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Verità dell’Antico Testamento
22 Ottobre 2010
La Chiesa, nella sua Sapienza millenaria, ha sempre messo in relazione Vecchio e Nuovo Testamento perché Essa sa che la Scrittura è un unicum, un intero, che solo alla Luce di Cristo, Venturo nell’Antico e Venuto nel Nuovo, può comprendersi. Ogni parte della Scrittura rimanda alle altre e viceversa. La Donna cui il serpente insidia il calcagno, e la cui stirpe gli schiaccerà la testa, di Genesi 3,15, richiama la Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle, di Apocalisse 12,1. E viceversa. L’immagine del drago che, in Apocalisse 12,4, con la coda trascina giù un terzo delle stelle del cielo precipitandole sulla terra richiama il serpente edenico di Genesi, svelando alla fine quanto è solo implicito all’inizio: la caduta di Lucifero, l’angelo ribelle del non serviam (si veda anche Apocalisse 12, 7-9). Questi esempi dimostrano che il primo e l’ultimo libro della Scrittura si richiamano vicendevolmente: «Io sono l’Alfa e l’Omega». Lo stesso, però, vale anche per tutti gli altri libri della Scrittura che sono tra loro strettamente, ed inscindibilmente, connessi. La liturgia della Messa di domenica 17 ottobre scorso è caduta a proposito per ricordare a molti che la fede cristiana neotestamentaria non può fare a meno dell’Antico Testamento. Durante quella liturgia, infatti, la prima lettura era tratta dal Libro dell’Esodo (17,8-16). Questa lettura veterotestamentaria era messa in relazione alla parabola evangelica, che si chiude con la misteriosa ammonizione di Cristo «Ma quando tornerà, il Figlio dell’Uomo troverà la fede sulla terra?», nella quale Gesù narra dell’insistenza di una povera donna nei confronti di un giudice per ottenere giustizia e del giudice che alla fine cede a queste insistenze (Luca 18,1-8). Il passo, in questione, del Libro dell’Esodo narra, invece, di uno scontro tra gli israeliti e gli amaleciti, probabilmente per il possesso di una pozza d’acqua, sempre preziosa nel deserto. Scontro il cui esito è stato determinato dalle braccia alzate di Mosé. Quando il vecchio patriarca alzava le braccia al Cielo, in segno di affidamento e di preghiera, gli israeliti prevalevano, quando per la stanchezza Mosé abbassava le braccia prevalevano gli amaleciti. Che significato ha tutto questo? Si tratta del richiamo alla preghiera, all’affidamento a Dio contro i nemici sia interni, le passioni, che esterni, coloro che usano violenza contro chi apre il cuore allo Spirito, contro coloro che affidandosi al Signore ne sono il popolo. Era la preghiera di Mosé ad assicurare agli israeliti la vittoria. E’, nella parabola evangelica, l’insistenza della donna a spingere il giudice a darle ascolto e renderle giustizia. Infatti, come dicono i mistici, per essere ascoltati da Dio, la nostra preghiera deve essere costante, incessante, perseverante, insistente, e, soprattutto, fatta con il cuore e non solo con le labbra. La connessione liturgica che la Chiesa ha stabilito tra Antico e Nuovo Testamento, e della quale abbiamo visto un esempio, ha questo significato: tutti gli eventi del Vecchio testamento, della storia di Israele, hanno un valore tipologico degli eventi della vita di Cristo, e a fortiori della Chiesa stessa, che di Cristo è il Corpo Mistico e Visibile che continua nella storia. Così, il passaggio del Mar Rosso è evento tipologico della Pasqua, del passaggio dalla morte alla Vita nella Resurrezione. La manna nel deserto è evento tipologico dell’Eucarestia, del Pane che viene dal Cielo. I 40 anni di purificazione nel deserto sono connessi, tipologicamente, con i 40 giorni di digiuno di Cristo nel deserto ed i 40 giorni nei quali Egli, dopo la Resurrezione, si trattiene in terra prima di ascendere in Cielo. Anche la Pentecoste cristiana è connessa strettamente con la Rivelazione di Dio sul Sinai. La omonima festa ebraica, infatti, ricordava la teofania mosaica di Colui che Sono nel roveto che ardeva senza bruciare. Esattamente come ardeva senza bruciare lo Spirito Santo, in forma di lingue di fuoco, disceso su Maria e gli Apostoli. Il Sinai, dunque, come evento storico tipologico dell’effusione dello Spirito dopo l’Ascensione. Ora, la tipologia, ossia il significato teologico di certi eventi, suppone necessariamente, come la Grazia la natura, la storicità essenziale di quegli eventi. Pena il ridurre