Il gran dilemma dell'ora presente riguarda
l'egemonia degli Stati Uniti nel mondo.
Corrisponde tale potente influenza nella vita internazionale ad un
valido modello di civiltà?
Rappresenta esso un fattore di continuità o di abbandono del
concetto d'ordine e di pace fondato su una verità vitale
per l'uomo, come fu intesa dagli albori della storia conosciuta?
Un fatto è certo: sotto il dominio di un potere alieno da
sani princìpi di civiltà, l'umanità intera
è esposta, a dispetto d'ogni parvenza di benessere, ad
un'inesorabile decadenza spirituale, che è anche causa di
un letale squilibrio vitale.
Ciò si può verificare nel rapporto col mezzo ambiente
che, riguardo gli USA, è senza dubbio squilibrato in
rapporto al resto del mondo.
Ma qui ci interessa il modo di pensare e ancora più, di
credere, all'origine delle tendenze americane.
Vediamo allora il rapporto ideale che deve sussistere tra
civiltà, pace e amore per la verità, tra il potere
materiale e una visione spirituale consolidata, quale è
quella cattolica.
Perché quando il corso democratico dello gnosticismo
ecumenista, estraneo alla verità e al diritto naturale,
avrà per braccio armato la nazione più potente della
storia, gli Stati Uniti d'America, dove impera l'idea massonica,
il mondo sarà privato di una vera civiltà, ovvero di
un potere umano capace di far rispettare il vero ordine, e
potrà solo degenerare.
S'intende per civiltà quell'ordine teso alla perfezione
del bene comune, non solo materiale, ma soprattutto spirituale,
morale ed intellettuale, da custodire osservando le leggi della
natura e delle norme positive ispirate alla giustizia, con lo scopo
precipuo di far crescere le coscienze dei popoli nella conoscenza
del vero, nella ricerca del bene e nel rispetto del bello.
Si può anche definire civiltà uno stato di vita per
cui la società è capace non solo di assicurare ai
suoi membri l'insieme di beni occorrenti al perfezionamento
temporale, ma di offrirli in dovizia secondo una giusta gerarchia,
in cui i beni onesti (intellettuali, morali e religiosi) hanno la
preminenza (Regis Jolivet, «Vocabolario di
Filosofia»).
Ecco il processo civilizzatore operato dall'ordine cristiano che,
pure di fronte alla povertà materiale genera il bene
sociale, e non l'inverso, come voleva Calvino, per il quale il
benessere materiale indicherebbe la predestinazione al bene e
perciò al vero.
Gli USA rappresentano l'apice di tale benessere, ma non sembra che
stiano costruendo una pace e una civiltà volta al vero,
tanto meno alla spiritualità umana; la ricerca della
sapienza non fa parte del prevalente modo di pensare americano.
Lo storico Arnold Toynbee, nella conclusione della sua introduzione
al libro «The Gods of Revolution», dello
storico Christopher Dawson, (Minerva Press, NY, 1975) sulla
Rivoluzione americana associata a quella francese, dice:
«L'estremo paradosso della Rivoluzione è che,
nell'atto di rimuovere l'impianto del cristianesimo tradizionale,
aprì la via per un ritorno all'idea atavica delle religioni
pre-cristiane, ossia l'adorazione del potere collettivo umano, che
fu la religione pagana dell'Impero Romano e delle
città-Stato Greche, incorporate dall'Impero Romano. Tale
adorazione del potere umano rappresenta il 99 % della religione di
circa 99 % della presente generazione dell'umanità.
Riusciremo a liberarcene? Ma dove ci porterà se rimarremo
schiavizzati da essa?»
Si osservi, però, che quando Toynbee parla di
religione del potere umano collettivo ovvero della
democrazia, preoccupato com'è della decadenza delle
civiltà, allude ad un potere virtuale che solo appare
collettivo perché la stragrande maggioranza pensa di
esercitarlo, ma che dietro il paravento della «sacra
volontà popolare» cela in realtà un altro
potere.
Se così non fosse, perché auspicare che ci si
dovrebbe ben liberare di tale schiavitù?
L'asserzione dello studioso implica, infatti, la realtà di
un centro di potere invisibile, di cui forse lui stesso fa parte in
segreto che, lasciando la maggioranza convinta di dominarlo, la
comanda.
Ma se Toynbee si accorge di questo dilemma, altri studiosi di
talento, come Karl Popper, affermarono che l'America è
«la migliore società mai apparsa nella
storia».
Domina dunque un inganno intellettuale aenza precedenti che inganna
gli stessi americani.
Vediamo un esempio che riguarda l'attuale democrazia americana.
Poiché è nella Costituzione di un Paese che sono
scritte le regole del potere del suo governo, c'è da
domandarsi quali siano oggi le basi della Costituzione americana,
cui il mondo dovrebbe rifarsi.
Non vi è dubbio che i padri fondatori degli Stati Uniti
hanno voluto scrivere una Costituzione secondo le loro convinzioni
cristiane: di soggezione a Dio e al Decalogo.
Era l'idea ferma di Washington, di Thomas Jefferson e di altri.
In tal modo, tra le Costituzioni repubblicane del mondo moderno,
soltanto quella degli USA ha messo per scritto che la
libertà del cittadino è soggetta alla Legge di Dio.
Quindi, anche se la Rivoluzione americana del 1776 aveva idee
simili a quella francese del 1789, la Costituzione che ne
derivò non era interamente illuminista né
volterriana, ma, per usare le parole di Herman Melville, il
patriota americano autore di «Moby Dick»:
«Fondamento di ogni progresso morale
dell'umanità», una costituzione soggetta al
«grande Iddio democratico», «centro
e circonferenza di ogni democrazia... della nostra divina
eguaglianza».
Accade, però, che: «Negli Stati Uniti d'oggi a
guidare il governo non è più questa costituzione
scritta.
Nel marzo del 1991 il presidente Bush (padre), a Camere riunite,
emanò la 'Joint House Resolution 104, Public Law 102-14',
con cui la data di nascita di rabbi Menachem Schneerson fu
dichiarata come 'giorno dell'istruzione' in USA. Nel preambolo
della nuova legge, viene detto: 'Il Congresso riconosce la
tradizione storica di valori etici e di principi che sono la base
della nostra società civile e su cui la nostra grande
nazione è fondata'. Nel testo, ci si aspetterebbe
l'evocazione della «tradizione storica» e dei
«valori etici» americani, enunciati da Jefferson, da
Washington e da Payne: libertà sotto Dio, uguaglianza,
democrazia, ma, ecco il seguito. «Questi princìpi e
valori etici sono stati la base della società fin dall'alba
della civiltà, quando essi furono conosciuti come le sette
leggi noachicche». «Il Congresso USA, perciò,
dal 1991 ha per riferimento, come base sociale, le leggi dei tempi
diluviani. In America non vige la Costituzione, ma le norme
talmudiche riservate a noi goym». (Maurizio Blondet,
«Chi comanda in America», EFFEDIEFFE, Milano, 2002)
Se il riferimento alla «tradizione storica»
e ai «valori etici» americani di
libertà e uguaglianza sotto Dio, enunciato da Washington e
da Jefferson, era cristiano, ora esso è
«sostituito», in nome della democrazia, da una norma
precedente a Cristo: le «sette leggi noachicche».
Ciò vuol dire che, in nome della democrazia, il potere
dominante oggi può rivedere, non la Costituzione, che non
è dogma, ma il «fondamento di ogni progresso morale
dell'umanità»: il principio di civiltà.
Esso può essere rivisto dai poteri presenti, nonostante
ciò implichi una «revisione indietro» riguardo
alla soggezione a Dio: dal perfezionamento della Legge in Cristo
alle leggi elementari del tempo pagano di Noè! Che senso
può avere questa «revisione»?
Per ritornare al pensiero di Toynbee, constatiamo quanto sia vicino
all'«adorazione del potere umano», che si manifesta
con la lettura del passato e del futuro secondo i poteri oggi
prevalenti.
Mettono avanti il nome di Dio, «in God we
trust», per poi decidere la «fede» con cui
fidarsi di Dio.
Come spiegare una tendenza così astrusa con parole semplici?
Per il pensiero cristiano, formato nella visione del Bene = Vero,
l'essere umano deve vivere come pensa e pensare come crede,
cioè secondo la Verità rivelatagli per procedere nel
bene ed evitare il male. Altrimenti cade nell'opposto: crede come
pensa e pensa come vive ovvero forma il proprio pensiero secondo le
tendenze economico-politiche e le mode.
E quanto è vero per le persone vale pure per il corpo
sociale.
