Il «Primo Stato» della repubblica
18 Aprile 2008
In un giorno memorabile del 1789 la nobiltà francese, il «Primo Stato» (la
prima classe sociale), rinunciò spontaneamente (la folla rumoreggiava)
ai suoi privilegi ed alle esenzioni fiscali. Era la fine dell’Ancien Régime,
e di un’aristocrazia diventata parassitaria, che spendeva cifre
colossali per feste e abbigliamento alla corte di Versailles.
In Italia, quel giorno deve ancora arrivare. Quando Bersani ha
«disciplinato» gli artigiani, secondo lui troppo riparati dalla
concorrenza, e Visco ha esercitato la torchia fiscale strangolatrice
contro le piccole imprese e alcuni «evasori», si sono dimenticati
spontaneamente (la folla non rumoreggia) dei più grandi evasori della
repubblica: le mega-COOP e i sindacati. Quelli, ai privilegi e alle
esenzioni fiscali non hanno mai rinunciato.
Non dico nulla di nuovo; è uscito «L’altra casta» di Stefano Livadiotti
che racconta per filo e per segno i privilegi e le esenzioni dei
sindacati, sottratti alle leggi e ai tributi che gravano sugli italiani
qualunque.
Si parla di duemila miliardi di vecchie lire per la sola CGIL, di un
patrimonio immobiliare, colossale e inaccertabile, di 20 mila dipendenti
– sottratti, per volontà antisindacale dei sindacalti, allo Statuto dei
Lavoratori.
L’analisi di Livadiotti (giornalista de L’Espresso) è però qualcosa di
più: consente di vedere i meccanismi con cui si perpetua in Italia una
costosissima «burocrazia inadempiente» - ossia che non svolge i compiti
cui è destinata - grazie al suo torbido intreccio sub-giuridico di
pubblico e privato, alle sue complicità col potere cosiddetto politico
e l’amministrazione pubblica.
Se il titolo - solo quello - è sbagliato (perchè i sindacati non sono
un’«altra» Casta, sono una sottocasta del blocco di potere
strangolatore, clientelare e parassitario che chiamiamo Casta), il
libro consente di constatare la sostanziale identità fra ciò che
chiamiamo «Casta» e ciò che si autonomina «Sinistra».
Un caso di scuola, da studiare nelle facoltà di economia.
Che i sindacati siano inadempienti, e che esistano e ingrassino a
dispetto della volontà popolare, lo dice l’opinione pubblica: la
percentuale di italiani che dichiarano fiducia nei sindacati è scesa in
un decennio dal 10 al 4 %. Solo 4 italiani su cento hanno fiducia nella
cosca: nulla di male, se se la pagassero loro. Ma la cosca
inadempiente la paghiamo tutti, e due o tre volte: come lavoratori
dipendenti, pensionati e come contribuenti.
Bilanci segreti
Ogni tanto la Guardia di Finanza fa irruzione in conventi di suore che
fabbricano ostie, e li multa se trova «irregolarità» fiscali. Anche
quei conventi, visto che svolgono un’attività produttiva, devono tenere
un bilancio. La «Sinistra» cosiddetta ha condotto campagne feroci
contro la depenalizzazione del falso in bilancio: non basta che gli
autori del falso paghino ammende e sovrattasse, devono andare in
galera.
Sola eccezione: i sindacati. Solo loro non sono tenuti a presentare un
bilancio consolidato, tanto meno ai fini tributari. La Guardia di
Finanza lì non irrompe mai. Secondo Daniele Capezzone, il giro d’affari di
CGIL-CISL-UIL ammonta a 3.500 miliardi di vecchie lire. Si parla di un
miliardo di euro per la CGIL, di 116 milioni per la UIL.
Non lo sapremo mai con precisione: «Fare i conti in tasca alle
organizzazioni sindacali, che hanno ormai raggiunto un organico-monstre
dell'ordine dei 20 mila dipendenti, è difficile, scrive Livadiotti,
anche perchè le loro fonti di guadagno sono le più disparate»,
contributi, patronati, CAF (Centri di assistenza fiscale).
