La libertà religiosa di Paolo VI
27 Aprile 2008
Quest’articolo continua il precedente sulla libertà religiosa di Giovanni XXIII.
Perciò inizia verificando le conseguenze civili e religiose, collettive e personali della «Pacem in terris».
Ciò seguendo due sue implicite idee principali: la prima della libertà
di ogni coscienza di considerarsi in possesso della propria verità ed
agire in conseguenza; la seconda della libertà di proclamarla urbe et
orbe.
Tali possono essere considerate le idee guida della dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae» (DH), che tace
sulla necessità delle coscienze di essere formate dalla Parola divine e
quindi guidate dal Magistero.
Per quanto concerne l’autorità di questo Magistero nel mondo ne
consegue che «se la Chiesa insegna oggi solennemente il contrario di
quanto insegnò fino al ‘63, significa che si era sbagliata».
Si tratta, quindi, di un magistero conciliare attuale che ripensa quello precedente tradizionale.
Ma se questo era fallibile e da rivedere, non lo sarebbe domani anche la sua attuale revisione?
Dal sofisma è spuntata una «certezza»: la Chiesa deve chiedere
scuse per aver cercato di privare il mondo dalla sua libertà di
pensiero e d’espressione, dall’autonomia del fare e da tanti piaceri.
Infatti, proclamando oggi come principio assoluto il diritto naturale
alla libertà religiosa, la dichiarazione DH è contraria non solo
all’insegnamento precedente della Chiesa, ma pure al suo modo di agire;
durante secoli la Chiesa avrebbe agito ignorando e conculcando diritti
naturali della persona umana con l’invocare i diritti dell’atavica
religione originale del «frutto proibito».
Insomma, la dichiarazione conciliare DH, con la sua concezione non solo
laica ma laicizzante, vuole compensare questa «svista», ma lo fa
negando implicitamente l’autorità della Parola di Cristo sulla società
civile, il che è «non solo in contraddizione con l’insegnamento
costante della Chiesa, ma anche con le verità più fondamentali della
dottrina cristiana della Redenzione».
Come si è visto, Erasmo, anche rifiutando Lutero, fu precursore di
un’apertura decisiva in campo teologico professando che «ogni uomo ha
in sé la teologia» ed è «ispirato e guidato dallo spirito di Cristo».
Erasmo ha messo le uova con il germe del sussurro originale invitante la coscienza umana ad emanciparsi.
Lutero le ha fatto schiudere fuori della Chiesa ... e poi?
Si doveva operare perché il ciclo libertario fosse compiuto in nome della Chiesa di Cristo.
Sarebbe possibile realizzare tale rivoluzione in seno alla stessa Chiesa, nata per vincolare gli uomini alla Parola di Dio?
Mai; ma per realizzarla come se fosse in suo nome sì.
Bastava «iniziare» un clero per la rivoluzione della cappa e tiara prevista dal canonico Rocca (Glorieux centennaire, 1889).
Infatti, si trattava d’infiltrare nel clero quelle idee apparse nei
secoli scorsi per delineare la mentalità modernista dei futuri profeti
della rivoluzione conciliare futura.
Ed eccola divenuta una realtà che demolisce i princìpi stessi della
Chiesa, ma che pochi capiscono perché rivestita delle insegne papali.
Come riconoscere tali profeti?
«La Chiesa è intransigente nei princìpi, perché crede; tollerante nella
pratica perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti nei princìpi,
perché non credono; intolleranti nella pratica, perché non amano» (P.
Garrigou-Lagrange, «Dieu, son existance et sa nature», volume II,
pagina 725).
Siamo al Vaticano II e a Paolo VI per cui il dilemma di fondo
dell’amore cristiano nella vita sociale era passare dalla cattolica
tolleranza religiosa, al nuovo «principio» del diritto umano alla
libertà di religione.
In questo senso è sorto alla vigilia del Vaticano II il duro conflitto tra i cardinali Ottaviani e Bea.
Ma quest’ultimo rappresentava il pensiero e il volere riformatori in
atto in vista della nuova formula per fondare il nuovo ordine civile
moderno.
Eccola, secondo la DH:
«2b. A motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono
persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti
di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per
obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella
concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una
volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue
esigenze. Ad un tale obbligo però gli esseri umani non sono in grado di
soddisfare in modo rispondente alla loro natura, se non godono della
libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla
coercizione esterna. Non si fonda quindi il diritto alla libertà
religiosa su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua
stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità (da coercizione
esterna) perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di
cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia
rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può essere
impedito».
Si noti il linguaggio ambiguo con cui si passa imperterriti dalla
libertà naturale in foro interno alla libertà senza coercizione in foro
esterno.
Ma cosa insegnarono sempre i Papi?
Leone XIII, Libertas: «Qualunque disposizione della pubblica potestà,
non conforme ai princìpi della retta ragione e dannosa al civile
consorzio, non avrebbe dunque vigore di legge, come quella che da un
canto non sarebbe regola di giustizia e dall’altro svierebbe gli uomini
dal bene, a cui la società è connaturata. Sotto qualsivoglia rispetto
si consideri pertanto la natura della libertà umana, nell’ordine
individuale o nel sociale, nei governanti o nei governati, essa ha
relazione di sudditanza assoluta a quella eterna e sovrana ragione, che
è l’autorità di Dio stesso, che vieta il male e comanda il bene. Il
quale giustissimo impero di Dio sugli uomini, non che distruggere o
punto scemare la libertà nostra, l’assicura e perfeziona; dacché
perfezione vera di ogni essere si è tendere costantemente al suo fine e
conseguirlo; e fine supremo, a cui deve aspirare l’umana libertà, è
Iddio».

Perciò, l’ordine pubblico informato alla giustizia e la coercizione
esterna conseguente al rispetto della giustizia sono in relazione di
assoluta sudditanza con l’autorità di Dio se si esplicano nella legge
oggettiva fondata sui princìpi della retta ragione mirati al bene e
alla verità.
E’ falso il contrario, cioè che la giustizia sia tenuta ad assicurare l’immunità a chi infrange le sue stesse norme.
E’ evidente che la DH non rivendica la libertà religiosa soltanto per gli adepti di altre religioni, ma per tutti gli uomini.
Pertanto, anche per quelli che non abbracciano nessuna religione e
morale e per quelli che negano l’esistenza di Dio e avversano la Sua
Chiesa.
