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Politici, ora potete fare pipì
24 Settembre 2013
«Papà, mi scappa la pipì». «Trattienila fino alle elezioni tedesche».
È la fulminante vignetta di Altan di qualche tempo fa. Da almeno un anno a Bruxelles e a Roma ci dicono che bisognava aspettare le elezioni tedesche. «Fino alle elezioni tedesche non ci sarà nessuna decisione importante», sancì per esempio Romano Prodi: ed era l’ottobre 2012. Per mesi hanno camminato in punta di piedi, sussurrato senza alzare la voce (nemmeno parlare dei mitici pugni sul tavolo), per non disturbare i tedeschi che avevano le elezioni. Che tatto, che buona educazione. E che riguardi: quelli s’impicciano dei fatti nostri, praticamente annullano il nostro voto, cacciano Berlusconi e mettono Monti mai votato dagli italiani come pignoratore giudiziario delle nostre banche. E qui da noi: zitti, sennò disturbiamo le elezioni tedesche! Un anno di rimandi: un anno in cui l’euro forte ha finito di massacrare il nostro export, abbiamo aumentato i disoccupati di un milione, la «austerità» imposta da Berlino ci ha desertificato il tessuto industriale e ridotto redditi e poteri d’acquisto a livelli di disperazione, aggravando la crisi e rendendoci sempre meno capaci di rimborsare il debito pubblico (e quelli privati) e di pareggiare il bilancio: conseguenze facilmente prevedibili e previste, ormai, da stuoli di economisti, persino un tempo «europeisti»: la ricetta è radicalmente sbagliata, l’euro è un disastro, cambiamo strada!, così si urlano gli economisti. Niente, il nostro governo doveva aspettare le elezioni tedesche. Ha vivacchiato «facendo i compiti a casa» come l’intendono lorsignori del palazzo: ossia il metodo per loro facile. Invece di ridursi spese e sprechi, i loro e quelli delle loro caste incompetenti e parassitiche ma intoccabili, hanno aumentato le tasse e i balzelli sui produttori. Sapevano che la cosa è insensata, rovinosa e ci ha portati al collasso forse irreversibile – infatti non sono riusciti nemmeno a mantenere il mitico deficit sotto il 3% – ma si trattava di sopravvivere fino alle elezioni tedesche: e poi.... Che cosa poi volevano raggiungere, i nostri, rimandando tutto alle elezioni germaniche? Aiutare a far vincere la Merkel? Oppure al contrario i socialisti? Sventare la sciagura estrema di un’affermazione di Alternative fur Deutschland che, orrore orrore, vuol smantellare la moneta unica? C’era la loro inetta speranza che «dopo», Berlino avrebbe proceduto nel senso di avere «più Europa»; ossia, secondo l’allusione a mezza bocca di Romano Prodi, nell’ottobre 2012, «gli Eurobond». Detto in chiaro: costoro speravano e sperano che i tedeschi avrebbero accettato di mettere in comune i debiti degli Stati-membri: il loro, piccolo e pregiato dai mercati, con quello italiano greco ispanico... O meglio: poiché è noto che gli elettori tedeschi non vogliono, a Roma come a Bruxelles si nutriva la speranza che il Cancelliere appena votato avrebbe tradito la volontà dei suoi elettori e portati a forza in «Più Europa», nel federalismo europeo, ossia costringerli a pagare interessi maggiori perché noi cicale ne pagassimo dei minori. La sola enunciazione chiara di questa speranza basta a denunciarne la vana stupidità. I tedeschi hanno detto un «NO» tondo alla «maggiore integrazione europea». Hanno dato un successo mai visto ad Angela Merkel, ossia quella che nel giugno 2012 ha fatto la seguente dichiarazione: «Mai eurobonds finché io sono viva!». E che successo: nel 2009 le avevano dato il 33%, oggi il 41. Un plebiscito.
