L'enigma Giovanni XXIII: scelta di transizione o di mutazione? (terza parte)
Il cristianesimo, dopo la sua domenica delle
Palme, di durata millenaria, passò al suo millennio di
passione, in cui la Chiesa dovette vigilare sempre più
affinché gli avversari di Gesù Cristo non
intorpidissero con ma-novre di falsa conciliazione il suo clero.
In esso, si distinsero dall'inizio, quelli pronti a convertire il
mondo e quelli propensi a convertirsi ai nuovi tempi.
I primi, coscienti che la persecuzione alla Chiesa di Cristo
è conseguente alla via tracciata dal suo capo morto in
croce, combattono la doppia battaglia, contro la decadenza propria
e del mondo.
I secondi, ritenendo la scalata mondana irreversibile, cercano
alleanze per convivere col mondo anticristiano.
In tal senso è sorta nei tempi moderni la politica delle
grandi conciliazioni estesa al campo religioso; una politica
dimentica del fatto che non ci sono articoli di scambio nel campo
della verità.
Trattare con quanto avversa la fede per avere pace svela un
desolante ritorno alla miseria manicheista per cui diverse
verità possono e devono convivere come il bene col male.
Certo, trattare di questioni politiche, industriali, commerciali,
diplomatiche, fiscali, ecc., è utile e necessario, ma sempre
che esse non danneggino la fede che, accusando il male e coltivando
il bene, ha inestimabile valore anche sociale.
Testimoniare la fede è, quindi, la vera azione per
migliorare la convivenza umana in vista del suo fine ultimo, azione
che costa cara. Ma l'esempio viene dal Signore e fu seguito fino
alla morte, dal tempo dei primi cristiani ai nostri giorni in cui
il cristianesimo è la religione più perseguitata del
mondo, se non con le armi, nella morsa di una politica sociale
edonista che oscura la visione spirituale riguardo la morte, il
giudizio, l'inferno e il paradiso.
Eppure, proprio queste sono le luci presenti nelle coscienze per
frenare il male nella vita personale e sociale.
Il mondo moderno, abbagliato dalle luci dei grandi progressi
materiali, ha promosso invece quegli spiriti illuminati decisi a
«liberare» le coscienze dalle luci divine.
Essi furono poi assecondati dai modernisti che fornirono a tale
progressismo la versione
«cristiana» che, come spiegato da
san Pio X («Pascendi») parifica la
rivelazione divina niente meno che alla coscienza del
«buon selvaggio», dell'uomo
«naturalmente buono».
La perversa contraddizione filosofica
modernista consiste nel camuffare l'inoculazione
dell'idealismo immanentistico, da cui proviene, nelle vesti dei
princìpi trascendenti che combatte.
Il suo metodo è di ergere «valori contro
principi», la ragione contro la fede, la scienza
contro la religione, la sociologia contro la dottrina, il
perdonismo contro la giustizia, la storia contro la Rivelazione.
In questi termini avviene la vera guerra mentale scatenata nel
mondo contro il Verbo che istituì la Chiesa per attirare al
cielo il pensiero e la volontà di tutte le anime,
specialmente le più bisognose di liberarsi dalla morsa che
soffoca ogni respiro soprannaturale.
Naturalmente oggi tutto ciò è schernito da quanti si
accordano ai piani dei moderni poteri terreni che operano per
suscitare nella Chiesa una «nuova classe» d'appoggio
al nuovo ordine mondiale di marchio naturalistico.
Tali poteri sono enormi e subdoli.
Si pensi alla promozione che la sua stampa fa di figure lamentevoli
e vuote come il «teologo» Hans
Kung, il cui «pensiero moderno»
è elevato mondialmente al servizio di un piano per
screditare il cattolicesimo che, secondo loro, ha chiaramente
fallito nella sua missione.
C'era allora «bisogno» di una
nuova «intellighenzia cattolica» e
l'occasione si è ripresentata con il conclave in seguito
alla morte di Pio XII.
Era l'ora della scalata finale alla Chiesa da parte dei poteri
occulti che, per meglio dominare il mondo materiale, avevano
bisogno di una «chiesa globale».
Angelo Roncalli da giovane si era qualificato per operare una
liberazione religiosa sostenendo il principio che si deve cercare
più quel che unisce che quelle visioni soprannaturali che
dividono.
Come professore modernista è stato perciò interdetto
d'insegnare tale storia priva di quel soprannaturale che fonda la
religione; storia sacra rivelata da Dio affinché l'uomo
passi dal contingente mondano all'assoluto divino; passaggio a
rischio poiché in esso serpeggiano le «gnosi
illuminate» da «dottrine
segrete» in agguato per infettare la fede del Dio
Uno e Trino con fermenti della
«religiosità» naturale.
Una volta corrotto l'amore per cui l'essere umano si dispone a
rinunciare ai piaceri del mondo, della carne e della mente, spunta
quell'amore mondano che suscita proprio l'attrazione contraria e
l'uomo, non pensando più come crede, né vivendo come
pensa, penserà e crederà conforme a come vive.
Ecco i connotati dello «spirito
conciliarista» svelatosi nella nuova
"prassi pastorale", intenta a sostituire la
professione di fede della Chiesa, i suoi princìpi, le sue
norme, la sua azione sociale col nuovo «amore per il
mondo».
Tale amore ha per fede l'umanitarismo, per speranza
l'evoluzionismo della coscienza, per carità il
soggettivismo dogmatico che adatta i Vangeli ai
«bisogni» dei tempi, e si svolge con una nuova liturgia
orizzontale, ecumenista e mondialista, una contraffazione
modernista secondo lo spirito delle logge.
L'ora cruciale per la Chiesa: il Conclave del
1958
La missione del successore di Pietro è quella di
continuare ad operare seguendo il compito affidato agli Apostoli da
Gesù, ossia di convertire i popoli della terra, prima di
tutti il suo, gli ebrei, alla verità per cui è venuto
al mondo.
In questo il Papa deve confermare i suoi fratelli.
Poiché la perfezione nel pensare e nel volere non è
attributo umano, così come non lo è la perfezione
nella fede, gli uomini elevati ad una tale carica di supremo
magistero, rimediano alla propria imperfezione procedendo per amore
a Gesù Cristo, alla sua parola, alla verità da Lui
tramandata, conoscenza unica assicurata dall'autorità di
Dio in terra manifestata nella Sua Chiesa.
Quando le creature dimenticano che è impossibile conoscere
da sé la propria origine, stato e fine, conoscenza da cui
dipende l'ordine nel mondo, ma che solo può essere appresa
attraverso l'unica parola rivelata, nessun progresso delle scienze
umane può rendere raggiungibile il vero bene per l'uomo.
Eppure, tale «progresso» era
divenuto la grande meta anche per una nuova classe clericale, che
per arrivarci doveva abbattere la vecchia autorità erigendo
una nuova, aggiornata ai nuovi tempi.