Posso confermare. Anni fa collaborai a una rivista sindacale per due o
tre numeri. Ricevetti compensi di 300 mila lire. Attesi invano che mi
arrivasse l’attestazione da allegare al 740 per cumulare quel reddito
con gli altri ai fini tributari. Nulla. Non ce n’è bisogno, se paga il
sindacato.
Posso quindi smentire Padoa Schiopppa: «non» pagare le tasse è
bellissimo. Un compenso di 300 mila esentasse, netto e «legalmente in
nero», equivale a un compenso da 500 mila da dichiarare. Bellissimo.
M’immagino quanto sia bello per quelli che dai sindacati ricevono
compensi per decine di milioni.
Come sono riusciti i sindacati a difendere questa loro esenzione, che
risale a tempi immemorabili – esattamente come le esenzioni del «primo
stato» di Versailles?
Nel 1998, un progetto di legge firmato da 160 parlamentari, guidati da
un deputato di Forza Italia, cercò di obbligare i sindacati a
dichiarare i loro redditi e introiti. I caporioni di CGIL-CISL-UIL
gridarono all’«attacco contro i lavoratori». I deputati del
centro-sinistra mandarono a picco il progetto di legge, con la scusa
che le sanzioni previste per le violazioni, da 50 a 100 milioni, erano
«antisindacali». Il falso in bilancio merita la galera solo se lo fanno
i padroni.
Prelievi da paghe e pensioni
Questa esazione para-fiscale è la voce maggiore degli introiti
sindacali. Come noto, con referendum del '94 il popolo italiano bocciò
a schiacciante maggioranza questo prelievo automatico dalle buste-paga
da parte di entità private (quali sono i sindacati). Come in tutti i
referendum di allora, la volontà popolare è stata calpestata. Il
prelievo abrogato esiste ancora. Come?
I sindacati fanno inserire questa clausola a loro favore nei contratti
collettivi. Un semplice trucco che richiede la complicità di
Confindustria e delle altre organizzazioni padronali, insomma delle
«controparti». Non vorrete mica che la Fiat tolga il pane di bocca alla
CGIL, a cui tanto deve. E’ così che agiscono le caste: Casta gratta
Casta.
Bersani, nel suo decreto Bersani, s’era dimenticato di questo
prelievo. Un emendamento di Forza Italia stava per metterlo in
pericolo: richiedeva che la delega pro-forma, con cui il pensionato o
il dipendente danno il loro consenso al preliero (consenso estorto,
come vedremo), oggi praticamente a vita, venisse di tanto in tanto
rinnovata. Un pericolo estremo. Sventato: il governo Prodi, la
«sinistra», ha dato parere negativo.
I datori di lavoro si accollano il compito e i costi del prelievo,
esattamente come fanno per i prelievi fiscali. Insomma tutti, anche
quelli che dovrebbero essere gli avversari della Cosca, la trattano
come fosse un pezzo di Stato.
Per i pensionati, il prelievo se lo accollano gli enti previdenziali.
Nel 2006, soltanto l’INPS ha «girato» in questo modo 110 milioni di
euro (220 miliardi di lire) alla CGIL, 70 alla CISL, 18 alla UIL. Il
prelievo è dell’1% sui lavoratori, dello 0,40% per i pensionati.
Frutta alla Cosca, secondo Giuliano Cazzola, almeno un miliardo (di
euro) l’anno: con precisione non si sa, non essendoci appunto bilanci.
In teoria, un lavoratore o pensionato può chiedere per iscritto di
essere esentato dal prelievo. I pensionati che ci hanno provato hanno
scoperto che l’INPS ci mette almeno 14 mesi ad eseguire. L’INPS
strascica i piedi.
Non è un caso: l’INPS «è» il sindacato. La Triplice gestisce l’ente
previdenziale istituzionale. Non a caso, 6.220 posti e poltrone
all’INPS sono occupate da sindacalisti ed ex-sindacalisti in pensione.
Tutti a carico dei contribuenti, e dei pensionati.
Ma fossero solo quelli i costi per la società, potremmo essere
contenti. Invece no: la Triplice conta 700 mila delegati sindacali, che
prendono permessi retribuiti per un milione di giornate lavorative al
mese. Con un costo per le imprese e in genere per la società produttiva
di 1 miliardo e 854 milioni di euro l’anno.
