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La notte e il giorno. Dalla “Veglia” all’Angelus.
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Attenzione: non voglio impressionare nessuno, tanto meno impaurire. Ma la coincidenza è da brivido. Il vangelo domenicale di ieri 8 settembre, data per noi italiani fatidica e al tempo stesso giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività di Maria (venerata come Semprevergine sia dai cristiani non-protestanti, sia dai musulmani), faceva sussultare. Gesù, in viaggio verso Gerusalemme, sta predicando in Galilea; e dice, fra l’altro: “…quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con 10.000 uomini chi gli viene incontro con 20.00. Se no, quando quello è ancora lontano, gli manda incontro dei messaggeri per chiedere pace”(Luca, 14, 11-12). Chissà se a San Pietroburgo il devoto cristiano Mister Obama e il neocristianizzato Gaspàdin (ex-Tavàrish) Putin hanno meditato abbastanza su queste poche righe, così attuali.

In poco più di una mezza giornata, fra il tramonto di sabato 7 e il mezzogiorno di domenica 8, siamo stati testimoni di un avvenimento straordinario, difficilmente ripetibile forse, scandito in un due episodi complementari. La “veglia di preghiera” di sabato sera è stata caratterizzata – in Piazza San Pietro come altrove: anche nella mia parrocchia alla periferia di Firenze – dal silenzio ansioso e raccolto, dalla compostezza di una preghiera quasi senza parole se non sussurrate: un contrasto impressionante con le nostre abitudini, con la nostra “cultura” (si fa per dire) del talk show, della “bocca spalancata”, del mariadefilippismo,  del se-non-gridi-non esisti. Sono stati notati sia la presenza di alcuni musulmani, sia la totale assenza di bandiere e di simboli pacifisti. Rovescio diurno della medaglia l’Angelus del mezzogiorno successivo, con un papa Francesco di solito pacato e sorridente e che invece era duro, tirato, quasi un guerriero come lo era nella sua Argentina al tempo delle dichiarazioni per le Malvinas. Ma allora un vescovo poteva essere patriottico: ed erano del resto altri tempi; oggi, quello che ci sta davanti è un paradossale “guerriero della pace”, uno che lascia quasi da parte le espressioni diplomatiche e parla senza veli di interessi sul tappeto, di mercati dell’energia e di traffico delle armi. Perché è di questo che stiamo trattando: e il discorso del pontefice è sembrato quasi una risposta anticipata a quel che dirà Obama domani alla sua gente, quando insisterà sull’”interesse degli Stati Uniti” prima e piuttosto che non della pace nel mondo.

E diciamolo subito alto, contro tutti coloro che dubitano e contro i calunniatori del Santo Padre presenti soprattutto nella ridicola area “cristianista”, quella di certi ultracristriani “di destra”. Diciamolo chiaro. Che Dio benedica questo Papa-Coraggio, che dall’alto della sua finestra di Piazza San Pietro, all’Angelus del giorno della festa della Signora della Pace – che la Chiesa onora però anche come Arca dell’Alleanza portata in battaglia, regina degli accampamenti schierati -,  dichiara senza mezzi termini (è il caso di dirlo: “papale papale”): “Sempre rimane il dubbio: questa guerra di qua, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?”. Dio benedica queste parole semplici, dirette, che tutti possono capire, dette alla buona: valgono davvero tonnellate di inchieste e resoconti, chilometri di trattati di polemologia, miliardi  d’informazioni  circolanti nel web.

Ora, siamo al gioco stretto e duro delle parti. Damasco è sì al centro di tutto: ma, specie dopo il G20, è in fondo lontana e periferica. In pochi giorni sembra di essere ripiombati nel tempo più pericoloso della Guerra Fredda, a qualcosa che sembra quasi richiamare la “crisi di Cuba” dell’ottobre 1962. Con protagonisti che in fondo – un’altra coincidenza… – si somigliano: in entrambi i casi un presidente statunitense democratico e pacifista (Kennedy/Obama), un leader sovietico/russo ex burocrate e poliziotto convertito al “dialogo”(Krushev/Putin). Allora, in fondo ci andò bene. E ora, mezzo secolo dopo?

