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Il divino c’è
Maurizio Blondet
18 Maggio 2013
Nella Enciclica Haurietis Aquas, potente difesa della devozione al Sacro Cuore che Pio XII emanò nel 1955, spicca questo passo:
«...Il Mistero della Divina Redenzione è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano: “Cristo, soffrendo per carità ed ubbidienza, offrì a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese a Dio fatte dal genere umano”. Inoltre, il Mistero della Redenzione è un mistero di amore misericordioso dell’Augusta Trinità e del Redentore divino verso l’intera umanità, poiché questa, essendo del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti, Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti, che si acquistò con l’effusione del suo preziosissimo Sangue, poté ristabilire e perfezionare quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini, ch’era stato una prima volta violato nel Paradiso terrestre per colpa di Adamo, e poi innumerevoli volte per le infedeltà del Popolo Eletto. Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: “Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo”».
Riporto questo passo non solo perché illustra la chiarezza limpidissima con cui si scrivevano le encicliche prima del Vaticano II, la viva fede e l’amore che animavano quel Papa indimenticato; anche perché una rilettura del saggio del Moncomble, «Il segreto del Mondialismo» (EFFEDIEFFE), mi ha riportato alla memoria la curiosa opera che un Jean Izoulet, professore al Collège de France, editò per i tipi della casa Albin Michel nel 1926. Intitolata «Parigi capitale delle religioni ovvero la missione di Israele», l’opera, con accesa euforia, delineava il programma del mondialismo sotto l’aspetto della unificazione delle religioni. Izoulet, israelita, chiaramente parte della élite che prepara l’avvento del governo unico, con un’unica moneta, una sola economia unificata, una sola Banca Centrale, persino con una sola lingua. Per qualche motivo, tanto era sicuro di sé, egli svela le speranze ultime, dell’utopia che promuove. «L’idea di una unificazione progressiva del mondo è un’idea in “marcia” – assevera Izoulet – ma generalmente essa è accoppiata ad un’altra idea: quella del pacifismo e del disarmo immediato e totale». Invece, egli vuol attrarre l’attenzione sulla necessità della religione per l’unificazione politica del mondo: «La religione è l’essenza primaria, o se si vuole (...) la quintessenza della politica. Senza un serio regime religioso e morale, se non c’è obbedienza interna alla legge morale, non può esserci un’obbedienza esterna alla legge legale”. Dunque il governo mondiale avrà una religione mondiale. La sola ammessa. Quale «C’è un’ultima, o se volete prima, religione, che non ha niente di regionale o di locale e che è presente dappertutto, un tipo di religione internazionale e intercontinentale, in una parola una religione planetaria. Questa certamente è quella mosaica di Israele». Il cristianesimo? «Non è altro che mosaismo che si è camuffato, secondo l’uso del mondo pagano e che è riuscito a conquistare – ad Israele – centinaia di milioni di anime. Oggi questo camuffamento svanisce e Mosé appare come il solo ed unico capo della religione fondamentale, l’unico capo della religione civile e scientifica, come unico capo, infine, della religione laica». Il concetto di «religione laica» può sembrare agli ingenui una contraddizione in termini; ma invece siamo al limitare del segreto «mistico» giudaico. Afferma Izoulet: «Non esiste che un solo problema sulla terra, e questo problema si chiama ISRAELE. Problema quindi a due facce, di cui la faccia interna è il laicismo (rapporto tra scienza e fede) e la faccia esterna è l’internazionalismo (rapporto tra patria e umanità). Laicismo ed internazionalismo non sono altro che le due facce del giudaismo». Dopo questa illuminante asserzione, Izoulet delinea il progetto di mondialismo religioso: bisogna, dice, «arrivare alla sana e santa secolarizzazione delle nostre Chiese di Occidente e di Oriente e, da qui, giungere alla sintesi delle religioni, cioè a dire alla religione mondiale, che fonderà l’Unità mistica e dunque anche politica del genere umano. Ed è alla razza che più è penetrata in profondità nel segreto delle leggi della creazione, che si è immersa fino al cuore dell’universo, è a questa razza e a questa religione, la più autenticamente e sostanzialmente divina, che apparterrà legittimamente l’egemonia spirituale (e temporale) dell’Umanità. (...) Se Israele aspira all’Imperium Mundi, questo è un diritto più che legittimo». Questo programma sembra oggi giunto nelle fasi finali. La secolarizzazione è compiuta, la giudaizzazione infetta la Chiesa, l’economia mondiale è già unificata di fatto dall’obbligo di abolizione dei dazi e di non impedire la «libera cvircolazione di merci, uomini e capitali». Omologazione della cultura al livello più basso. Pensiero unico. Massificazione. «Divieto di pensare» fuori del politicamente corretto. Che la fase sia terminale, lo dice un fatto preciso: cadono le maschere. Paesi interi sono governati direttamente da oligarchie che un tempo si tenevano dietro le quinte e governavano per interposti politici: Bilderberg, Trilateral, Goldman Sachs. Cade la finzione della «democrazia» e sempre più il regime mondiale si palesa diretto da piccoli gruppi oligarchici collegati, al disopra dei ludi delle votazioni. Non occorrendo più il consenso dei popoli, lo «stato del benessere» viene loro tolto; adesso è il tempo delle «austerità», della miseria permanente. Gran parte del genere umano, del resto, non serve più nel nuovo ordine mondiale. Sempre più spudoratamente, il capitalismo si rivela come l’enorme aspiratore della ricchezza reale, da quelli che la producono ai pochissimi che la