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WikiLeaks, False leaks
24 Ottobre 2010
Chi ha ucciso Nicola Calipari? Al Qaeda, naturalmente. Lo rivela Wikileaks: e se non credete ai grandi media perchè credete di più ai blog su internet, dovrete per forza credere a Wikileak, che la fa in barba al Pentagono postando su internet centinaiai di migliaia di documenti segreti o segretati. Ovviamente poi i media si affrettano a riprendere le rivelazioni di Wikileaks. Esempio, Repubblica:
«Fu una telefonata dell’uomo di Al Qaeda responsabile della maggior parte dei rapimenti in Iraq, a indirizzare sulla macchina che portava Giuliana Sgrena e Nicola Calipari all’aeroporto di Bagdad il fuoco dei soldati americani e a provocare la morte di Nicola Calipari. E’ questa la rivelazione più scottante e dolorosa che riguarda l’Italia che si trova nei documenti di WikiLeaks anticipati ieri sera da Al Jazeera.
I file messi in onda - e in rete – dalla TV del Qatar raccontano l’interrogatorio – apparentemente da parte dei servizi segreti giordani – di un certo Sheik Husain, definito ‘ex leader della cellula di Bagdad di Al Qaeda, responsabile della maggior parte dei rapimenti di stranieri in Iraq’. L’uomo, dopo il suo arresto, avrebbe rivelato ai servizi segreti giordani che per la liberazione della giornalista italiana sarebbe stato pagato un riscatto di 500mila dollari. E che lui stesso, una volta incassato il denaro, avrebbe chiamato il ministero dell’Interno iracheno e fornito una dritta (tip nel testo). Nella macchina che andava verso l’aeroporto c’era dell’esplosivo pronto ad esplodere: per questo i soldati americani l’avrebbero fatta saltare in aria».
Così gli americani sono scagionati: sono caduti in un tranello di Al Qaeda, più precisamente di Sheik Husain, che adesso ha spifferato tutta la verità agli affidabilissimi servizi giordani. Strano che i servizi giordani si siano tenuti la notizia per sè fino alle soffiate di SuperLeaks.
Persino Repubblica dubita che qualcosa non va:
«Nella ricostruzione (‘rivelata’ da Wikileaks) c’è però un particolare che non torna: la macchina nei files viene definita una ‘bleu chevy celebrity’, una vecchia Chevrolet blu: ma l’auto su cui viaggiavano la Sgrena e Nicola Calipari era una Corolla Bianca. Il particolare dovrà ora essere chiarito».
Repubblica non spinge il dubbio a chiedersi se, per caso, Al Qaeda non sia altro che un nome per i servizi americani. Ma a volte basta giustapporre le notizie.
«Uno dei capi di Al-Qaeda fu invitato al Pentagono pochi mesi dopo l’11 settembre»: Stavolta, la rivelazione bomba viene da – tenetevi forte – Fox News, di Rupert Murdoch. Una fonte insolita come concorrente di WikiLeaks nello spifferare notizie cospirazioniste e sgradite al governo. Ma passi.
Anwar Al-Awlaki
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Il capo di Al Qaeda invitato al Pentagono è l’imam Anwar Al-Awlaki, cittadino americano nato in New Mexico, oggi latitante in Yemen (è per questo che gli americani sono in Yemen: per catturare AQIY, al Qaeda in Yemen). Nei giorni dell’11 settembre, l’intelligence USA sapeva che il giovane imam aveva avuto rapporti con tre di quelli che sono stati indicati quali dirottatori del Volo 77, quello lanciato sul Pentagono: cioè Nawaf al-Hazmi, Khalid al-Mihdhar e Hani Hanjour. Invece di essere arrestato, Al-Awlaki viene invitato al ministero della Difesa, nell’ufficio della segreteria dell’Office of General Counsel (qualcosa come l’ufficio legale del Pentagono) e partecipa persino a un pranzo all’interno del ministero, con funzionari e gallonati.
