I “peccati occulti”
Il Salmo 19 al verso 13 recita: “Signore mondami dai miei peccati occulti”.
Per definizione il peccato deve essere accompagnato dalla avvertenza dell’intelligenza e dal consenso della volontà. Come spiegare, quindi, la frase del Salmo sui “peccati occulti”?
Essi non possono essere privi di ogni avvertenza dell’intelletto, altrimenti non sarebbero peccati, ma sono più o meno nascosti a causa del nostro amor proprio, che ci porta a non voler vedere chiaramente i difetti che albergano nel nostro animo, a dissimularli e a scusarli.
Normalmente, dopo il Peccato Originale, le tre Concupiscenze o cattive inclinazioni, che si trovano nell’anima di ogni uomo, tendono a macchiare anche le migliori azioni.
Il Peccato Originale non ha distrutto la natura umana, la nostra capacità di conoscere la realtà e di mantenere il libero arbitrio della volontà. Tuttavia le nostre facoltà sono ferite, per cui conosciamo la verità o la realtà con molta fatica e, pur essendo liberi, siamo fortemente inclinati al male, ma non siamo necessitati per cui possiamo sempre resistergli.
In ogni uomo vi è il fomite del peccato o la cattiva tendenza a fare il male; essa è triplice: orgoglio, sensualità e attaccamento alle cose di questa terra (avarizia). La più insidiosa e pericolosa di queste tre concupiscenze è l’orgoglio, poiché ci si può inorgoglire anche del bene che si fa, mentre di fronte al peccato di sensualità o di avarizia è difficile inorgoglirsi e ci si pente più facilmente.
Infatti il peccato carnale è evidentemente malvagio, mentre quello spirituale può camuffarsi sotto apparenza di bene o di falsa virtù apparente. Per esempio posso inorgoglirmi di pregare, di far la comunione, di assistere sempre alla Messa e quindi posso guastare queste opere che in sé sono buone, ma che la mia cattiva volontà o amor proprio rende deficienti. Questi sono i “peccati occulti” ossia le azioni apparentemente buone, ma rese realmente cattive dalla nostra cattiva inclinazione, dal nostro egoismo o dall’io ferito dal peccato originale che impercettibilmente prende il posto di Dio: noi non agiamo per la gloria del Signore ma per la nostra, anche se ci è difficile ammetterlo e occultiamo anche a noi stessi questa verità scomoda e imbarazzante.
San Massimo il Confessore insegna che “spesso ci si inorgoglisce delle doti intellettuali, per esempio l’intelligenza, la memoria, il bel parlare e il bello scrivere” (Centurie sulla Carità, III, 84), poi, spiega San Giovanni Climaco, la situazione si aggrava e diventa molto più pericolosa perché a ciò fa seguito l’invaghirsi delle proprie qualità spirituali, come “il pregar molto, il predicar bene, l’essere virtuosi” (La scala, XXI, 31), questo è il “peccato occulto” per eccellenza. Ora la vanagloria o l’invaghirsi di qualità esteriori (ricchezze, bellezza, forza, simpatia) è un vizio evidente e grossolano di cui ci si accorge e ci si può correggere più facilmente (San Giovanni Cassiano, Conferenze, V, 11; San Gregorio Magno, Moralia, VIII, 43), mentre l’orgoglio o vanagloria intellettuale è già più sottile, perché si situa al livello puramente naturale. Normalmente una persona che si dà veramente alla vita spirituale si accorge di questo difetto. Il pericolo estremo o il vero “peccato occulto” è il gloriarsi delle proprie “virtù” apparenti, come se fossero nostre e non un dono gratuito di Dio.
San Giovanni Climaco insegna, perciò, che “il demone della vanagloria sente una gioia particolare quando vede moltiplicarsi le virtù in un’anima portata all’orgoglio spirituale, e che, come la formica aspetta che avvenga la raccolta e il grano sia maturo, così la vanità spirituale aspetta che tutte le nostre buone azioni siano ammassate” (La scala, XXI, 2-3).
Sant’Evagrio Pontico constata che “l’orgoglio spirituale arriva solo dopo la distruzione dei difetti più appariscenti” (Riflessioni, 57). E San Massimo il Confessore insegna: “se tu vinci le passioni più grossolane, fa attenzione alla vanagloria spirituale che subito ti assalirà” (Centurie sulla Carità, III, 59).