L'opportunità per realizzare tale scopo si è
presentata con il Conclave del 1958.
Ora, il Conclave per eleggere il Papa può essere descritto
come il momento in cui la Chiesa sceglie un suo degno confessore,
affinché esso riceva direttamente da Dio l'autorità
per rappresentarLo nel mondo.
Questa assegnazione soprannaturale si realizza quando la persona
eletta, avendo i requisiti prescritti di lucidità e
fedeltà per la carica, accetta con un atto esterno
l'investitura, a cui deve certamente corrispondere un atto
interno.
Entrambi gli atti si devono rendere noti nel giuramento solenne di
fronte a Gesù Cristo, in cui l'eletto confessa
pubblicamente le sue intenzioni sulla fede.
«Furono massoni il primate della chiesa anglicana
Fischer e il patriarca Atenagora della chiesa ortodossa,
con i quali Giovanni XXIII iniziò un
dialogo ecumenico in clima di fraterna
comprensione» (il Gran Maestro Giuliano Di
Bernardo nel suo libro «Filosofia della
Massoneria», Marsilio pagina 146).
Questo Atenagora, patriarca
«ortodosso» di Costantinopoli,
così come altri, ha dimostratro di aver ragione nel vedere
Roncalli come nuovo Giovanni Battista, precursore di Montini e dei
nuovi evangelizzatori.
Il colpo da maestro di Angelo Roncalli
E' innegabile che Roncalli aveva un cervello fine a cui deve la
carriera andata molto oltre le possibilità delle sue doti
religiose e intellettuali. Le sue erano abilità di altro
tipo.
Già importanti osservatori politici lo avevano notato, anche
con amicizia.
In particolare cito alcuni scrittori non italiani poco propensi a
commenti reverenziali.
Robert Kaiser, accreditato per seguire il Vaticano II come
corrispondente del «Times magazine»
ha stretto rapporti di amicizia con Giovanni XXIII e lo descrive
come un «genio politico» che sotto
l'apparenza di umile prete d'origini contadine era un
«astuto rivoluzionario» (Robert
Blair Kaiser, «Pope, Council and
World», N.Y. Macmillan, 1963).
Anche M. Trevor («Pope John», N.Y.
Doubleday, 1967) nota che molti vedevano un aspetto
«machiavellico» nelle
attività di Giovanni XXIII. Inoltre, Avro Manhattan
(«The Vatican Moscow Alliance»,
N.Y. RalstonPilate, 1977) intravvedeva in lui un
«rivoluzionario determinato» e un
«Papa socialista».
Come si vede «l'enigma Giovanni
XXIII» ha sollevato molti dubbi e interessi
già in quel periodo critico per la Chiesa e per il mondo.
I più sagaci capivano che Roncalli anticipava una nuova
classe di «rivoluzionari religiosi»
dedicati a stabilire in modo occulto un nuovo ordine democratico,
di cui una nuova Chiesa universale sarebbe divenuta la grande
«animatrice».
Per le ragioni descritte, confermate dagli accertamenti di un
dossier sulla carriera di Roncalli, come dopo di Montini,
riguardanti le loro intenzioni eterodosse, c'erano gravi obiezioni
contrarie alla loro elezione papale.
Riguardo a Roncalli, il Sant'Uffizio era al corrente dell'insidia
degli «aggiornamenti» da lui
promossi e risultanti nel suo dossier di modernista.
Ma poiché anche i cardinali Ottaviani e Tardini si
convinsero che Roncalli sarebbe stato un Papa di transizione,
l'analisi di tale dossier dev'essere stata trascurata, o
considerata inutile dal punto di vista morale a causa del
giuramento che avrebbe seguito l'elezione papale. Erano sicuri di
poter pilotare quell'anziano, presuntamente docile, Angelo
Roncalli.
Forse in quell'occasione l'interessato si prestò a
scrivere in grande sul suo dossier di non essere mai stato
modernista.
Ritenevano allora, che se non si era convertito lo si sarebbe in
seguito all'elezione.
Comunque, per loro, in quel momento era più importante
stabilire un accordo per la conferma di Tardini a segretario di
Stato vaticano, nel caso Roncalli fosse stato eletto, piuttosto che
approfondire l'ortodossia di quel candidato al Papato.
Così, dopo le trattative per assicurarsi delle
"buone" intenzioni di quel cardinale visto come
"buono", malgrado il suo dossier lo rivelasse
sospetto, divennero i principali elettori di Roncalli nel Conclave
del '58.
Conferma la scelta di questa strana candidatura, scelta che avrebbe
guidato quella di altri cardinali, il giornalista Emilio Cavaterra,
biografo del «Carabiniere della
Fede» («Il Prefetto del
Sant'Offizio», Mursia, Milano, 1990).
Tale leggerezza riguardo all'elezione del successore di Pio XII
era in stridente contrasto con le affrante preoccupazioni del
Paparegnante, che prima di morire aveva previsto:
«dopo di me il diluvio».
Secondo Pio XII infatti il meno peggio dei candidati sarebbe
stato il cardinale Siri, subito scartato perché troppo
giovane e avrebbe avuto un Pontificato troppo lungo per le
intenzioni di allora.
Perciò scelsero il vecchio Angelo Roncalli, scelta di cui si
sono poi pentiti amaramente, ma troppo tardi: ormai l'operatore
della mutazione della Chiesa era già stato elevato alla
posizione per compierla.
L'enigma di quel giuramento solenne
«Io prometto: di non
diminuire o cambiare niente di quanto
trovai conservato dai miei probatissimi antecessori
e di non ammettere qualsiasi
novità, ma di conservare e di
venerare con fervore, come vero loro
discepolo e successore,con tutte le mie forze e
con ogni
impegno,ciò che
fu tramandato;
di emendare tutto quanto emerga in contraddizione con
la disciplina canonica, e di custodire i
sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri
Pontefici, quali comandamenti divini e
celesti, (essendo io)consapevole che
dovrò rendere stretta ragione davanti al
(Tuo)giudizio divino di tutto quello che
professo; Io che occupo il Tuo posto per divina
degnazione e fungo come Tuo Vicario, assistito
dalla Tua intercessione (...)
Perciò, ci
sottoponiamo al rigoroso interdetto dell'
anatema, se mai qualcuno, o
noi stessi, o un altro,
abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità
in opposizione alla Tradizione
evangelica, o alla integrità della Fede
e della Religione, tentando di cambiare qualche cosa
all'integrità della nostra Fede,
o consentendo a chi pretendesse di
farlo con ardire sacrilego. (...)» (dal:
«Liber Diurnus Romanorum
Pontificum», pagine 44 o 54, P. L.).
Nessuno ignora che Giovanni XXIII, per la sorpresa di molti, sia
stato l'iniziatore di un processo di profonda mutazione nella
Chiesa.