Ma chi ha perso la visione cristiana si trova col dilemma: è
lo spirito che deve guidare il corpo o il contrario?
Dal momento che la vita del mondo si svolge in mezzo a violenze,
ingiustizie e corruzioni, la mentalità che si adegua
all'impero del corpo materiale finisce per seguire illusioni,
falsità ed errori che spingono a prendere per buone le
soluzioni di ideologie materialiste per erigere un allettante
«nuovo ordine». Finisce, in sostanza, per credere e
pensare secondo la tendenza di vita del mondo che è, come
chiariva Pio XI, «l'intemperanza delle passioni, che
così spesso si nascondono sotto le apparenze del bene
pubblico e dell'amor patrio».
Di questa ricorrente tentazione dei popoli oggi si fa portatrice la
potenza americana: pensare come si vive nel presente.
E tale modo di pensare diviene maestro di vita.
E' un problema grave che si può illustrare col gaio esempio
delle telenovele, aggiornate per seguire le preferenze del
pubblico; un «grande fratello», programmato per abolire
i personaggi meno apprezzati nei sondaggi di gradimento!
L'idea, proiettata nella vita reale, suscita la brama di mutare la
vita sociale in una «fiction» secondo l'idea che la
gente gradisce avere di sé.
E' lo strapotere dell' «io moderno», secondo il
consumismo «culturale»; è il paradosso
dell'uomo decaduto che si fa arbitro dell' ordine terreno,
negando che ci sia l'ordine originale, anzi, lasciandosi
convincere che a corrompere la naturale bontà dell'uomo sia
proprio il credere in un ordine divino (Rousseau).
A partire da questa «ipotesi», una nuova classe di
intellettuali ha ritenuto necessario creare un «nuovo ordine
mondiale», mentale, morale, sociale e infine religioso,
secondo l'ora presente.
Non è forse questa la linea di pensiero gnostico, riguardo
alle fedi, quella di invocare il passato per adattarlo alle
preferenze del presente?
Questa equazione rivoluzionaria, del
«solve et coagula», non è quella che fa
navigare le ideologie tra la violenza e la liberazione religiosa
per ottenere l'emulsione delle varie fedi in un «revival da
new age»?
Non è a tale emulsione che conduce l'attuale «regime
ecumenista»?
Dietro al suo aspetto «moderato», perfino
«pietoso», non impone esso un nuovo obbligo,
«morale»: la confessione che le religioni si
equivalgono e quindi ne deriva il «diritto» di
scegliere tra esse, come quando si acquista un prodotto nei
supermercati?
E' vera libertà «scegliere» una fede, col
«solo» vincolo di non confessare apertamente che essa
è l'unica vera?
Lo stesso dilemma fu sollevato negli anni settanta dai cosiddetti
nuovi filosofi francesi riguardo alla libertà di scelta del
regime marxista: «Il marxismo si riassume in un
si-ha-ragione-di-rivoltarsi, ma si ha ragione di rivoltarsi contro
il marxismo? Se è sì, ecco di nuovo l 'uscita che si
blocca. Se è no, il marxismo non si lascia riassumere in tal
modo, quindi mente. Io mento, dice il cretese: se mente, dice la
verità, se dice la verità, mente. La logica moderna
ha accuratamente scrutato le antinomie di questo tipo… Fa'
quel che vorrai, ma non ti ribellare contro colui che te lo ordina
o ti invischierai in insuperabili contraddizioni.»
(André Glucksmann, «I padroni del pensiero»,
Garzanti, 1977).
Pure la super religione si riassume in un
«si-ha-ragione-di-liberarsi» dei dogmi.
Ma si ha ragione di liberarsi della emulsione ecumenistica?
Quanto è detto per la vita personale, a maggior ragione, si
estende alla vita sociale che subisce la possente influenza
negativa degli usi e deicostumi, sparsi nel mondo scristianizzato,
proprio per far abbandonare l'orientamento del vivere come si
pensa e del pensare come si crede, a causa dell'idea opposta del
credere come si pensa e si vive.
Perché, se l'uomo fu creato da Dio libero per accogliere la
Verità, non equivale ciò a credere che essa induca
l'uomo ad arrogarsi una scelta religiosa?
Significherebbe, inoltre, l'abuso di voler mutilare la
Verità divina dal suo assoluto per trasferirlo alla
libertà umana, divinizzandola, come voleva la Rivoluzione
francese con la sua dea ragione.
Ebbene, a dispetto dell'apparenza cristiana, a questa si aggancia
la religione americanista che, con pari moti libertari e gnostici
riguardo la vita dei popoli, ha finito coll' assoggettare le genti
ad una legge scritta proprio in funzione della libertà
disgiunta dall'ordine.
Ecco il «nuovo ordine», stabilito per garantire anche
la libertà del disordine secondo la parola volterriana:
«Discordo da quanto dici, ma sono pronto a morire per
assicurarti il diritto alla libertà di dirlo». Siccome
al diritto di dire segue quello di fare, al delitto di adulterio,
tanto per fare un esempio, va assicurato un diritto, per cui la
rivoluzione è pronta fino alla morte!
Due mentalità opposte caratterizzano, quindi, il conflitto
sociale: la prima, tradizionale, crede che sono i princìpi
religiosi che ci trascendono a dover plasmare il modo di pensare e
di vivere.
La seconda, modernista, ritiene che sia il fugace impeto della vita
sociale a dover forgiare di continuo la mentalità, anche
religiosa!
Perciò, «si-ha-ragione-di-liberarsi»
dall'ordine tradizionale per creare il diritto al disordine
sociale.
E' quanto voleva la Rivoluzione, cui si è accodato il
potere americano e poi, incredibilmente, il Vaticano II.
Che ne è allora del diritto-dovere di preservare la dottrina
cattolica di fronte alla scalata modernista e della sua super
religione mondiale?
Esso rimaneva intatto fino a quando la voce della Chiesa insegnava
che l'errore e i disordini da esso causati non costituiscono
diritti.
Ma la prepotenza rivoluzionaria, attraverso l'operazione
ecumenista, ha ridotto questa sana dottrina a
«opinione» proibita.
Nel piano logico e religioso rimane certo che la Verità
è una e non dipende da opinioni.
Ma proclamarlo in pubblico significa ormai discriminazione
religiosa, secondo un nuovo diritto, anche conciliare, e va
condannato.
Il segno della religiosità
americanista
Gli USA sono una nazione moderna che non può essere
considerata poco religiosa; al contrario, lì, accanto alle
fedi tradizionali, sono sorte e continuano a sorgere tante nuove
religioni; lì la parola bibblica è citata dovunque e
le assemblee e comunità religiose sono quasi una regola
sociale.
A causa di ciò in America vige il «pensiero»
ecumenista, assunto quasi a «fede» nazionale.
Dato, però, che il principio della fede è fondato
sull'ascolto e sul legame tra Creatore e creatura ovvero sulla
Verità che procede da Dio all'uomo, mentre l'idea
ecumenista va in senso opposto, dall'uomo a Dio, come può
attribuirsi a tale «pensiero» un vero carattere
religioso?
È la vecchia questione irrisolta tra cattolicesimo e
protestantesimo.
Infatti, mentre il primo si fonda su questioni oggettive, sul sacro
e sui sacramenti, su tutto quanto proviene da Dio, il secondo
amplifica i moti soggettivi delle anime verso l'Alto.
Mentre la musica nella Chiesa cattolica è amalgamata con il
rito, nei templi protestanti la musica e il canto costituiscono il
rito stesso.
Parimenti, la Scrittura, che per il cattolico va interpretata
dall'autorità d'origine sacra, per il protestante è
giusto farne un discernimento con una lettura personale e
immediata, che i predicatori proclamano dappertutto, nei templi
come nelle praterie, nelle strade come nei palchi, con una
religiosità libera e tutta umana, quasi che ciò
corrispondesse alla religione rivelata.
Si noti, però, che il principio della fede fondato
sull'ascolto della Parola del Creatore, sulla Verità che
procede da Dio all'uomo, è stato da sempre lo spartiaccque
tra la religione divina e l'idea umana di religione.
La necessità di governare gli uomini, anche con idee
opposte, ha da sempre messo i governanti dei popoli davanti a
questo spinoso problema, richiedente una soluzione o di conflitto,
o di tolleranza o d'indifferenza.
Infatti, le posizioni opposte si sono sempre inevitabilmente
riflettute nel governo delle nazioni e degli imperi.
Già i Romani cogitavano la questione politica della
convenienza «ecumenica» con il loro
«panthéon» degli dèi d'ogni popolo,
causa prima della persecuzione dei cristiani, che non potevano
partecipare a tale garbuglio religioso.