I consiglieri di Obama, a cominciare dalla temibile coppia Hilary Clinton-John Kerry, gli hanno ben spiegato che ne va del vantaggio elettorale dei democratici e quindi magari perfino della sua permanenza alla Casa Bianca: perché i repubblicani, sparati per la guerra, hanno ora dalla loro il vento del consenso come nel 2001 e nel 2003. E’ per questo che, a lungo titubante (non a caso ha dichiarato che questo non sarà un secondo Iraq…), Obama deve ora giocare di malavoglia quel ruolo del “falco” che non è nelle sue corde  e non gli si addice. Ma proprio perché non è convinto, e sa che tutti lo sanno, deve mostrarsi più deciso dei decisi, deve fare la faccia più feroce di quelli tipo McCain.

Putin dal canto suo va giù più sul liscio. In casi come questo, i leaders autoritari sono sempre avvantaggiati rispetto a quelli che in un modo o nell’altro sono “democratici”. Czar Vladimir sa bene che quando parli ai russi di grinta, di muso duro e di onore nazionale ti seguono tutti, anche gli avversari. Lo sapeva già benissimo Stalin. Con in più, nello specifico, il fatto che la Chiesa ortodossa russa ha un filo diretto con quella cristiano-monofisita siriana, oltre agli arabo-ortodossi veri e propri: e sono, gli uni e gli altri, allineati e compatti dietro ad Assad.

Sono comunque molte, in queste ore, le ambiguità. All’Angelus domenicale, la folla sembrava tutto sommato la stessa, immensa ma omogenea, anche tenendo conto dell’affluenza per la festività mariana: e molti forse, assorbiti dall’intensa consuetudine della preghiera, non si sono nemmeno accorti del discorso “atipico” del pontefice. Ma l’altroieri sera, chi c’era in Piazza San Pietro? E chi in tante altre piazze d’Italia e del mondo? I devoti cattolici, senza dubbio: che stanno ovviamente col papa, e che hanno capito che l’iniziativa della veglia e del digiuno vale anche a rinforzare e a rilanciare la Chiesa che ne ha molto bisogno. I pacifisti, riconoscibili anche se avevano per qualche motivo rinunziato alle loro bandiere, che nell’appoggio così deciso del papa hanno strumentalmente trovato un insperato supporto. Tutti coloro che in un modo o nell’altro avvertono il peso della “sovranità militare limitata” e sanno che, qualunque faccia e dica il ministro Bonino, gli eventuali bombardieri statunitensi partiranno comunque da Sigonella. I musulmani preoccupati del fatto che la fitna sunnita contro sciiti e alawiti, scatenata dal re dell’Arabia Saudita e dall’emiro del Qatar, ha nella questione siriana il suo attuale banco di prova decisivo.

Il mio caro amico Matteo Renzi, sindaco di Firenze, prima del giorno della “veglia di preghiera” aveva da buon cattolico dichiarato di sentirsi “più vicino al papa che ad Obama”: ma aveva anche aggiunto che dal canto suo non avrebbe digiunato, fine strizzata d’occhio all’ambasciatore statunitense del cui appoggio l’economia fiorentina ha tanto bisogno. Io, che invece ho digiunato “all’antica” (dal dopocena del 6 alla prima colazione dell’8), e che oltretutto di digiunare ho bisogno per questioni di sovrappeso e di colesterolo, debbo comunque far notare a Matteo due cose. Primo: anche a lui ch’è giovane un po’ di digiuno farebbe bene. Secondo: non c’è almeno per ora  spazio per stare “più da una parte che dall’altra”, dal momento che in questo momento Obama e il papa non sono in posizione divergente. Sono in rotta di collisione, e bisogna decidersi.

Inutile chiedersi poi che cosa c’è di vero a proposito del bombardamento con il gas SARIN del 21 agosto scorso, repentinamente e inaspettatamente dato per certo senza che se ne esibiscano le prove: Obama, la CIA, i capi dell’ONU e della NATO, al-Qaeda e al-Jazeera sanno altrettanto bene di quanto non lo sappiano Kofi Hannan o Carla Del Ponte che quella è una balla, il solito casus belli taroccato tipo “pistola fumante” di Saddam Hussein. A non andrà troppo lontano, li abbiamo visti tutti in TV, quel giorno, i filmati degli stessi Médécins sans frontières, allineati e coperti dietro la tesi della colpevolezza di Assad,  dove si vedevano bene dei feriti assistiti da gente senza uno straccio di tuta di protezione. Dopo un bombardamento al SARIN? Eh, via!..