Eppure il giuramento papale lo escludeva.
Alla luce di questo giuramento, così come di quello
precedente, «antimodernista», si
deve dedurre che Giovanni XXIII non credeva, o che esso potesse
riferirsi al suo «aggiornamento», o
che lo potesse vincolare, o che le mutazioni legate al piano che
lui doveva attuare, anche se già condannate dalla Chiesa
tradizionale, fossero sgradite a Dio.
Tali giuramenti esistono, però, proprio perché chi li
presta dimostri di ritenersi pubblicamente vincolato ai loro
termini dettati dalla Chiesa.
A questo punto, in vista dei sistematici cambiamenti che Giovanni
XXIII ha operato, come sarà descritto, si può pensare
che per la sua fede modernista essi non raffiguravano un male ma un
bene secondo i «bisogni dei tempi».
Infatti, per i modernisti, oggi può essere un bene quanto
ieri la Chiesa riteneva un male, per esempio «i
valori dell'illuminismo».
In tal caso è la continuità del magistero della
Chiesa che andrebbe rivista e ogni mezzo per raggiungere questo
fine, anche qualche spergiuro, può essere buono.
Quale continuità qualifica la missione
papale?
La continuità dev'essere vista sia nel rapporto
della Chiesa con l'autorità divina, sia nel suo rapporto
con l'insegnamento e la
diffusione della fede.
Il Papa non trae il suo potere dalla propria intelligenza o
competenza, né da idee o scienze umane, che sono per natura
relative, ma dalla parola del Salvatore tramandata senza soluzione
di continuità.
Per rappresentare l'autorità divina il Papa, conoscendo la
debolezza umana, si fa assistere da una cerchia di fedeli saggi e
santi.
In questo senso il Papa quando accetta la carica presta un
giuramento solenne ed è attento ai saggi consigli dei suoi
fratelli nell'apostolato.
Si conosce bene l'evento dei giudaizzanti, per cui san Paolo ha
affrontato in faccia san Pietro, che accolse la dura critica e poi
avrà pure ringraziato.
Il Papa ha una missione vicaria.
Nei nostri tempi quest'assistenza necessaria procede
ordinariamente dalla curia romana che circonda il Papa, così
come per i gravi problemi ricorre straordinariamente ai Concili
ecumenici, presieduti dal Papa, quando sono vagliati importanti
documenti apostolici; tutto onde evitare ogni minaccia di
deviazione dalla missione di preservazione e diffusione della fede
integra e pura, come fu affidata alla Chiesa dal Signore.
Allo stesso modo la Chiesa ricerca la redazione più chiara,
che eviti quelle ambiguità che mascherano errori ed eresie.
Perciò conservava la lingua latina, che a causa della sua
costruzione è adeguata ad esprimere concetti filosofici e
sentenze giuridiche.
Si può perfino credere che nella preservazione del latino
per l'uso della Chiesa ci sia stata la mano della Provvidenza.
Il Vaticano II, però, non è riuscito neppure con un
po' di latino a coprire errori ed eresie in mezzo a sterminate
ambiguità.
Come riconoscere allora in esso continuità nella
rappresentazione della parola divina?
Ecco che riguardo all'autorità divina, l'
«aggiornamento» di Giovanni XXIII
s'è rivelato di rottura e non poteva essere altrimenti.
Contravvenendo al giuramento di preservare «quanto
trovò conservato dai suoi probatissimi
antecessori», ogni suo frutto era già
degenere. Perciò, quanto al rapporto di continuità
con l'insegnamento e la diffusione della fede, Giovanni XXIII con
il suo Vaticano II, rinunciando all'infallibilità della
Chiesa, ha dimostrato la sua deliberata intenzione di
discontinuità.
Quali mutazioni Giovanni XXIII voleva
operare nella Chiesa?
Le deviazioni dell'ecumenismo
«pancristiano», in subdolo
contrasto con la dottrina della Chiesa seguivano le
«novità ecumenistiche» di
don Lambert Beauduin OSB, l'uomo di fiducia del cardinale Mercier,
che in seguito alla pubblicazione dell'importante enciclica
«Mortalium animos» si era trovato
costretto a dare le dimissioni da priore del monastero di Amay.
Mentre, però, Pio XI accusava il tentativo eretico di
Beauduin, Roncalli lo riteneva buono.
Perciò don Lambert, ricevuto festosamente dal nunzio
Roncalli a Parigi, diceva nel 1958: «Se eleggessero
Roncalli Papa tutto sarebbe salvo; egli sarebbe
capace di convocare un concilio per consacrare
l'ecumenismo ... abbiamo la nostra
chance;i cardinali,nella
maggior parte, non sanno cosa devono fare. Sono
capaci di votare per lui». Questo
«maestro», quindi, non poteva
restare nemmeno come priore di un convento, ma il suo discepolo,
Roncalli, sarebbe addiritura papabile, e divenuto Giovanni XXIII,
ha voluto attuare «il metodo di don Beauduin...
quello buono».
Così ha operato nel senso di promuovere quella liturgia e
quell'ecumenismo... per una nuova uguaglianza tra le chiese.
Tre giorni prima dell'indizione del Vaticano II, Roncalli confida
ad Andreotti: «Molte delle anticipazioni di
allora [del modernismo] erano poi divenute
feconde realtà. Il Concilio le avrebbe
costituzionalizzate"
(«I quattro del Gesù Storia di
un'eresia», rizzoli, 1999, pagina 104).
Ed ecco la conferma che quest'intenzione è nel
«pensiero conciliare» che continua
ad essere predicato come cattolico dai suoi successori.
Lo vediamo da come si esprimeva il cardinale Ratzinger ieri e da
come lo fa oggi Benedetto XVI, riguardo al programma del Vaticano
II iniziato da Roncalli.
Di tale «aggiornamento» l'allora
prefetto della Congregazione per la Fede, ne è stato tanto
promotore quanto esecutore, avendo rivelato a Vittorio Messori
(«Inchiesta sul Cristianesimo»,
SEI, Torino, 1987, pagina 152): «Il problema degli
anni sessanta era di acquisire i migliori valori espressi in due
secoli di cultura liberale.
Ci sono infatti dei valori che,
depurati e corretti, anche se nati
fuori della Chiesa, possono trovare il loro
luogo nella visione del mondo. Questo é
stato fatto» (dal Vaticano II).
Si trattava del processo di
«ralliement»
(«allineamento») clericale al mondo
moderno, con la scusa che la Chiesa andava aperta ai
«valori migliori espressi da due
secoli di cultura liberale» (ibidem);
cioè alla libertà, eguaglianza e fraternità
rivoluzionarie.
Il piano d' «aggiornamento» della
Chiesa, messo in atto da Giovanni XXIII, proveniva da idee estranee
alla cattolicità e perciò non poteva che essere
orchestrato da potenti «lobby»
rivoluzionarie servite dall'ingenuità, ignoranza o
complicità di preti non sempre consapevoli che il piano
mascherato da «aggiornamento
culturale» mirava a una vera inversione religiosa.
