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Povero Grillo...
01 Marzo 2013
«Caro @beppe_grillo dai la fiducia a Bersani per cambiare l’Italia. #GrilloDammiFiducia» L’ultima volta che ho controllato, questo appello su Change.org («piattaforma di petizioni», si definisce) aveva raccolto 132.798 firme; una bella campagna di pressione sul leader. Certo la macchina PCI è ancora potente, in cose come queste. L’appello è firmato da un nome che sa di falso lontano un miglio – Viola Tesi, Firenze, Italy. Il testo è praticamente un volantino della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) in neo-versione «faccia pulita»:
«Mi chiamo Viola, ho 24 anni. Ho votato, e l’ho fatto con molta speranza, il M5S. Sono tra quei milioni di giovani che credono in una rivoluzione gentile: in un Paese solidale, più pulito e giusto, capace di tutelare i cittadini, il loro lavoro, l’ambiente in cui vivono».
Insomma, «Viola» suona di nuovo tutti i tromboncini della propaganda bersaniana, il Pesce in Barile. Ed hanno mobilitato tutti i reggicoda disponibili: Dario Fo (il Nobeldeché), la Gruber, Santoro, tutti a esortare il caro Beppe ad essere ragionevole, fare il governo con Bersani. Però è vero che tantissimi votanti e militanti del M5S premono per l’alleanza: vengono da quel mondo lì, sono girotondini, arcobaleni, arancioni, popolo viola. Vogliono che si voti su internet, pretendono che la linea venga fuori dalla «democrazia del web». Povero Grillo, in fondo lo capisco. Ecco il risultato della iper-democrazia totale che lui ha suscitato: ora si trova con tre milioni di generali a imporre la strategia di pancia, e nessuno che obbedisce. Il web è il luogo delle nullità che credono d’aver diritto a un’opinione, il luogo della insubordinazione corpuscolare di tifoserie minimali. Con questi militanti che gli urlano nelle orecchie senza ascoltare, a Grillo è impossibile delineare una tattica. La sua tattica è (era) semplice e chiara, l’ha anche dichiarata: non vuole governare «con» Bersani. Punta a farlo dimettere, come è giusto, perché ha perso le elezioni di cui il PD aveva la vittoria in tasca. Mi pare un disegno piuttosto intelligente: come dice il mio amico Rebuffo, il prossimo governo dovrà gestire la bancarotta d’Italia, ed è bene che ci sia M5S a distribuire il peso della bancarotta sulle varie spalle. Di Monti-Berlusconi-Bersani non c’è da fidarsi: quelli hanno approvato l’Imu e ne hanno dato il gettito a Montepaschi, quelli sono la causa dell’iniquità odiosa per cui in questo paese ci sono pensionati a 300 euro, e pensionati a 30 mila euro mensili (Giuliano Amato); un Paese dove il capo della persecuzione fiscale, Attilio Befera, guadagna oltre il triplo del cancelliere tedesco (Merkel prende 200 mila euro annui). E Berlusca pensa ormai solo a salvarsi, vuol fare il presidente del senato per avere l’immunità, è disposto a qualunque governissimo. Una rovina. Quelli, fanno pagare la bancarotta a noi, e non ai banchieri loro padroni. Dunque, credo, Grillo deve fare l’accordo col Pci. Ma con Bersani come presidente del consiglio, no. Pensate se riesce a provocare una crisi nell’apparato Pci, che dia a Renzi il posto oggi di Pesce in Barile. Pensate ad un PD con Renzi che tratta con i neo-eletti del Movimento 5 Stelle, come cambierebbe le cose. Ma no, niente: «Andiamo con Bersani! Garantiamo la governabilità! Votiamo in rete!», gridano i militanti di base grillini. E poi si stupiscono che la sinistra non vince mai: gli attivisti, arancioni, girotondini, no-tav, arcobaleni hanno questo modo speciale di essere cretini. Povero Beppe, prigioniero della purezza ideologica e della moralità arcobaleno, ed anche di se stesso. Temo che sia per questo che il suo blogger preferito, Messora, ha proposto la «prorogatio» senza fine di Monti al governo e di Napolitano al Quirinale. I grillini non si possono sporcare le mani a votare la fiducia: dunque «lasciamo Monti e i tecnici tranquilli a palazzo Chigi, che tanto non sporcano, non danno fastidio, e il Parlamento approvi le leggi che il M5S voterà à la carte».
Ah, i «tecnici» con Monti non sporcano? Non danno fastidio? Significa affidare la gestione della bancarotta, e la divisione dei pesi, a Monti ossia a Goldman Sachs. Significa lasciare alla greppia tutti i caporioni della spartizione e della corruzione e del disastro amministrativo di cui volevamo liberarci. E per quanto? Repubblica (ovviamente è pro: il padrone è De Benedetti) fa l’esempio del Belgio, che è rimasto senza governo per due anni. O meglio con il governo precedente. Due anni con Monti e Napolitano, e il parlamento che vota i loro decreti. Grillo sembra disposto a mettere il piede nella tagliola dei volponi: «Napolitano, il mio presidente». (Ora spunta l'ipotesi congelamento: prorogare gli inquilini di Colle e Palazzo Chigi)
Povero Beppe, adieu.
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