Necessità ed utilità del digiuno
28 Febbraio 2008
Non è forse fuori luogo in piena Quaresima volgere lo sguardo ad una pratica ascetica molto spesso dimenticata ed obliata.
Il digiuno tuttavia non è soltanto utile spiritualmente.
Numerosi sono i riscontri dei benefici apportati anche al corpo.
Leggiamo su internet: «Per digiuno si intende un periodo di alcuni giorni nei quali ci si alimenta delle proprie riserve nutritive, bevendo al contempo almeno 3 litri di acqua oligominerale al giorno. Tali riserve sono impropriamente chiamate ‘grasso’ o ‘adipe’, ma questo non è esatto: infatti le riserve nutritive di un individuo vanno ben oltre il grasso stesso, comprendendo sali minerali, vitamine, proteine e zuccheri. Ad esempio, in ognuno di noi esistono riserve di vitamine del gruppo B che coprono il fabbisogno di svariati mesi. Pertanto risulta chiaro, da quanto è stato appena detto, che chi si sottopone ad un digiuno, in realtà, non è realmente a digiuno, ma sta semplicemente nutrendosi di cibo precedentemente accumulato e che non è stato in grado di smaltire a tempo debito. In altri termini, durante il digiuno ci si alimenta con sostanze nutritive endogene, cioè interne al nostro organismo, invece di utilizzare cibo esogeno, cioè proveniente dall’esterno. Inoltre, l’attenta lettura della fisiologia del digiuno dimostrerà che l’organismo umano ha una capacità ‘innata’ di adattarsi a questa condizione, anzi il digiuno costituisce per l’organismo un potentissimo alleato per guarire» (1).
Pratica ascetica della quale scientificamente si sono avuti ottimi riscontri anche terapeutici, specialmente in casi relativi alle seguenti malattie: «allergie; dermatiti; asma; insonnia; cefalea; artrite ed artrosi; diabete; ipertensione; ipercolesterolemia; ipertrigliceridemia; ansia e stress; problemi dell’apparato gastrointestinale (gastrite, colon spastico)». (2)
L’intuizione della necessità del digiuno e dei suoi effetti catartici è, si può affermare, indubbiamente universale, tanto da essere ascrivibile (ad avviso di chi scrive) ad un precetto di diritto naturale;
non esiste cultura o credenza religiosa che sia estranea all’argomento.
Nel cristianesimo l’origine è nei Santi Vangeli e nell’insegnamento di Cristo stesso.
La Tradizione apostolica duplica la prescrizione riportandola nella Didachè; essa, rinvenuta nel 1870 in un manoscritto gerosolimitano «rappresenta la sintesi dell’insegnamento di Nostro Signore alle genti, per mezzo dei dodici Apostoli. Si può ritenere un riassunto delle massime morali più importanti ad uso dei catecumeni sin dal primo secolo dopo Cristo. Fu scritta probabilmente tra il 70 e il 90 dopo Cristo in Oriente (in Siria, Palestina o Egitto), l’autore è sconosciuto, né si può attribuire agli Apostoli, ma è da tutti riconosciuto che riflette mirabilmente la predicazione di Gesù e degli Apostoli stessi. Essa fu scritta quando erano ancora viventi persone che avevano ascoltato Gesù Cristo stesso» (3).
E’ possibile infatti leggere nel capitolo ottavo di questo documento: «I vostri digiuni non coincidano con quelli degli ipocriti che digiunano nel secondo e nel quinto giorno della settimana, ma voi digiunate nel quarto e nel sesto», il riferimento è al costume giudaico; il quarto giorno della settimana è il mercoledì, il sesto, il venerdì.
I giorni non sono scelti a caso, ma hanno precisi riferimenti alla Passione di Gesù: il quarto giorno si commemora infatti il tradimento di Giuda, che, recatosi presso il Sinedrio, negozia le 30 monete; il sesto è il giorno della passione e morte del Salvatore.
La Chiesa, da sempre, raccomanda tale pratica ascetica, soprattutto in concomitanza con i cosiddetti «tempi forti» della Liturgia; il digiuno (comprensivo concettualmente anche dell’astinenza), insieme alla preghiera ed alla elemosina, rappresenta indubbiamente uno dei mezzi privilegiati di cui il credente si avvale, con la grazia di Dio, per uccidere l’uomo vecchio e rinascere a vita nuova.
E’ Gesù stesso ad indicare tempi e fini.