Chi può negare che Giovanni XXIII operò per abbassare
le difese della Chiesa e per aprire la sua dottrina
«assoluta» a un
«aggiornamento» relativo ai tempi?
Ciò non poteva che essere ordito da quanti volevano la
Chiesa allineata «ai migliori valori espressi in due
secoli di cultura liberale»; un nuovo ordine
mondiale.
Aggiornamento alla cultura liberale era la
parola d'ordine.
Come si è visto, Giovanni XXIII spesso parlava attraverso le
sue scelte «pastorali», ossia di
nuovi pastori da lui eletti.
Uno di questi fu il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia che,
assistito dal teologo Karl Rahner, aveva per teologo personale il
giovane prete Joseph Ratzinger.
Egli è riconosciuto come la colonna portante del Vaticano
II, o forse, come la corrente principale del Reno che è
sfociata nel Tevere.
Nel 1961, nella sua conferenza a Genova esprime quello stesso
desiderio di Giovanni XXIII per un cambiamento profondo nella
Chiesa: egli dice che ormai bisognerà fare della Chiesa
cattolica una Chiesa più universale.
Egli dice a chiare note che il compito particolare della Chiesa di
oggi è lo sguardo sull'umanità tutta intera come un
tutto: «Essa dovrà diventare Chiesa
universale in un senso ancora più vasto
di quello che sia stato sinora».
Come se la Chiesa non fosse universale.
«Universale» è la traduzione
del termine «cattolica»
(«cattolica» è la parola
greca, «universale» la
corrispondente latina).
La tradizione ha dato al termine
«cattolica» un senso preciso per
significare che la Chiesa deve
«conglobare» riunire, portare
all'unità... della verità e all'unità della
fede.
Ora, il termine «chiesa universale»
è impiegato come definizione di una chiesa aperta a tutto;
l'idea che spuntava già nella conferenza del cardinale
Frings, il quale aggiungeva: «Ci si può
domandare tuttavia se non permanga altrettanto urgente il dovere di
rivolgere lo sguardo a nuove forme
dell'annuncio cristiano».
Il grave problema è che cambiare i termini dell'annuncio
evangelico vuol dire rischiare di cambiare il Vangelo. È
impossibile cambiare impunemente i termini che esprimono la fede
senza alterare anche la sua essenza.
La Mutazione programmata per la Chiesa
Essa passava per le tre iniziative annunciate da Giovanni
XXIII, ossia un Nuovo Codice di diritto canonico, un Sinodo Romano
e il Concilio Vaticano II.
Ma le iniziative non annunciate, ma promosse, erano molte: una
nuova Curia, adatta ai nuovi tempi, una serie di promozioni di
senso rivoluzionario, una nuova religiosità che facesse a
meno di eventi come Fatima e stigmatizzati come padre Pio,
l'apertura del Collegio cardinalizio alla Chiesa nel mondo, la
presa di distanza dai vecchi e nuovi «profeti di
sventura».
Tutto questo secondo i nuovi
«principi» per cui si doveva
privilegiare quel che unisce su quel che divide: una gestione
religiosa di segno ecumenistico.
Una gestione degli opposti, anche in materia religiosa, era
perciò la meta prioritaria del modernismo roncalliano,
aperto a molte richieste mondane, come l'equiparare
l'autorità divina della Chiesa ai poteri democratici del
mondo; ridurre la rivelazione a capitolo dell'umana conoscenza;
declassare l'attività della Chiesa a quella di ente
sociale; presentare il dogma e la filosofia cattoliche come
dialettica discutibile; risolvere l'incompatibilità tra
l'insegnamento cattolico della «verità
una» e i «lumi»
del pluralismo moderno.
Tale sono le contraddizioni che il modernismo conciliarista
applicherà alla religione e alla cristianità,
affinché la Chiesa di Cristo finalmente potesse svolgere una
«animazione» democratica che conglobasse ogni
culto.
Giovanni XXIII rivoluzionario mascherato?
Dai primi giorni del suo pontificato Roncalli sconvolse la
vita tradizionale del Vaticano come mai prima era avvenuto, con
battute spiritose, che lo resero protagonista della cronaca e
personaggio di prima pagina dei giornali del mondo.
La grande comunicazione passò a disporre di un pastore
secondo i suoi bisogni perché solito scherzare sugli
argomenti più seri e sacri.
L'atteggiamento di fiducia nel mondo e nelle proprie forze, che
traspariva nell' «ottimismo» di
Roncalli, già indicava un pensiero con radici pelagiane, che
fu notato nel mondo cattolico ed espresso da alcuni noti scrittori.
«Qualcuno in Vaticano aveva definito Giovanni
XXIII l'Ermete
Zacconi (attore della fine del secolo che passava dal
dramma alla commedia) della Chiesa
moderna, per quella sua innata
abilità di presentarsi sotto gli aspetti più
disparati. Roncalli infatti aveva due volti che dominava
perfettamente. Quello per
tutti e per
l'ufficialità,
amabile e semplice,
l'altro,quello
che contava tremendamente, fermo e
deciso, ostinato e
definitivo.A tratti, a chi
gli stava a un metro di distanza,
poteva capitare di afferrare,dietro la
maschera bonaria e al sorriso per tutti, un
lampo del volto autentico. In una boutade nel corso di
una conversazione, in un cenno delle sue
mani...erano le rivelazioni del suo carattere
che sapeva essere duro, a volte,
fino a sfiorare la spietatezza».
Padre Pio «Un esempio ignoto ai
più: sobillato dai suoi consiglieri
negò al povero padre Pio la benedizione apostolica in
occasione del cinquantesimo sacerdotale del frate,
nell'agosto 1960,
e gli impedì di impartire ai fedeli accorsi a San
Giovanni Rotondo la benedizione
papale.L'anticomunismo
del cappuccino dalle stimmate era ben noto in
Vaticano, e la Casa
'Sollievo della Sofferenza'il grande
ospedale realizzato con le offerte da tutto il mondo,
solleticava la cupidigia ardente di tanti
monacati»
(«Nichitaroncalli», Franco
Bellegrandi, EILES, Roma, 1994).
Giovanni XXIII tagliava corto quando sentiva le denunce di
persecuzioni contro il monaco santo (confronta il cardinale Bacci),
tra cui quelle da parte del suo segretario Capovilla.
Inoltre era al corrente delle microspie nascoste nel confessionale
per spiare le confessioni di padre Pio (confronta
«Il calvario di padre Pio»,
Giuseppe Pagnossin, 2 volumi, Padova, 1978; «I
Nemici di padre Pio», Francobaldo Chiocci,
«Reporter», 1968;
«Nel Nome del Padre», Luciano Cirri
e E. Malatesta, Aquili edizioni Roma, 1989).