È per questo motivo che Gesù ci ordina di “rinnegare noi stessi” (Mt., XVI, 24) e di “morire a noi stessi” (Gv., XII, 24). Se non mortifichiamo noi stessi il nostro egoismo, le nostre azione, anche quelle apparentemente più buone, saranno guastate dal nostro amor proprio, della volontà propria, dalla fiducia presuntuosa ed esagerata in noi ed il giorno del Giudizio ci ritroveremo senza meriti soprannaturali, avendo agito per amor nostro e non per la gloria di Dio.
Santa Maria Maddalena de’ Pazzi diceva: “Il maggior traditore che abbiamo è l’amor proprio, il quale fa come Giuda, in baciarci ci tradisce” (Puccini, Vita, vol. II, Firenze, 1611, parte 6, cap. 1, p. 499).
San Tommaso d’Aquino insegna che “L’uomo veramente umile si stima inferiore agli altri, non per gli atti esteriori, ma perché teme di compiere per orgoglio nascosto persino il bene che fa” (S. Th., II-II, q. 161, a. 3).
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange insegna che uno dei maggiori ostacoli alla vita spirituale è l’orgoglio spirituale, per il quale “ci gloriamo della nostra perfezione e giudichiamo con molta severità gli altri. Nostro Signore trova necessario spogliarci dei beni sui quali avevamo concentrato la nostra affezione disordinata. Allora Gesù pensa Lui stesso a scavare nel nostro io malato e a una profondità tale che neppure noi sospettiamo” (Vita Spirituale, Roma, Città Nuova, 1965, p. 177).
“Quale triste eredità del peccato, la natura umana è fortemente inclinata verso il male. L’egoismo, soprattutto, che si radica nelle più segrete profondità del nostro essere, offusca la chiarezza dell’intelletto, impedendoci la visione retta e oggettiva delle cose, specialmente quando l’amor proprio è interessato a farcele vedere in un determinato modo” (A. Royo Marìn, Teologia della perfezione cristiana, Roma, Paoline, 1960, p. 502).
I rimedi
I migliori rimedi al “peccato occulto” sono 1) le notti dei sensi e dello spirito (S. Giovanni della Croce, Notte oscura; Santa Teresa d’Avila, Cammino della perfezione); 2) le umiliazioni (Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali) e le croci (San Luigi Grignion de Montfort, Lettera circolare agli amici della Croce); ed infine 3) la devozione alla Madonna (San Luigi de Montfort, Trattato della vera devozione alla Vergine Maria), che ci aiuta a sormontare le notti oscure, ad accettare le umiliazioni e a portare la nostra Croce.
1) Le notti oscure
L’ascetica[1] è costituita soprattutto dallo sforzo umano abituale, aiutato dalla Grazia attuale ordinaria di Dio, per vivere nella Grazia santificante, lottando contro il peccato mortale e facendo un’orazione mentale soprattutto discorsiva (prima via “purgativa” dei “principianti”); poi consiste nell’imitazione delle Virtù di Cristo e nel fare un’orazione mentale soprattutto affettiva (seconda via “illuminativa” dei “progredienti”) ed infine nella mistica (terza via “unitiva” dei “perfetti”)[2], in cui l’anima è simile ad una barca a vela, che è fatta correre (passività relativa) e non si rifiuta di correre (attività eroica) sulle onde spinta dal soffio impetuoso dello Spirito Santo; mentre nell’ascetica l’anima somiglia piuttosto alla barca a remi con cui si naviga sulle acque con l’aiuto della Grazia attuale ordinaria di Dio e colla cooperazione della forza delle braccia dei navigatori, che vivono le Virtù infuse in maniera umana o non ancora eroica. Perciò la vera mistica è caratterizzata da un’attività eroica o sovrumana nell’esercizio delle Virtù infuse da parte dell’uomo, il quale tuttavia è mosso soprattutto dallo Spirito santo, al quale non deve resistere o porre ostacoli di cattiva volontà. Invece il falso misticismo parla di passività totale anche nell’agire, il che porta al Quietismo, ossia al non “far assolutamente nulla”. Ma Gesù nel Vangelo ci ha detto: “Non chi dice ‘Padre Padre’ entrerà nel Regno di Dio, ma colui che fa la sua volontà”. Insomma “chi vuol far l’angelo, finisce per diventare una bestia”. Infatti “la Fede senza le buone opere è morta” (san Giacomo).