Anche questi, secondo la DH, hanno il diritto naturale di professare e
fare propaganda pubblica della loro irreligiosità e dei loro errori.
Non si capisce come questa idea, che si dice fondata sulla natura
dell’uomo, possa accordarsi con la natura della mente umana creata per
la verità.
O ciò non è vero o non vi è una verità che meriti rispetto.
Ma i prelati che negano la necessità della convivenza secondo un’ordine
pubblico concorde con le ragioni cattoliche e perciò formato alla
giustizia, negano la propria posizione.
Per esempio: se qualcuno, insegnando in una scuola, nega Dio o un dogma
della fede, lo farebbe con pieno diritto e perciò i cattolici per
difendere il diritto degli allievi alla verità possono al massimo
invitare tutti al dialogo.
Il grave problema oggi è che chi lo dichiara non è più un preside
comunista o quant’altro, ma un documento vaticano, che parla di diritto
naturale.
Scrive il giudice Carlo Alberto Agnoli («La Crisi della Chiesa moderna
alla luce della fede e il problema della libertà di religione»,
Civiltà, Brescia, 1984): «Rendendosi conto del terribile pericolo
insito nel principio da loro espressamente enunciato per cui non si può
impedire a nessuno di agire in conformità della propria coscienza,
principio che legittima la pratica di qualsiasi mostruosa dottrina, i
padri del Vaticano II hanno ritenuto di poterne eliminare o almeno
limitare la portata anche socialmente sovversiva affermando che la
libertà di religione e di morale, pur essendo diritto primario, va
soggetta al limite dell’ordine pubblico informato a giustizia. Se ne
ricava che secondo i padri conciliari esisterebbe un ordine pubblico,
fondamento di ogni umana e ordinata convivenza e conforme al diritto
naturale, anzi, che del diritto naturale sarebbe la quintessenza, di
cui depositario e arbitro esclusivo sarebbe lo Stato, che di esso
dovrebbe avvalersi per giudicare se e fin dove le religioni - tutte le
religioni - abbiano diritto di esistere e manifestarsi. E questo Stato,
al di fuori e al di sopra delle religioni, è necessariamente lo Stato
laico ed ateo».
Sulla base dell’esperienza storica di questi ultimi due secoli nel
corso dei quali si è affermato il laicismo, a quale ordine pubblico
allude il Vaticano II?
A quello comunista, del KGB e del gulag?
O a quello demo-liberale che deve assicurare la legalizzazione dell’aborto, della pornografia e della droga?
Ma, chi ha smarrito la nozione dell’origine divina del diritto come
norma di giustizia e della conseguente superiorità e anteriorità della
giustizia e del diritto rispetto allo Stato, non ha perso il senso
stesso di diritto naturale e di giustizia e quindi anche di ordine
giusto?
Esiste una giustizia universale che giustifica lo Stato, o sono i vari
Stati con i loro vari governi partitici a creare i princìpi della
giustizia?
Lo Stato esiste in funzione della Giustizia o al contrario, questa cambia secondo gli Stati e i governi?
La Chiesa insegna che la giustizia umana deve fondarsi sulla Giustizia
che trascende i governi, ma per la DH è un fatto scontato che ogni
«ordine pubblico» contingente è «informato a giustizia», non perché
fondato su una dottrina di verità, ma perché è neutrale: la ignora
agnosticamente.
Siamo allora alla dignità del dialogo, più che il credere, esso è già
formatore della nuova coscienza, è già principio di verità, secondo la
DH:
«3. Libertà religiosa e rapporto dell’uomo con Dio.
a) Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza, qualora si
consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna,
oggettiva e universale, per mezzo della quale Iddio... governa
l’universo e la società umana.[...] Perciò ognuno ha il dovere e quindi
il diritto di cercare
la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.
b) La verità però va cercata in modo rispondente alla dignità della
persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca
condotta liberamente, con l’aiuto del magistero istituzionalizzato, per
mezzo della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di
aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni rivelano
agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengano di aver
scoperta, e alla verità conosciuta si deve aderire con fermo assenso
personale.
c) Gli imperativi della legge divina l’uomo li coglie e li riconosce
attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni
sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi
costringerlo ad agire contro la sua coscienza».
Ma la Chiesa costringeva o formava le coscienze secondo la verità che libera?
San Pio X
«Condanna del Sillon: Alla base di tutti i loro errori sulle questioni
sociali, si trovano le false speranze dei Sillonisti sulla dignità
umana. Secondo loro, l’Uomo sarà un uomo veramente degno di tale nome
solo quando avrà acquisito una consapevolezza forte, illuminata, ed
indipendente, capace di fare a meno di un maestro, ubbidendo solo a se
stesso, e capace di assumersi le più gravi responsabilità senza
turbamenti. Tali sono le grosse parole con cui viene esaltato
l’orgoglio umano, come un sogno che conduce l’Uomo lontano senza luce,
senza guida, e senza aiuto nel regno dell’illusione nel quale egli sarà
distrutto dai suoi errori e passioni mentre attende il giorno glorioso
della sua piena consapevolezza».
Pio XII
«Ci riesce»: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla legge morale
non ha obiettivamente nessun diritto all’esistenza, o alla propaganda,
o all’azione».
Si potrebbe aggiungere: e al dialogo religioso.
Leone XIII
«Immortale Dei»: «Non è permesso perciò portare alla luce ed esporre
agli occhi degli uomini ciò che è contrario alla virtù e alla verità, e
ancor meno porre tale licenza sotto tutela della protezione delle
leggi».
«Libertas»: «Un diritto è una facoltà umana, e, come abbiamo detto e
come non potrà mai essere ripetuto troppo spesso, sarebbe assurdo
credere che esso appartenga, naturalmente e senza distinzione o
discernimento, al vero e al falso, al bene e al male. La verità, il
bene hanno il diritto di essere propagati nello Stato con una prudente
libertà, affinché un numero maggiore ne tragga profitto; ma la falsa
dottrina, di tutte la più fatale peste per la mente... è giusto che la
pubblica autorità usi la sua sollecitudine per reprimerle, per impedire
la diffusione del male a rovina della società. […] E in primo luogo
vediamo sotto il rispetto individuale quella libertà, tanto contraria
alla virtù della religione, che chiamiamo di culto. La quale ha questo
fondamento: esser libero ciascuno di professare la religione che gli
piace, ed anche di non professarne alcuna».
