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Le vittorie segrete
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Mikhail Gorbaciov ha pregato nella basilica inferiore di Assisi.
Per mezz’ora.
Non riconosciuto da nessuno, fino a quando un frate lituano ha notato quest’anziano signore che pregava - dice - con silenziosa intensità.
Gorbaciov era con sua figlia, ed ha confidato che, da ateo, si è avvicinato alla fede attraverso la spiritualità francescana.
San Francesco, ha detto, «ha un ruolo fondamentale nella mia esistenza».
E l’ha chiamato «Alter Christus»: il che, credo, è teologicamente esattissimo, se le stigmate sono il segno dato ai pochi che seguono Cristo totalmente, sulla croce, a intercedere per gli immeritevoli (1).

Persino ora che la fede pare un lumicino spento, e la Chiesa una casa lasciata deserta, invece, la grazia avanza.
Conquista.
Continua le sue vittorie segrete su anime che nessuno pensava potessero essere toccate.

Ne scrivo perché ho appreso da Vittorio Messori (sul Timone) che Odifreddi, il ben reclamizzato ateista pubblico, è un ex seminarista.
La famiglia, credente, lo ha chiamato Piergiorgio in onore del beato Frassati.
Precoce vocazione religiosa, il seminario, poi ne è uscito e «come capita a molti ex, il bisogno di vendicarsi del proprio passato, di rimuovere il senso di colpa», scrive Messori.
Dietro il «razionalismo» odifreddiano c’è dunque una motivazione sub-razionale, psicanalitica, una coscienza falsa.

L’ho scoperto con una lieve gioia maligna, avendo visto l’ex seminarista in una orribile (come al solito) «Porta a Porta» di Vespa.
Si parlava di Padre Pio, o meglio lo si gettava in piazza senza discrezione né ritegno.
Odifreddi non era nemmeno più orribile di Vespa e della Pivetti, in questo esercizio di vilipendio di un eroe, di un «alter Christus».
Odifreddi ha tuttavia fatto la sua parte.

Ha detto che Madre Teresa era «atea come me», per via della notte oscura di lei.
Anzi, ha detto che anche Cristo era «ateo», perché sulla croce gridò «Padre, perché mi hai abbandonato?».
A tanta rozzezza si può dunque arrivare, a tanta mancanza di esprit de finesse, e insomma di cultura, in nome della razionalità. In un ex-seminarista, quella rozzezza è pura malafede.

Ma più che la rozzezza [il vecchissimo Andreotti ha ricordato come in un viaggio aereo da Roma a Delhi, avesse visto Madre Teresa, la supposta atea, pregare tutto il tempo; e i funzionari dell’aeroporto indiano che le baciavano i piedi], colpiva la «posa».
Odifreddi «recita» la parte dell’ateo sereno e condiscendente.
I suoi spropositi sono compiaciuti, pensati per provocare; è la parte che si è data, e le vendite dei suoi rozzi libri gli danno ragione.
E’ un «personaggio» grazie al suo ateismo pubblicizzato, lo invita l’orrido Vespa…

M’è venuto da pensare: ecco per quali piccoli guadagni uno si vende l’anima, per quali denari, per quali gratificazioni temporanee.
Ma ora che hanno visto Gorbaciov, cresciuto negli Organi Amministrativi del PCUS, l’ateo davvero, pregare sulla tomba di San Francesco, mi devo chiedere che cosa faccio - che cosa facciamo, noi che ci crediamo - per collaborare alle vittorie segrete della grazia. Dovremmo pregare per Odifreddi.
Ci irrita: appunto per questo dovremmo pregare per la sua anima, che mette in pericolo per quei trenta denari. Cristo ama quel pirla autocompiaciuto, e vuole salvare anche lui.
Sarà la nostra vendetta.
Segreta.

D’associazione in associazione di idee, m’è venuto in mente Ariel Sharon.
Il boia dei palestinesi, il generale feroce, è in coma dall’aprile del 2006.
Due anni.
L’uomo che ebbe tanto potere è da due anni una flaccida carne incosciente, bucata da flebo e respiratori, lacerata da piaghe da decubito.
Sarà probabilmente irriconoscibile, farà orrore, un corpo marcescente e irrecuperabile.
Lui che comandava carri armati e caccia, ora è pienamente impotente.
Non può muovere un dito, è dipendente: infermieri gli lavano le feci, le cannule e gli aghi lo nutrono.

