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I cosiddetti manager, parassiti strapagati
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Ogni tanto una buona notizia. Come questa da Repubblica: «Moretti (FS) contro tagli stipendio: “I manager se ne andranno via dall’Italia”». Il Corriere: «Moretti: me ne vado».

Benissimo. Moretti prende 850 mila euro annui di stipendio, soldi pubblici. Renzi, se è quel che proclama di essere, raccolga la sua sfida. Sono proprio curioso di vedere quante grandi imprese straniere si affolleranno per aggiudicarsi i servigi di Moretti, o se è per questo, di Befera e Mastropasqua, pagandoli quanto li paga lo stato italiota, o anche più.

Moretti è convinto di avere un «mercato»: vediamo se ce l’ha. Se esistesse un mercato internazionale dei manager pubblici, sono sicuro che grand commis tedeschi, e Nobel americani, verrebbero qui per farsi assumere, con gli stipendi che diamo a questi dementi.

È buffo che Moretti si creda un manager. È un sindacalista della Cgil, che è salito a quella poltrona tenendo buoni i lavoratori mentre le Ferrovie li licenziavano (da 98 mila a 72 mila): come fa di solito la Cgil, sindacato giallo, colluso col padrone, quando il padrone è lo Stato. In cambio, i sindacalisti sono compensati tramutandoli in manager «pubblici»: poltronissime fuori mercato, l’Inps ne è piena.

L’equivoco di Moretti a credersi manager nasce dal fatto che gestisce un gruppo «quotato in Borsa», dunque privato: è una di quelle false privatizzazioni attuate dai Governi precedenti – Berlusconi prima di tutti – che hanno un solo scopo: sottrarre gli enti pubblici al controllo di come spendono il denaro pubblico, al fastidio di assumere per concorsi, e di dare lavori ad aziende dopo un’asta. Qui possono assumere gli amici, i parenti e le cubiste degli amici, e assegnare lavori alle imprese di compari e padrini, al prezzo che vogliono: sono società private, perdio, quotate in borsa.

No. Sono società pubbliche. Il massimo azionista ne è il Tesoro (o la Regione, o il Comune), agiscono per lo più in monopolio, e lo Stato (l’azionista Tesoro) ne copre sistematicamente le perdite. Il gruppo privato Ferrovie capeggiato dal sindacalista Cgil, informa Repubblica, «Percepisce oltre due miliardi di euro – su otto di ricavi – dallo Stato per garantire il servizio universale e i cui investimenti sono di gran lunga spesati dal Tesoro: nel 2012 su 3,8 miliardi di investimenti ben 2,4 sono stati contributi governativi. Nel 2011, erano addirittura 3,5 miliardi di euro. La salute del gruppo è legata da un cordone ombelicale allo Stato e non è certamente esaltante, in quanto ha un debito netto di 9 miliardi di euro, superiore addirittura all’intero fatturato. La stessa Corte dei Conti ha segnalato la criticità. Di fatto comunque guidare le Ferrovie, in assenza di veri e propri concorrenti (Italo è già in grande affanno con un rosso da 76 milioni e un debito di quasi 700 milioni) è come guidare una azienda su binari ben consolidati: i risultati sono più legati ai trasferimenti pubblici che alle abilità dei singoli manager»

Forza, Moretti: bùttati sul mercato, e vediamo chi ‘tte piglia, come se dice a Roma.

Ha avuto il merito, però, di porre la questione reale: i «manager in rivolta» nostri sono troppo pagati. Dieci-dodici volte lo stipendio medio dei loro dipendenti, mentre all’estero i loro pari grado prendono 5-6 volte. Moretti ha messo in luce la psicologia dei grandi parassiti para-pubblici: sempre per dirla alla romana, «vonno li sordi», enormi, anche quando il resto del Paese di soldi ne ha sempre meno, produce poco, è in crisi, e gli stipendi di tutti gli altri calano.

I «manager pubblici» non si sentono nella stessa barca: vonnno li sordi, anche se la barca affonda. Ed ovviamente, anche se cala il gettito fiscale — da cui ricevono i soldi. Vogliono ammazzare la pecora che tosano, strapparle la pelle. Anche questo rivela che la loro psicologia non è quella di manager, ma di statali: sono gli statali, oggi, a pretendere aumenti mentre i lavoratori privati accettano tagli, ad esigere «rinnovi contrattuali» nell’epoca della generale precarietà, e a fare scioperi contro la popolazione, contro gli italiani (come qualche giorno fa nei trasporti): loro, col posto fisso garantito e il sedere al caldo e protetto dai sindacati.