controllano dalle loro banche d’affari. Presto l’eutanasia risolverà il problema: e saranno le vittime a chiederla come loro «diritto». A questo punto, diventano chiare e piane le apparenti contraddizioni della «religione globale» annunciata da Izoulet. Come fa a parlare di «religione» e dire che essa consiste in «laicismo»? E con che chutzpah esalta come «universale» il giudaismo, ossia la sola religione razziale, esclusivamente riservata a questa razza che Izoulet non si perita a chiamare «divina», e per la quale tutti gli altri uomini sono «animali parlanti»? Ma la religione ebraica è esattamente quello che dice Izoulet: materialismo e razionalismo radicale. Il «segreto delle leggi della creazione» a cui la sua razza divina è, secondo lui, penetrata, è semplicemente questo: non esiste aldilà. Non esiste il soprannaturale. La morte è la fine di tutto. E non c’è una giustizia superiore a cui appellarsi contro l’ingiustizia, la violenza e il sopruso che i deboli subiscono nell’aldiquà: l’ultima istanza, la suprema, è la forza, il potere. Ne consegue che il destino di ciascun uomo si gioca tutto e solo qui, e qui bisogna impadronirsi del «paradiso», ossia del potere, del piacere e del denaro, con qualunque mezzo e con qualunque inganno. Bisogna avere tutto, qui ed ora; perché poi viene la morte, il grande sonno. È l’ideologia per cui i farisei e il sinedrio rigettarono un Messia, il cui Regno «non è di questo mondo». Il loro deve essere di questo mondo, e insieme un regno totale, unico, eterno: è questa e solo questa la speranza messianica. È la stessa «dottrina segreta» che Adam Weishaupt rivelava agli adepti che decideva di far salire al grado supremo dei suoi Illuminati: non c’è nessun aldilà, nessun Dio, occorre rovesciare tutti i troni e gli altari. La stessa di Marx e dei marxisti, che il paradiso hanno voluto farlo qui, sulla terra. È la stessa dottrina segreta che Leo Strauss, il filosofo di Chicago ispiratore dei neoconservatori che ebbero il potere ai tempi dell’11 Settembre, insegnava ai suoi allievi più intimi. Egli stesso teorizzò in una delle sue opere che il vero pensatore scrive «esotericamente, ossia usando più strati di significato, nascosti dietro ironia e paradossi, riferimenti oscuri, e deliberate contraddizioni»: praticava la doppiezza che già raccomandava il suo vero nume filosofico, l’ebreo Maimonide, per attrarre il giusto genere di lettori. Solo a pochi selezionati rivelava la nuda, ultima verità di tutte le cose: «sono idonei al governo coloro che si rendono conto che non c’è moralità, e c’è un solo diritto naturale, il diritto del superiore a comandare all’inferiore». Questa è tutta la «religione laica ed universale» che Izoulet esalta come la vera e degna di dominare tutti i cuori nei tempi del governo mondiale ebraico. Su sfondo satanico e aberrante, è la stessa religione professata dagli Skull & Bones, dalle oligarchie di Bruxelles praticanti lo stupro infantile «esoterico» come prova iniziatica, e coprenti i loro delitti con la forza dei poteri di questo mondo. La lezione di Cristo è l’esatto contrario di questa. La Verità è quella limpidamente esposta ancora una volta dall’Enciclica di Pio XII il soprannaturale «è», ed è abitato da un Uomo che ha vinto la morte accettando la sconfitta, l’ingiusta condanna e la Croce. Tutte le potenze cospirative di questo mondo, appunto perché credono che tutto si gioca in questo mondo, sono state giocate da questo paradosso, da questo eroismo: «Chi perde la sua vita la troverà». Non c’è da stupirsi nemmeno per la giudaizzazione della Chiesa, infiltrata da massonerie e traditori; sarebbe strano il contrario nella fase finale della storia, dove l’Anticristo è scatenato. Tanto più teniamoci aggrappati alla fede: abbiamo un Redentore, con un Cuore di carne, ed ha già vinto. Egli è fra noi «fino alla fine del mondo»; possono toglierci questa vita, che è solo una breve prova, ma non l’altra promessa ed eterna. «Restate nel mio amore» è tutto quel che ci chiede. Noi, da soli, non possiamo fare nulla, è vero; ma possiamo chiedergli tutto. Non c’è nessuna altra religione il cui Dio esorti: «chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto». E nessun Dio mai ha chiesto di esser creduto, «se non per le mie parole, per le opere che faccio». La nostra è una religione dove i miracoli avvengono e innumerevoli santi li hanno ottenuti, dove le opere divine si manifestano non in un mondo della fantasia, bensì nell’aldiquà – l’aldiquà che gli sviati ebrei pensano sia abitato solo dalla nuda forza, dal sopruso e dall’inganno come ultima istanza. Noi possiamo sviarci, siamo a rischio di perderci, aver paura, disperare e non credere. Ma non c’è il minimo rischio d’essere abbandonati da Suo amore. Ha letteralmente ragione Paolo di Tarso, che ormai vicino alla prova del supplizio, ci lanciò questo grido di vittoria: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato tutto per noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? (...) Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi è resuscitato, sta alla destra del Padre e intercede per noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi stravinciamo in grazia di Colui che ci amò (...) Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo nostro Signore». La parola è proprio questa: stravincere. Il nostro Intercessore non ha solo vinto, ha stravinto; e con Lui il cristiano stravince: il male che accetta di qua, è la sua medicina per l’eterno mondo di là. Dove le forze del mondo, strapotenti, non gli lasciano più speranza, egli ne ha ancora una, la sola che conta. Le forze di questo mondo, nei tempi ultimi che sembrano tutti loro, hanno già perso. Anzi straperso; perché sono solo «di questo mondo», che passa e svanisce.
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