«A che serve conquistare il mondo, se poi perdi l’anima tua?».
Chi lo sa che cosa è la vita nel coma.
Si può pensare che Sharon (ex-Scheinermann) sia già nell’inferno che ha meritato; che pene inenarrabili lo raggiungano già nella carne.
Che non essere lasciato morire, in quelle condizioni di decomposizione, sia peggio della morte.
Non si creda che sia incosciente: il cervello, da due anni inondato di sangue rappreso dell’emorragia cerebrale, ma il centro dell’uomo non è nel cervello - solo uno strumento - ma in quello che tutte le tradizioni chiamano «il cuore».
E’ lì, credo, che si può ancora soffrire, nel più profondo sé.
Come in un incubo senza risveglio.

Ma da lì un altro pensiero: no, non è ancora inferno.
Finchè c’è vita - e Sharon è ancora in vita nonostante tutto - è tempo di espiazione.
Le sofferenze più crudeli, nella vita, nella zona dove il tempo passa, «servono».
Chissà, forse Cristo preme la mano su quel petto scarnito dell’omicida, lo inchioda al letto e guarda la macchina del cardiogramma perché non sfugga nella morte, non lo lascia partire, per un motivo.
Forse sta gridando: «C’è nessuno che prega per quest’uomo?».
Nessuno che chieda perdono per lui, fra gli uomini?

Non credo che preghino per lui i suoi familiari.
Non credo i rabbini né in generale gli ebrei: in una religione tutta puntata sull’aldiquà non c’è questo genere di preghiere, se ce n’è poi una.
Bisogna che preghi, per quel rudere, qualcun altro.
Magari uno che lui ha perseguitato, a cui ha ucciso i figli.
Lo so, non lo merita.
E’ ovvio.
Ma «noi», meritiamo la misericordia di Dio?

Io personalmente non la merito.
Adulteri, impurità, viltà, omissioni, omicidi, so quel che dico.
La mia speranza personale è di essere un parassita sulla schiena generosa di Padre Pio, che ha interceduto ed ha avuto risposta con le stigmate, che la sua preghiera per gli immeritevoli, per cui ha versato il sangue, sarà esaudita.

Fateci caso: da Fatima ci è stato detto di pregare «per tutte le anime», specialmente per «le più bisognose della Tua misericordia».
Da qualche anno, anche «per il mondo intero».
Il mondo intero: quello che affonda nella sua rovinosa rozzezza ateista, nel suo nichilismo arrogante, nei suoi genocidi impuniti.
Il «nostro» mondo, l’Occidente: dopo milioni di aborti fatti per non farsi mancare i consumi e i piaceri, non merita se non quello che avrà, la rovina, la miseria.
Non più benessere, non più consumi; e nemmeno la capacità di chiedere perdono, di tornare in sé, di correggersi.

Abbiamo allevato figli orrendi, bulli che ci ammazzeranno per toglierci di bocca la razione alimentare: e ancora stiamo a credere a Odifreddi, a guardare la TV, ad aspettarci che le classi dirigenti saranno capaci di provvedere alla vita umana, quella che ha bisogno di mangiare ogni giorno.
No, questo mondo non merita altro che la sua fine.
Nell’aldiquà.

Eppure ci è stato detto di pregare per il mondo intero.
Vuol dire forse che quegli eroi che sono stati vilipesi una sera da Vespa, hanno colmato la misura della grazia?
Che hanno «colmato ciò che mancava alle sofferenze di Cristo», ed ora c’è grazia potenziale per tutti?
Che la Vittoria avanza, mentre i fondali del mondo crollano, la Chiesa è abbandonata, le vecchie scenografie vengono arrotolate, e le sicurezze cui ci appoggiavamo come garantite stanno mancandoci?
Chi lo sa.

Ma certo mi pare che la sola speranza sia quella, e che sia benvenuta: che San Francesco e padre Pio, e la lunga lista degli stigmatizzati fra loro due, abbiano «colmato la misura» anche per noi.
Forse ci si chiede solo di pregare, almeno.
Pregare per quelli che non lo meritano - che lo meritano ancor meno di noi.
Ci sono strade segrete, che ci chiamano a vincere dove tutto è perduto.
Chi crede - non siamo ancora tanto pochi - ha pure il Rosario, l’arma «per i più bisognosi della Tua misericordia».




1) La Stampa, 18 marzo, pagina 15.


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