Dunque, il loro solo conflitto era con i cristiani che rifiutavano
compromessi ecumenici.
Il pensiero religioso romano era, però, comunque rivolto
all'Alto, ai princìpi trasmessi, ai valori ereditati, al
culto degli antenati: la «pietas» che improntava la
loro lealtà e giustizia.
Erano punti in comune con il nascente cristianesimo, a cui
l'Impero si convertì, rimanendo per secoli come Sacro
Romano Impero ad edificare una civiltà senza paragoni.
Non c'è dubbio che la tentazione
«ecumenista», causa di tanti inganni,
perché vuol far convivere nel mondo umano ogni visione di
verità, è vecchia come la storia.
Già nell'era cristiana essa causò persecuzioni e
conflitti all'insegna della parola di Cristo stesso. Studiando poi
gli eventi attorno alle grandi eresie, di Ario, di Nestorio, di
Sergio da Costantinopoli, ecc., si scorge il contrasto tra la
giusta preoccupazione dei Concili Ecumenici d'evitare la
convivenza civile tra verità ed errore e quella imperiale di
sedarla.
Una cosa è la tolleranza cristiana verso l'errore,
un'altra è l'aggiornamento del cristianesimo per animare
le «verità umaniste» volute dagli imperi.
La tentazione di accettare compromessi sulle differenze religiose
sono dovute a molte eresie, come l'arianesimo e il monotelismo,
accettate da alcuni imperatori.
Ma ciò fu superato e preservata la Fede unica.
Si prospetta tale fedeltà per quello che è definito
impero americano?
In apparenza sì, ma in sostanza vi è una radicale
differenza nella direzione impressa alla visione della vita.
Per i Romani essa era legata alle origini, a quanto era stabilito
dall'eternità.
Per gli americani invece essa è volta al futuro attraverso
l'immediato presente divenuto la sola norma. La vita democratica
con i suoi costumi e bisogni dettano infatti cosa sia bene e cosa
male; a tal fine i governanti seguono con sondaggi continui
l'opinione pubblica, che indicherebbe il «bene
democratico» da applicare al sociale, senza l'interferenza
di verità rivelate sul destino umano.
In sintesi, sarebbe la vita sociale a definire il vero, anche se in
realtà sono i segreti «centri di potere» a
dettare le norme del vivere.
Tale via, mistificata con la parola «democrazia»,
diviene il modello politico «sacro» e perciò
religioso da seguire non solo in Am
erica ma in tutto il mondo.
E' il «nuovo ordine» globale da instaurare con
l'aiuto dell'ORU (o URI) che sta alle fedi come l'ONU alle
nazioni.
Che una operazione ecumenista «cristiana», un
«pancristianesimo», come à stato
denominato dal Papa Pio XI, possa essere auspicata dai cattolici
è possibile solo a causa di un misterioso crollo di Roma.
Ciò contraddice non solo la storia della Chiesa, ma i suoi
fondamenti dottrinali.
La Verità rivelata è una, se non si vuole insinuare
una blasfema ambiguità divina.
La storia dell'americanismo
religioso
Il modo migliore per identificare l'alienazione religiosa
americanista é seguire il rapporto USA - Roma.
Visto che gli USA sono i portatori del «nuovo ordine» e
allo stesso tempo la seconda nazione cattolica del mondo, i popoli
dell'Occidente devono capire di cosa si tratta affinché non
accada che si trovino a festeggiare un'incerta
«religiosità da panthéon», dove la grande
esclusa è la Verità.
La crisi della coscienza europea del XVIII secolo fu levatrice non
solo dell'enciclopedismo, delle rivoluzioni nazionali e
mondialiste, ma anche dell'americanismo che, come
«fede» semplice, egualitaria, liberale ed ecumenista
non fu dovutamente contestata all'inizio.
Perciò è divenuta potente abbastanza da superare ogni
divergenza e imporsi nel mondo.
Se il dubbio della coscienza europea ha portato a negare che ci sia
un ordine superiore in terra e a suggerire l'elaborazione di un
nuovo ordine, la Rivoluzione americana ha risolto il dilemma con la
«fede» nella superiore democrazia dell'America,
esempio per il mondo.
Essa potrebbe gestire in concreto le più grandi antitesi,
perfino quella tra vero e falso, perché l'arbitro d'ogni
idea sarebbe la cosiddetta opinione pubblica, sempre reperibile dai
sondaggi.
Ciò costituisce l'esempio più lampante del fatto che
una società, che crede come vive ovvero adattando il vero e
il bene a quanto sembra essere una libera scelta di vita, liberale
e democratica, rimane in balìa di manipolazioni invisibili
da parte di forze occulte e di poteri mondiali, come i centri
segreti della Massoneria.
È così che un'intera generazione di cristiani
americani, dopo aver subìto un completo lavaggio del
cervello, è giunta a scambiare la regola di vita cristiana
per la dipendenza consumistica, sicura d'aver scelto una
libertà per la quale valga la pena perfino di morire.
In tal modo l'inganno viene mascherato da dea libertà nelle
società opulente, pronte a rendere l'anima sull'altare o
palco di una super religione ecumenista.
Ma il virus letale, di cui è portatore l'americanismo
«cattolico», è stato sottovalutato dai custodi
della Fede a Roma, fino a prendere il sopravvento con
l'infestazione «ecumenista» mondiale, promossa dal
Vaticano II.
E oggi il rapporto si presenta invertito poiché sono gli
americanisti a vigilare sulla fedeltà ecumenistica del mondo
cattolico.
Il contrasto profondo tra il cattolicesimo e la Rivoluzione
americana, di cui l'americanismo «cattolico» si faceva
garante, è presentato come definitivamente risolto.
Tale è l'immane minaccia incombente sulla Chiesa universale
e sul futuro dei popoli: l'alleanza di ferro tra imperialismo
mondialista e conciliarismo ecumenista.
Quanto pareva un fatto nazionale, oggi svela la portata mondiale
dei piani «ecumenismi» diretti a intese politiche
globali, per lo più segrete, perché indirizzate ad un
«compromesso storico» tra opposti, tra il mondo moderno
e la Chiesa.
Perché compromesso storico?
Perché è stato sempre ritenuto contrario ad ogni
principio logico della politica, dunque inconcepibile. Oggi cosa
è impossibile alla rivoluzione democratica che medita
l'unione totale delle verità cristiane e non, e quale ruolo
dovrebbe rivestire questa chimera sulla religione nella futura
unione dell'umanità?
Non c'è dubbio che l'unità è una nobile
mèta per tutti, in speciale per gli Stati Uniti, che hanno
ricevuto un enorme flusso migratorio da tutto il mondo.
Ma quale unità?
Quando si insegue troppo un valore relativo, c'è il rischio
di idealizzarlo come assoluto e di tralasciare l'unità
cristiana nella Verità («Ut omnes unum
sint», Giovanni 17, 21), a favore di una unità
nazionale al cui dominio la religione deve piegarsi.
E' vero che l'unità è ora proposta come
«principio» religioso dalla nuova Chiesa, da Giovanni
XXIII a Giovanni Paolo II; ma ciò non avviene secondo la
Verità di Cristo, ma richiamando quelle dell'ONU.
La tentazione «ecumenista» nei vari imperi c'è
sempre stata, come si è visto prima.
Qui interessa sapere, però, come, quando e perché
essa raggiunse il potere attuale, riuscendo ad annientare le difese
cattoliche.
Come essa si sia introdotta nel cattolicesimo senza clamori si sa:
attraverso lo gnosticismo e suoi derivati, divenuti forza d'urto
politico con la Massoneria.
Sul quando, s'è visto il suo piano e il suo primo tentativo
di eleggere un papa che convocasse un concilio orientato ad un
nuovo ordine mondiale.
Resta da vedere perché tale piano è dominante oggi
senza resistenze cattoliche, anzi con il concorso della Santa Sede,
come è il caso dell'U.R.I.
E' forse già in atto a Roma il regime ecumenista intento a
mutare Chiesa e coscienza cristiana secondo un «nuovo ordine
mondiale»?
L'impero
americano
Seguiremo ora, in modo sintetico, la genesi del «nuovo
ordine» che doveva presentarsi convincente non solo dal punto
di vista sociale, ma soprattutto religioso, per potersi proiettare
in un futuro planetario senza confini.
Per farlo si deve seguire la storia, non solo dell'idea che lo ha
cullato, ma di chi e di cosa gli era d'ostacolo.
Lo ha cullato l'idea messianica dell'impero americano
(1), consolidato nel secolo XX sull'onda
impetuosa della democrazia vittoriosa, che raggiunse un potere
senza precedenti nel campo militare e tecnologico, irradiante nel
mondo un ottimismo impari.