Questi grandi parassiti, oggi, rabbiosi alla sola ipotesi di subire tagli sui loro stipendi milionari, fanno sabotaggio. Sapete (o forse no) l’atto tracotante che Equitalia sta compiendo contro i cittadini milanesi: « Equitalia sta mandando gli avvisi di pagamento per le cartelle esattoriali – per la maggior parte multe o tasse sull’immondizia non saldate – direttamente in Comune, invece che a casa del diretto interessato». Agli interessati manda un avviso terroristico: «Presentarsi al comune, c’è una cartella esattoriale in deposito che l’attende». Di solito, Equitalia mandava le cartelle a casa del contribuente; lasciava le cartelle in Comune quando il contribuente era, per qualunque motivo, irreperibile. Ma se manda gli avvisi, vuol dire che Befera e i beferoni sanno benissimo dove abitano: solo che non vogliono più fare quel lavoro. Vogliono creare «code chilometriche al Comune di Milano», mettere in crisi gli uffici comunali che non avevano tanto personale a questa bisogna, sprecare le ore di tempo di migliaia di cittadini produttivi... e perché?

Lo sapete perché? Perché il Comune di Milano sta pensando di rinunciare a servizi esattoriali di Equitalia, e tornare a riscuoterli in proprio. Quelli di Equitalia sono servizi costosi e dannosi:

«Tra il 2000 e il 2011, Equitalia ha inviato oltre un milione e 640mila cartelle per debiti dei cittadini verso il Comune di Milano. L’incasso complessivo previsto era di 890 milioni di euro, tra multe e tasse sui rifiuti. Quanti soldi sono effettivamente finiti nelle casse del Comune? Solo 66 milioni di euro. Un decimo del previsto».

Ecco l’efficienza di Equitalia, che per di più estrae una grossa commissione per i suoi inutili servizi.
Perciò ha messo in atto una ritorsione. Assistiamo alla vendetta di un ente para-pubblico (pardon, privatizzato) strapieno di manager incapaci ed arroganti spesso assunti senza regolare concorso, contro un ente pubblico che ha il torto di essere appena un po’ più efficiente di loro. Questi sono mascalzoni e criminali. E appena sono minacciati dalla concorrenza, dal mercato, ecco che si mettono a sabotare l’apparato pubblico, di cui sono pagati – e tantissimo – per essere i difensori.

Renzi accetti la sfida. Possiamo fare a meno di simili manager incapaci, parassiti e tracotanti, che si credono semidei. Non hanno mercato. Sul mercato, se ne trovano quanti se ne vuole, migliori di questi. Magari importandoli dal Canton Ticino, dove l’amministrazione pubblica parla italiano...

Magari si movessero i giudici contro questa azione di sabotaggio delinquenziale di Equitalia. Ma Equitalia estrae dalle nostre tasche anche gli stipendi loro. Sicché i giudici cadono dal pero solo quando si tratta di incriminare entità pubbliche nemiche. Come la Regione Lombardia. La sua società Infrastrutture Lombarde, oggi impegnata nei traffici lucrosi dell’Expo, è stata decapitata ai vertici : i quali aggiustavano gli appalti.

«Il Gip accusa i politici: i vertici della Regione sapevano». Cade dal pero, il Gip. Fin dalla fondazione, la «Infrastrutture Lombarde SpA» serve a malversare. Non ha altro scopo. Credo sia stato Formigoni, ma non senza il consenso di Lega e di opposizione cosiddetta, a creare l’inghippo: conferire tutti i notevoli patrimoni pubblici regionali, terreni, palazzi, grattacieli, e financo le Ferrovie Nord, a questa «società privata»: in quanto «privata», la Infrastrutture Lombarde può vendere quei patrimoni a chi gli pare al prezzo che gli pare, magari in perdita, senza aste pubbliche. E pagar i suoi fornitori, aziende edili poniamo, fuori mercato e fuori concorso ma dove si parla con l’accento di Paternò, ed assumere personale senza che la Corte dei Conti possa sindacare: siamo privati, perbacco!

Di fatto, Infrastrutture Lombarde SpA era una specie di succursale succosa dell’impero Ligresti, il primo palazzinaro mafioso di Milano, in combutta coi berlusconidi; probabilmente ora solo la caduta del palazzinaro, e il tramonto del Cavaliere , hanno svegliato i giudici. Ma questo accade nella Regione relativamente meglio amministrata in Italia; i giudici si svegliassero anche in Calabria, Sicilia, Campania, sai cosa troverebbero?

Ma qui, si cade sempre nel solito equivoco italiota giustizialista: il problema non è morale, è istituzionale. I giudici intervengono dopo, quando gli va; ma non sono intellettualmente in grado di mettere in causa il sistema, le false privatizzazioni. Questo spetta ai politici: rivedere le finte privatizzazioni. Proprio loro che le hanno fatte.

Renzi dice che è venuto a rivoluzionare il sistema? Ecco qui un compito. Ma visto che stava in un attico a sua insaputa, dubito lo farà.


(articolo pubblicato il 22 marzo 2014)





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