Per assistere la missione apostolica nel seno del Corpo mistico non
mancano gli aiuti profetici e mistici, la cui accoglienza dipende
proprio dalla fede e amore del Pontefice, attento alle parole di
san Paolo sulle profezie, non fidandosi mai del proprio giudizio
nel trattare con presunte «ispirazioni
dall'alto», contro ogni criterio di
vigilanza e prudenza per quanto riguarda la difesa della fede nel
mondo attuale.
Di fronte ai fatti soprannaturali, la Chiesa va «con
i piedi di piombo». Tra le migliaia di miracoli
avvenuti a Lourdes in questi cent'anni successivi
all'apparizione, per esempio, ne sono stati riconosciuti solo una
sessantina.
Potrebbe un capo della Chiesa, aderire allegramente ad una sua
«ispirazione» su un evento cruciale
per i destini dell'umanità?
Non è forse emblematico, per conoscere lo spirito di tale
rivoluzionario, pesare la sua intenzione di ridimensionare Fatima e
anche padre Pio, mentre presentava come divina l'
«ispirazione» che gli aveva fatto convocare il Vaticano
II?
Non sorprende che poi perfino Paolo VI abbia visto quale fumo si
addensava sul Vaticano.
Un rinnovamento?
«Si propendeva a credere che certe battute
attribuite al nuovo Papa e che facevano il giro di Roma,
fossero proprio vere. Come quella per cui a qualcuno
che gli domandò se era stato lui stesso
a scrivere la sua prima enciclica 'Ad Petri
Cathedram', rispose che
l'aveva
letta.[…]Nel frattempo lavorare alla
Radio Vaticana divenne davvero imbarazzante. I
discorsi di Giovanni XXIII in diverse occasioni
(noi dovevamo tradurli, riassumerli e
trasmetterli)erano
compilati alla buona, se di
compilazione si trattava, e presto,
tra i miei colleghi
francesi,tedeschi,portoghesi,
spagnoli e polacchi, si passò a
esprimere apertamente le nostre impressioni
negative.Si dovevano operare drastici tagli per
modificare certi passaggi incomprensibili» (R.
Anderson, «Memoirs», Roma,
1994).
La Chiesa del Nuovo Codice
Il 25 gennaio del 1959, Giovanni XXIII, visitando la
basilica di San Paolo fuori le Mura,
«annunciò la prossima convocazione di un
sinodo diocesano
dell'Arcivescovato di
Roma, di un concilio ecumenico e la revisione
del Codice di Diritto Canonico. Nella sorpresa generale,
si è arrivati ad una comune
convinzione: Giovanni XXIII mirava ad una ristrutturazione
di tutta la Santa Chiesa. Il sinodo di Roma ne sarebbe il
modello, il Concilio avrebbe impartito
le direttive e il nuovo Codice ne avrebbe
fissato le leggi ordinarie dando insomma corpo,
esistenza e vita alla nuova Chiesa, destinata a sostituire
quella vecchia di due millenni... Con la
recente pubblicazione di questo nuovo Codice,
resta confermata integralmente la convinzione suscitata
nei fedeli... il nuovo
Diritto può essere inteso come uno sforzo per
tradurre in linguaggio canonico l'ecclesiologia
conciliare: Chiesa = popolo
di Dio = comunione;
autorità
ecclesiastica = servizio
collegiale;insomma sulla Chiesa incombe il
dovere dell'ecumenismo» (Monsignor António
de Castro Mayer, DAC, «Monitor
Campista», Campos, Brasil, 17 aprile 1983).
Qui basta ricordare che nel nuovo Codice, nato dal Vaticano II,
sono state inserite novità su cui incombe l'accusa di
eresia, ma sono state rimosse delle condanne, come quella della
Massoneria!
Promozione di una gerarchia modernista
Giovanni XXIII decise subito di
«ringiovanire» il vecchio Collegio
cardinalizio onde rimpiazzare la generazione di elettori del tempo
di Pio XII con una nuova della sua linea.
Perciò promosse un buon numero dei «suoi»
preferiti, primo fra tutti Montini e, in seguito, Bea.
Convocò tre concistori nello spazio di venti mesi,
oltrepassando
ampiamente il numero massimo previsto fino allora di settanta
cardinali stabilito da Sisto V, il cui criterio in quattro secoli
nessun Papa aveva osato cambiare perché ordinato alla difesa
della continuità dottrinale, suscettibile d'essere alterata
se l'equilibrio tra nuovi e vecchi nel Collegio cardinalizio fosse
stato drasticamente rinnovato.
Nel conclave del 1963, alla sua successione, per la quale aveva
raccomandato dal letto di morte Montini, il Collegio era
sostanzialmente rinnovato e contava 84 cardinali elettori.
Si iniziava cosi il mutamento anche negli equilibri per la
continuità dottrinale degli elettori del Papa, mutamento che
sarebbe compiuto dai successori, quando si stabilì perfino
un limite d'età per votare ed essere votato.
Mentre Pertini era eletto presidente d'Italia, cardinali
più giovani di lui erano esclusi da quel collegio di nuovi
saggi elettori.
Ad ogni modo, per Giovanni XXIII, c'era allora un grande
«saggio» da promuovere.
La scelta di Bea come suo braccio destro
L'operazione cambiamento avrebbe fatto leva sulle opinioni dei
vescovi, attraverso il nuovo potere attribuito alle conferenze
episcopali nazionali, strumento di pressione sull'autorità
della Curia romana che normalmente era l'estensione
dell'autorità del Papa e ancora operava in
continuità con il Magistero e il Papato precedenti e quindi
di Pio XII. Se ora la Curia doveva essere piegata ciò
dimostra l'avversione di Roncalli, fatto ricorrente nella sua
carriera, da Bergamo a Venezia, per il Magistero tradizionale.
Per sottomettere la Curia, senza dare troppo nell'occhio nel mondo
cattolico, serviva un nuovo organo ecclesiastico che, diretto da un
prelato «al di sopra di ogni sospetto», portasse avanti
l'operazione «aggiornamento»,
anche dottrinale, secondo le direttive impartite dall'alto.
E così nel 1960 tornò in scena a Roma un anziano
gesuita, coetaneo ma conosciuto da Roncalli solo per le sue
tendenze bibliche, per cui disponeva di una abbondanza di titoli
adeguati al ruolo: padre Agostino Bea, direttore del Biblico,
confessore di Pio XII ed «esperto
di avvicinamenti «ecumenici», anche
con gli ebrei, conduceva allora vita ritirata, dovuta al declino
fisico; ma, «riscoperto» da Giovanni XXIII, d'un
tratto ritrovò tutta la sua forza.
Il Segretariato affidato a Bea era veramente una novità
speciale, era il «Segretariato per la
(nuova) promozione dell'unità cristiana
(che avrebbe incluso anche gli
ebrei)».