Come si vede, il costo della Casta sindacale si avvicina già ai 3 miliardi di euro annui, 6 mila miliardi di lire.
Ma altri introiti vengono da:
•
CAF, Centri Assistenza Fiscale dei sindacati.
Aiutano i pensionati a fare la dichiarazione dei redditi. Per questo
servizio non richiesto (possono farlo commercialisti e consulenti del
lavoro), la triplice riceve dall’INPS ogni anno 90 milioni, pari a 180
miliardi di lire. Per i lavoratori in attività paga invece il ministero
delle Finanze: che gira ai CAF, ossia ai sindacati, 15,7 euro per
ognuna delle 12 milioni e passa inviate al fisco dai CAF. Altri 180
milioni di euro, 360 miliardi di lire.
Non contenti, i sindacati si fanno pagare anche dal
pensionato-contribuente che aiutano: 25 euro in media come contributo
«volontario». La Corte di Giustizia Europea ha contestato già nel 2005
questo monopolio indebito su un servizio. Sindacati e governi se ne
sono infischiati, e continuano ad infischiarsene.
Ai 3 miliardi di cui sopra si devono aggiungere dunque questi altri
300-500 milioni di euro, considerando che i CAF si fanno pagare
un’altra cinquantina di milioni per stilare i redditometri delle
famiglie che chiedono contributi sociali.
•
I patronati. Sono
gli enti dei sindacati che assistono i cittadini nelle pratiche
previdenziali, cosa che dovrebbe e potrebbe fare l’INPS stesso. Per
questo servizio superfluo i sindacati incassano lo 0,226% del totale
dei contributi riscossi dagli enti previdenziali. Prima del 2000,
questa cifra era calcolata solo sui contributi dei pensionati del
settore privato, perchè le amministrazioni statali provvedevano in
proprio a questo servizio per i loro dipendenti. Dal 2000, con legge
votata quasi all’unanimità, i sindacati hanno ricevuto lo 0,226% anche
sui contributi dei pubblici dipendenti. Sono almeno 350 milioni di euro
l’anno (cifra del 2006).
Invece sono i sindacati che dovrebbero pagare, perchè i loro patronati
sono il loro primario mezzo di reclutamento. Chiunque si presenti a un
patronato per farsi aiutare nella domanda di pensione, si vede
sottoporre la delega – da firmare – in cui «volontariamente» acconsente
alla trattenuta sulla busta-paga. Firmare è obbligatorio. Un vero
racket, altro che Mafia. Secondo Cazzola, con questa trappola, solo nel
2005, i sindacati si sono aggiudicati 450.000 mila nuovi iscritti (e
paganti).
I radicali, nel 2000, hanno proposto un referendum abrogativo dei
patronati-sindacati: bocciato dallla Cosca Costituzionale, pardon,
Corte. Bersani, nel suo famoso decreto in cui ha liberalizzato taxisti
e barbieri, s’è dimenticato di liberalizzare questo monopolio-racket.
Un emendamento di Forza Italia per liberalizzarlo è stato respinto.
Dalla «sinistra». I patronati hanno sedi all’estero, anche in
Australia. E naturalmente «gestiscono» i voti degli emigranti.
•
Formazione. Altro
introito: 1,5 miliardi di euro l’anno vengono stanziati dalla UE per la
«formazione professionale» in Italia. E dei 14 enti di formazione, 10
sono CGIL-CISL-UIL. Quei soldi se li prendono loro, almeno per metà.
Avete tenuto il conto? Dovremmo aver superato di molto i 4 miliardi di
euro, 8 mila miliardi di lire. E’ già una mezza finanziaria.
•
Patrimonio immobiliare.
A cui si deve aggiungere il patromonio immobiliare dei sindacati:
inestimabile e inestimato, ossia mai valutato dal fisco. Solo la CGIL
ha 3 mila sedi in Italia, di sua proprietà. La CISL, 5 mila. La piccola
UIL fa gestire i suoi investimenti immobiliari da una società per
azioni posseduta al 100% da Labour UIL.
Dovremmo ormai essere vicini ai 5-6 miliardi annui. Di euro. La Cosca
Sindacale ci costa, come Paese, già come metà di una finanziaria.