La mistica consiste nello sviluppo pieno e perfetto della grazia santificante, delle virtù infuse (specialmente quelle teologali: fede, speranza e carità) e dei doni dello Spirito Santo.
La notte dei sensi (o aridità spirituale) è una purificazione passiva dei sensi e dell’intelletto che acceca la sensibilità, il raziocinio e produce l’aridità, ossia sentirsi freddi spiritualmente, privi di ogni consolazione spirituale: essa purifica l’intelletto o la golosità spirituale.
La notte dello spirito (desolazione spirituale, sentirsi abbandonati da Dio, come riprovati e in stato di dannazione) segna il passaggio dalla mistica iniziale a quella compiuta e più esattamente dal fidanzamento al matrimonio spirituale. Essa purifica la volontà dall’orgoglio segreto e impercettibile che ancora vi alberga[3].
Secondo san Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila, anche quando facciamo un’opera che ci sembra buona (se la consideriamo bene) ci rendiamo conto che questa è piena d’imperfezioni, a motivo del disordine del nostro amor proprio e dell’attaccamento alle cose terrene. Quindi tutto l’impegno e il lavoro dell’anima nella purificazione attiva dei suoi vizi è insufficiente, perché ella non conosce pienamente i difetti di cui si deve correggere né giunge sino alla loro radice[4].
Per eliminare dalle più recondite pieghe del nostro spirito l’egoismo, l’amor proprio, la ricerca di sé persino nella pietà, l’orgoglio intellettuale e spirituale e giungere al puro amore di Dio non mescolato a quello del nostro “io” corrotto dal peccato originale è necessaria la purificazione passiva dei sensi e dello spirito, che San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila[5] chiamano “notti dei sensi e dello spirito”, che vengono a purgare la nostra anima per opera specialmente dello Spirito Santo e che Maria Santissima addolcisce e rende più facili da sopportare.
2) Le Croci e le umiliazioni
San Luigi Maria Grignion de Montfort scrive che “Chi non ha lo spirito di Gesù Cristo, che è lo spirito della Croce, non appartiene a Cristo (Rom., VIII, 9)” (Lettera Circolare agli amici della Croce, in Opere, Roma, Centro Mariano Monfortano, 1977, p. 219).
Inoltre: «Dio permette che i suoi più grandi Santi cadano in qualcuna delle colpe più umilianti, sia per abbassarli di fronte a se stessi e agli altri, sia per distogliere il loro sguardo e il loro pensiero da un ripiegamento vanitoso sulle grazie che Egli loro concede e sul bene che fanno, “perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1 Cor., I, 29). […]. Appena il nostro spirito, si sofferma con occhio di compiacenza su qualche dono di Dio, subito questo dono, quest’azione, questa grazia si macchia e si rovina, e Dio ne distoglie lo sguardo. […]. A quante umiliazioni e croci Dio ci manda allora incontro! In quante colpe ci lascia cadere»donna ci lii libera dai o (Lettera Circolare agli amici della Croce, in Opere, Roma, Centro Mariano Monfortano, 1977, pp. 242-243).
S. Agostino dice che “Dio sopporta meglio le azioni cattive accompagnate dall’umiltà, che non le opere buone infettate dall’orgoglio”. S. Gregorio Nisseno aggiunge: “Un carro di buone opere, ma tirato dalla superbia, conduce all’inferno, mentre un carro di peccati, ma condotto dall’umiltà, arriva in Paradiso”.
In breve la via per giungere all’umiltà sono le umiliazioni e non c’è umiliazione più grande che quella di vedere le nostre miserie e di toccarle con mano.
Sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali ci insegna che per unirci a Cristo dobbiamo imitarlo a “patire ogni ingiuria, ogni disprezzo” (La Regalità di Cristo e la sua chiamata, n. 98). Inoltre Gesù ci chiama “al desiderio degli obbrobri e dei disprezzi, perché da queste due cose nasce la vera umiltà” (I due stendardi, n. 146). Infine ci ammonisce che per amare, imitare e rassomigliare veramente a Gesù Cristo dobbiamo “scegliere gli obbrobri con Cristo coperto di essi piuttosto che onori, e preferire essere stimati da niente e stolti per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che savio e prudente agli occhi del mondo” (I tre gradi di umiltà, n. 167).