la fede ad una gnosi, ad uno spiritualismo disincarnato. Chi – e sono molti – deride il Genesi come un mito di tipo sumerico non si avvede che, al di là delle immagini usate in quel testo, vi è, rispetto ai miti coevi, un significato rivelato assolutamente distante dalla cultura mitica del tempo. Dietro il fiat vi è la rivelazione del Verbo creatore, la rivelazione che il mondo non è frutto del caso ma di un Amore infinito e trascendente. L’immagine di Dio che, come un artigiano, plasma Adamo (termine che in ebraico significa semplicemente uomo) dall’argilla e lo rende essere vivente mediante l’insufflazione dello spirito, ci rivela che l’uomo, comunque sia comparso su questa terra, è stato voluto, progettato, come l’unica tra le creature dotate di spiritualità, di capacità di Dio. Il Genesi, pur usando il linguaggio proprio di epoche antiche e di culture mitiche, ci dice che l’uomo è stato voluto per essere amato, per instaurare con lui un dialogo d’amore. Ed è per questo che solo l’uomo è stato dotato dello spirito. Non le altre creature. Ci spiace, perciò, dover contraddire Finkelstein. Egli afferma in maniera apodittica che l’odierna scienza archeologica sarebbe capace di ritrovare le tracce del passaggio di un gruppo umano, pur minimo, anche a distanza di millenni. Pensiamo che qui, in certa sicumera, persista il vecchio vizio positivista: la scienza che sarebbe in grado di spiegare tutto e dare certezze. Al contrario, la grande rivoluzione scientifica del XX secolo, innescata in fisica e poi passata in tutti gli altri rami, quella che ha permesso di superare l’angusto determinismo ottocentesco, si basa su una sola certezza: la scienza non può mai darci certezze assolute e definitive. Tra gli storici è, oggi, superato il determinismo, di matrice hegeliana, noto un tempo come storicismo, ossia la pretesa che nella storia fosse immanente una ratio, non trascendente, che avrebbe portato l’umanità verso il migliore dei mondi possibili, verso il sol dell’avvenire. Nessuno storico oggi affermerebbe che era già scritto che Napoleone dovesse perdere a Waterloo. Allo stesso modo, nessuno storico si permetterebbe oggi di dire che un qualsiasi dato documentale del passato possa darci assoluta certezza sul come le cose siano effettivamente andate. La storia può solo ricostruire gli eventi del passato con più o meno probabilità, ma non può più pretendere di dirci con assoluta certezza che un evento si sia verificato o meno e come si sia verificato. Questo è il post-moderno: la caduta della sicumera scientista, che in storiografia si chiamava storicismo e che dipingeva il cammino dell’umanità alla stregua di un progresso immanente e senza Trascendenza. Finkelstein sostiene che all’epoca nella quale il relativo libro biblico pone l’esodo non era possibile attraversare il deserto perché il cammello non era ancora stato addomesticato. Riportiamo altre fonti di informazioni a proposito dell’addomesticamento del cammello: «Nell’immenso territorio dei beduini il cammello non è un animale importato. Quando i primi beduini, i ‘figli di Ismaele’, vi giunsero nel 2° millennio avanti Cristo, ve lo trovarono. E’ un animale che viveva in quest’area allo stato selvatico prima di essere addomesticato. Si hanno chiare evidenze della sua presenza già nel periodo dei cacciatori, prima del 6000 avanti Cristo (Tchernov, 1974) (…). In base alle informazioni archeologiche che si hanno oggi, sembra che il cammello fu addomesticato per la prima volta nella seconda metà del 2° millennio avanti Cristo. In Arabia, le prime figure di cammello domestico note nell’arte rupestre risalgono al secondo millennio avanti Cristo (E. Tchernov, 1974, pagine 240-241). Nel Negev e nel Sinai le più antiche figure di cammello sono del 1° millennio avanti Cristo. Nei territori fertili, la prima rappresentazione di cammello domestico rimonta all’epoca di Tiglat-Pileser, alla fine del 12° secolo avanti Cristo» (1). Queste altre datazioni, circa l’addomesticamento del cammello, sono compatibili con il periodo dell’esodo biblico. Altri studiosi pongono l’addomesticamento del cammello al XIII secolo avanti Cristo. Quindi può dirsi che quell’animale fu addomesticato in un periodo che va perlomeno dal 1500 avanti Cristo al 1000 avanti Cristo. Sicché, anche ammettendo che l’animale fosse stato inizialmente addomesticato in Arabia, nulla impedisce di ritenere