Quanto all'ostacolo, si tratta della Chiesa cattolica e del suo
Papato, rappresentanti dell'ordine cristiano universale da molti
secoli, ma che dopo le due grandi guerre che avevano sconquassato
l'Europa cristiana si trovava assai indebolita e minata dal di
dentro da idee moderniste.
Ora, poiché negli Stati Uniti d'America sembravano superate
le vertenze tra la Chiesa e il loro americanismo sincretista, tutto
faceva pensare che negli anni cinquanta gli USA erano sempre
più cattolici.
Nel 1959, ancora nella scia di Pio XII, la popolazione cattolica
del mondo era di mezzo miliardo.
Di questi, 39.505.475 erano americani, con un incremento di
3.481.498 rispetto all'anno precedente ed una crescita del 47,8 %
dal 1949.
C'erano all'epoca in America 942 ospedali cattolici, e 580
giornali e riviste che raggiungevano la circolazione di 24.273.972
copie. (Enciclopedia Britannica, Book of the Year 1960, pagina
600).
Si noti, però, che la voce («Roman Catholic
Church») che riporta questi dati inizia con le seguenti
parole, che già indicano una svolta: «Il 1959 si
segnala per una stabile crescita dell' inclinazione degli eruditi
e delle organizzazioni cattoliche romane di esplorare ogni
possibile via di avvicinamento al dialogo con le altre
organizzazioni religiose».
Il grande numero di cattolici americani, che rappresentava anche un
notevole potere economico, non poteva non incidere sui rapporti
della Chiesa di Roma con gli Stati Uniti d'America, specialmente
dopo che questa nazione, vittoriosa nelle due guerre mondiali, era
divenuta anche la «custode» della libertà e
dell'ordine nel mondo contro il comunismo.
La questione in quel periodo era: l'America stava diventando
più cattolica o il suo americanismo stava per inquinare il
cattolicesimo?
Il fatto è che l'inversione riguardo il senso
dell'ascendenza democratica su quella religiosa è iniziata
sotto Giovanni XXIII e il Vaticano II, quando tale
«inclinazione» si è manifestata come
«nuova coscienza democratica della Chiesa».
E così si arrivò a un tacito compromesso tra
democratismo modernista di aspetto «cattolico» e
l'americanismo massonico.
Una delle scuse per implementare l'americanismo fu il bisogno di
unità politica negli Stati Uniti con una popolazione di
credenze diverse.
Del resto il cattolicesimo in America aveva fin dall'inizio
subìto pressioni affinché facilitasse l'apertura
verso altre religioni e favorisse una fede unitaria.
Ciò implicava una certa attitudine religiosa che, pur
accettando la nuova «religiosità», mantenesse
l'apparenza di fedeltà riguardo al Credo, ma nella nuova
carità del «vivere e lasciar vivere», anche di
fronte ad errori; «my country, right or wrong» é
il cinico «patriottismo» del «non prendere la
religione troppo sul serio» quando la patria è in
causa.
Ma la formula più corrosiva è sopratutto quella che
insinua l'idea che si deve «cercare ciò che unisce e
non ciò che divide».
Ecco le frasi chiave a servizio dei nuovi obiettivi per aggiornare
la vita cristiana archiviando proprio la Verità di Dio,
riducendo la religione a pratica religiosa per uso interno.
Tutto ciò soddisfaceva il dominante puritanesimo
protestante, ma erodendo il vero cristianesimo.
Dato, però, che le società hanno bisogno di una fede
assoluta e che alle fedi è legato un culto,
s'instaurò il culto della democrazia assoluta in
sostituzione della dea ragione onorata sugli altari rivoluzionari.
Tale culto diveniva così modello d'esportazione, e gli USA
divenivano il vettore messianico della «fede
democratica» che da più di un secolo s'impianta in
ogni luogo.
Dove ci sono conflitti nel mondo gli USA
appaiono per brucciare i vecchi ordini e in seguito spegnere
l'incendio con le benemerenze del suo «nuovo ordine»
globale.
La forza di tali imprese viene dalla semplificazione mentale
ereditata dalla cultura inglese, sospettosa del pensiero teorico.
Si pensi ai filosofi, veri sofisti concentrati a provare che la
logica, compreso il sillogismo aristotelico (Stuart Mill), non ha
un senso intrinseco e che la filosofia non è che un gioco di
parole, da non prendere sul serio.
Il pragmatismo americano completa quest'opera.
Basti pensare alla filosofia di Emerson e di William James, secondo
il cui pragmatismo la verità ha per criterio, nell'ordine
del credere, la fecondità, nell'ordine dell'azione, il
successo.
Mentre in Europa il liberalismo, il naturalismo e il modernismo
erano i pensieri ispiratori del motto «libertà,
uguaglianza e fraternità», negli USA, più
pratici sul piano intellettuale, tale motto esprimeva la
«praxis» per placare anche le dispute religiose
ordinate al nuovo precetto: cercate il modello
democratico-«ecumenista» americano e tutto il bene vi
sarà dato in aggiunta!
Il programma del «pluralismo religioso» s'identifica,
pertanto, con l'emericanismo, che «designa una dottrina e un
movimento religioso d'ispirazione liberale e naturalistica
maturato negli Stati Uniti d'America in seno al cattolicesimo sul
finire del secolo XIX. Esso mirava ad intensificare e ad agevolare
le conversioni alla fede, attraverso una vasta opera di
conciliazione e di sintesi fra l'antica tradizione cattolica e il
nuovo pensiero e le nuove aspirazioni della religiosità
moderna» (Enciclopedia Cattolica).
Si trattava, sostanzialmente, di «stabilire una sintesi
religiosa» di stampo modernistico, diretta a quanti erano in
attesa che la Chiesa universale si convertisse ai compromessi
gnostici di parvenza cattolica. L'estensione del danno che essa ha
procurato alla Chiesa può essere misurato solo esaminando il
baratro aperto dal Vaticano II, messo in luce dal moltiplicarsi
delle crisi e delle sette nelle varie nazioni. La causa?
L'appiattimento d'ogni fede rivolta al vero.
La fede immolata al moloc del pluralismo… che
«è stato uno dei mezzi più efficaci di
repressione nel corso della storia; reprime tollerando tutto fino
alla morte, come nota Marcuse» (John Rao,
«Americanism», St Paul, pagina 27).
Può esistere una «cultura del pluralismo»?
Non è proprio in questo campo che il plurale fagocita il
singolare e il generale il particolare?
Il fatto è che tale «cultura» è oggi
egemone nel mondo, al punto da neutralizzare ogni altra.
Diviene un «bene» in se stessa, blindata per diritto
divino contro ogni errore ed abuso, a tal punto che in America
sarebbe una bestemmia dire che l'istruzione pubblica fondata sul
pluralismo, cardine della democrazia liberale, sia manipolata da
un'intellighentia faziosa: il pluralismo democratico nella
libertà, uguaglianza e fraternità sarebbe la fonte di
ogni cultura.
Stiamo cercando di rendere evidente il filo che lega le idee dei
seguaci della gnosi e della Massoneria con quelle dei pastori della
religiosità americanista e modernista, che si allaccia all'
«idea ecumenista massonica».
Per approfondire questi legami si deve seguire la storia degli
Stati Uniti, dei suoi padri fondatori, nonché quella della
Chiesa in America.
L'origine della Rivoluzione
americana
La rivoluzione americana del 1776 aveva gli ideali civici di quella
francese del 1789: lo stesso «spirito» illuminista di
Rousseau, Voltaire, ecc.
Si tratta del pensiero che fa sorgere un nuovo ordine, fondato sul
neo-umanesimo di una gnosi vagamente panteista, ispiratrice
dell'evoluzione e del progresso illimitato della conoscenza.
Era la visione massonica e massoni erano molti padri fondatori,
come George Washington e Benjamin Franklin.
Franklin era un rivoluzionario non violento di formazione puritana,
ma autodidatta influenzato dai filosofi inglesi, che ben presto
passò al deismo.
Nel 1734, a 28 anni d'età, fu eletto gran maestro nella
loggia della Pennsylvania e pubblicò il primo libro
massonico in America: le «Costituzioni dei Massoni di
Anderson».
Più tardi, in Francia, fu eletto Venerabile della loggia
delle Nove Sorelle.
Con i suoi scritti predicò una morale e una religione delle
virtù borghesi e utilitaristiche, del filantropismo e
dell'umanitarismo, ispiratori del modo di vivere e della filosofia
pragmatica americana. Nell'ordine «filosofico»,
dunque, l'americanismo e il pensiero americano sono radicalmente
pragmatici. «Mancando criteri intellettuali per conoscere
verità trascendenti, ricorre al criterio pratico
dell'utilità. «E' vero ciò che è
utile».