Pio IX, condanna, nel Sillabo: 15: «Ogni uomo è libero di abbracciare e
professare quella religione, che, col lume della ragione, reputi vera».
(Lett. Ap. Multiplices inter, 10 giugno1851; Alloc. Maxima quidem, 9
giugno1862): «Codesti spacciatori di false e perverse dottrine... a
ciascun uomo attribuiscono un tal quasi primario diritto per il quale
egli sia libero di pensare e parlare a suo senno di religione, e
rendere a Dio quell’onore e quel culto che secondo il suo piacimento
giudica migliore». 16: «Gli uomini nel culto di qualsiasi religione
possono trovare la via dell’eterna salute e l’eterna salute
conseguire». Ubi primum, 17 dicembre 1847; Enc. Singulari quidem,
17/3/1856) 17: «Almeno devesi sperare bene dell’eterna salute di tutti
quelli, che affatto non si trovano nella vera Chiesa di Cristo».
(Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854; Quanta cura
condanna: «Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica
per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto».
(Alloc. Nemo vestrum, 26/7/1855): «Quindi lodevolmente in parecchie
regioni cattoliche fu stabilito per legge, esser lecito a tutti gli
uomini ivi convenuti il pubblico esercizio del proprio qualsiasi
culto». (Alloc. Acerbissimus, 27/9/1852).
Libertas: «Seguita dalle cose dette, non esser lecito invocare,
difendere, concedere libertà illimitata di pensiero, di stampa,
d’insegnamento e di culti, come altrettanti diritti competenti
naturalmente all’uomo. Imperocchè, se tali fossero, si avrebbe diritto
di essere indipendenti da Dio, e non potrebbe l’umana libertà essere
moderata da legge alcuna».
Pio IX
Quanta cura: «... ai tempi nostri si trovano non pochi, che applicando
allo Stato l’empio ed assurdo principio del materialismo,... esigono
assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza
nessun riguardo della religione, come se non esistesse, od almeno senza
fare nessuna differenza tra la vera e le false religioni. E contro la
dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei santi Padri non dubitano
di asserire: ‘La migliore condizione della società essere quella, in
cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene
stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò
richiede la pubblica quiete’. Dalla quale idea di governo, in tutto
falsa, non temono di dedurre quell’altra opinione sommamente dannosa...
chiamata deliramento dal nostro predecessore Gregorio XVI ... cioè ‘la
libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun
uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene
costituita, e essere diritto di ogni cittadino una totale libertà, che
non può essere limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi
ecclesiastica,
di manifestare e dichiarare i propri pensieri quali che siano, tanto a
viva voce, come per iscritto, sia in altro modo palesemente ed in
pubblico’. E mentre queste cose temerariamente affermano, non pensano e
considerano che predicano la ‘libertà di perdizione’...».
Leone XIII
Enciclica Humanum Genus : «Inoltre, aprendo i loro ranghi a degli
adepti che provengono dalle religioni più diverse, essi (i frammassoni)
diventano capaci di dare credito al grande errore del tempo presente,
che consiste nel relegare al rango di cose indifferenti la cura della
religione, e nel mettere su un piano di uguaglianza tutte le forme
religiose. Or, di per sé solo, questo principio basta a rovinare tutte
le religioni e particolarmente la religione cattolica, poiché, essendo
la sola vera,
non può tollerare che le altre religioni le siano eguagliate, senza subire ingiurie e ingiustizie».
Lettera «E’ giunto» all’Imperatore del Brasile: «... l’unica vera
religione, che Dio ha stabilito nel mondo e ha designato con caratteri
e segni chiari e precisi, affinché tutti possano riconoscerla come tale
ed abbracciarla. Qui non è questione di questa tolleranza di fatto, che
in date circostanze può essere concessa ai culti dissidenti».
Sulla tolleranza del male
Libertas: «Se non che la Chiesa, con intelligenza di madre guarda
al grave peso dell’umana fralezza, e non ignora il corso degli animi e
delle cose onde trasportata l’età nostra. Per queste cagioni, senza
attribuire diritti fuorché al vero e all’onesto, ella non vieta che per
evitare un male più grande o conseguire e conservare un più gran bene,
il pubblico potere tolleri qualche cosa non conforme a verità e
giustizia. Nella Sua provvidenza Iddio stesso, infinitamente buono e
potente, lascia pure che v’abbia mali nel mondo, parte perché a beni
maggiori non schiuda la via, parte perché non si apra a mali maggiori.
Nel governo dei popoli è giusto imitare il Reggitore dell’universo: che
anzi, non essendo possibile alla potestà umana impedire ogni male, deve
‘permettere e lasciare molte cose impunite che la Divina Provvidenza
punisce e giustamente» (Sant’Agostino, De Lib. Ab., I. I. c. 6
n. 14). Tuttavia, se per ragione del bene comune e per quest’unica
ragione, può la legge umana e anche deve tollerare il male, approvarlo
però e volerlo per se stesso non può e non deve; perché il male,
essendo per se medesimo privazione del bene, ripugna al bene comune,
che, per quanto è possibile, ha da volere e tutelare il legislatore. E
qui pure è necessario che la legge umana prenda esempio da Dio, il
quale, nel tollerare che vi siano i mali nel mondo, ‘né vuole che il
male si faccia, né vuole che non si faccia, ma vuole permettere che si
faccia, e questo è bene’ (ST, I, Q. 19, q. 3).
La quale sentenza dell’Angelico Dottore racchiude in poche parole tutta la dottrina della tolleranza del male».
«Seguita finalmente, che coteste libertà si possono, è vero, quando lo
richiedono cause giuste, tollerare, ma dentro certi limiti, affinché
non abbiano a degenerare in eccessi. Dove poi sono esse già in uso, i
cittadini se ne valgano a ben fare, e ne abbiano in concetto medesimo
che ne ha la Chiesa. Poiché legittima deve stimarsi la libertà, in
quanto ci facilita il bene onesto; altrimenti no.
Una cosa tuttavia resta sempre vera, che cotesta libertà, concessa
indistintamente a tutti ed a tutto, non è... per sé desiderabile,
ripugnando alla ragione che gli stessi diritti della verità abbia
l’errore.