3) La vera devozione alla Madonna
Perciò tra tutte le devozioni bisogna scegliere quella che meglio ci aiuta a scoprire e vincere i nostri “peccati occulti” (sormontando le notti oscure, portando la nostra croce, accettando le umiliazioni) e questa è la devozione alla Madonna[6].
San Luigi Maria Grignion de Montfort spiega con un semplice esempio che “Quando si versa dell’acqua pura e limpida in un vaso che sa di cattivo, o del vino in una botte guasta, l’acqua limpida e il buon vino prendono facilmente cattivo odore. Lo stesso avviene quando Dio mette le sue grazie e rugiade celesti nel vaso dell’anima nostra, guastata dal peccato originale e attuale: i suoi doni ordinariamente si corrompono a causa del cattivo lievito e del fondo cattivo lasciati in noi dal peccato, e le nostre azioni, non escluse quelle ispirate dalle virtù più sublimi, ne risentono” (Trattato della vera devozione a Maria Santissima, parte II, cap. I, § 3, n. 78, in Opere, Roma, Centro Mariano Monfortano, 1977, p. 312).
Di qui la necessità della vera devozione a Maria per vuotarci del cattivo fondo che rimane in noi. Infatti da noi stessi non vi riusciremmo mai, sia perché nessuno è buon giudice di se stesso e cercheremmo di coprire o di non mettere a fuoco le nostre cattive inclinazioni, sia perché non abbiamo da soli la forza necessaria per estirparle totalmente, abbiamo bisogno della grazia di Dio, che è distribuita da Maria “Mediatrice universale di ogni grazia”.
Per cui in primo luogo dobbiamo conoscere bene, con la luce dello Spirito Santo e il buon consiglio di Maria, le nostre cattive inclinazione e soprattutto quelle più nascoste ai nostri occhi carnali.
Poi con l’aiuto dello Spirito Paraclito e di Maria possiamo avere la forza per combatterle e sradicarle del nostro animo. Non a caso uno dei sette Doni dello Spirito Santo è quello del Consiglio e una delle litanie della Madonna la invoca quale “Mater Boni Consilii”.
La devozione o schiavitù mariana è definita da San Luigi de Montfort “un segreto nell’ordine della grazia per fare in poco tempo, con dolcezza e facilità operazioni soprannaturali, come lo spogliarsi di sé, il riempirsi di Dio e il divenire santi” (Ibidem, parte II, cap. I, par. 3, n. 82, p. 315).
La devozione alla Madonna è necessaria anche a causa della nostra condizione di natura ferita, la quale è talmente inclinata al male che se ci appoggiassimo alle sole nostre capacità le nostre azioni rischierebbero fortemente di essere macchiate dall’amor proprio.
San Luigi de Monfort scrive: “Quanti cedri del Libano e stelle del firmamento si son visti cadere miseramente e perdere in pochissimo tempo tutta la loro altezza e il loro splendore! Da che dipende questo strano cambiamento? Non certo da mancanza di grazia divina, ma da mancanza di umiltà. Si credevano, [occultamente e impercettibilmente, ndr], più forti e più abili di quanto non fossero. […]. Così per questo loro appoggio sulle loro forze, anche se pareva loro di contare soltanto sulla grazia di Dio, il Signore ha permesso che siano stati derubati e abbandonati a se stessi” (Ibidem, parte II, cap. I, par. 5, n. 87, pp. 319-320).
È chiarissimamente espresso qui il concetto di “peccato occulto”, ossia ci si appoggia su di sé, per un certo impercettibile e inconfessabile amor proprio, egoismo e orgoglio spirituale, non esplicitamente ma occultamente, sembra che si conti solo su Dio invece si segue il proprio “io” ed allora si va incontro alla rovina illudendosi di avanzare sulla via della santità, che è puramente esteriore e per nulla affatto reale e interiore.