E' la filosofia dell'utilitarismo che risente dello spirito
pratico e positivo del popolo americano in mezzo al quale è
nata (James, ecc.) e fu chiamata dal Gutberlet: La filosofia del
dollaro.
Gli stessi principi sono applicabili alla morale e alla religione:
«Sono veri e buoni certi principi di morale perché
utili alla salute, è vera e buona la religione perché
utile all'individuo e alla società» (Filosofia,
padre Paolo Dezza UG, Roma, 1993).
Franklin si dedicò anche alla scienza, inventando il
parafulmine.
Divenuto molto popolare e stimato in patria, si dedicò,
nella seconda metà del secolo, alla politica.
Fu uno dei firmatari della Dichiarazione d'indipendenza (1776).
Inviato in Francia, fu accolto trionfalmente, come personificazione
dell'uomo nuovo della rivoluzione illuminista.
John Carroll, il primo vescovo cattolico in America, appartenente
ad una delle prime grandi famiglie americane, di origine irlandese,
di cui Franklin era amico, studiava allora in Francia.
Non deve sorprendere perciò che il suo entusiasmo verso
un'America di anima liberale derivasse, oltre che dalle idee di
questo massone deista, dalle idee gallicate e gianseniste assorbite
alla Sorbona.
Chiamato il padre della Chiesa cattolica in Nord America,
perché fu il primo arcivescovo di Baltimora, Carroll,
trovando quella Chiesa povera, poco organizzata e perseguitata
dall' intolleranza delle sètte protestanti, alla sua morte
la lasciò fiorente con vescovi, clero, seminari, case
religiose, scuole e collegi. Inoltre, ha il merito di aver superato
una situazione virtualmente scismatica, a causa di una tendenza
autonomista che ha portato al tentativo di fondare una chiesa
cattolica americana, libera da ogni legame con Roma, tendenza
favorita dal particolare momento storico e dalle idee repubblicane
del clero recentemente giunto dall'Irlanda.
Si noti che è di quell'epoca la dottrina Monroe (1823) per
cui il continente americano doveva appartenere solo agli americani.
Non si può pensare che essa estendeva il suo nazionalismo
anche alla religione?
Era il dilemma politico che in USA ha inficiato la fedeltà
del cattolico alla suprema autorità romana. L'americanismo
ha sempre mostrato, infatti, un potenziale legame col pensiero
gallicano, massonico e modernista, molto affine a quello
dell'attuale «pastorale ecumenista».
Il sigillo episcopale del vescovo John Carroll
aveva 13 stelle attorno alla Madonna per rappresentare i 13 stati
dell'Unione, invece delle 12 usuali.
Riguardo l'amministrazione dei Sacramenti usando l'inglese,
arrivò al punto di disturbare le migliaia di immigranti non
irlandesi.
Quanto alla Massoneria, ritardò la comunicazione sulla sua
condanna da parte della Chiesa il più possibile.
Si noti però che Carrol fu un buon vescovo malgrado il suo
pensiero fosse attratto, da una parte dalla universalità
della Chiesa, dall'altra dal «patriottismo
americanista», la cui utopia è niente meno che la
liberazione e l'unione globale dell' umanità, guidata
dall'esemplare democrazia americana.
L'americanismo ebbe la piena fioritura col cardinale Gibbons, come
si evince dalla sua lettera condivisa con i vescovi Ireland,
O'Connell e Keane.
Ma da quel momento questa eresia fu percepita da Roma.
«Il gran dilemma dei prelati americani era quello della
'doppia fedeltà' al Vicario di Cristo e
all'autorità civile». Il «popolare»
Gibbons, noto per la sua fedeltà senza riserve allo Stato,
anche quando la politica democratica di questo favoriva la
Massoneria e nutriva l'indifferentismo religioso, ne è
d'esempio. (vedi Luigi Bruti Liberati, «Santa Sede e
Stati Uniti», BXV).
Mirava, invece, all'unità, vantandosi che «il suo
catechismo non aveva una sola riga che urtasse il
Protestantesimo.»
Nel 1893, in occasione della «Esposizione mondiale» a
Chicago, i suoi direttori decisero di indire un «Congresso
Internazionale di Religioni», in cui ai rappresentanti delle
varie religioni spettava spiegare quello che ciascuna di esse
faceva per il bene dell'umanità.
Per più di due settimane, a richiesta del cardinale Gibbons,
i preti si mescolarono coi ministri protestanti, musulmani e
buddisti, in vista di «giungere ad un accordo su un terreno
comune di princìpi morali e religiosi per un'azione
concertata contro nemici comuni».
Roma allora ha mantenuto silenzio.
Quando, però, un simile congresso fu proposto per Parigi,
nel 1900, Leone XIII si pronunciò con un sereno, ma fermo
«No.»
Si noti che, come per la rivoluzione, anche riguardo a tali
congressi ecumenici, l'iniziativa americana ha preceduto quella
francese.
Nel 1895 gli americanisti protestarono per l'invio di una
Delegazione Apostolica in America, ma Papa Leone XIII insistette
con la lettera conosciuta come «Longinque Oceani» sui
pericoli dell'americanismo.
Era il primo avvertimento.
Dopo aver lodato il lavoro fatto dalla Chiesa in America il Papa
scriveva, «La Chiesa... produrrebbe più abbondanti
frutti se, oltre la libertà, avesse il favore delle leggi e
il patronato dell'autorità pubblica».
Ai nostri giorni, come si vedrà, il padre Johm
Courtney-Murray avrebbe usato ogni mezzo per cancellare tale
affermazione e sostituirla con la sua dottrina sulla separazione
tra Chiesa e Stato, incredibilmente approvata e fatta propria dalla
nuova Chiesa del Vaticano II, di cui Murray era stato nominato
«perito», essendogli affidata la stesura della
dichiarazione «Dignitatis humanae» sulla
«libertà religiosa».
Il vescovo John Carroll
Una condanna dell'Americanismo giunse al cardinale
Gibbons con la lettera di Leone XIII, «Testem
benevolentiae» (sigla TB), del 22 gennaio 1899, che
ristabiliva la missione del prete cattolico, falsata nella
biografia di padre Hecker, sacerdote di dottrina malferma.
Proprio negli anni della crisi tra Stato e Chiesa in Francia, la
voce che arrivava dal clero americano suggeriva che il pluralismo e
la separazione di Chiesa e Stato americano dovevano fungere da
modello anche per gli affari europei, opinione ormai condivisa da
molti cattolici d'America.
Lo vedremo parlando di Alexis di Tocqueville, acuto studioso della
democrazia americana.
Gli americanisti, nonostante l'intento della massima diffusione
del cattolicesimo in America, ponevano in dubbio
l'universalità della Chiesa romana.
Leone XIII intervenne tempestivamente, biasimando l'errore con la
Lettera al cardinale Gibbons, ammiratore dei Polisti di padre
Hecker.
Essa non aveva il tono di un'enciclica, ma di una lettera
amichevole, perché tutto fa credere che Roma dubitasse della
consapevolezza di quei gerarchi della gravità dei problemi
concernenti il sistema religioso e filosofico americano.
A causa degli errori capitali trattati, l'esame in essa contenuto
dell'americanismo, pare scritto per protestanti e modernisti e,
perchè no, anche per i futuri conciliaristi.
Ecco una sintesi dei suoi errori:
per ottenere conversioni la Chiesa avrebbe dovuto adattarsi alla
civiltà moderna, accondiscendendo alla sua mentalità
e ai bisogni dei popoli, secondo la nuova disciplina di vita,
riguardante anche la fede; ma ciò va contro la dottrina
cattolica (confronta Concilio Vaticano I, Cost. De Fide cath. Cap.
4) che ha un solo e stesso Autore e Maestro di verità adatte
a tutte le età e a tutte le genti.
Niente perciò può essere eliminato dalla dottrina
ricevuta da Dio o da essa trascurato per qualsiasi fine; chi lo
facesse, anziché ricondurre i dissidenti alla Chiesa,
allontanerebbe dalla fede gli stessi cattolici. Quanto alla norma
del vivere prescritta ai cattolici, la Chiesa non esclude qualche
mitigazione, secondo i tempi e i luoghi.
La Chiesa solitamente ha sempre moderato la disciplina, salvo il
diritto divino, in modo da non trascurare mai i costumi e le
esigenze connesse con la diversità di popoli, che essa
abbraccia, se la salute delle anime lo richiede.