E quanto alla tolleranza, troppo dall’equità e prudenza della Chiesa
van lontani coloro che professano il liberalismo. Imperocchè con quella
sconfinata licenza, che in tutte le cose da Noi accennate danno ai
cittadini, trapassano i termini d’ogni debita misura, e riescono a
questo che, per essi, vero o falso, bene e male, sembra valere il
medesimo. E poiché la Chiesa, colonna e sostegno della verità, e
maestra incorrotta della morale, rigetta con fermezza cotesta specie di
tolleranza sì licenziosa e malvagia, e la dichiara illecita, il
liberalismo l’accusa di intollerante, senza avvedersi
di darle biasimo dove Ella merita encomio. In tanta ostentazione di
tolleranza nel fatto succede spesso che verso la religione cattolica
essi danno prova d’intolleranza grande; mentre sono larghissimi a tutti
di libertà, non sanno rassegnarsi a lasciar libera la Chiesa.».
La liberalità è applicata dai liberali alla società e dai conciliari ad
ogni culto, come se ci fosse una coscienza del bisogno di un culto
comunitario indipendente dal Culto divino rivelato e ordinato da Dio
stesso alla Chiesa:
«DH, 3c)... E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità con
la sua coscienza, soprattutto in campo religioso. Infatti l’esercizio
della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti
interni volontari e liberi, con i quali l’essere umano si dirige
immediatamente verso Dio: i quali atti da un’autorità meramente umana
non possono essere né comandati né proibiti (Ptr). Però la stessa
natura sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente
gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia
religiosa, professi la propria religione in modo comunitario.
d) Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine
stabilito da Dio agli esseri umani, se si nega ad essi il libero
esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine
pubblico informato a giustizia.
e) Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica
gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono
per loro natura l’ordine delle cose, terrestre e temporale.
‘Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene
comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita
religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se
presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi».
«4. Il diritto della libertà delle comunità religiose -
a) La libertà religiosa, che compete alle singole persone, si deve
ritenere che competa ad esse anche quando agiscono comunitariamente. Le
comunità religiose infatti sono postulate tanto dalla natura sociale
degli esseri umani quanto della stessa religione. A tali comunità,
pertanto, posto che le giuste esigenze dell’ordine pubblico non siano
violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni
misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare al
supremo Nume il culto pubblico, nell’aiutare i propri membri ad
esercitare la vita religiosa, nell’alimentarli della propria dottrina e
nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino
gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i princìpi della
propria religione».
Quindi, per i chierici del Vaticano II, «la potestà civile, il cui fine
proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente
rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini...».
Perciò è «bene» anche che il satanismo, il frankismo e altre sette il
cui «culto»... «evade dal campo della competenza [dello Stato]», siano
liberi non solo d’essere praticati, ma insegnati e promossi
pubblicamente.
Quanta cura: «E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei
santi Padri non dubitano di asserire: ‘La migliore condizione della
società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di
reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se
non in quanto ciò richiede la pubblica quiete».
Libertas: «Considerata rispetto alla società, la libertà dei culti
importa non esser tenuto lo Stato a professarne o a favorirne alcuno;
anzi dover essere indifferente a riguardo di tutti e averli in conto di
giuridicamente uguali, anche se si tratti di nazioni cattoliche. Ma,
perché tali massime fossero vere, bisognerebbe che il civile consorzio
non avesse doveri verso Dio, o li potesse impunemente violare: due cose
false apertamente. Difatti l’umana società, o si consideri nelle parti
che la compongono, o nell’autorità che n’è il principio formale, o
nello scopo a cui è ordinata, o nei grandi vantaggi che all’uomo ne
provengono, non può dubitarsi che essa è da Dio. Iddio è quegli che
creò l’uomo socievole, e lo pose nel consorzio dei suoi simili,
affinché i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e ch’ei, solitario,
non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nell’associazione. Laonde la
società civile, proprio perché società, deve riconoscere in Dio il
padre e l’autore suo, e riverirne e onorarne il potere e dominio
sovrano. Ragione adunque e giustizia del pari condannano lo stato ateo
o, ch’è lo stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro
largo dei diritti medesimi».
Pio XI
Quas primas: «Gli Stati, a loro volta, apprenderanno con questa
celebrazione annuale (della sovranità sociale di NSGC) che i governi e
i magistrati hanno l’obbligo, così come i singoli, di rendere a Cristo
un culto pubblico e di obbedire alle sue leggi. I capi della società
civile si ricorderanno da parte loro, il giudizio finale, quando il
Cristo accuserà coloro che l’hanno espulso dalla vita pubblica, ma
anche coloro che l’hanno sdegnosamente messo da parte o ignorato, e da
simili oltraggi trarrà la più terribile vendetta; poiché la sua
dignità regale esige che tutto lo Stato si regoli sui comandamenti
di Dio e sui principi cristiani nel promulgare le leggi,
nell’amministrazione della giustizia, nella formazione intellettuale e
morale della gioventù, che deve rispettare la sana dottrina e la purezza
dei costumi».
Per la DH del Vaticano II, «La potestà civile, il cui fine proprio è di
attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire
la vita religiosa dei cittadini...».
Anche la Rivoluzione Francese celebrò un «essere supremo», secondo le loro idee, che vanno da una dea Ragione a Lucifero.
Gli autori della DH reclamano la tutela dei pieni diritti di ogni culto
da parte degli Stati, affermando di parlare con l’autorità di Dio.
Credono allora che Dio gradisca questi culti; una fede contraria non
solo al Vangelo ma al Vecchio Testamento, perciò il «bene» del
satanismo, del frankismo e quant’altro ha il diritto naturale d’essere
rispettato, insegnato e promosso pubblicamente!
Uno degli effetti del Vaticano II sugli animi è la rabbiosa avversione
al vero Magistero, perciò di una profonda alienazione «cattolica», per
cui, anche su questo stesso sito, un lettore rimase inorridito con la
frase del Signore: «Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a
ogni creatura. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi
non crederà sarà condannato...», accusando la religione d’essere
macabra, e chi la ricorda d’imbecillità.
Figuriamoci cosa dirà leggendo il Magistero dei Papi sulla libertà, qui
solo in piccola parte riprodotto. Ciò perché ormai l’idea di «bene»,
col supporto delle tesi conciliari, è legata alla sua più alta idea:
quella della piena libertà religiosa.
Che quest’idea di «bene» sia stabilita oggi dai politici è divenuto
normale; ma che sia in un documento della Chiesa cattolica no.