La verità è quella, antichissima ed esopea, del superius stabat lupus: Se il governo statunitense stima necessario far la guerra per assicurarsi un vantaggio elettorale interno o per smaltire un po’ di armi ancor oggi ammassate negli arsenali e avviare un altro bel business con la ricostruzione di Damasco, la farà. Ma non c’è da stare tranquilli sull’esito, a parte altre considerazioni: Assad ribadisce da Damasco la sua versione dei fatti (nega cioè di aver usato armi chimiche), per quanto la nostra stampa dia per scontato che “Damasco possiede uno dei più grandi arsenali del mondo” (ricordate il supercannone gigante di Saddam Hussein del quale “Il Corriere della Sera” pubblicò un disegno? Avete presente il povero James Powell che mostra alle TV di tutto il mondo la fialetta con la quale Saddam avrebbe infettato città intere dell’Occidente?). Se queste sono balle vergognose, la replica di Assad suona invece molto seria: “Se venissimo attaccati ci saranno ritorsioni da parte di chi ci appoggia”. Più chiaro di così! Non si tratta solo di russi e d’iraniani: c’è un fronte sommerso, la “guerra asimmetrica”, in altre parole quella che viene definita “terrorismo” da quegli stessi secondo i quali invece usare fosforo bianco, “bombe a grappolo” e droni per massacrare le popolazioni civili (Serbia, Afghanistan, Iraq…) è un’operazione di polizia internazionale a salvaguardia della pace.  In caso non dico di nuove Twin Towers, Dio ce ne guardi, ma insomma di nuovi attacchi di guerriglia, sapete a chi dar la colpa. Non solo a Damasco.

E poi, se Assad sarà sconfitto, se gli faranno fare (com’è probabile) la sorte che spetta non tanto ai “tiranni” quanto a tutti i testimoni scomodi (Mussolini, Ceausescu, Saddam, Gheddafi) o se per il momento lo ridurranno allo stato di semiprigionìa nel suo paese come successe a Saddam dopo la prima guerra del Golfo, che fine farà la Siria? Probabilmente sarà smembrata; e magari in tutta o in parte cadrà nelle mani degli amici e complici del nostro Domenico Quirico, rientrato oggi 9 settembre dalla Siria dov’è stato 158 giorni “ospite” di gente che – ha sobriamente commentato lui – non lo hanno “trattato bene”. I media sono reticenti: molti giornali evitano di spiegare che i carcerieri di Quirico appartengono al fronte dei “liberatori”. Qualcuno fa il paragone con padre Dall’Oglio, che sarebbe invece nelle mani  dei legittimisti o dei loro alleati, tanto per stornare l’attenzione. Molti si limitano a parlare dell’ “inferno” in cui il giornalista è vissuto, ma evitano di dirci chi diavolo lo custodisse. Insomma, Obama si appresta a dar man forte a un pugno di banditi fanatici (organizzati e foraggiati dai Grandi Fanatici, gli emiri sunniti arabi alleati degli USA) per ottenere magari quel che ha ottenuto in Afghanistan (un paese ingovernabile con un governo-fantoccio che cadrà appena gli occupanti se ne saranno andati) o in Iraq (un paese smembrato con un governo sciita alleato di Teheran.

George Bush Jr. era un imbecille criminale. Obama è forse la brava persona che sembra: ma è un debole caratterialmente e politicamente che balla su una musica scritta dalle lobbies delle armi, dai suoi rivali repubblicani e da inaffidabili consiglieri statunitensi e non. Facciamo quindi tutti gli scongiuri aspettando le elezioni del Congresso degli Stati Uniti e il discorso del presidente alla nazione americana, che si annunzia ohimè una cinica tragicommedia. e confidiamo nella saggezza dei restanti leaders mondiali e nella nostra buona stella. La cosa più probabile, a tutt’oggi, è una guerra che si concluda come la prima guerra del Golfo, quella del 1991, con un Assad prigioniero a Damasco al pari di Saddam a Baghdad, tra fly zones e continue minacce, fino alla stretta finale che verrà tra qualche mese o anno. Certo però, a tutt’oggi, la situazione ricorda fin troppo da vicino quella dell’estate 1914. O quella dell’estate 1939.

Franco Cardini

Fonte >
  www.francocardini.net



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