In seguito, Al Awlaki è stato accusato di aver indottrinato (nella sua moschea di Falls Church, Virginia, presso Langley, sede della CIA):
Nidal Malik Hasan
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Il maggiore e psichiatra militare Nidal Malik Hasan, che nel novembre 2009, nella munitissima base militare di Fort Hood, aprì il fuoco all’impazzata ammazzando 12 soldati e ferendone 31 urlando Allah Akbar!: almeno così ci è stato detto, perchè sulla faccenda è scesa una cappa di segreto militare che Wikileaks non pare in grado di perforare. Ci sono molti dubbi e ipotesi cospirazioniste in in proposito: da una rivolta di soldati che avevano appena saputo di dover tornare per l’ennesima volta sulla linea del fuoco in Iraq o in Afghanistan, fino ad una esercitazione diventata vera: perchè il maggiore Hasan quel giorno entrò nella base, e si fermò tranquillo nello spaccio, mascherato di tutto punto da fellah egiziano, anzichè con la sua uniforme?
Umar Faruk Abdulmutallab
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Il nigeriano figlio di diplomatico Umar Faruk Abdulmutallab, ossia il mutanda bomber che la notte di Natale si fece esplodere – senza conseguenze per gli altri passeggeri – una bomba-carta nascosta nelle mutande sul volo Amsterdam-Detroit: volo su cui era stato fatto salire benchè fosse privo di passaporto. E benchè fosse già indicato da certi rapporti d’intelligence come un elemento di Al Qarda in Arabic Paeninsula (AQIP), con centrale nello Yemen. Forse si ricorderà che il mutanda-bomber fu aiutato da un misterioso uomo indiano molto elegante, che pregò le hostes che raccoglievano le carte d’imbarco di lasciar passare il giovinotto, perchè lo facciamo sempre.
Faisal Shahzad
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Il bombardiere Faisal Shahzad, che nel maggio 2010 ha lasciato a Times Square (centro di Manhattan) un’auto con esplosivo che non esplose. Arrestato 53 ore dopo, il bombardiere fallito (un naturalizzato americano, con buon lavoro e stipendio) si è confessato colpevole di tutto e di più, «ha rinunciato ai suoi diritti costituzionali per accelerare l’interrogatorio» (CNN) e con le sue confessioni ha portato a decine di arresti in Pakistan.
Insomma i rapporti dell’imam Al-Awlaki col Pentagono non fanno che confermare quello che ha sempre sostenuto il nostro amico Webster Tarpley, senza bisogno delle rivelazioni di WikiLeaks: che l’imam ora ricercatissimo è un agente americano «operante sotto copertura di fondamentalista islamico» per attrarre, allevare e indottrinare giovani musulmani scemi da lanciare in attentati scemi e da prontamente arrestare, onde i media possano agitare lo spettro onnipresente del terrorismo islamico.
Attualmente, l’agente è in Yemen per infiltrare o allevare Al Qaeda in Yemen (AQIY) la cui nascita era stata annunciata dall’intelligence americano ormai da tempo, e che è necessaria perchè gli americani potessero metter piede in questo staterello, strategicamente essenziale per la sua posizione geopolitica, dirimpetto al Corno d’Africa.
Qui sotto alcuni articoli di Tarpley o che citano la sua tesi, in italiano, e che sono precedenti le rivelazioni di Fox e WikiLeaks (Un tipo qualunque in una esercitazione diventata realtà?) | (Ammissioni governative: Mutanda Bomber è stato fatto entrare deliberatamente) | (Tarpley a Russia Today: l’attentato fallito di Detroit era un’operazione “false flag”)
La vera domanda sarebbe perchè Fox News di Murdoch faccia questa rivelazione che lascia in braghe di tela il Pentagono. Una faida interna tra servizi? Per interrompere un doppio gioco di certi ambienti militari poco amici dei neocon?