verosimile che esso si fosse diffuso, come animale domestico e mezzo di trasporto, in tutto il vicino Oriente, compreso l’Egitto, nel periodo cui si riferisce il libro dell’Esodo (inizio o, a seconda delle ipotesi, fine del XIII secolo). Per quanto riguarda il faraone dell’esodo per Rolf Rendtorff, Yohanan Aharoni e Michael Avi-Yonah le città deposito di Pitom e Ramses, citate nel libro dell’Esodo, sono databili ai tempi del faraone Ramesse I benché esse fossero state successivamente ampliate e ricostruite anche dal nipote di quest’ultimo, Ramesse II (1290-1224). Da ciò gli studiosi citati individuano in Ramesse II come il faraone oppressore ed in Merenptah (1224-1222), suo successore, come il faraone dell’Esodo, che pertanto sarebbe avvenuto verso la fine del XIII secolo avanti Cristo (2). Dice Finkelstein che il Libro dell’Esodo e persino il Genesi tradiscono il panorama, le circostanza e gli usi del V secolo, quello nel quale fu messo per iscritto. Dice, ad esempio, che né Abramo né Giuseppe avrebbero mai potuto viaggiare con i cammelli, per via del tardivo addomesticamento di quell’animale. Un argomento davvero puerile. Sappiamo che l’attuale testo del Pentateuco è stato messo per iscritto nel VI/V secolo, al ritorno dalla cattività babilonese. Ma sappiamo anche che il materiale usato per tale redazione scritta era di tipo orale, mnemonico, tradizionale nel senso di tramandamento generazionale. E cosa tramandavano quelle memorie? Che Abramo si mise in viaggio chiamato da un misterioso Dio verso una terra promessa (realtà geografica, e dunque storica, che tuttavia è figura tipologica del corpo promesso, del corpo glorioso di resurrezione). Che Giuseppe fu portato in Egitto al seguito di una carovana di mercanti. Ma – dice Finkelstein – ai tempi di Abramo (1850-1800 avanti Cristo) e di Giuseppe (la cui storia deve, con tutta probabilità, collocarsi tra il 1700 ed il 1400 avanti Cristo) le carovane si spostavano a piedi o tutt’al più con l’aiuto di asini. E questo secondo lui inficerebbe la verità, sostanziale, del racconto biblico! Ripetiamo: un ragionamento davvero puerile, che tradisce una posizione preconcetta dovuta, con tutta probabilità, al fatto che Finkelstein appartiene al partito ateo o laico che in Israele si contrappone ai religiosi ultraortodossi ed ai sionisti religiosi. Il redattore biblico del VI/V secolo si trovava tra le mani la narrazione di un viaggio di Abramo e di una deportazione coatta di Giuseppe. Questo è l’elemento essenziale del racconto tradizionale. Non il fatto che il viaggio e la deportazione siano avvenuti a dorso di asino o di cammello. Il redattore del VI/V secolo, guardando alla sua realtà quotidiana, ha scritto di un viaggio su cammelli, perché così era ai suoi tempi. Ma, solo per questo, egli avrebbe inventato sic et simpliciter, e di sana pianta, per occulte strategie di dominazione politica o di propaganda etnica, le due storie di Abramo e di Giuseppe? Gli storici dell’arte conoscono bene il fenomeno dell’anacronismo iconografico. Stiamo pensando in questo momento (la citazione, ci si scusi, è a memoria, non ricordando in questo istante né l’autore né il museo in cui è ora esposto) ad un quadro del XVI secolo raffigurante Annibale alla battaglie di Canne. Il generale cartaginese è effigiato in costumi orientali tipici del turchi ottomani del cinquecento. E’ evidente che il pittore ha raccontato di un episodio storicamente autentico – la battaglia di Canne – immaginando però Annibale nei costumi del sultano turco, che all’epoca era il terrore dell’intera Europa. Possiamo, solo per questo, affermare che quel quadro è un falso storico ossia che la battaglia di Canne è un mito inventato per glorificare la potenza militare di Cartagine? Certo, forse, quel pittore ha usato il soggetto in questione anche per augurarsi, quasi scaramanticamente, e con intento propagandista, la sconfitta del turco come, alla fine, sconfitto fu Annibale pur vincente a Canne. Ma, nella sostanza, egli ha narrato di un fatto assolutamente storico. Finkelstein ricorda che nell’epoca nella quale è posto biblicamente l’esodo, l’unico percorso tra l’Egitto e la Palestina praticabile era quello costiero che, dunque, evitava il deserto sinaitico. E quel percorso era controllatissimo dagli egizi che smistavano, pretendendo dazi e pedaggi, le carovane dei nomadi che transitavano da e per l’Egitto, sicché