Il pericolo più grande per la dottrina cattolica è il
disegno secondo cui i novatori pensano che si debba introdurre
nella Chiesa una 1ibertà dei fedeli che si accordi alle
iniziative personali.
Immenso è il divario fra questa mentalità, propria
delle società che esistono per volontà degli uomini,
e la Chiesa che esiste per diritto divino.
La Chiesa non ripudia le conquiste recenti, che accrescono il
patrimonio della scienza e dilatano i confini della pubblica
prosperità, ma lo sviluppo deve avvenire nel rispetto della
sua autorità e sapienza per evitare gli effetti del degrado
spirituale, perché la modernità porta a rigettare
come superfluo ogni esterno magistero.
Lo Spirito Santo, dicono, effonde ora, meglio che nei tempi
trascorsi, carismi sui fedeli, senza alcun intermediario: questa
è la temeraria confusione tra Magistero consacrato da Dio e
libero giudizio.
Così è nata la nuova apologetica americanista che
finge di rimuovere gli ostacoli che avrebbero potuto trattenere
l'uomo moderno dall'abbracciare la fede cattolica e impedire il
prestigio del cattolicesimo di fronte alla civiltà
contemporanea.
Il cardinal Gibbons
Tale apologetica dovrebbe, quindi, indurre la
Chiesa a passare sotto silenzio certe verità troppo avverse
alla mentalità moderna e insistendo maggiormente sulle
verità che avvicinano anziché sugli errori che
allontanano.
Inoltre, l'istruzione del Vangelo dovrebbe essere presentata sotto
una luce più simpatica e resa più adatta
all'intendimento moderno.
Per seguire questa necessità d'adattamento, la Chiesa
dovrebbe limitare l'esercizio della sua autorità e lasciare
agli individui la possibilità di sviluppare le proprie
iniziative, lasciando i singoli fedeli più liberi, anche se
in contrasto con la dottrina cattolica, per la quale le
verità di fede sono immutabili, derivando tutte da Dio.
L'americanismo tende inoltre alla pratica delle virtù
naturali e all'esplicazione di una grande attività esterna,
volta al bene della società; le virtù naturali dovono
essere preferite a quelle soprannaturali, come quelle attive alle
passive.
Queste ultime, obbedienza, umiltà, ecc., erano buone e
necessarie più nel passato, perché le condizioni sono
cambiate.
E' facile intuire l'incompatibilità di queste opinioni con
l'insegnamento evangelico, per cui l'americanismo, non del tutto
estraneo al dominio teorico delle idee, nonostante pretenda di
affermarsi soprattutto sul terreno pratico dell'azione, incorre in
deformazioni dogmatiche.
«C'è, in fondo agli atteggiamenti e ai programmi
di questi promotori di opinioni innovatrici, un larvato
naturalismo, che è in verità l'idea fondamentale, il
motivo dominante dall'Americanismo; naturalismo sopravvalutante le
possibilità dell'uomo, fino al punto da dimenticare lo
squilibrio intellettuale, morale e soprattutto passionale causato
in lui dal peccato, nonché la conseguente necessità
della grazia» (Enciclopedia Cattolica).
L'americanismo intende umanizzare il cristianesimo col suo
liberalismo, in cui scorge il manifesto ritorno alle dottrine
protestanti circa l'ispirazione personale.
In complesso l'americanismo presenta in germe molti errori che
furono poi condannati da san Pio X sotto il generale appellativo di
modernismo; esso è l'eresia che adatta la dottrina
cattolica al modello di vita americano, esaltando le virtù
naturali sulle soprannaturali.
Paolo VI, da convinto modernista, non pensava diversamente,
invitando le suore ad operare fuori dei conventi.
L'ortodossia e la fedeltà di padre Hecker alla Santa Sede
vennero largamente rivendicate dai vescovi americani e da altri;
resta però da vedere se questi non fossero americanisti
mistificati.
La buona fede dei promotori delle nuove teorie pare assodata dalla
loro sottomissione al Papa, ma questa comunione con la Cattedra di
Pietro è provata dalla fedeltà ai dettati della
Chiesa cattolica, che è una, per unità di dottrina e
per unità di regime, perché il suo fondamento fu
stabilito da Dio nella Sede Romana, non americana.
Alexis de Tocqueville e la democrazia in
America
Questo noto storico e uomo politico (1805-1859) era un liberale in
equilibrio tra rivoluzione e reazione per difendere l'idea di
libertà, cui associava una religiosità generica.
Egli, infatti, riteneva che ogni sentimento e moralità
religiosa fossero garanzia di libertà.
In tal senso, riconosceva la religione cattolica come la più
vicina a quanto per lui era il valore principale: l'eguaglianza
tra i cittadini.
Sosteneva, comunque, l'importanza della separazione tra Chiesa e
Stato; come si può constatare il suo pensiero concorda con
quello americanista e le sue parole hanno quasi un valore di
autoanalisi erudita, utile a capire i limiti razionali
dell'americanismo.
Vediamo come egli considera il modo di pensare americano
(«La Democrazia in America», Utet, 1968,
pagina 491):
«Credo che non esista nel mondo civile un Paese in cui ci
si occupi meno di filosofia che negli Stati Uniti. Gli americani
non hanno una scuola filosofica loro propria, e non si danno
soverchio pensiero di tutte quelle che pullulano in Europa: a
malapena ne conoscono i nomi. E' facile accorgersi però,
che quasi tutti gli abitanti degli Stati Uniti seguono uno stesso
indirizzo di pensiero che tiene conto delle stesse norme: il che
significa che essi posseggono, senza che si siano mai preoccupati
di definirne le regole, un certo metodo filosofico, che è
comune a tutti. Sfuggire allo spirito di sistema, al giogo delle
abitudini, alle regole familiari, alle opinioni di classe e, fino a
un certo punto, ai pregiudizi nazionali; non prendere la tradizione
se non come informazione e i fatti presenti se non come uno studio
utile per fare diversamente e meglio; cercare attraverso se stessi,
e in se stessi soltanto, la ragione delle cose, tendere al
risultato senza rimanere prigionieri del mezzo, e mirare alla
sostanza attraverso la forma: ecco le caratteristiche salienti di
quello che chiamerò il metodo filosofico degli americani. Se
poi mi spingo ancora più avanti, e ricerco tra tutte queste
caratteristiche diverse quella fondamentale, quella cioè
capace di riassumere in sé quasi tutte le altre, m'avvedo
che, nella maggior parte delle operazioni dello spirito,
l'americano calcola soltanto sullo sforzo individuale della
propria ragione. L'America é dunque uno dei Paesi del mondo
ove si studiano meno e si seguono di più gli insegnamenti di
Descartes. Questo non deve destare meraviglia».
Il cattolico americano dottor John Rao, studioso
dell'americanismo, fa notare il fatto che il problema per Roma era
quello di farsi intendere, perché una delle caratteristiche
dell'americanismo è data dall'ignoranza della propria
posizione di fronte alla fede.
Negli USA infatti il modernismo, simile all'americanismo in molti
punti, non ha assunto alcuna importanza allora.
Le idee di queste due eresie saranno associate solo molto tempo
dopo da padre Courtney Murray, S.J., che diverrà importate
«peritus» del Vaticano II.
Dal 1950 le dispute riguardo il rapporto tra Chiesa e Stato erano
rinate proprio a causa del suddetto gesuita, divenuto noto,
giudicando i rapporti tra Chiesa e Stato, in America, più
conformi alla dottrina della Chiesa di quelli da essa rivendicati
in ogni tempo.
Seguì la censura di Roma inviata al Superiore Generale dei
Gesuiti in America, che limitò i suoi interventi dal 1957
finché tutto cambiò e Murray fu solennemente
reinserito tra i «grandi teologhi» e invitato come
esperto dei vescovi americani, nel Vaticano II.
A lui, noto per le sue idee liberali, fu affidata la stesura finale
della Dichiarazione sulla Libertà religiosa, di cui
bastarono leggeri ritocchi per sollevare il suo sdegno!
Per l'americansimo di Murray: «Come cristiani si deve
vedere la democrazia come una richiesta naturale imposta dalla
ragione stessa di cui è la più perfetta espressione
in politica, economia e vita sociale che è stata presente
nella democrazia in America».
Le sue ultime parole confermano il suo americanismo:
«D'ora in avanti la Chiesa definisce la sua missione
nell'ordine temporale nei termini della realizzazione della
dignità umana, della promozione dei diritti dell'uomo, la
crescita della famiglia umana verso l'unità, e la
santificazione delle attività secolari del
mondo».
Benjamin Franklin
Il magistero cattolico sui rapporti tra Chiesa
e Stato
Data l'importanza di questo rapporto per un'autentica
civiltà e le confusioni sollevate intorno ad esso
dall'americanismo modernista conciliare, rivediamo ora come si
presenta secondo il pensiero cattolico.