Bea, suo primo segretario, fu subito fatto cardinale per guidare un
organo, tanto onnipotente da ricevere nel 1962 lo status ufficiale
di commissione conciliare.
Essa, per svolgere la sua operazione ecumenista avrà poteri
per cancellare perfino giudizi del Sant'Uffizio su questioni di
fede.
Il cardinal Bea
La testimonianza di monsignor Marcel Lefebvre
Questo prelato, che ebbe un ruolo di rilievo nella
preparazione del Vaticano II, è testimone di molte gravi
anomalie accadute in quei giorni.
«Devo raccontarvi un piccolo incidente accaduto nel
1962, quando ero membro della Commissione
centrale preparatoria del Concilio. Noi tenevamo le
nostre riunioni in Vaticano ma l'ultima fu
drammatica. Nei fascicoli dati alla Commissione centrale ve ne
erano due sullo stesso soggetto: uno veniva
dal cardinale Bea,
presidente della Commissione per l'unità e
l'altro veniva dal cardinale Ottaviani, presidente della
Commissione teologica. Quando li
abbiamo letti, quando io
stesso ho letto questi due schemi, ho
detto: 'é molto strano,
sono due punti di vista sullo stesso soggetto
completamente diversi, ossia la
libertà religiosa o l'attitudine della
Chiesa di fronte alle altre religioni'. Quello
del cardinale Bea era intitolato 'De libertate
religiosa'; quello del cardinale
Ottaviani 'De tolerantia
religiosa'. Vedete la differenza,
la profonda differenza? Cosa
accadeva?Per qual motivo due schemi
completamente diversi sullo stesso
soggetto? Al momento della
riunione, il cardinale Ottaviani si alza
e, segnandolo col dito,
dice al cardinale Bea:
'eminenza, lei non aveva il diritto
di fare questo schema,non
aveva il diritto di farlo, perché
è uno schema teologico e dunque di pertinenza della
Commissione di teologia'. E il cardinale
Bea alzandosi dice:
'Scusi, avevo il diritto di fare questo schema come
presidente della Commissione dell'unità:
se c'è un soggetto che interessa l'unità
é proprio l'unità
religiosa', e aggiunse rivolto al cardinale
Ottaviani: mi oppongo radicalmente a quanto
dite nel vostro schema 'De tolerantia
religiosa'. […] Fu
l'ultima seduta della Commissione
centrale e chiaramente potemmo avvertire, alla vigilia del
Concilio, prospettarsi davanti a noi, tutta la
lotta che si sarebbe svolta durante il
Concilio. Ciò vuol dire che queste cose
erano preparate già prima del
Concilio.Il cardinale Bea non ha certo fatto il
suo schema 'De libertate
religiosa' senza essersi accordato
con [Giovanni XXIII e... ]altri
cardinali. E'questo molto
importante e molto grave perché se ne desume che
il Concilio dell'aggiornamento era stato
preparato. Ed è per questo che tutti gli
schemi del Concilio già preparati furono respinti, le
commissioni rimaneggiate e che ci si oppose alla lista dei membri
delle commissioni preparatorie del Concilio che, certo senza
imporlo, il cardinale Ottaviani proponeva. Così ci trovammo
al Concilio in una situazione veramente penosa e capimmo che quelli
che erano conservatori, che restavano fedeli ai princìpi di
sempre, alla tradizione di sempre, non erano più ascoltati,
non erano più sostenuti dalle autorità, soprattutto
quando, dopo l'elezione di Paolo VI, furono nominati i quattro
moderatori del Concilio:i cardinali
Döpfner, Suenens, Lercaro, Agagianian. Questa nomina diceva
chiaramente che il vento soffiava in favore dei cardinali
liberali».
L'accoglienza delle richieste del 'B'nai
B'rith', avanzate attraverso il professor Jules Isaac,
ricevuto il 13 giugno del 1960 da Giovanni XXIII.
Esse versavano nel senso di una
«revisione» dei termini del Vangelo
riguardo al deicidio e l'apertura dell'ecumenismo ai
«fratelli maggiori», rappresentati
dal «B'nai
B'rith».
Questa iniziativa presso il Vaticano della più potente,
influente ed antica organizzazione internazionale giudaica, fondata
nel 1843 come loggia riservata agli ebrei, aveva suscitato gran
sorpresa.
In Francia, molti sono gli uomini politici ad essa legati secondo
un'inchiesta sul suo modello massonico pubblicata da Emmanuel
Ratier («Mystéres et Secrets des
B'nai B'rith», edizione
italiana Sodalitium).
Si puo vagliare il grado di potere ricevuto dal cardinale Bea per
la missione di avvicinamento, affidatagli da Giovanni XXIII, dalle
modifiche da lui introdotte nei testi liturgici riferiti agli
ebrei, nella redazione della «Nostra
aetate» del Vaticano II e poi, dall'invito ad
aperture verso le sinagoghe, culminanti con quella di Giovanni
Paolo II alla sinagoga di Roma e al muro del pianto.
Il cambiamento della posizione dottrinale è evidente nei
successivi «Orientamenti
conciliari».
Il 24 giugno 1965, capi conciliari approvano il documento ufficiale
di invito ai cristiani affinché, insieme agli ebrei,
«preparino il mondo alla venuta del
Messia».
Invito che traspare nel «nuovo
catsmechio» (numero 840): «quando
si considera il futuro, il popolo di Dio dell'Antica Alleanza e il
nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi:
l'attesa della venuta (o del ritorno) del
Messia».
La Fede nella venuta di Cristo o nel Suo rifiuto avrebbero fini
analoghi! Quale pensiero sofistico,
«gnostico» o modernista è
stato capace di tale sproposito per cui la necessità di
conversione degli ebrei al Vangelo di Cristo, prima missione degli
Apostoli, di san Pietro e della Chiesa, sarebbe, secondo i nuovi
profeti, ormai confusione del passato!
Era l'influenza del Sant'Uffizio il
problema di Roncalli?
La dimostrazione che Roncalli intendeva cambiare la Chiesa, senza
però scoprirsi nel campo dottrinale e liturgico, si
può verificare con i suoi sordi confronti con la Curia.
Questa, forte ancora delle recenti encicliche di Pio XII, emetteva
decreti, proibizioni e «monitum»,
che Giovanni XXIII non poteva rifiutare, ma che poteva
neutralizzare o compensare.
Un caso clamoroso fu quello della scelta di Bea, che, essendo stato
direttore del Pontificio Istituto Biblico, diventò il
braccio destro di Giovanni XXIII e ebbe l'ordine di
«aggiornare» quell'Istituto eretto
come diga per contenere le eresie razionaliste contro la parola
divina.