Anzi, per chi lo firma e mette in atto, implica, più che una
contraddizione, una tacita dichiarazione di rinuncia alla carica di
diffondere e confermare il vero bene della legge di Gesù Cristo; uno
sciagurato crollo nella fede che fa dubitare della sua apparteneza alla
vera Chiesa, dove non può sussistere la nuova «fede» conciliare.
All’applicazione della «pastorale conciliare» è seguita una spaventosa
proliferazione di sette di ogni genere, specialmente nei Paesi attenti
alle istruzioni di siffatte autorità del liberalismo religioso.
Se c’è la libertà di scegliere il concetto di Dio si può anche scegliere la propria religione e verità.
La DH affida la giustizia dell’ordine pubblico al potere civile, che vorrebbe democratico.
Delega così proprio al potere moderno, che ignora i princìpi divini parificando il vero al falso,
la creazione di un nuovo «diritto» per l’eutanasia del cristianesimo.
Come se ciò non fosse già la prima discriminazione contro la verità di una nuova falsa religione democraticamente rivelata.
Leggiamo la DH:
«6b) Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell’uomo è dovere essenziale di ogni potestà civile (Ptr).
Deve quindi la potestà civile assicurare a tutti i cittadini, con leggi
giuste e con altri mezzi idonei, l’efficace tutela della libertà
religiosa, e creare condizioni propizie per favorire la vita religiosa
cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro
diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la
società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla
fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua volontà. […]
d) Infine la potestà civile deve provvedere che l’uguaglianza giuridica
dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società,
per motivi religiosi non sia, apertamente o in forma occulta, mai lesa,
e che non si facciano fra essi discriminazioni.
e) Da ciò segue che è illecito alla pubblica potestà di imporre ai
cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la
professione di una religione qualsivoglia o la sua negazione,
o di impedire che aderiscano ad una comunità religiosa o che vi recedano».
Eppure la discriminazione principale è sorta proprio in sede
all’approvazione di questi documenti. Rivediamo i fatti attraverso
alcune questioni chiave.
1) Può la «coscienza della Chiesa» non riguardare la sua Dottrina di sempre?
2) La storia della libertà religiosa iniziata nell’Eden fa una tappa finale in Vaticano?
3) Potevano i Padri conciliari fedeli al Magistero cattolico accettare la DH?
4) Che rapporto ha la visita di Paolo VI all’ONU con questa nuova dottrina?
1 - Per considerare il corso di questo documento conciliare si deve
ricordare che, se un Concilio ecumenico insegna delle verità di origine
divina, esso è di per sé infallibile in ragione di questo contenuto e
non perché è dichiarato una cosa o l’altra dai prelati che lo
promuovono.
Divagare sulla sua autorità sarebbe divagare sulla sua origine o sulla
coscienza che ha la Chiesa di manifestare l’autorità divina.
Perciò, parlare della nuova «coscienza» della Chiesa, ancora in
formazione (o da formare) significa esercitare la funzione, non di
interprete del Vangelo rivelato da Dio, ma di chi lo rivela.
La posizione di tale autore che anticipa una nuova «coscienza,
ecclesiologia, dottrina»; elementi per una nuova religione, è già nel
libero esame protestante.
Ci aiuta a capirlo il teologo P. Dörmann.
«La nuova coscienza conciliare non è evidentemente la stessa coscienza
della Chiesa di prima del Vaticano II, ma deve giustamente, ‘malgrado
inquietudini momentanee’, raggiungere, secondo il principio della
‘accommodata renovatio Ecclesiae’, il livello della nuova coscienza
conciliare.
La nuova coscienza conciliare è semplicemente descritta come la
‘coscienza contemporanea della Chiesa’ di cui Paolo V1 ha fatto ‘il
tema della sua enciclica fondamentale Ecclesiam suam’. Coscienza
‘contemporanea’? Come è possibile che un’enciclica del 1964 possa avere
per soggetto la ‘coscienza contemporanea della Chiesa’ di cui tratterà
poi l’enciclica inaugurale Redemptor hominis (1979) promulgata quindici
anni dopo? La difficoltà è risolta nel testo latino dove l’aggettivo
‘contemporanea’ traduce l’espressione hac aetate. Questa coscienza
quindi è caratterizzata dall’epoca, ‘dal tempo in cui viviamo’.
Tuttavia, come ha potuto Paolo VI esporre in ‘Ecclesiam suam’ tale
‘coscienza conciliare della Chiesa’? Dato che quando l’ha promulgata (6
agosto 1964) non conosceva ancora né i testi definitivi di ‘Lumen
gentium’ (21 novembre 19), né quello di ‘Gaudium et spes’ (7 dicembre
1965), di ‘Nostra aetate’ (28 ottobre 1965) o di ‘Dignitatis humanae’
(7 dicembre 1965), né l’effetto rivoluzionario esercitato dal Vaticano
II sul concetto che la Chiesa ha della sua fede e della sua missione
descritte da Giovanni Paolo II nella sua enciclica inaugurale del 1979.
Come Paolo VI ha potuto fare della ‘coscienza conciliare’ il soggetto
della ‘Ecclesiam suam’, prima che il Vaticano avesse formulato e
definitivamente votato i suoi documenti decisivi? Come
si deve comprendere questa coscienza contemporanea conciliare della Chiesa? Non si può trattare
di una coscienza contemporanea della Chiesa universale constatabile in
modo empirico, né di una coscienza conciliare della Chiesa fondata sui
documenti conciliari già votati. E’ dunque un’astrazione, dietro la
quale si nasconde una certa idea di Chiesa che deve prendere forma’.
[…]
Lo stesso si applica allo spirito del Concilio sotto il quale ognuno
può capire quel che vuole (P. Johannes Dormann, «La Teologia di
Giovanni Paolo II», Ichthys, Albano Laziale, 1996, pagine 71-73)».
Insomma, siamo davanti ad un piano di mutazione della fede che non può
che venire da ambienti molto lontani e oscuri, dalla cabbala al
modernismo; idee non solo estranee, ma avverse alla coscienza della
Chiesa.
Mancava solo chi fosse elevato ai poteri di tiara e cappa per attuarlo rivestito dall’ephod di Caifa.
