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Altro «complotto islamico» smentito
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Tredici giorni in camera di consiglio. Poi una giuria di Miami ha gettato la spugna: non riesce ad esprimere una condanna per sei tizi accusati dall’FBI di preparare un attentato islamico alla Sears Tower, e arrestati nel 2006 con gran grancassa mediatico-politica (Bush in persona celebrò l’arresto come esempio della sua strategia  di «prevenzione» degli atti terroristici, funzionante dopo l’11 settembre). Il bello è che si tratta, per i sei poveracci, della seconda volta (1).

Anche a dicembre un’altra giuria chiamata a giudicarli non riuscì ad arrivare a un accordo; per un settimo imputato, quella giuria si pronunciò per l’innocenza.

Ora il giudice distrettuale Joan Lenard ha dichiarato anche il secondo processo «invalido e inconclusivo», ed ha convocato i procuratori d’accusa federali il 23 aprile per sapere se gli accusatori intendono aprire un terzo processo alle stesse persone per lo stesso - presunto - reato. USA, la vera culla del diritto.

«La si può mettere solo così: un’altra incredibile disfatta per il governo», ha detto Matthew Orwig, già «attorney» del Texas ed ex membro del comitato antiterrorismo del Dipartimento della Giustizia USA.

«E’ raro che dei procuratori federali perdano la causa così clamorosamente; in USA, ottengono la condanna nel 90% dei casi. Ancor più raro è che un processo sia invalidato due volte, e lo si rifaccia una terza».

Sì, perchè è il governo Bush e il suo ministro della Homeland Security che si sono mossi con straordinario accanimento contro i sei cosiddetti «terroristi islamici»  e «membri di al Qaeda».

In realtà i sei, haitiani di origine, non sono nemmeno musulmani, ma seguaci di una delle mille fanta-religioni americane: la loro si chiamava «Moorish Science Temple» (miscuglio di giudaismo, luteranesimo e islamismo, tutto di seconda mano).

Il loro capo, Nearseal Batiste, una figura nota nei quartieri bassi di Liberty City (Florida) dove abitava perchè girava con una lunga veste e un lungo bastone, come un Mosè colorato, e reclutava giovani per la sua fede.

Nelle perquisizioni, la polizia ha trovato nelle case dei membri del gruppo alcuni machete e una pistola (raro ritrovamento, in USA); mai c’è stata la minima prova che i tremendi terroristi abbiano almeno tentato di comprare esplosivo o di fare piani concreti per l’attentato a Sears, che è il grattacielo più alto degli stati Uniti, nel lontano Illinois.

Tutto il castello accusatorio si basa su centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali nonchè video dei sei, che facevano discorsacci eversivi fra loro (la «Moorish Science» non riconosce il governo USA), ma soprattutto con due «arabi» venuti appositamente da «lontano», che li avevano contattati per aiutarli a meglio attuare i loro piani criminosi, a nome di Al Qaeda.

Non stupirà sapere che i due «arabi» erano informatori pagati dell’FBI, e che le loro testimonianze sono state il pezzo forte dell’accusa. Uno dei due informatori-provocatori, noto al gruppo come «Fratel Mohammed», ha persino esibito un video in cui lui in persona ottiene dai sei un giuramento di fedeltà ad Al Qaeda. Fratel Momammed si chiama in realtà Elie Assad, nome che sembra un pochino israelitico.

Il profeta Batiste si è difeso sostenendo che aveva dato corda all’arabo, nella speranza di carpirgli i 50 mila dollari che questi gli aveva promesso per l’impresa. Risulta infatti che Batiste aveva chiesto a «Mohamed di Al Qaeda» auto, mitragliatori, scarponi militari e uniformi (un gruppo terrorista deve essere in divisa, si sa), fornendo persino il numero di piede dei suoi «soldati». Con sua meraviglia, l’arabo di al Qaeda-FBI gli aveva consegnato effettivamente gli scarponi militari, e tutti della misura giusta.

Allora Batiste il terrorista chiede di più: binocoli, radio rice-trasmittenti, giubbotti antiproiettile, veicoli e 50 mila dollari in contanti. Una fortuna, nei quartieri haitiani di Liberty City Florida, ma ovviamente una sciocchezza per Osama Bin Laden.

Nell’attesa, Batiste ed alcuni dei suoi incontrano il rappresentante di Al Qaeda e mostrano vivo interesse a partecipare a corsi di addestramento della Al Qaeda medesima; Batiste in persona si dichiara decisissimo a «scatenare una guerra terrestre in piena regola» contro gli USA e compiere una missione «tanto grossa come l’11 settembre o anche di più». Tutto registrato dall’emissario.

Quando l’emissario chiede un giuramento di fedeltà al Gran Terrorista, come dirgli di no? Tuttti giurano, i membri del commando: Patrick Abraham, Stanley Phanor, Naudimar Herrera, Burson Augustin, Lyglenson Lemorin, Rotschild Augustine (nomi molto islamici, come si vede).

Poi però non si tratta più di abbattere la Sears Tower di Chicago (troppo lontana dalla Florida), ma di far saltare cinque palazzi dell’FBI in cinque città.

Batiste riceve dall’uomo di Al Qaeda anche una bella videocamera, con cui riprendono insieme una «bella ripresa» della sede FBI di North Miami Beach. Altra prova a carico.

Nel maggio 2006, Batiste dice all’uomo di Bin Laden (FBI) che c’erano intoppi e ritardi nel progetto criminoso, per via di disaccordi nell’organizzazione; ma che era interessato a mantenere buoni rapporti con Al Qaeda anche per il futuro (e grazie ancora per la videocamera). A quel punto, l’arresto.

Brividi di paura nell’opinione pubblica USA, ben agitata dai media che strillano al nuovo 11 settembre, fortunatamente sventato. I sei congiurati finiscono in galera (ci sono da allora) e rischiano almeno 70 anni di carcere. Poi i due processi.

Nel primo, la giuria non raggiunge i voti per la condanna. Nel secondo, la giuria (cinque donne e sette uomini) ha segnalato al giudice federale per ben due volte di non riuscire a raggiungere l’accordo sulla colpevolezza.

Ogni volta, il giudice Lenard ha ordinato alla giuria di provarci ancora, diligentemente. E quelli si sono sforzati, ma senza risultrato. Processo nullo.

«La giuria ha discusso questo caso da capo a piedi, ha deliberato», dice Rod Vereen, l’avvocato di uno dei sei (Phanor): «Quando è troppo è troppo».

Il fatto è che i sei restano dentro, nè colpevoli nè innocenti. Il solo che è stato assolto già nel primo processo, Lemorin, sta per essere espulso ad Haiti, patria dei suoi nonni, per terrorismo.

E’ questa l’America che il Santo Padre ha additato a «modello» per l’Europa: e infatti stiamo imitando, e lo imiteremo sempre di più granzie a Frattini.

Finchè c’è il tempo, sarà il caso di notare che processi come questo sono avvenuti a decine: e mai, mai, in USA, un vero e proprio terrorista islamico è stato comprovato colpevole - tranne che a Guantanamo: a porte chiuse, senza avvocati e senza giuria.

Anche questo modello è da imitare?




1) Curt Anderson, «Deadlocked jury forces 2nd mistrial in Miami terrorism case», ABC News, 16 aprile 2008.


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