Mantiene così 20 mila dipendenti, di cui il 40% con qualifica da
dirigente: un generale ogni soldato. Paghe medie, si può indovinare,
sui 51 mila euro l’anno. Più telefonino con tetto di spesa di 780 euro
l’anno: anche questo
un benefit in esenzione fiscale.
Vero è che i dipendenti non hanno le garanzie dello Statuto dei
Lavoratori: quando imposero tale statuto, i sindacati, imposero anche
la propria esenzione dagli obblighi dello Statuto. Dunque i dipendenti
sindacali sono licenziabili senza causa: il che aumenta la loro
«fedeltà» alla Cosca - proprio come i picciotti sono fedeli al
capo-bastone - anche perchè la fedeltà è premiata con posti: all’INPS o
al Parlamento, per i più meritevoli. I sindacalisti che finiscono a
fare i parlamentari sono una miriade.
•
Come curano le nostre paghe.
E magari si limitassero a divorare e a poppare, contentandosi di essere
parassiti. No, naturalmente: vogliono anche «governare». Sedere ai
tavoli col governo. Essere «consultati». La «concertazione» permanente,
tanto raccomandata da Ciampi (il Venerato Maestro da 800 mila euro
l’anno) è un elemento fondamentale del potere sindacale. Un potere, sia
notato, non democratico (e chi li ha mai votati? Chi ha contato gli
iscritti?), extralegale.
Un potere di fatto, come tutti i poteri delle
Caste.
E questo potere ci costa ancora di più. Come mai il Paese col sindacato
più potente abbia anche le paghe più basse d’Europa, è presto detto:
perchè i sindacati impongono la contrattazione nazionale. Vogliono un
solo contratto uguale per tutti i metalmeccanici, sia quelli Fiat sia i
dipendenti di un battiferro di Canicattì. E’ ovvio che il salario
metalmeccanico sarà quello dei battiferro di Canicattì. La Fiat
ringrazia. E i sindacati mantengono il loro ferreo potere, con tutti
gli artigli e le ventose succhianti della Prima Casta.
Non potrebbero mantenerlo, se non fosse grazie alla complicità di tutte
le altre Caste: Confindustria, «Sinistra», magistratura, uffici
tributari (durissimi coi deboli, inesistenti per i sindacati), Ciampi
ed altri presidenti.
Come faccio a diventare un sindacato? La domanda nasce spontanea. Anche
io, anche voi, in teoria, possiamo diventare un sindacato, ed avere le
esenzioni e i privilegi della Casta. Dico diventare un sindacato, e non
«un sindacalista»: dei 43 sindacati-Scuola, gli ultimi quattro sono
composti di 1, dicesi uno, iscritto. Il più piccolo sindacato dei
controllori di volo ha cinque tesserati.
Quindi anche voi, anche io, possiamo diventare un sindacato.
Sogno ad occhi aperti: Sindacato Maurizio Blondet. Segretario generale,
Maurizio Blondet. Iscritti uno, Maurizio Blondet. Pensate che bello:
niente più bilanci, niente più fatture, niente più controlli fiscali.
Detassazione della casa (la sede). E denaro pubblico che arriva in
varie forme. Potrei aprire un ente di patronato e farmi pagare
dall’INPS. O un ente di formazione (per fancazzisti, per giornalisti,
per ignoranti matricolati) ed accedere ai fondi europei.
Come si fa a diventare un sindacato di un solo iscritto? Eh, non è così
facile. Bisogna, anzitutto, che ti facciano accedere a «un tavolo di
trattativa». Bisogna insomma che la controparte - poniamo, un ente come
Alitalia - ti riconosca come «rappresentativo», e ti faccia sedere al
tavolo della «concertazione» quando si tratta di rinnovare i contratti.
Ovviamente, per non essere cacciato da quel tavolo, bisogna che
CGIL-CISL-UIL riconoscano la tua «rappresentatività». Che ti
conoscano. Che ti strizzino l‘occhio. Pappa e ciccia. Aum aum.
E’ così che fuinziona il sistema della Casta in Italia. Cooptazione
reciproca. Occhiolino. Pappa e ciccia. Sei «dei nostri». Aum aum.
Lingua in bocca. Culo e camicia. Il tutto a spese del sistema-Paese.
E chi ha il coraggio di smantellare una simile cosca?
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