Il rimedio proposto dal Santo de Montfort è quello di affidare a Maria Santissima il tesoro della grazia divina, che portiamo in vasi fragili (2 Cor., IV, 7), affinché ce lo custodisca e ci difenda dal nostro peggior nemico, che non è il mondo e neppure il demonio, ma il nostro “io” nel quale vive “quel certo spirito di proprietà che si insinua impercettibilmente anche nelle migliori azioni” (Ib., parte III, cap. II, par. 1, n. 137, p. 349) e che biblicamente si chiama “peccato occulto” (Sal., XIX, 13).
La Madonna è colei che “purifica le anime da ogni macchia di amor proprio e dall’impercettibile attaccamento alla creatura che si insinua insensibilmente anche nelle migliori azioni” (Ib., parte III, cap. II, par. 3, n. 145, p. 355).
Infatti “Gesù esamina il dono che gli facciamo e spesso lo respinge per le macchie di amor proprio di cui è contaminato” (Ib., parte III, cap. II, par. 3, n. 149, p. 356).
“Con la luce che lo Spirito Santo ci darà per mezzo di Maria conosceremo il nostro fondo cattivo, la nostra corruzione ed incapacità di ogni bene soprannaturale […]. In seguito ci disprezzeremo come una lumaca che tutto insudicia con la sua bava […]. Insomma la Vergine Maria ci renderà partecipi della sua umiltà profonda, per cui ci disprezzeremo, non disprezzeremo nessuno ed ameremo di essere disprezzati” (Ib., parte III, cap. IV, par. I, n. 213, pp. 399-400).
Conclusione
Raccomandiamoci a Maria con la bella preghiera che ha scritto San Luigi de Montfort: «Tenete, mia cara Madre, tutto ciò che ho fatto di bene con l’aiuto della grazia di vostro Figlio; io non sono capace di mantenerlo a causa della mia debolezza e della mia incostanza. Purtroppo si vedono tutti i giorni i cedri del Libano cadere nella polvere e le aquile che s’innalzavano sino al sole diventare uccelli notturni; “mille giusti cadono alla mia sinistra e diecimila alla mia destra”[7]. Perciò mia potentissima Regina, mantenete e custodite tutto il mio bene perché ho paura che me lo rubino, sorreggetemi perché ho timore di cadere; io vi do tutto ciò che ho. “Depositum custodi”[8]. “Scio cui credidi”[9]. So bene chi siete ed è per questo che mi raccomando e consacro totalmente a voi; voi siete fedele a Dio e agli uomini e voi non permetterete che perisca nulla di ciò che io vi confido; voi siete potente e nessuno può nuocervi né tanto meno rapire ciò che avete tra le vostre mani» (Il segreto di Maria, parte II, cap. 3, par. 5, n. 40, in Opere - Il testo di San Luigi è presente nello shop EFFEDIEFFE -, Roma, Centro Mariano Monfortano, 1977, p. 460).
d. Curio Nitoglia
Fonte > http://doncurzionitoglia.net/2013/04/21/347/
[1] A. Stolz, L’ascesi cristiana, Brescia, Morcelliana, 1943; Adolfo Tanquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica, tr. it., Desclée, Roma, 1928.
[2] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 24, a. 9.
[3] Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, Vivere in, Monopoli (BA), 1998, 4 volumi.
[4] Cr. San Giovanni della Croce, Notte oscura, Lib. 1, cap. 1; Id., Notte oscura, Lib., II, cap. 5, n. 5; San Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 87, a. 1 e 6.
[5] Santa Teresa d’Avila, Cammino della perfezione, XXI, 7-8; Id., Vita, XIX, 2; Id., Castello, mansione settima, cap. II, n. 4.
[6] San Luigi Grignion de Montfort, riprendendo l’insegnamento comune dei Padri e Dottori ecclesiastici, spiega che la devozione alla Madonna è necessaria per salvarsi l’anima poiché Dio l’ha scelta per incarnarsi nel suo seno e come Corredentrice e Dispensatrice universale di ogni grazia. “Come Gesù è venuto a noi attraverso Maria, così noi per andare a Lui dobbiamo passare per Maria. Ad Jesum per Mariam” (Trattato della vera devozione a Maria Santissima, introduzione, n. 1, p. 265). Nel presente articolo mi soffermo solo sulla necessità di ricorrere a Maria per vincere i nostri “peccati occulti”, che sono i più pericolosi proprio perché nascosti o non pienamente riconosciuti.
[8] 1 Tim., VI, 20.
[9] 2 Tim., I, 12.