionali. Oggi la funzionalità è diventato un concetto desueto. I lavori procedettero velocemente e, nel giro di pochi anni, il Palazzo fu quasi completato, ma nel 1942 subì gravi danni a causa di un bombardamento e, nel 1943, si dovette sospendere i lavori a causa della guerra. Ripresero nel 1952 per essere completati nel 1954. Nella progettazione Libera era riuscito a coniugare linee moderne con gusto classico e il risultato fu indubbiamente elegante, tanto che l’architettura del Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi è ammirata in tutto il mondo. All’ingresso si trova un grande atrio, affrescato, con 14 colonne in granito alte 14 metri. L’atrio immette nella Sala dei Ricevimenti. Al lato opposto si trova la Sala dei Congressi (oggi Aula Magna). Entrambe le sale hanno pareti alte 38 metri. Intorno a questo spazio centrale sono disposti gli altri ambienti adibiti a riunioni, uffici, ristoro, archivi e servizi. Sopra la sala dei Congressi si trova una terrazza panoramica con giardini pensili e uno spazio all’aperto adibito a teatro. Nel 1939 ci furono tre concorsi per decorare l’interno del Palazzo: uno per il mosaico del Salone Centrale, uno per la quadriga di facciata (mai realizzata) e uno per un arazzo da posizionare dietro il trono nel Salone Centrale. Il Presidente della Commissione, Cipriano Efisio Oppo, scelse un gruppo di architetti formato da Capizzano, Gentilini, Guerrini e Quaroni. Venne scelto anche Francesco Messina, scultore, Afro Basaldella per l’affresco nell’atrio dei Congressi e Achille Funi per l’affresco nell’atrio dei Ricevimenti. Il progetto di Funi, accompagnato da polemiche e censure, fu iniziato solo nel 1941; nel 1943 fu sospeso a causa della guerra e quando, nel 1951, fu ripreso venne modificato per il mutato clima politico. L’approvazione definitiva dei progetti del Palazzo della Civiltà Italiana, della Piazza Imperiale e del Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi avvenne nel febbraio 1938 con l’intervento dello stesso Benito Mussolini. L’inizio lavori per problemi tecnici fu solo nel 1939. Nonostante i vincoli imposti dal regime fascista, che nell’EUR vedeva la prima, vera grande occasione di creare ex novo un proprio stile architettonico, il progetto di Adalberto Libera, pur se in parte rispettoso delle direttive politiche, risultò essere indipendente. Libera infatti, evitando il monumentalismo accentuato del Palazzo della Civiltà Italiana, riuscì a concepire un edifico che si sottraesse alla datazione del suo tempo. Oggi consideriamo un’eresia ed una colpa mettere l’arte sotto l’influenza di chicchessia, ma questa scelta non è priva di effetti negativi. Il Palazzo dei Congressi è, essenzialmente, un cubo di 45 metri per lato che all’interno ha un volume libero dove sono alloggiati: i corpi scala e i ballatoi, posti adiacenti alle pareti interne del cubo. All’esterno abbiamo il frontale con il colonnato: l’ingresso che si affaccia sull’attuale piazza Kennedy, l’ampio atrio largo più di 60 metri, i volumi di servizio e, sul retro, un auditorium. La copertura dell’elemento principale, la sala dei Ricevimenti propriamente detta, è costituita da una volta a crociera ribassata, con un manto di copertura in rame. L’auditorium, chiamato spesso aula magna o Sala dei Congressi, è costituito dal succedersi di 13 telai in cemento armato di 28 metri di luce che sorreggono una soletta di cemento armato e le sovrastanti gradinate del teatro all’aperto. Tutto il palazzo è realizzato in cemento armato, ma la struttura è mascherata dal rivestimento interamente in travertino, il che conferisce all’opera un carattere di sobria monumentalità. La costruzione del Palazzo dei Congressi, almeno nei suoi elementi fondamentali, nel 1943 era già ultimata. Dopo il giugno 1944 gli edifici dell’EUR già completati servirono dapprima come accampamento per le truppe alleate e infine come rifugio di sfollati. Dopo la guerra, con la costituzione dell’Ente EUR, che prese in carico le infrastrutture esistenti, la zona divenne punto d’aggregazione della Capitale; i lavori sul Palazzo dei Congressi ripresero nel 1952; all’epoca, sulla parete di sfondo dell’atrio, era già presente un affresco allegorico di Roma trionfante, opera di Achille Funi; durante i lavori successivi Gino Severini realizzò un dipinto raffigurante momenti di vita agreste, in tema con la mostra dell’Agricoltura che si tenne nel 1953 nei palazzi dell’EUR. Il Palazzo dei Congressi è stato sede di numerosi eventi: mostre, seminari, convegni e congressi di partito. Nel gennaio 1977 il Palazzo fu oggetto di un attentato, una protesta dei «nuovi partigiani» contro il previsto congresso del Movimento Sociale Italiano. I lavori di ripristino e di ristrutturazione del Palazzo dei Congressi hanno portato alla valorizzazione di una terrazza con giardino pensile (prevista nel progetto originario) e all’installazione di nuove apparecchiature tecnologiche multimediali nella Sala dei Congressi, che adesso può ospitare proiezioni cinematografiche, sfilate di moda e altri eventi. Il Palazzo è di proprietà di EUR Spa. (varie fonti tra cui Wikipedia) 3) Un involontario monumento al profilattico avrebbe un significato storico per contrassegnare il periodo del trionfo dell’igiene sessuale, insieme alla perdita della poesia nell’ amore. Il profilattico non è certamente nuovo nella storia. Risulta citato nell’antichità, almeno dal 1500 a.C. presso gli Egizi, da disegni che ritraggono un preservativo. In largo uso anche nel mondo greco-romano, aveva assunto nel periodo del tardo impero romano, oltre il valore preventivo, una funzione anche erotica. La sua diffusione si interruppe bruscamente durante il medioevo, a causa della moralizzazione cristiana dei costumi. Con il Rinascimento, ne tornò l’uso iniziando la diffusione dall’Inghilterra. Nel XVI secolo, in Italia, Falloppio pubblicò il primo articolo conosciuto in cui venne descritto il preservativo come profilassi da malattie sessualmente trasmissibili. Il più vecchio preservativo trovato è del 1640, scoperto a Dudley Castle in Inghilterra. Esso era fatto di intestino animale. Ad ideare i profilattici nella tipologia attuale fu Julius Fromm (1883-1945). Fromm proveniva da una famiglia ebraica, che si era trasferita in Germania dalla Russia. Fromm osservò il preoccupante fenomeno rappresentato dalle migliaia di soldati tedeschi che si ammalavano di malattie veneree, in seguito ai rapporti sessuali consumati nelle retrovie dei fronti. E così si mise a produrre il popolare oggetto di gomma come strumento di protezione nei contatti sessuali occasionali. Iniziò a produrre preservativi in grande quantità nel 1916, per le necessità dei soldati tedeschi, guadagnando molto denaro. La produzione proseguì a pieno ritmo nel periodo della Repubblica di Weimar (da Wikipedia). 4) Intervista di Area a Massimiliano Fuksas Sulla Biennale di architettura di Venezia - Roma, 11 Marzo 1999, Studio Fuksas
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