sarebbe stato impossibile a dei fuggiaschi passare inosservati per quella via. Ma proprio questo è il punto! Si trattava di schiavi in fuga. Se fossero stati di nuovo catturati la sorte sarebbe stata tragicamente segnata: o la morte o una peggiore schiavitù. Era, pertanto, gente che si stava giocando il tutto per tutto, affidandosi ciecamente ad un misterioso Dio dei padri che per secoli non si era manifestato e che per questo era stato quasi completamente dimenticato. E quando ci si gioca la vita stessa non si sceglie la strada normale e controllata, quella praticata da tutti. Si sceglie la via più pericolosa, quella, magari, non praticata da nessuno o da pochi avventurieri. La via, pericolosissima, del deserto, che, senza un aiuto provvidenziale, significa morte sicura. E’ indizio di questa decisione senza alternative il terrore, testimoniato dal libro biblico dell’Esodo, che presto si impadronì dei fuggiaschi e che li rivoltò contro lo stesso Mosé. Al punto che una parte di essi, per un momento egemone, chiede ed ottiene di tornare indietro nella speranza di essere perdonati dagli egiziani. Per propiziare il ritorno, che significava anche un ritorno al culto sincretistico e pagano che con tutta probabilità i fuggiaschi avevano per secoli praticato in Egitto, ecco l’adorazione del vitello d’oro. Che, certo, ci dice della tentazione pagana di Israele ma ci dà anche un chiara traccia di storicità, perché il vitello adorato in effigie dai fuggiaschi altro non era che il Bue Api (la zoolatria era un carattere preistorico della complessa religione egizia) da essi conosciuto in Egitto. Di recente, è stato pubblicato anche in Italia l’opera dell’egittologo Ahmed Osman che ritiene di aver identificato il biblico patriarca Giuseppe, venduto dai fratelli e diventato in Egitto consigliere del faraone, con Yuga, ministro e comandante delle armate su cocchio del faraone Amenothep III (circa 1405 - 1367 avanti Cristo). Le fattezze della mummia di Yuga, che disponiamo, sono infatti non propriamente egiziane. Osman fonda la sua ipotesi su una serie di dati e circostanze che sarebbero compatibili con il racconto biblico (3). Siamo, comunque, sempre nel campo delle ipotesi. Sia per quanto riguarda le conclusioni di Finkelstein che di Osman. Due cose, soprattutto, non sono condivisibili dell’approccio di Finkelstein (approccio che nasconde una opzione anti-sionista eguale e complementarmente dialettica a quella degli archeologi filo-sionisti): innanzitutto l’idea che la invenzione della Bibbia sia stata effettuata per scopi di propaganda o di egemonia politica ed in secondo luogo che questa invenzione sia stata fatta per separare etnicamente un gruppo. La separazione, che in effetti ci fu, è stata invece motivata dalla fede monoteista e dalla necessità della sua preservazione in un ambiente politeista (tutta la vicenda è una continua lotta contro le tentazioni sincretistiche in seno ad Israele). Per quanto, poi, riguarda le ragioni della fusione delle diverse tradizioni orali nell’unico canone biblico, in realtà la causa fu la necessità di riaccordare, dopo l’esilio babilonese, due distinti gruppi di israeliti – tra loro in polemica –, quelli rimasti in Palestina, che riconoscevano in Abramo le proprie origini e tendevano a mettere in secondo piano la memoria mosaica, e quelli deportati e ritornati, che invece riconoscevano (come era naturale per costoro che stavano vivendo un secondo esodo) quelle origini in Mosé a discapito della memoria abramitica. Quali erano veramente a casa? I primi o i secondi? La risposta dei sacerdoti codificatori del canone fu: entrambi (4). La scelta dei sacerdoti codificatori fu motivata dal fatto che, benché i due gruppi fossero portatori di una memoria in parte diversa, si trattava però di una memoria comune nel riferimento allo stesso Dio unico che si era rivelato, in tempi e circostanze diverse, sia ad Abramo che a Mosé. E non solo ad essi. Anche, ad esempio, ad un Melchisedek, re, probabilmente cananeo, di Salem (che significa Pace e prefigura Gerusalemme ossia la Città della Pace) e a Giobbe che era idumeo: in altri termini il Dio unico si era rivelato agli uomini, già prima della formazione di Israele, mostrando, poi, la volontà di scegliersi, tra essi, e di forgiarsi un popolo teologale. Popolo teologale che ha trovato, proprio mentre gli israeliti venivano recisi dall’Olivo Santo (San Paolo) il suo perfezionamento e la sua successiva continuazione nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e Nuovo/Vero Popolo di Dio. Un popolo, Israele, dunque raccolto attorno ad una chiamata di grazia – la vocazione di Abramo e l’Alleanza di Mosé – e non ad un primato etnico o politico: qui – e solo qui – il separatismo etnico-religioso israelitico, che persevera dopo Cristo, è assolutamente riprovevole. Infatti, se si crede – come noi cristiani – nella ispirazione soprannaturale della Scrittura, è proprio questo elemento di progressiva rivelazione che l’ha formata e la tiene unita. Se poi non ci si crede, le cose cambiano. Ma in tal caso non ci si può rifugiare nel solo significato spirituale del testo, che pure sicuramente c’è ed è prioritario. Perché, così facendo, ossia togliendo ogni base storica alla Scrittura, si riduce la fede ad un gnosi che rifiuta, con la storicità essenziale, anche l’Incarnazione. La fede cristiana è inscindibilmente connessa con il Vecchio Testamento. Inscindibilmente proprio perché essendone l’adempimento, e il superamento, non può farne a meno: pena l’assurdità di un Cristo che, nella storia, spunta all’improvviso dal nulla e che magari, per la gioia degli ufologi, qualcuno sarebbe tentato – tra le tante fantasie di quest’epoca scristianizzata c’è già chi lo va dicendo – di farlo passare come extraterreste, abitante del pianeta gamma. Nel nostro precedente articolo, Esodo, abbiamo ricordato la cosiddetta ipotesi documentaria, che risale all’inizio del XX secolo per mano del Wellhausen. «Questa teoria documentaria classica – è spiegato nell’Introduzione al Pentateuco della Bibbia di Gerusalemme –, che tra l’altro era legata a una concezione evoluzionistica delle idee religiose in Israele, è sempre stata discussa; essa è ancora rigettata in blocco da alcuni; altri la accettano solo con modifiche talvolta importanti; non ci sono due autori che si accordino interamente sulla ripartizione esatta dei testi tra i diversi ‘documenti’. Soprattutto, si è abbastanza d’accordo oggi nel riconoscere che la semplice critica testuale non basta a render conto della composizione del Pentateuco. Bisogna aggiungere uno studio delle forme letterarie e delle tradizioni, orali e scritte, che hanno preceduto la redazione delle fonti. Ognuna di esse, anche la più recente (P), contiene elementi molto antichi. La scoperta delle letterature morte del vicino Oriente e il progresso fatto dall’archeologia e dalla storia nella conoscenza delle civiltà vicine a Israele hanno mostrato che molte leggi o istituzioni del Pentateuco avevano paralleli extra-biblici molto anteriori alle date che si attribuiscono ai ‘documenti’ e che numerosi racconti suppongono un ambiente diverso – e più antico – da quello in cui questi documenti sarebbero stati redatti. Diversi elementi tradizionali si conservavano nei santuari o erano trasmessi dai narratori popolari. Furono costituiti in cicli, poi messi per iscritto sotto la pressione di un ambiente o dalla mano di una personalità eminente. Ma queste redazioni non rappresentano un termine: esse furono revisionate, ricevettero complementi, furono infine combinate tra loro per formare il Pentateuco ch noi possediamo. Le ‘fonti’ scritte del Pentateuco sono momenti privilegiati di un lungo sviluppo, punti di cristallizzazione in correnti di tradizione che hanno origini più alte e che hanno continuato a sgorgare». Per quanto riguarda il problema dell’armonizzazione delle due principali tradizioni, la già citata Introduzione alla Bibbia di Gerusalemme spiega che: «Bisogna… tener conto di un fatto importante. Malgrado le caratteristiche che li distinguono, i racconti jahvista ed elohista narrano sostanzialmente la stessa storia: queste due tradizioni hanno dunque una origine comune. I gruppi del sud e quelli del nord condividevano una stessa tradizione, che raccoglieva in un certo ordine i ricordi del popolo sulla sua storia: la successione dei tra patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe; l’uscita dall’Egitto legata alla installazione in Transgiordania, ultima tappa prima della… terra promessa. Questa tradizione comune si è costituita sotto una forma orale (…). Questa continuità (tradizionale) ha un fondamento religioso: è stata la fede in Javhé a cementare l’unità del popolo; la stessa fede ha unificato lo sviluppo della tradizione. Gli inizi