Fox stessa lo lascia intendere: i funzionari cercavano rapporti con un islamico moderato... di Al Qaeda. (www.foxnews.com/projects/pdf/awlaki.pdf)
Non si sta insinuando che WikiLeaks sia interamente un’operazione di disinformazione. Ma è facile intuire che, quando si ricevono 391.832 documenti segreti tutt’in un colpo e li si diffonde senza esame previo, qualcuno può averci messo dentro notizie opportune per i suoi scopi. Come quella che scagiona i soldati USA dall’assassinio di Nicola Calipari, con un errore plateale (ah, la fretta) sulla marca e colore dell’auto dell’ucciso. O che accusano e provano che Siria e Iran hanno le mani in pasta nel terrorismo islamista.
Vediamo: i giornali ricevono 391.832 documenti (sono per lo più logs, rapportini stilati in fretta da militari e ufficiali di linea subito dopo i fatti) e in pochi minuti di lettura – a colpo sicuro – sono in grado di identificarvi le informazioni che contano. Possibile?
No. E’ evidente che, mentre Assange ancora teneva la sua conferenza-stampa, qualche agenzia (di stampa o no) – che aveva avuto tutto il tempo di compulsare i quasi 400 mila documenti segreti – già aveva indicato ai grandi media le due o tre informazioni su cui era opportuno fare i titoli.
Per esempio il sempre ben istruito Guido Olimpio sul Corriere della Sera è stato in grado, dopo aver letto in mezz’ora i 391.832 documenti segreti, di fare due titoli:
«Il supporto siriano ai kamikaze e i giacconi dell’Us Army diventati corpetti-bomba – Militari di damasco proteggevano i ribelli in Iraq»
«Sono interessanti», scrive Olimpio, «le informazioni sul supporto – almeno fino al 2008 – garantito ai ribelli da militari e apparati siriani. In un caso si parla di giacconi dell’Us Army trasformati in corpetti-bomba con speciali cuciture: dalla Siria sarebbero stati spediti in Iraq».
Ma non basta. Altro titolo del Corriere:
«Teheran ordinava omicidi per dimostrare che il piano sicurezza non funzionava – Le trame dei mullah: indebolire il governo iracheno per manipolarlo e contrastare l’influenza americana. Sono continuate pure con Barak Obama» (Teheran ordinava omicidi per dimostrare che il piano sicurezza non funzionava)
«Non erano esagerazioni. E neppure propaganda. Gli iraniani hanno condotto durante gli anni della guerra azioni sovversive in Iraq», assicura Guido Olimpio.
E poi: essi danno «grande appoggio anche all’Esercito del Mahdi del radicale Moqatda Al Sadr, oggi di nuovo sulla scena. Un programma condotto anche con l’aiuto dell’Hezbollah libanese: Teheran ne avrebbe facilito l’arrivo in Iraq per condurre operazioni eversive. Per tutto il 2007, poi, gli iraniani hanno ispirato una campagna di omicidi per dimostrare che il piano per la sicurezza non funzionava. Una manovra destabilizzante ai danni dell’Iraq alimentata anche con l’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca. I documenti citano il ricorso a bombe sofisticate contro le truppe USA e ad una campagna che ha visto l’impiego di ordigni magnetici. Gli attentatori li piazzavano sotto le auto dei loro target e li facevano esplodere solo in un secondo momento».
Ancora: «Un’analisi dell’intelligence (31 dicembre 2009) segnala un lancio di razzi contro la Zona verde a Bagdad: un attacco attribuito alla fazione Kataeb Hezbollah, formata da terroristi addestrati in Iran».
Da notare: tutti i grandi media mettono l’accento su queste due informazioni. Tutti insieme. In tutto il mondo.
Insomma, Hezbollah dal Libano all’Iraq, sotto il mantello protettivo di Teheran. Cosa si aspetta a bombardare Siria e Iran? Abbiamo le prove.
Mica vengono dai grandi media mainstream, a cui ormai non si crede più; vengono dal web, dal blog della grandi rivelazioni. Potete crederci. Anzi dovete crederci.
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