Il digiuno è obbligatorio (benché la Chiesa, madre e maestra, lo abbia oramai circoscritto a soli due giorni l’anno, il mercoledì delle ceneri e venerdì santo, non si può escludere per questo la bontà e l’opportunità di un ricorso ad esso frequente) sull’esempio di Cristo, che, per 40 giorni e 40 notti,
si astenne da cibo; vincola nei momenti in cui lo Sposo è sottratto agli invitati.
«Gesù disse loro: ‘Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. (Marco 2, 19-20)».
Il riferimento di Cristo è proprio alla sua sofferenza e detenzione; potremmo affermare che il digiuno, in certo senso, ci pone in perfetta sintonia con il mistero di amore e dolore di Gesù.
Ma ancor di più.
Leggiamo nel santo Vangelo: «Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno» (Matteo 17,21).
Esiste quindi un legame strettissimo tra vittoria del bene sul male da parte dell’uomo e l’ascesi quotidiana.
San Paolo afferma di trattare duramente il proprio corpo, pur ammonendo di non sottostare ad inutili pratiche ascetiche di alcun valore, ricorda il bisogno estremo di vincere la carne - ossia la concupiscenza che porta al peccato ed alla corruzione - e di predisporsi così alla vita nuova.
Il digiuno - consistendo essenzialmente in mangiare meno di quanto necessario (ognuno veda - salvo le norme sull’astinenza - il modo migliore di praticarlo) può essere di natura meramente quantitativa (come è in uso specialmente in Occidente) oppure di carattere qualitativo (come consueto in Oriente); in questo secondo caso si mangeranno solo vegetali, astenendosi da carni di animali e pesce, da uova, formaggi e condimenti.
Chi scrive predilige la prima alternativa: questo perché (ma è solo una sorta di predisposizione personale) il senso di fame è più acuito e forte; e proprio avvertire il sentimento del limite aiuta a superare l’ordinaria pigrizia nella quale solitamente il corpo e la mente amano crogiolarsi: è un principio di inerzia che opera anche a livello spirituale.
Astenersi dal cibo aiuta a comprendere una dimensione della propria corporeità solitamente ignota; si percepisce l’urgenza e la sufficienza dell’essenziale; si assapora la bellezza gratuita del poco; l’uomo che digiuna scopre che può vivere con meno di quanto creda e si rende anche conto di quanto superfluo (specialmente in questa società opulenta in cui viviamo) debba liberarsi.
La consapevolezza del superfluo è un esperienza illuminante, che a cascata investe la vita dello spirito.
Il cuore umano è abituato a vivere di complicazioni e di artifici utili alla sopravvivenza del suo inquilino più avido, il proprio «io».
Ciò che è superfluo è ciò che avanza rispetto al bisogno; nella vita dello spirito è il muro di difesa, di giustificazioni consce o inconsce che l’«ego personale» erige intorno a sé per evitare di essere scoperto e vinto definitivamente dallo Spirito di Cristo.
In questa ottica si comprende quanto disse Gesù sul ciglio del pozzo di Samaria: «Intanto i discepoli lo pregavano: ‘Rabbì, mangia’. Ma egli rispose: ‘Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete’.
E i discepoli si domandavano l’un l’altro: ‘Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?’. Gesù disse loro: ‘Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera’ » (Giovanni 4, 31-34).
La volontà di Dio aderita perfettamente alla volontà umana di Gesù, diviene vitale, fonte di esistenza ed energia.
L’uomo che digiuna si mette in sintonia con l’anima di Cristo, impara a comprendere qualcosa
di questa perfetta assonanza esistenziale tra la sua natura umana e la sua natura divina, cercando
di entrare nella dimensione dell’unica realtà ontologicamente necessaria: Dio stesso.
Il digiuno aiuta a dominare la carne: esiste uno stretto rapporto intercorre tra il dominio di sé,
del proprio appetito e quello dell’astinenza dal peccato della carne.
Chi impara a soffrire la fame e a superare il limite di tale bisogno è certamente più in grado di superare, con la grazia, la tentazione dell’impurità.
Il concetto di digiuno, malgrado sia suscettibile di estensioni analogiche, riguardanti ogni forma
di astinenza dal superfluo o anche del necessario, resta comunque imprescindibile modalità
di vivere che deve appartenere all’uomo di fede.
Chi non sa digiunare, difficilmente riesce a sacrificarsi in altro; tuttavia sempre valido resta il monito della Sacra Scrittura, al fine di disilludere chi pensi di salvarsi solo con esso: «Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio» (Matteo 9,13).
Stefano Maria Chiari
1) Da www.digiuno.it/articolo.php?id=2
2) Ivi.
3) Da www.garganonline.net/Didache.html
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