A Kiev, i ribelli hanno svuotato arsenali militari e dispongono di migliaia di armi e centomila munizioni: come è avvenuto in Libia, e come in Libia questo ha aperto il vaso di Pandora della strage, dell’anarchia, della guerra di tutti contro tutti. L’Ucraina viene precipitata nell’irreparabile.
Un tentativo di tregua, che stava precariamente tenendo, è stata rotta da estremisti con armi da guerra, e dal tiro di cecchini: una provocazione deliberata. È avvenuto lo stesso in Siria: manifestazioni di protesta per le strade prese di mira da cecchini appostati sui tetti. Cecchini «di Assad», hanno detto i media. Anzi, il Telegraph giunse a titolare: «I cecchini di Assad prendono di mira i bambini non nati».
Ma perché il regime siriano avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Il regime aveva compiuto seri sforzi di riforma, che «durante il 2012 aveva dato un referendum che cambiava la costituzione istituendo il pluripartitismo e mettendo in opera, il 7 maggio, una consultazioone elettorale che dava una maggioranza schiacciante al Fronte dell’unità nazionale raccolto attorno al partito B’ath» (1). I cecchini, da chiunque fossero comandati, mandarono a monte quel processo riformatore, e la riconferma elettorale del baatismo.
Come oggi a Kiev, l’azione dei cecchini invelenì i rivoltosi, e sfollò le piazze da manifestanti ed oppositori civili, lasciando spazio ad estremisti militarizzati: jihadisti a Damasco ed Aleppo, neonazisti fin troppo ben addestrati nella capitale ucraina. Nell’un caso e nell’altro, i leader dell’opposizione politica hanno perso il controllo su questi irriducibili armati, se mai l’hanno avuto.
Qualcosa del genere avvenne anche in Egitto, cecchini spararono in piazza Tahrir. Provocazioni gravissime di cui non si capiva il cui prodest... A Kiev, abbondano immagini di cecchini in nero che sembrano coprirsi dietro le forze di polizia, come fra colleghi. Ma ci sono video di cecchini che sparano da un albergo contro i poliziotti: ne hanno ucciso molte decine.
Esiste persino un video che mostra quanto segue: «Un ex primo ministro quando era presidente la Timoshenko, preso con carabina da cecchino e silenziatore. È stato fermato casualmente da amici oppositori quando questi hanno deciso di perquisire un’auto che lasciava piazza Indipendenza».
Un ex-ministro della Timoshenko? Il video è in russo, non capisco la lingua. Ma l’arma intravista sembra occidentale... C’è chi ricorda che Victoria Nuland, la plenipotenziaria neocon (Fuck Europe), ha fornito parecchi milioni di dollari all’opposizione.
I «ribelli» dotati di armamenti (si parla di 1500 mitragliatori e100 mila proiettili) sparano, uccidono agenti, prendono ostaggi una settantina di poliziotti, costringono il Governo ad evacuare i ministeri. Barak Obama parla di «pacifici manifestanti oppressi dal regime». E minaccia sanzioni. Tutto come in Siria.
I Ministri europei si recano a Kiev per una mediazione alquanto tardiva. Smarriti, apparentemente, per la piega che hanno preso gli eventi: eventi che loro avevano aizzato, alimentando in una parte di ucraini speranze di un’associazione alla UE, che non potevano mantenere. Ma sono davvero smarriti? La situazione è sfuggita loro di mano? Oppure risponde alle attese dei salotti buoni?
I media ci dicono e ripetono che i guerriglieri di piazza Maidan sono europeisti, che vogliono la nostra democrazia e libertà e benessere (sic)... Ma conviene all’Europa avere a fianco un Paese così? Una Libia, o una nuova Jugoslavia in fiamme? Agli europei sicuramente no. Ma allora, a chi fa comodo?
Citiamo qui un punto di vista che ci sembra molto interessante:
«Tra i diversi obiettivi elencati ci siano quelli di voler realizzare il super-Stato europeo,l’allargamento a tutta l’Europa geografica e l’individuazione di nemici comuni; quest’ultimo punto necessario per spingere i Paesi dell’Unione verso un unico esercito.(...) In Ucraina i morti aumentano sempre di più e l’Unione Europea minaccia sanzioni verso il Governo. Dopo il fallimento della rivoluzione colorata, i poteri forti hanno deciso la soluzione più cruenta supportando i gruppi ribelli, molti dei quali di ispirazione neonazista per destituire il Ggoverno ucraino. Il piano sembra sempre lo stesso: crollo della valuta, un crescendo di proteste, violenze della polizia, armi ai ribelli, prime diserzioni e poi caduta del governo stesso. Ora la situazione in Ucraina è più complessa, dato che il Governo è appoggiato dalla Russia che non ha intenzione di trovarsi l’Unione Europea ai propri confini, ma al tempo stesso mancano poche settimane al completo collasso economico.Difficilmente la situazione potrà migliorare, soprattutto perché gli eurocrati e i poteri dietro di loro hanno ormai deciso di conquistare i Paesi dell’Est e difficilmente potranno essere fermati, dato l’enorme potere finanziario di cui dispongono. Sarà interessante analizzare la reazione russa che porterebbe ad un doloroso taglio del gas all’Unione Europea, che potrebbe però essere voluto da quest’ultima».