dello jahvismo sono dominati dalla personalità di Mosé. Egli è stato l’iniziatore religioso del popolo e il suo primo legislatore. Le tradizioni anteriori, che sfociano in lui, e il ricordo degli avvenimenti che egli ha diretti sono diventati l’epopea nazionale; la religione di Mosé ha segnato per sempre la fede e le pratiche del popolo; la legge di Mosé è restata la sua norma. Gli adattamenti imposti dal cambiamento dei tempi avvennero secondo il suo spirito e si coprirono della sua autorità. Importa poco che noi non possiamo attribuirgli con sicurezza la redazione di nessuno dei testi del Pentateuco: egli ne è il personaggio centrale e la tradizione… aveva ragione di chiamare il Pentateuco il libro della legge di Mosé. A queste tradizioni, che erano il patrimonio vivente di un popolo, che gli davano il sentimento della sua unità e che sostenevano la sua fede, sarebbe assurdo domandare il rigore che userebbe lo storico moderno, ma sarebbe ugualmente illegittimo negare loro ogni verità perché manca loro questo rigore (…). E’… una storia religiosa: tutte le svolte decisive sono segnate da un intervento divino e tutto vi appare come provvidenziale: concezione teologica vera da un punto di vista superiore, ma che trascura l’azione delle cause seconde; inoltre i fatti sono introdotti, spiegati e raggruppati per dimostrare una tesi religiosa: c’è un Dio (unico) (…). Ma questi racconti sono storici nel senso che narrano, alla loro maniera, avvenimenti reali; danno una immagine fedele dell’origine e delle migrazioni degli antenati di Israele, dei loro legami geografici ed etnici, del loro comportamento morale e religioso. I sospetti che hanno circondato questi racconti dovrebbero cedere davanti alla testimonianza favorevole che loro apportano le scoperte recenti della storia e dell’archeologia orientali (…). Israele, diventato un popolo, fa… il suo ingresso nella storia generale e… ciò che la Bibbia dice concorda, nelle grandi linee, con ciò che i testi e l’archeologia ci insegnano sulla discesa dei gruppi semitici in Egitto, sull’amministrazione egiziana del Delta, sullo stato politico della Transgiordania. Il compito dello storico moderno è di confrontare questi dati della Bibbia con i fatti della storia generale. Con le riserve che impongono l’insufficienza delle indicazioni della Bibbia e l’incertezza della cronologia extra-biblica, si potrà dire che (…) (i dati biblici) sono conformi alle informazioni della storia generale sulla residenza dei faraoni della dinastia XIX nel delta del Nilo, sull’indebolimento del controllo egiziano in Siria-Palestina alla fine del regno di Ramses II, sui turbamenti che scossero tutto il vicino Oriente alla fine del secolo XIII. Esse si accordano con le indicazioni dell’archeologia sull’inizio dell’età del ferro, che coincide con l’installazione degli israeliti in Canaan». Anche se le vicende bibliche hanno una loro storicità essenziale quel che ci interessa di più è il significato rivelato e teologico di quelle vicende storiche. Nel discorso di apertura del sinodo delle chiese cristiane orientali, Benedetto XVI ci ha donato una pagina eccezionale del suo magistero che ripercorre il senso biblico della lotta contro gli dèi, contro le potenze mondane, che il Dio di Abramo, il Dio Incarnato in Cristo Gesù, ingaggia chiedendo agli uomini di fare una scelta di salvezza. Il Papa non si è limitato ad una lezione di storia della salvezza ma ha anche indicato alcune delle potenze mondane, degli dèi, di oggi. «Tenendo conto – ha detto Benedetto XVI – (del) nesso tra Theotókos e Mater Ecclesiae, il nostro sguardo va verso l’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, dove, nel capitolo 12, appare proprio questa sintesi. La donna vestita di sole, con dodici stelle sul capo e la luna sotto i piedi, partorisce. E partorisce con un grido di dolore, partorisce con grande dolore. Qui il mistero mariano è il mistero di Betlemme allargato al mistero cosmico. Cristo nasce sempre di nuovo in tutte le generazioni e così assume, raccoglie l’umanità in se stesso. E questa nascita cosmica si realizza nel grido della Croce, nel dolore della Passione. E a questo grido della Croce appartiene il sangue dei martiri. Così, in questo momento, possiamo gettare uno sguardo sul secondo Salmo di questa Ora Media, il Salmo 81, dove si vede una parte di questo processo. Dio sta tra gli dèi - ancora