Esso è illustrato, nella versione più genuina,
dall'esposizione di san Roberto Bellarmino, seguace di san Tommaso
d'Aquino.
Entrambi parlano di quanto è chiamato «potere
indiretto» della Chiesa sullo Stato.
San Tommaso scrive: «Il potere secolare non è
soggetto al potere spirituale universalmente e sotto ogni punto di
vista... se però qualcosa negli affari temporali costituisce
un ostacolo alla salvezza eterna dei suoi soggetti, il vescovo che
interviene con un comando o un divieto agisce secondo il diritto
che ha la sua autorità divinamente costituita. Dove la
salvazione umana è in causa, ogni potere secolare è
soggetto al potere spirituale».
Questa dottrina definisce un'ovvia conclusione: Chiesa e Stato
sono entrambi vincolati alla Legge Divina.
Riguardo alla tolleranza verso le altre religioni, la norma
è che «l'errore non ha diritti», ma, per
evitare un male più grande, gli altri culti possono
svolgersi, sempre che il bene comune della Società non venga
leso.
La dottrina sul male derivante dalla separazione tra Chiesa e Stato
è stata chiaramente espressa dal Papa san Pio X nel
documento «Vehementer» dell'11 febbraio 1906.
Dopo aver accennato al dolore che gli straziava l'anima per la
legge iniqua, con la quale «si è preteso di
spezzare i vincoli secolari che legavano la Francia alla Sede
Apostolica», il Santo Padre confutava le ragioni
invocate per giustificare la rivoluzionaria legge proprio della
separazione tra Chiesa e Stato: «Affermazione falsa,
falsissima, piena d'ingiuria verso Dio; contraria al dovere che
incombe allo Stato di aiutare i sudditi a conseguire la loro eterna
salvezza; contraria all'armonia che deve unire le due
società; contraria allo stesso ordine civile».
Quanto il Papa proclamò falso e ingiurioso dinanzi a Dio,
per il Vaticano II, per il modernismo e per l'americanismo,
è invece la dottrina da applicare e seguire.
In tal modo, oggi, gli Stati moderni, a forza di voler
democraticamente pensare come si vive, hanno perso l'anima, che
troppi dei loro cittadini ignorano ormai di possedere.
Inutile, quindi, parlare di America, di Europa e di mondo
senz'anima; ciò è il risultato dell'applicazione
delle leggi rivoluzionarie.
La rivoluzione americanista
come «revival»
religioso
Lo storico Christopher Dawson («The Gods of
revolution») riportando che Arthur Young, testimone del
clima festivo e liberista che ha preceduto la rivoluzione francese
del 1789, era rimasto sorpreso dall'impotenza del governo di
fronte a tale clima, spiega: «La verità è
che il governo aveva a che fare non con l'opposizione di un
partito, ma con un immenso movimento di idealismo sociale con i
connotati di un 'revival' religioso. Infatti, dagli scritti di
Paine e di Franklin, spunta una sorta di religione, con un semplice
ma definito corpo dogmatico che aspirava superare un'idea
tradizionale di cristianesimo col credo di una nuova era
(«new age»). Né questa nuova unità
religiosa era un puro ideale. Esso già possedeva la sua
gerarchia ecclesiastica e organizzazione nell'ordine dei massoni,
che è arrivato al climax del suo sviluppo nelle due decadi
precedenti alla Rivoluzione». (Gods of revolution,
pagina 58).
Tale Massoneria era inspirata pure da una «mistica» per
la «salvezza dell'umanità», assumendo forme a
volte fantastiche, su cui aleggiava la promessa della super
rivoluzione americana con la sua dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo.
Il solenne e maestoso spettacolo di una nazione che stabiliva un
governo inaugurato sotto gli auspici del Creatore, una scena tanto
nuova e trascendente da essere senza pari nel mondo europeo, al tal
punto che nominarla Rivoluzione e non «Rigenerazione
dell'Uomo», o governo edificato su una nuova teoria morale,
sarebbe riduttivo! La rivoluzione americana metterebbe in atto la
«religione» divina!
La nazione messianica dei «British-israelites»
finalmente realizzata! (2)
Dall'Americanismo alla religione
mondiale
Quest'ora storica è segnata di certo da un solo grave
evento, dalla fine del tempo delle nazioni; dalla resa spirituale e
mentale a cui è stato avviato l'Occidente dal regime
ecumenista derivato dal crollo cattolico operato dal Vaticano II e
sorretto dal braccio armato di un regime tanto occulto quanto
planetario: l'americanismo militante.
Per tutto ciò si può dire che il potere americano, se
non sta portando esattamente alla «fine della storia»,
porta ad un nuovo «regime» nato sotto il segno di una
sorta d'omologazione unitarista: la prima verità, che
precede ogni altra, è quella per cui va sostenuto quanto
unisce i cittadini, rinsaldando la nazione, e ripudiato quanto li
divide, fiaccandola.
Ecco l'unità che è un valore per gli Stati, ma non
è un principio assoluto; è una norma che può
essere onorevole, ma anche letale.
Così la civiltà fondata sul vero fu alienata in
America e oggi lo è, per imitazione o imposizione, in quasi
tutto il mondo.
Ecco allora la nuova «civiltà» fondata sul modo
di vita moderno.
In essa non si vive come si pensa; si pensa come si vive.
Saranno le idee eletrizzanti, di successo, a dettare la
«verità»!
Una «civiltà» articolata su un presente fugace,
che compromette ogni futuro, perché se non è il
pensiero a guidare la vita e controllare il potere materiale,
è il fugace presente a indicare l'uso del potere e a
scandire ogni pensiero.
Tutto ciò non edifica ma dissipa le basi della
civiltà.
Come si poteva dedurre riguardo alla democrazia americana, le cui
radici rivoluzionarie non sono diverse da quelle protestanti e pure
sovietiche.
La Costituzione americana: una Bibbia
laica
Per la maggioranza degli americani, la Costituzione, più che
stabilire norme di governo, sarebbe un perfetto regalo politico e
sociale di Dio agli uomini.
In tal senso, niente di quanto regola, dalla pubblica istruzione al
rapporto dello Stato con le religioni, può essere nocivo.
Perciò i cattolici non dovrebbero temere tale «Bibbia
laica», la cui democrazia andrebbe predicata nel mondo quale
forma di dialogo per erigere il «parlamento delle
religioni».
La missione dell'America, dunque, consisterebbe nel sostenere
l'unione e la secolarizzazione delle religione in ambito globale,
al pari della Massoneria che auspica un governo mondiale.
Il piano è favorito dal fatto che lo spirito che guida la
vita americana porta i più a rifiutare che il soprannaturale
interferisca negli affari terreni.
Roma aveva già difficoltà a insegnare la dottrina
cattolica sul rapporto Chiesa-Stato; nell'America di oggi sempre
più opulenta, consumistica, e pure ecumenista, è
addirittura impossibile.
Da una parte il modernismo, dall'altra l'americanismo hanno reso
a tal punto inestricabile l'intera questione, che alla fine
è subentrata la completa inversione della dottrina cattolica
operata dal Vaticano II: l'americanismo come il protestantesimo e
la stessa Massoneria avevano ragione perché nessuno Stato
deve essere cattolico; anzi, se lo era deve convertirsi al
pluralismo.
Oggi, «essere religiosi vuol dire essere
inter-religiosi» (Etchegaray).
Quest'inganno fa dire a Rao: «Purtroppo Roma non si
è accorta che il 'pratico' e 'pragmatico' americanismo
poteva risucchiare intere nazioni in quel che è in effetti
un tunnel del vento del naturalismo e del modernismo».
Qui si dovrebbe aggiungere che la Roma conciliare, col Vaticano II
e i suoi capi ecumenisti, è ormai il motore di un processo
che ha risucchiato un'intera generazione di cattolici in questi
errori.
L'altra causa per cui il pericolo dell'americanismo fu trascurato
procede dall' insorgere dello spettro sovietico, l'impero del
male assoluto e dalla violenta opposizione del comunismo alla
Chiesa.
Ciò oscurò il fatto che esisteva una estromissione
della fede dalla vita dei popoli anche in America.
I risultati anticattolici furono i medesimi, nonostante le
pressioni contro Roma sembrassero opposte. L'anticomunismo,
però, rinforzò ancora di più l'idea del
patriottismo americanista, detto cattolico, che con la vittoria
alleata è salito alle stelle: criticare quella fede
patriottica sarebbe parso un tradimento.