2 - Infatti, sia Giovanni XXIII che i suoi successori parlarono di un
nuovo «avvento», di una nuova «pentecoste», non perché questi eventi
immaginari siano conseguenti alla Rivelazione, ma perché anticipano una
nuova.
E’ il progetto di cambiamento della coscienza cattolica in senso
modernista e altro, esposto nell’analisi del teologo Johannes Dörmann
della «Redemptor hominis» («L’Ètrange Théologie de Jean-Paul II et
l’esprit d’Assise», Courrier de Rome, 1995).
Nella successione di Giovanni XXIII, vista la tendenza rivoluzionaria del Vaticano II, gran parte
dei cardinali, consapevoli che la composizione del Collegio
cardinalizio era stata rinnovata in senso modernista, voleva ellegere
Siri in opposizione a Montini.
Il patriarca sirio d’Antioquia, Tappouni, «propose in modo drammatico
la candidatura» allo stesso Siri: «Sapete cosa mi disse il cardinale -
era veramente un ‘big’ - ‘O accettate o sará un disastro’.
La seconda parola oso appena pronunciarla perché è coinvolto un
Pontificato» (Benny Lai, «Il Papa non eletto», Laterza, 1993, pagina
201).
La gran mutazione era alla portata di mano attraverso un conclave ben
preparato, perché in seguito il decadente mondo cattolico avrebbe
creduto che fosse stato lo Spirito Santo ad ellegere tal Papa!
Sì, forse già nelle riunioni che vi sono state nella villa del
banchiere della loggia P2, Ortolani, per preparare l’elezione di
Montini, come desiderato dai democristiani Andreotti e Fanfani (opera
citata, pagine 202/3), ma pure dai poteri conosciuti da molti e dal
cardinale Tappouni.
Si voleva un apostolo liberal-progressista con un «bagaglio testamentario» molto speciale.
Ci sono indizi dell’elezione di Siri, ma anche di un intervento
estraneo al Conclave per impedire la sua accettazione, probabilmente di
esponenti del «B’nai B’rith». L’episodio è descrito dall’ex gesuita
Malachi Martin, autore di («The Keys of This Blood, Simon and
Schuster», pagine 608/9).
La Massoneria avrebbe vinto di nuovo.
Su quel conclave sospetto il cardinale Siri dichiarò, anni dopo al
marchese de la Franquerie e al giornalista Hubert Remy: «Sono vincolato
dal segreto. Un segreto orribile. Sono accadute allora cose molto
gravi. Ma non vi posso dire nulla!» (Chiesa Viva, numero 198).
3 - Si può desumere che la Chiesa, la sua Dottrina e il Papa cattolico
erano senza difesa e a rischio di una «sostituzione» radicale
attraverso uno strano conclave?
La risposta è positiva se si considera che questa difesa è affidata a
uomini che spesso ignorano il Magistero, la legge e le ragioni
soprannaturali della Chiesa di fronte ad un’uomo incoronato.
Eppure, era tutto scritto sui rischi di nuovi conclavi e dei nuovi concili illegittimi.
«Execrabilis (1460), è la Bolla con cui Papa Pio II definisce che:
«qualsiasi concilio convocato per effettuare cambiamenti drastici nella
Chiesa è decretato antecipatamente invalido e nullo».
«Vatican II was avowedly convoked for this purpose... either ordered
these changes, and is therefore annulled, or it did not order these
changes, and our innovators, including Paul VI and his successors, have
lied to us. Or both!» (Hutton Gibson, «Is the Pope catholic?»,
Groupacumen, Wodonga, Victoria, Australia, pagina 126, sigla IPC).
A questo punto, prendere il riferimento dell’unità cattolica (il
Papato) come autorità per operare cambiamanti sostanziali è interamente
contraddittorio; significa riconoscere in chi ha per munus precipuo il
dovere di preservare e continuare illuminando l’integrità della fede,
il potere di mutarla! Cercare appoggio nell’infallibilità papale non è
d’aiuto per giustificare un attentato al potere papale, oggetto di
tale rapina.
Diversi padri conciliari lo sapevano e hanno costituito una reazione
con il «Coetus Internationalis Patrum», ma è mancata la reazione
proporzionata alla gravità del progetto di mutazione della Chiesa.
Reazione ancora oggi da fare per rettificare l’idea dei diritti umani
che la Pacem in terris fa derivare, «non dal dovere morale dell’uomo, e
quindi dal suo legame finalistico con Dio, bensì immediatamente dalla
dignità umana secondo l’effetto antropotropico, che sarà poi fatto
proprio dal Concilio [Vaticano II], che l’uomo é una creatura voluta da
Dio per e stessa’ ». (Romano Amerio, «Iota unum», pagina 439).
Quindi, i padri conciliari fedeli al Magistero non potevano, come noi
cattolici non potremmo mai, accettare la DH che evoca la tentazione
libertaria originale.
Eppure, nel 1965 quasi tutti i padri del Vaticano II furono indotti da
Paolo VI a sottoscrivere errori ed eresie già condannate dal Magistero.
Alcuni ne erano coautori, ma la maggioranza cadde nell’abbaglio dell’«ubbidienza assoluta» a chi era in veste papale.
Il «colpo da maestro» di Satana è consistito nell’imporre un «concilio
pastorale» come se fosse infallibile, poiché «più importante di Nicea»
secondo disse Paolo VI.
Quindi il Vaticano II fu imposto per «ubbidienza al Papa» tanto ai prelati quanto ai semplici fedeli.
E così s’innescò la sua contraffazione col processo del «clericalismo»
che antepone l’umana ubbidienza a quella dovuta alla fede divina,
sovvertendo così il fine del potere ecclesiastico conferito, al
contrario, per la difesa e continuità della fede integra et pura.
4 - Ora ci interessa chiarire la grave contraddizione di Paolo VI, non solo nel campo dottrinale, ma in quello operativo.
Infatti, lui che voleva ad ogni costo la dichiarazione della libertà di
coscienza e di religione proclamata in ambito universale nell’ONU,
riguardo ai cattolici esercitava una dura pressione sulle coscienze.
Ciò è palese riguardo al difficile corso di approvazione della
«Dignitatis humanae», tra altre, come poi del Novus Ordo Missae, per
cercare di sostituire la Messa secolare della Chiesa con una cerimonia
protestantizzante.
Il piano di mutazione era uno e comprendeva la Dottrina come la Liturgia.