Per compiere l'opera, però, doveva superare ancora la
Commissione Biblica dove c'erano monsignor Antonino Romeo e
monsignor Francesco Spadafora che, appoggiati dal cardinale
Ottaviani e da altri, operavano esponendo con coraggio ai vescovi
tali distorsioni
A quel punto Giovanni XXIII lasciò cadere il suo volto
«buono», minacciando la chiusura
della Commissione, che però continuò la battaglia del
«Biblicum» fino alla prima sessione
del Vaticano II, riuscendo a limitare i danni della nuova esegesi
razionalista, che doveva, nel piano modernista, imbottire di
novità la Costituzione dogmatica «Dei
Verbum».
Durante il periodo della preparazione del Vaticano II, che
durò più di quello dello stesso Concilio,
verificò in Vaticano l'intrinseca contrapposizione tra le
due fazioni: tradizionale e modernista.
La prima, rappresentata dalla Curia, cioè dagli ausiliari
diretti dei Papi cattolici, la seconda da un elenco di chierici che
avevano, in tempi prossimi o remoti, cercato di trasformare la
dottrina cattolica, meritando richiami o anche censure papali.
Eppure, come s'è dimostrato evidente, Giovanni XXIII
pendeva paradossalmente per questa parte.
Chi, se non lui, volle tanti teologi sospetti in quella sede?
All'elenco ufficiale presentatogli, lui aveva aggiunto a mano i
nomi di De Lubac e Congar.
Quanto ai prelati di Curia, essi passarono ad essere o declassati o
indirettamente esautorati.
L'elenco è lungo: il cardinale Pizzardo non è
rimasto nella sua carica nel Sant'Uffizio; il cardinale Tardini,
sentendosi esautorato nella preparazione del Vaticano II,
arrivò ad annunciare pubblicamente le sue dimissioni, ma
morì l'anno dopo, forse di crepacuore.
Parimenti il cardinale Cicognani.
Sono molti i casi che dimostrano come il «Papa
buono» adoperasse il peso della sua
«bontà» per piegare la
coscienza di importanti membri della Chiesa.
Significativo è il caso del cardinale Gaetano Cicognani.
Nel 1962, il famigerato monsignor Bugnini presentava il suo
«schema» per la riforma della
Liturgia alla Commissione preparatoria per la Liturgia.
Il suo presidente, cardinale Gaetano Cicognani, accorgendosi che
essa nascondeva dei pericoli si rifiutò di firmarla.
Consapevole che senza quella firma lo
«schema» sarebbe stato fermato,
Bugnini si appellò a Giovanni XXIII, che s'impegnò
ad intervenire. Chiamò, infatti, il cardinale Amleto
Cicognani, suo segretario di Stato e fratello minore del presidente
della Commissione Liturgica, per ordinare che visitasse suo
fratello e non tornasse da lui finché lo
«schema» non fosse firmato.
Il Cardinale eseguì l'ordine e ottenne dal fratello, quasi
in lacrime, quella firma che era violenza alla sua coscienza di
liturgista.
Quattro giorni dopo l'anziano cardinale moriva! (vedi Michel
Davis, «The Council of Pope John»,
Augustine Press, Dickinson, Tx, 1990).
Il «think tank»
teologico della rivoluzione conciliare
Siccome Angelo Roncalli aveva poco del teologo, per far avanzare le
sue idee moderniste sceglieva i pensatori di questa linea; proprio
quelli della «nuova teologia»
condannata da Pio XII come pericolo incombente.
Essi dovevano esercitare la loro influenza in modo decisivo, ma con
studiata discrezione.
Ecco i nomi principali.
Per la Liturgia don Lamberto Beauduin e poi il massone Annibale
Bugnini.
Per l'evoluzione religiosa Teilhard de Chardin e poi Urs Von
Balthasar. Per la filosofia Henri de Lubac e Yves Congar.
Per la teologia Karl Rahner, Joseph Ratzinger e poi Karol Wojtyla.
Per l' «ecumenismo»
cristiano-giudaico Augustin Bea.
L'avvio all'ecumenismo liturgico fu
propugnato da don Beauduin con la sua rivista
«Irenikon» diretta più
all'istruzione del popolo che all'adorazione di Dio.
Tale «pedagogia» ecumenista, giunse
ad elaborare adattamenti dottrinali e portò all'apostasia
molti monaci.
Perciò fu condannata da Pio XI.
Ma per Roncalli: «Il metodo buono è
quello», e infatti, nota il biografo di Giovanni
XXIII, Hebblethwaite: «La sua prima lettera
sull'ecumenismo cita proprio la rivista Irenikon»
(«Mouvement Liturgique»,
abbé Didier Bonneterre, edizioni Fideliter, 1980).
Era l'avvio verso la riforma liturgica del «Novus
Ordo» di Paolo VI.
Ora, la continuità nella fede, palesata nel modo di pregare
secondo il concetto «lex orandi, lex
credendi», è la vita della Chiesa e del
Papato, mentre la rottura di questa continuità non
può che figurare il loro
«abbattimento».
Ma per completare quest' «eccidio»
non bastava un «Papa
rivoluzionario», serviva un concilio pastorale che
fosse ad un tempo il 1789 e il 1917 della Chiesa.
I Concili Ecumenici della Chiesa e il
Vaticano II
Un Concilio generale o ecumenico è un'adunata di tutti i
vescovi per «definire» questioni
fondamentali riguardanti la fede e la morale, e di conseguenza per
condannare formule o posizioni eretiche che vi si oppongono
(confronta san Tommaso Summa, I, q. 36, a 2):
«Dicendum est quod in quolibet concilio institutum
fuit symbolum
aliquod,propter errorem aliquem qui in
concilio damnabatur», (in ogni Concilio fu
compilata una professione di fede che prendeva di mira l'errore
condannato in quel concilio).
Ciò è quanto ribadisce san Roberto Bellarmino in
«De Conciliis et Ecclesia», I, 1 e
2.
«Tutti i Concili Ecumenici
del passato terminarono con la proclamazione di
verità dogmatiche e morali necessarie per la sopravvivenza
della Chiesa, formulate in definizioni e
completate con anatemi che non lasciavano più
scappatoie all'eresia o allo scisma. Gli Atti
di questo Magistero solenne apparvero sempre e
a tutti infallibili e, di conseguenza, vincolanti»
(cardinale Journet, 'Eglise du Verbe
Incarné', t. I, pagina 536)».
Il Magistero ecclesiastico infallibile nella Costituzione
Apostolica «Dei Filius» del
Concilio ecumenico Vaticano (24 aprile 1870) dichiara:
«Bisogna inoltre credere con fede divina e cattolica
tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta
o tramandata, e che viene dalla Chiesa proposto da credersi come
divinamente rivelato, sia con un
giudizio solenne sia con il
magistero ordinario e universale».
(Denzinger, 1792).