sono considerati in Israele come dei. In questo Salmo, in un concentramento grande, in una visione profetica, si vede il depotenziamento degli dèi. Quelli che apparivano dèi non sono dèi e perdono il carattere divino, cadono a terra. Dii estis et moriemini sicut homines (confronta Salmo 81, 6-7): il depotenziamento, la caduta delle divinità. Questo processo che si realizza nel lungo cammino della fede di Israele, e che qui è riassunto in un’unica visione, è un processo vero della storia della religione: la caduta degli dèi. E così la trasformazione del mondo, la conoscenza del vero Dio, il depotenziamento delle forze che dominano la terra, è un processo di dolore. Nella storia di Israele vediamo come questo liberarsi dal politeismo, questo riconoscimento – ‘solo Lui è Dio’ - si realizza in tanti dolori, cominciando dal cammino di Abramo, l’esilio, i Maccabei, fino a Cristo. E nella storia continua questo processo del depotenziamento, del quale parla l’Apocalisse al capitolo 12; parla della caduta degli angeli, che non sono angeli, non sono divinità sulla terra. E si realizza realmente, proprio nel tempo della Chiesa nascente, dove vediamo come col sangue dei martiri vengono depotenziate le divinità, cominciando dall’imperatore divino, da tutte queste divinità. E’ il sangue dei martiri, il dolore, il grido della Madre Chiesa che le fa cadere e trasforma così il mondo. Questa caduta non è solo la conoscenza che esse non sono Dio; è il processo di trasformazione del mondo, che costa il sangue, costa la sofferenza dei testimoni di Cristo. E, se guardiamo bene, vediamo che questo processo non è mai finito. Si realizza nei diversi periodi della storia in modi sempre nuovi; anche oggi, in questo momento, in cui Cristo, l’unico Figlio di Dio, deve nascere per il mondo con la caduta degli dèi, con il dolore, il martirio dei testimoni. Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l’uomo, che non sono più cosa dell’uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo, che minaccia il mondo. E poi il potere delle ideologie terroristiche. Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio: sono false divinità, che devono essere smascherate, che non sono Dio. E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge: è una divinità, ma una divinità falsa, che deve cadere. O anche il modo di vivere propagato dall’opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via. Queste ideologie che dominano, così che si impongono con forza, sono divinità. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell’unico Signore Gesù Cristo. Di questa lotta nella quale noi stiamo, di questo depotenziamento di dio, di questa caduta dei falsi dèi, che cadono perché non sono divinità, ma poteri che distruggono il mondo, parla l’Apocalisse al capitolo 12, anche con un’immagine misteriosa, per la quale, mi pare, ci sono tuttavia diverse belle interpretazioni. Viene detto che il dragone mette un grande fiume di acqua contro la donna in fuga per travolgerla. E sembra inevitabile che la donna venga annegata in questo fiume. Ma la buona terra assorbe questo fiume ed esso non può nuocere. Io penso che il fiume sia facilmente interpretabile: sono queste correnti che dominano tutti e che vogliono far scomparire la fede della Chiesa, la quale non sembra più avere posto davanti alla forza di queste correnti che si impongono come l’unica razionalità, come l’unico modo di vivere. E la terra che assorbe queste correnti è la fede dei semplici, che non si lascia travolgere da questi fiumi e salva la Madre e salva il Figlio. Perciò il Salmo dice - il primo salmo dell’Ora Media - la fede dei semplici è la vera saggezza (confronta Salmo 118,130). Questa saggezza vera della fede semplice, che non si lascia divorare dalle acque, è la forza della Chiesa. E siamo ritornati al mistero mariano. E c’è anche un’ultima parola nel Salmo 81, ‘movebuntur omnia fundamenta terrae’ (Salmo 81,5) vacillano le fondamenta della terra. Lo vediamo oggi, con i problemi climatici, come sono minacciate le fondamenta della terra, ma sono minacciate dal nostro comportamento. Vacillano le fondamenta esteriori perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere. E sappiamo che la fede è il fondamento, e, in definitiva, le fondamenta della terra non possono vacillare se rimane ferma la fede, la vera saggezza. E poi il Salmo dice: ‘Alzati, Signore, e giudica la