Riguardo al corso d’approvazione del diritto alla libertà religiosa
della DH, voluta dalle logge, si registrarono sei rifiuti. «Nessun
testo sottomesso al Concilio ha subìto tante revisioni quanto lo schema
sulla libertà religiosa. Prima della sua promulgazione (come
dichiarazione) il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Vaticano
II, sei diversi progetti sono stati proposti, e uno dei vescovi
americani disse che, senza il loro appoggio «questo documento non
sarebbe mai arrivato all’aula» (Ralph Wiltgen, s.v.d., «Le Rhin se
jette dans le Tibre», Ed. du Cerf, Paris, 1976).
In vista del Magistero papale in materia si capisce la resistenza cattolica.
Al contrario, non è chiaro come fu possibile farlo approvare in nome della Chiesa.
Anche se fino alla fine ancora 70 padri continuarono a rifiutarlo.
Tre nomi aiutano a capirlo: Paolo VI, il cardinale Bea e John Courtney-Murray S. J.
(1).
A quest’ultimo «perito americanista», fu affidata la stesura del testo,
d’accordo col cardinale Bea, artefice e continuatore del gran progetto
di Giovanni XXIII, condiviso, se non suggerito dall’inizio
da Paolo VI.
In tal senso anche Murray si proponeva d’usare ogni mezzo a favore
della dottrina sulla separazione tra Chiesa e Stato, considerata
«mostruosa» separazione tra corpo e anima da San Pio X, ma
incredibilmente fatta propria dalla nuova Chiesa del Vaticano II, da
cui Murray era stato nominato per la stesura della dichiarazione
Dignitatis humanae sulla «libertà religiosa».
Come detto altrove, negli USA il Modernismo, simile all’Americanismo in
molti punti, non ha assunto importanza allora fino ad essere associati
da padre Murray.
Dal 1950 le dispute riguardo al rapporto tra Chiesa e Stato erano
rinate proprio a causa del suddetto gesuita, divenuto noto, giudicando
i rapporti tra Chiesa e Stato in America, più conformi alla dottrina
della Chiesa di quelli di ogni tempo.
Seguì la censura di Roma inviata al Superiore Generale dei Gesuiti in America, che limitò i suoi interventi.
Ma con Giovanni XXIII tutto cambiò e Murray fu solennemente reinserito
tra i «grandi teologhi» e invitato come esperto dei vescovi ameri¬cani
nel Vaticano II.
A lui, noto liberale, fu affidata la redazione della formula per la
rivoluzione centrata sul nuovo concetto di libertà religiosa.
Per Murray: «Come cristiani si deve vedere la democrazia come una
richiesta naturale imposta dalla ragione stessa di cui la più perfetta
espressione in politica, economia e vita sociale è presente nella
democrazia in America».
Le sue ultime parole confermano il suo americanismo: «D’ora in avanti
la Chiesa definisce la sua missione nell’ordine temporale nei termini
della realizzazione della dignità umana, della promozione dei diritti
dell’uomo, la crescita della famiglia umana verso l’unità, e la
santificazione delle attività secolari del mondo».
Courtney Murray, esperto in materia di «libertà religiosa», dichiarò
che la «sua» DH sarebbe l’inversione di quanto detto cento anni prima
da Papa Gregorio XVI, classificando tale libertà «delirio».
E bastarono leggeri ritocchi al suo testo per sollevare il suo santo sdegno!
Le Nazioni unite e la Chiesa conciliare
La prima ha una dimensione «sacra» nella fede dei «diritti
fondamentali dell’uomo», della Rivoluzione Francese, il cui punto
focale è il diritto alla libertà di religione.
Ciò significa l’esautorazione della Chiesa cattolica, idea sempre
respinta dai Papi, ma che cercava il clerico che l’accogliesse e
proclamasse in ambito internazionale.
Paolo VI, che ad ogni bocciatura della DH provava di tutto per
garantirle il suo personale appoggio, ha dovuto però partire per
visitare l’ONU giorni prima che il Vaticano II dichiarasse con la DH
finalmente quel «diritto».
In quella visita per «la ratificazione morale e solenne di quella istituzione», dichiarava l’ONU...
«via obbligata della Civiltà moderna... ultima speranza della
Concordia... riflesso del disegno di Dio... ove noi vediamo il
messaggio evangelico, da celeste, farsi terrestre».
E con tale spirito si raccolse orante nella camera di meditazione del Palazzo di vetro.
Lo stesso spirito pervase le visite all’ONU dei successori.

Paolo VI usò spesso in pubblico (foto), l’«ephod» dei grandi sacerdoti, il simbolo di Caifa che condannò Gesù.
Un giorno si capirà meglio le ragioni per le quali ritenne d’inviare il
messaggio di un Papa in veste di gran sacerdote al mondo.
Per ora conosciamo solo i risultati giudaizzanti di tale iniziativa in Vaticano.
Egli usò anche il simbolo sinistro di una croce con una figura deforme,
simile a quelle usate dai satanisti attorno al 500, che i fattuchieri
del Medioevo usavano per rappresentare il «Marchio della Bestia»
(confronta Piers Compton, «The Broken Cross, Neville Spearman, Jersey»,
1983).
E’ l’uso di tale simbolo legato a quello precedente?
Certo è che per Caifa e successori Gesù va ridotto a uno straccio.
Tale croce simbolica, per riverenza verso Paolo VI, continuò ad essere portato in giro per il mondo da Giovanni Paolo II.
Oggi pare che fu finalmente accantonata da Benedetto XVI, che con ciò dimostra un po’ più di rispetto per il Crocefisso.

E siamo alla questione del Rito Romano della Messa cattolica.
La «pedagogia» del novus ordo consiste nell’indurre nelle coscienze un
ideale di comportamento voltato al progresso dell’umana autonomia.
Tale piano è portato avanti dai suoi profeti con la metamorfosi del cristianesimo nel senso di una divinizzazione dell’uomo.
Il suo risultato è ovviamente la scristianizzazione sistematica.
Il grande ostacolo che trovano, però, é la Fede Trinitaria della Chiesa
cattolica: della religione teandrica del Verbo divino, la cui direzione
unica, da Dio all’uomo, determina ogni sua posizione e autorità.
Il segno di quest’autorità è la roccia sulla quale fu costituito il rappresentante di Cristo in terra.
La posizione è inginocchiata di fronte al potere di Dio che rappresenta.