Già. Per noi europei veri sarebbero dolori, ma non per quelle forze ed ambienti atlantisti che, nella UE, hanno visto sempre molto male la dipendenza dei nostri Paesi dal gas russo. Anche a Washington questo forte legame di fatto non è mai andato giù. Legami economici permanenti, rischiano di consolidare legami politici.
Un’Ucraina in guerra civile provocherà interruzioni di questi gasdotti; è fin troppo facile prevedere che gruppi armati irregolari e banditeschi si impadroniscano di qualcuno di questi rubinetti per usarlo come mezzo di estorsione... qualcosa di simile a quello che avviene nella Libia post-Gheddafi. Un altro déjà vu. Già nel recente passato il regime ucraino precedente all’attuale ha giocato a chiudere i rubinetti per ricattare Mosca: come si ricorderà, il gasdotto NorthStream che corre sotto il Baltico, è stato approntato da Putin e Schroeder appunto per scavalcare i ricattatori (c’era anche la Polonia). Potrebbe essere il solo gasdotto «sicuro», il prossimo inverno. E il prossimo inverno i Paesi dell’Est, Centro e Sud Europa potrebbero essere coinvolti in questo conflitto, almeno come vittime: senza riscaldamento.
Siamo quasi sicuri che a Washington (e ai suoi maggiordomi della UE) non spiacerebbe vederci perdere il nostro congelamento energetico con la Russia, e costretti a cercare rifornimenti da fonti diverse: Golfo, Arabia Saudita, magari gli stessi Stati Uniti diventati produttori energetici da fracking.
Una Russia ridiventata ostile (2), un Est europeo in rivolta (magari una rivoluzione colorata in Bielorussia, un’altra in Ungheria, una terza nei Balcani perché no: le micce sono già accese in Bosnia e Kossovo): se il sito che citiamo ha ragione, «l’individuazione di nemici comuni» all’Europa è «necessaria per spingere i Paesi dell’Unione verso un unico esercito».
Questa dell’esercito europeo – sottratto agli Stati nazionali e gestito dall’eurocrazia non eletta e dalla NATO – è un progetto eurocratico fin dall’inizio: ci provò Jean Monnet, respinto da De Gaulle con l’argomento che gli eserciti non si fondono «come nelle fusioni aziendali», sono il sangue della nazione e solo il capo sovrano e legittimo della nazione può dare l’ordine di versarlo, non un ufficio di burocrati della «Sinarchia». Ma oggi, gli eserciti non sono più nazioni in armi, ma composti di mercenari pagati: pronti alla fusione, tanto più che non è in vista alcun De Gaulle. Inoltre, una situazione durevolmente pericolosa ad Est, con la necessità di «operazioni di pace», interventi «umanitari» e la minaccia di una Russia ferita e messa nell’angolo, indurrebbe i tremebondi staterelli europei a raccogliersi ancor più, come pulcini, sotto la chioccia d’acciaio della Unica Superpotenza Rimasta, affidando ancor più la difesa nostra al Pentagono.
Addio alle minime velleità di autonomia. Il trattato Transatlantico di Commercio avrà un completamente di integrazione militare totale: un mercato unico armato dall’America del Nord fino alla frontiera russa, è certamente al vertice del sogno americanista.
«Chi pensa che la grave crisi attuale in Europa sia dannosa per gli eurocrati non ha capito invece che solo dal caos potrà avvenire ladefinitiva immolazione degli Stati nazionali in nome dell’unità europea. Quindi se in Italia, Francia, Grecia, Spagna la situazione sociale esplodesse, non aspettatevi un rivoluzione come in Egitto o un’eventuale uscita dall’Unione ma aspettatevi piuttosto una repressione in nome della democrazia. Concludendo, possiamo dire che è in atto l’espansione “dell’Impero Europeo” ad Est, massacri e scontri stanno arrivando ai nostri confini». (Ucraina: iniziata l’offensiva dell’Impero Europeo a Est)
Personalmente, non sono del tutto convinto di questo punto di vista: nel comportamento dei «poteri forti» europoidi, tendo a lasciare un ampio margine al pressapochismo, all’improvvisazione e alla stupidità, più che al complotto. Ma è un’ipotesi da tener presente, nell’osservare lo svolgersi degli eventi – i soli che potranno sciogliere il dubbio.
1) Paolo Sensini, Divide et Impera – Strategie del caos per il XXI secolo – Mimesis, 2013, pagine 251 e seguenti. 2) Una guerra fratricida in Ucraina, o la sua occidentalizzazione, costituirebbe una molto seria minaccia strategica per la Russia, come hanno dichiarato esperti militari russi alla rivista Zavtra (12 febbraio 2014): Mosca non potrebbe accettare «la perdita di Sebastopoli, porto di stanza della Flotta del Mar Nero; l’ucrainizzazione forzata della popolazione russofona; un possibile afflusso di rifugiati in fuga dalle zone russofone dell’Ucraina meridionale ed orientale; perdita di capacità industriali (fabbriche di Denpropetrovsk, Kharkov e Kiev lavorano su commesse russe, molte delle quali militari); l’installarsi di basi militari NATO/USA in Crimea, con centri di addestramento per terroristi da scatenare nel Caucaso e nel bacino del Volga». Mosca potrebbe essere costretta ad occupare militarmente le zone di suo interesse in Ucraina, in vista di una spartizione del paese. Naturalmente la cosiddetta Europea reagirebbe in nome della democrazia, diritti umani, difesa delle Pussy Riots, delle adozioni gay...
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