terra’ (Salmo 81,8). Così diciamo anche noi al Signore: ‘Alzati in questo momento, prendi la terra tra le tue mani, proteggi la tua Chiesa, proteggi l’umanità, proteggi la terra’. E affidiamoci di nuovo alla Madre di Dio, a Maria, e preghiamo: ‘Tu, la grande credente, tu che hai aperto la terra al cielo, aiutaci, apri anche oggi le porte, perché sia vincitrice la verità, la volontà di Dio, che è il vero bene, la vera salvezza del mondo’. Amen» (5). Ora, anche se il Papa non lo dice apertamente, tra quelle ideologie terroristiche si deve annoverare anche il sionismo, che rappresenta, sebbene nella variante giudaica, una idolatria pagana della nazione, della razza, oltretutto connessa con una prospettiva escatologica intra-mondana di chiara impronta millenaristica. Se ne era reso conto Israel Zolli, il rabbino capo di Roma durante la Seconda Guerra Mondiale, al ritorno dalla Palestina, negli anni trenta del XX secolo, dove si era recato per verificare come andavano attuandosi le speranze dei giovani sionisti che aveva personalmente aiutato ad emigrare verso la Terra Santa. Profondamente deluso da ciò che aveva visto, e che non gli sembrava presagire nulla di buono per il futuro del giudaismo, scrisse: «La Bibbia, sorgente di pietà, cammino che porta verso Dio, è diventata monumento nazionale (…). E un professore dell’università di Gerusalemme afferma che il Regno del Messia, secondo la concezione ebraica, è di questo mondo! E’ come se si sacrificasse il Regno per il regno… La mia anima ha indossato gli abiti del lutto. Laggiù mi sono sentito escluso, esiliato, straniero nella casa dov’ero nato. Non capivo e non potevo essere capito. Forse è l’idea di ‘regno’, mi chiedevo, che aveva infiammato l’animo e la parola di Isaia? Geremia fu ucciso dal troppo amore: lo fecero soffrire e lo uccisero per aver troppo amato (…). E senza trovare un’eco si spense la preghiera secondo la quale ‘la mia casa’ era destinata a diventare ‘una casa di preghiera per tutti’? Non ‘La Casa’! Ne hanno fatto una ‘home’, una casa e nient’altro che una casa (il riferimento è all’idea sionista del ‘focolare nazionale’, nda). Naturalmente c’è stata la Rinascita della lingua, della letteratura, della scienza, insomma di tutto ciò che occorre per ammobiliare la ‘home’. Non solo una casa abitabile, ma una casa anche abbellita. Ed è così che intristivo e morivo; morivo giorno dopo giorno, ora dopo ora, per rinascere alla grande luce di Cristo» (6). Regola aurea per comprendere la Scrittura è tener sempre presente che la «lettera da sola uccide» perché «lo Spirito illumina la lettera». Ciò, però, non significa che la lettera debba essere eliminata. Anch’essa ha i suoi diritti ed il suo spazio. Alla base di ogni esegesi autentica vi è in prima battuta la lettera. Ora, lettera significa anche storicità, nel suo senso essenziale. Una base storica è sempre necessaria alla Rivelazione, come la natura alla grazia. Se la Grazia perfeziona la natura senza eliminarla, la Rivelazione, lo Spirito, illumina, senza eliminarla, la storia. Ma è necessario sempre un equilibrio, tra Rivelazione e storia, Spirito e lettera, che solo la Sapienza può dare. Non la presunzione cattedratica di chi crede di poter approcciare il Mistero con i poveri strumenti umani a nostra disposizione. Ecco perché Cristo ringrazia il Padre per aver svelato queste cose ai semplici di cuore ed averle invece nascoste ai dotti ed agli intelligenti, secondo il mondo. Qualcuno dovrà pur spiegarglielo a Finkelstein.
Luigi Copertino
1 ) Confronta Autori vari L’Umana Avventura, numero 8/79, pagina 89. 2) Confronta Rolf Rendtorff, Introduzione all’Antico Testamento, Torino, 1990, pagina 23; Yohanan Aharoni e Michael Avi-Yonah, Atlante della Bibbia, Casale Monferrato, 1987, pagina 44. 3) Confronta Ahmed Osman I Faraoni Ebrei dell’Antico Egitto, Newton Compton. Versione italiana dell’opera inglese Stranger in the Valley of the Kings, Freethought Press, 1987. 4) Confronta Estelle Villeneuve e Thomas Römer, in Il mondo della Bibbia, numero 103, maggio/giugno 2010. 5) Il discorso di Benedetto XVI è reperibile su Effedieffe e su Vatican.va. 6) Citato in J. Cabaud Il rabbino che si arrese a Cristo - la storia di Eugenio Zolli rabbino capo a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale, edizioni San Paolo, Milano, 2002, pagine 60-61.
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