Più Europa, sempre meno democrazia > La democrazia è regredita in 15 Paesi europei (su 17): in quelli, il governo è determinato – anziché dai politici locali eletti – sempre più dalla BCE, dall’eurocrazia e dal Fondo Monetario, che dettano le ricette economiche. Come si vede, sono i Paesi nordici e sotto economia tedesca a mantenere un tasso decente di “democrazia”, ossia di autogoverno e di sovranità. I meno “democratici” sono quelli che hanno debiti pubblici più alti, e dunque sono sotto tutela dei creditori. È il bello dell’Europa Unita: la libertà solo a chi può pagarsela. La classifica è stata elaborata dalla Economist’s Intelligence Unit sulla base di 60 parametri, tipo: pluralismo elettorale, libertà civili, partecipazione politica, cultura...
Certo, la Merkel è anche quella che dice: «L’euro è nell’interesse della Germania». Ed è verissimo. La moneta unica fa comodo ai tedeschi, e ormai solo a loro: senza l’euro, avrebbero un marco fortissimo che penalizzerebbe il loro export; senza l’euro, non avrebbero potuto impedire all’Italia di svalutare e dunque di sottrarle mercati. Grazie all’euro, la Germania si finanzia a tasso zero proprio perché noi ci dobbiamo finanziare al 5%. Senza l’euro, non potrebbe per di più farci la lezione e dettarci le «riforme strutturali» mentre lei non le fa (lo dica alle sue banche), ben sapendo che esse faranno di noi dei deserti industriali. Solo quando ci avrà prosciugato come un osso di seppia, ci lascerà cadere e se ne andrà dal guscio vuoto che si chiama eurozona. Mica la critico. La Merkel ha difeso gli interessi del suo Paese durante la crisi finanziaria, ed ha rifiutato di prendere per i contribuenti tedeschi impegni sconsiderati: per «garantire» i debiti degli altri Stati membri del Sud, Berlino dovrebbe trasferire in modo permanente il 4% del suo Pil ogni anno. Sono oltre 100 miliardi. È quello che fa’ la Lombardia verso il Meridione, a sua insaputa. I tedeschi invece sanno e fanno i conti. Certo, c’è della disonestà nel doppio gioco della Merkel, che ci tiene buoni con vaghe promesse del tipo «Fate le riforme e poi si vedrà!». Ma non è tenuta ad essere onesta verso di noi, o ancor meno leale all’utopia Europa; è tenuta ad esserlo verso i suoi elettori. In questo, è esattamente il contrario dei politici italiani, abituati da sempre a tradire la volontà del loro elettorato. Per decenni la DC ha preso voti a destra (la maggioranza) per traghettarli a sinistra a inciuciare col PCI. Dal crollo del Muro, il Pci diventato PD prende i voti a sinistra per sostenere i programmi tecnocratici dei poteri forti: ultimo caso plateale, Bersani che non aveva altro programma che quello di Monti (ma non poteva dirlo così ha fatto una campagna elettorale muta..). Poi, tutti loro si sono fatti delegare dal popolo la sovranità nazionale, per devolverla all’eurocrazia non eletta, un pezzo alla volta, senza dirlo, distraendoci con i loro finti scontri. Adesso, speravano questo: ottenuti i voti «NO», la Merkel li tradirà come facciamo noi, li traghetterà nel «Sì» alla UE, alla unione bancaria, alle euro-obbligazioni, al governo a-sovrano e a-nazionale (ed a-mentale) degli Almunia, Rehn e Barroso. Per questo aspettavano. Per questo camminavano in punta di piedi, rimandavano ogni iniziativa, si tenevano la pipì. Adesso ne prendano atto: i tedeschi hanno votato per il loro interesse nazionale, per una che ha dimostrato di proteggerlo con furbizia. I nostri politici possono adesso andare a fare la pipì, hanno il permesso. Che poi, fuor di metafora, sarebbe: difendere il nostro interesse nazionale, come la Merkel difende quello tedesco, in questa disarticolata mostruosità senza unione né orizzonte comune, che ha una sola cosa in comune: l’euro. Ma sanno che cosa è l’interesse nazionale? Troppo abituati a servire, non lo sanno più definire. Aspettano ordini.
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