La convivenza sociale delle diverse religioni in America ha fatto
il resto a favore del pluralismo.
Era l'ora del dialogo e della partecipazione ad oltranza a tutto,
il pluralismo univa nelle cerimonie sociali e nelle lotte comuni;
era una solidarietà sociale che portava ad accomunare le
liturgie, l'educazione scolastica, l'istruzione filosofica e
teologica a favore del Puritanismo secolarizzato.
La vittoria mondiale e il dominio americano in terra, lì
dove domina il modello di prosperità americana,
è infine un segno della valenza del credo (calvinista) nel
progresso materiale, lo stesso credo che ha indotto la nuova Europa
ad estendere il pluralismo democratico a tutto.
Per tutte queste ragioni «periferiche» l'americanismo
s'è rafforzato a dismisura.
L'influenza americana in Europa si era manifestata anche
attraverso l'aiuto materiale del piano Marshall che imponeva
già allora, soluzioni unitarie, pluraliste e democratiche,
che, in campo religioso, si traducono in un mondialismo ecumenista.
Era il prezzo della protezione.
Sull'allargamento di un velato dominio americano
sull'Europa c'è una vasta letteratura.
Per esempio «Made in USA, le origini americane della
Repubblica Italiana», di E. Carreto e B. Marolo
(Rizzoli, 1996), e i «Complotti» di Maurizio
Blondet, (Minotauro, 2002).
Di quest'ultimo ci basti ricordare il brano che riguarda il piano
per l'Europa, modello Yalta, che il presidente Roosevelt
confidò nel 1943 al cardinale Spellman.
Entra in scena anche il generale Douglas MacArthur, uno dei
sottoscrittori del «Tempio per i cittadini del mondo»
per lo sviluppo della «Comprensione Universale» in
luogo delle sue limitazioni nazionaliste, sostenuto dalla
«first lady» Eleanor Roosevelt (della «Loggia
Unita dei Teosofi di New York City»); anche se egli
appoggiava il «Tempio», «simbolo della
fraternità umana», di cui un'ala è dedicata a
sei religioni: induismo, giudaismo, confucionesimo buddismo, islam
e cristianità (Enciclopedia cattolica, pagina 472),
provò vergogna per il fatto che in queste torri di Babele si
decidesse sulla sorte del mondo.
Era troppo, «e volle farlo sapere a De Gaulle. A Casablanca -
dove gli alleati stavano decidendo il destino d'Europa - disse a
un ufficiale francese: «Come americano e come soldato, ho
vergogna del modo in cui taluni nel mio Paese trattano il vostro
capo».
Ma nemmeno MacArthur poteva contrastare l'immenso potere di coloro
che agivano nell'ombra di Roosevelt.
Solo De Gaulle ne ebbe il coraggio. «Sono al lavoro i
sinarchisti che sognano un impero multinazionale»,
gridò nel 1954, «Essi hanno concepito nell'ombra,
negoziato nell'oscurità, firmato in segreto... per creare
un governo apatride su misura della tecnocrazia. Un mostro
artificiale, un robot, una creatura di Frankenstein».
E non si limitò a gridare: scese in campo contro il
fiduciario dei cartelli e dei poteri finanziari che stava attuando
il progetto, contro l'uomo che chiamava
«l'Ispiratore».
Si trattava di Jean Monnet che per conto delle oligarchie
transnazionali, fornite di mezzi illimitati, attuava quel progetto
europeo, già allora in fase avanzata.
E' vero che a partire dal 1968 il fascino americano è
cominciato a declinare in Europa, ma il lavoro
«culturale» e «religioso» dei
«sinarchisti che sognano un impero multinazionale» era
fatto, specialmente col supporto del Vaticano II, e l'America non
ha smesso di rafforzarsi.
«Si dovrebbe chiudere gli occhi per non vedere quanti dei
concetti 'americanisti' hanno giocato un ruolo nelle sue
procedure e interpretazioni. L'idea di evitare questioni
dottrinali in vista di un pura visione 'pastorale', è
qualcosa a cui gli americanisti, sospettosi dei concetti astratti,
miravano. La trasformazione subdola di un sinodo non-dogmatico in
una forza per produrre un'istituzione clericale democratica,
pluralista e oppressiva, era quanto uno studioso dell'americanismo
avrebbe potuto prevedere, insieme all'insistenza sulla separazione
tra Chiesa e Stato. Con gli sforzi successivi al Vaticano II per
sminuire il cattolicesimo, che sarebbe da integrare col marxismo,
col femminismo, con l'omosessualismo, abbiamo avuto un chiaro
segno della pressione 'americanista'». (Rao, pagine
49, 50).
Cosa dire sul fatto che l'egemonia americana negli affari del
mondo attuale inverte il concetto di civiltà, fondata sulla
verità, come fu intesa dagli albori della storia?
Non si può negare che ci sia un potere mondiale che appare
come un regime alla rovescia, perché ammette tutto, meno che
non si ammetta tutto, e ciò non solo in materia politica, ma
anche religiosa; anzi, religiosa, perché
«ecumenista», e politica perché vuole
libertà di religione, senza ammettere il Credo nell'unica
Rivelazione divina.
E' l'implicita negazione del principio religioso secondo il quale
la verità procede dall'alto verso il basso, da Dio agli
uomini; essa, quindi, non dipendendo da scelte democratiche e non
essendo sindacabile da maggioranze, esclude ogni pluralismo
religioso.
Perciò simili posizioni, in materia di fede, sono avverse
alla religione vera e unica e cercano in ogni modo di reprimerla:
è ciò che in politica si chiama
«regime».
Lo spettro del regime ecumenista si
aggiorna di continuo
Potrebbe tale regime alterare il fine della vita umana sulla
terra?
Non solo non può, ma ogni forzatura in tal senso, secondo le
scelte di ideologie in voga, si è rivelato disastroso.
Esso è perciò una minaccia per l'umanità, non
solo d'ordine spirituale, ma mentale, perché inquina le
menti con l'idea che si possa «sostituire»
l'unicità della verità con il «pluralismo
democratico».
Si tratta di un pericolo d'ordine sociale che ha per effetto di
ridurre tutte le verità ad opinioni che dettano il modo di
vivere, se appaiono come maggioritarie.
Simile «pluralismo», elevato a bene supremo, promuove
conseguentemente una legislazione repressiva nei confronti di chi
osa «discriminare» e denunciare errori e
falsità, specialmente in materia di fede.
La fede nella Parola divina viene in questo modo considerata, da
tale «nuovo ordine democratico», come elemento di
disturbo, tollerabile, solo se confessato in un ambito che non
interferisca con le questioni pubbliche.
Poiché nell'animo umano è la fede la forza che
predomina, che muove montagne, la scristianizzazione del mondo apre
la via ad altre fedi che elevano altri poteri religiosi e civili.
Non è questa rovina della civiltà cristiana implicita
nel messaggio di Fatima, il cui terzo segreto, se fosse stato
svelato nel 1960, come previsto, avrebbe fatto luce sull'ora
dell'attentato per distruggerla? Non avvertiva forse il messaggio
di un evento senza precedenti storici che, successivo alle due
guerre mondiali, sarebbe stato ancora più rovinoso della
rivoluzione sovietica sul piano spirituale?
Di cosa poteva trattarsi se non della rivoluzione gnostica di
ispirazione massonica inoculata nella cristianità per
abbattere la sua autorità?
Tutto ciò, avvolgendo la super potenza americana, assumeva
una dimensione planetaria.
Proprio la nazione ritenuta una delle più
«religiose» del mondo, era, allo stesso tempo vittima e
esportatrice del più alienato «consumismo
ecumenista».
Emblematicamente, il messaggio divino di Fatima, che parlava di
tale attentato, fu censurato da quanti seguivano l'altra via.
Tutto è avvenuto secondo l'alienazione predetta da
Gesù: «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi
non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo
ricevereste» (Giovanni 5, 43).
Ecco il colpo letale per la Chiesa descritto dalla profezia di
Fatima: abbattere il Papa cattolico affinché subentrasse un
altro… modernista!
E il piano ecumenista fu finalmente proposto come se fosse pensiero
cattolico fondato nella Parola di Dio; alienazione religiosa
promossa incredibilmente in nome della stessa autorità della
Chiesa, della sede del Vicario di Gesù Cristo e avendo per
«braccio armato» la nazione più potente della
terra; una situazione davvero terminale.
Arai Daniele
Note
1) I British-israelites coltivano il mito che la
Rivoluzione americana, mettendo in atto la «religione»
divina, realizza finalmente negli USA la nazione messianica.
2) Maurizio blondet, «
Complotti
vecchi e nuovi», Il Minotauro, 2002.