La Chiesa insegna perciò che la nota d'infallibilità
è assicurata da Dio a un Concilio ecumenico per il bene
della fede, e che l'insegnamento del magistero ordinario e
universale, anche senza giudizi solenni, dev'essere creduto con la
stessa fede divina e cattolica dovuta alla parola di Dio scritta o
tramandata, perciòinfallibile.
Un concilio per affrontare quale problema?
Nella preparazione del Vaticano II la prima intenzione di Giovanni
XXIII fu proprio quella di
«alleggerirlo» dal suo supremo
valore, ossia dall'infallibilità divina che dispiace al
mondo moderno, per attribuirgli valore pastorale.
Tuttavia, insisteva - come pure Paolo VI, che comparò il
Vaticano II al Concilio di Nicea - sulla sua autorità di
concilio ecumenico.
Era una proposta alquanto scandalosa, ma che fu accettata
passivamente da tutta una gerarchia che non osò contestare
la credibilità del «Papa
buono».
Nell'onda di quest'ambiguità si vedrà che il
Vaticano II, dalla sua preparazione al suo decorso, e finalmente
alla sua applicazione, s'è svelato l'evento più
insidioso della storia del cristianesimo.
Il nuovo «principio» che Giovanni
XXIII applicava nelle sue aperture era che si doveva cercare
più ciò che unisce che ciò che divide
«da genti di religioni e ideologie
diverse».
Ma siccome la carica religiosa deve avere in vista innanzitutto i
princìpi della fede, dato che non si capisce di cos'altro
più importante si possa occupare un prelato cattolico,
questi, applicando tale
«principio», incorre in un
conflitto di valori.
Infatti, parlare di problemi sociali, per esempio, senza tener
conto degli insegnamenti della fede, significa ammettere che quelli
non sono legati a questa, che la fede può essere tenuta
fuori dalle questioni umane. Insomma, significa accettare lo
gnosticismo e l'agnosticismo, caposaldi della filosofia massonica
e del sincretismo antroposofico: tutto può essere accettato,
ogni fede e ideologia anticristiana, perché niente è
più importante di quanto contribuisce alla pace e alla
fratellanza universale. Ecco il compito del Vaticano II.
Come I Giudei hanno plasmato il
Vaticano II
Nel lungo articolo del 25 gennaio 1966, «How The
Jews Changed Catholic Thinking», Joseph Roddy,
Editore del Look Magazine, descrive i principali contatti per
l'apertura di Giovanni XXIII alla «lobby» giudaica,
intenta a «invadere il campo della dottrina e del
dogma di Santa Madre Chiesa».
L'articolo, scritto subito dopo la chiusura del Vaticano II, parla
del
rapporto delle idee inserite nei suoi documenti, come la
«Nostra Aetate», con la politica
del mondo.
Per l'arcivescovo di Aix, Provenchères, il
«segno dei tempi» all'origine di
questo decreto del Vaticano II «è stato
l'incontro di Jules Isaac con Giovanni XXIII».
Roddy documenta il suo seguito e ne intuisce le conseguenze che
abbiamo conosciuto con le visite dei successori di Giovanni XXIII
alle sinagoghe.
Si trattava di accordarsi per condannare il presunto
«odio cristiano» verso i giudei
deicidi a causa dei Vangeli.
A tale scopo e per svolgere un'attività
«ecumenista» che avrebbe spinto
altri gran prelati a inseguire accordi fino ad allora impensabili,
il cardinale Bea ricevette grandi poteri.
Roddy descrive il viaggio di Bea a New York del marzo 1963.
Portato dall'Hotel Plaza all' «American Jewish
Committee».
Lì, poi, il «Sanhedrin»
(Sinedrio) avrebbe ricevuto il capo del segretariato per
l'Unità dei Cristiani (estesa ai giudei).
Era l'inizio della «storia di come potenti
progressisti di Sion e prelati di Roma e dell'America hanno usato
il potere della stampa per provare al pubblico che la penna
e l'agenda modernista-massonica-sionista era
per loro più potente del Dogma e della
Verità!».
Era il risultato dell'applicazione del principio di Giovanni
XXIII: «si deve cercare più ciò che
unisce di ciò che divide», a questi
rapporti religiosi che implicano il massimo conflitto di valori
poiché esso riduce la stessa religione di Gesù Cristo
ad argomento d'intese.
Queste sono possibili su tante questioni sociali, ma quale intesa
ci può essere in questioni religiose ignorando la
verità dei Vangeli?
Per i cattolici l'attentato contro il Verbo di Dio non si compie
con l'uccisione di Gesù Cristo, ma continua con la
diffamazione della sua persona e di sua Madre, con la persecuzione
alla sua Chiesa, con la negazione e stravolgimento dei suoi
Vangeli.
Che senso ci può essere di cambiarli per promuovere la
fratellanza coi Giudei?
E' vero che già Pio XII nel 1949 aveva
accolto il lamento di Jules Isaac sull'uso liturgico
dell'espressione «perfidi giudei».
La parola perfidia, derivata da infedeltà e applicata ai
Giudei aveva
assunto una valenza infamante e andava corretta.
Ma non così per la necessità di conversione dei
giudei a Cristo (1).
E' noto il caso del rabbino capo della sinagoga di Roma
(l'equivalente dell'epoca di un recente Elio Toaff o di un
odierno Di Segni), Israel Zolli che, illustre ed onesto studioso
delle Sacre Scritture convertitosi al cattolicesimo, volle assumere
col Battesimo per riconoscenza il nome del Papa Pio XII, Eugenio.
La fratellanza è nella riconoscenza verso il Padre comune
che inviò suo Figlio per salvare gli uomini affratellati
nella parola divina.
Potrebbe la Chiesa mutarla per evitare l'accusa di antisemitismo?
Potrebbe la Chiesa tacere sulla necessità di conversione a
Gesù salvatore?
«Egli è qui per la rovina e la risurrezione
di molti in Israele, segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti»
(Luca 2, 34).
I pensieri che mutilano la verità non manifestano il mistero
d'iniquità profetizzato come segno precursore della fine
dei tempi?
Siamo al segreto di Maria Santissima: «A te una
spada trapasserà l'anima, perché siano svelati i
pensieri segreti di molti cuori» (Luca 2, 35) che
anche - «ma non
solo» - per questo, per aver avuto
cioè l'anima sua trapassata da una spada, è la
nostra corredentrice.
Araì Daniele
Note
1) Come scrive Leon De Poncins in «
Judaism
and the Vatican»: «
Nel
1949 [Jules Isaac]
ebbe contatti col
clero [modernista]
di Roma,
ed attraverso costoro potè
ottenere un'udienza privata da Pio XII,
col quale si lamentò in favore del
giudaismo, c
hiedendogli di far esaminare
i '
Dieci Punti di
Seelisberg'». [Quindi quello abilitato da
Roncalli era un programma di mutazione della Chiesa già
tracciato da parecchio tempo ed ormai fermo al semaforo solo in
attesa del verde…]