Ecco il pericolo: inginocchiarsi di fronte all’uomo che dispensa la
libertà umana dal vincolo ai poteri di Dio, rappresentati nel Triregno
papale.
Paolo VI ritenne di venderlo a favore dei poveri come di liberare gli uomini dalle inginocchiature.
La «pedagogia» del novus ordo doveva perciò demolire o umanizzare
questa autorità sulle coscienze per mutare la fede in una fiducia
nell’uomo: perché l’uomo, mentre l’anima sua era plagiata da demoni.
avesse fede nell’uomo.
Questo piano è stato messo in atto dall’inizio del cristianesimo
attraverso idee sulla persona di Cristo opposte al Vangelo rivelato e
insegnato dalla Chiesa.
Ma la sua autorità magisteriale, anche perseguitata, ha usato tutto il
potere ricevuto per impedire l’inquinamento della Parola divina
seminata nelle coscienze con idee umane.
E i molteplici attacchi eretici alla purezza della fede non sono mai prevalsi.
Sono ritornati sempre ma in altri campi, specialmente in quello della
pedagogia che invitava l’intelligenza a ricuperare libertà creativa
scoprendo la sua verità e il suo proprio culto, aggiornato
ai tempi.
Che gli uomini conoscessero per istinto il rischio della tirannide di
una propria libera creatività è attestato dal sospetto con cui erano
visti perfino i poeti nel passato.
L’umanesimo del Rinascimento ha invertito questo spirito e ha aperto la
cultura ad ogni idea, iniziando la riforma mentale modernista.
Non importava quel che si doveva sapere, ma creare sempre più.
Questa priorità del creare si applica oggi all’arte, per cui, quanto
può essere criticato e respinto perché immorale, se rientra nel campo
dell’arte è giustificato come libera espressività.
E un nuovo concetto d’istruzione prevale, covando le rivoluzioni
moderne che, a loro volta, passarono al piano universale,
irreversibile, della nuova istruzione, dell’apertura verso un
ammirabile mondo futuro fino ad’ora precluso all’uomo da una presunta
greve mentalità religiosa inginocchiata del passato.
Se allora il sentimento prevalente del pittore d’immagini sacre era la
riverenza, ora è la discussione. Basta vedere i nuovi crocifissi, come
quella gigantesca ferraglia contorta nella spianata della Cova da Iria
a Fatima.
Potranno mai dire seriamente che ciò rappresenta l’adorabile Salvatore in croce?
Il fatto è che un’aberrante deformazione intellettuale precede quella
visuale; si corrispondono, ma la prima, mentale, passa spesso in modo
velato, anche nella Liturgia.
Molti sacerdoti lo hanno capito, ma ben meno hanno saputo o potuto
affrontare le conseguenze di una mutazione che sembrava venire
dall’alto, da un Papa!
Come faceva notare Padre J. W. Flanagan («Fatima International» 4
febbraio 1975): «Se Paolo VI impose una messa contorta, immorale [‘The
Great Sacrilege, Fr. James Wathen’, Tan Rockford, 1975], in nome della
‘volontà di Cristo’ e ‘soffio dello Spirito Santo’, è ovvio che non
aveva autorità legittima perché incorreva in eresia e ‘ipso facto’
rinunciava al suo mandato» (opera citata, IPC, pagina 12).
Inutile quindi prendere le distanze solo dal misero aspetto esterno della nuova liturgia.
Esso riflette solo la superficie di un processo di cambiamento profondo
della posizione di fronte a Dio; una nuova fede per una nuova chiesa.
Conclusione: «Sedevacantismo» non esiste come dottrina e perciò non è posizione permanente.
Non è proprio, quindi, parlare di cattolici sedevacantisti come
l’autore citato, che è il padre del noto attore Mel Gibson e mio amico.
ma come cattolici fedeli che riconoscono l’evento contingente che tocca
la fede universale ossia l’assenza per vizio legale o morte fisica o
mentale del Vicario di Gesù Cristo.
In tutti questi casi, previsti nella legge della Chiesa, i cattolici
riconoscono la mancanza del Papa e perciò la necessità dell’elezione di
un altro e sarebbe folle accusarli di «sedevacantismo».
La questione è di estrema gravità poiché implica il rischio di
accettare e ubbidire proprio a «chi affliggerà i santi dell’Altissimo e
avrà in animo di mutare i tempi e il diritto» (Daniele 7, 25).
La chiave della religione divina che salva non sta in una mera fede
sociologica, che pone la sua speranza nell’ONU e la sua carità nel
servizio sociale.
La fede che salva è riassunta da San Tommaso nella fede del Dio giudice
che castiga per i mali commessi e remunera per il bene fatto.
Ciò implica il riconoscimento della Legge e la necessità del ricorso
soprannaturale, affidato all’autorità di Dio in terra, che risiede
nella Sua Chiesa.
Perciò è molto difficile salvarsi senza appartenere corpo ed anima per rimanere vincolati al Signore nella Sua Chiesa.
Ma la volontà di vivere vincolati alla volontà di Dio è comunque la
chiave di appartenenza alla Chiesa che salva, il cui opposto è credere
nella scelta di una propria religione in virtù della dignità umana.
Sembra incredibile ma è proprio quanto vorrebbe far credere l’autorità conciliare, che in questo
si autosqualificarsi «ipso facto» come autorità cattolica.
Eppure affermarlo pare, per la decadente mentalità attuale, invito all’apostasia.
Oggi, nel buio del pensiero cattolico si sente dire che rifiutare il Vaticano II è apostatare la fede!
Ma si può apostatare da Giovanni XXIII o da Paolo VI come se incarnassero la fede?
O in verità incarnano la religione dell’uomo che rincorre e benedice la
religione dell’uomo che ha apostatato da Dio e si fa Dio?
(2).
Invito i cattolici a comparare l’opera conciliare con quella dei Papi,
perché alla luce del Vangelo e anche della logica solo una è cattolica
e viene da Dio.
E allora, poiché non si può servire a due signori, o si è con Gesù Cristo e il Suo Magistero, o con Caifa e i poteri del mondo.
Allora non ci saranno scuse per non seguire il dettame di Dio nella
lettera di San Paolo ai Galati per tenere separati dalla Chiesa i
contraffattori del Vangelo.
L’«anatema» è atto di profonda carità cristiana, sia per difendere le
genti dalla falsa dottrina che danna, sia per richiamare gli errarti
alla verità divina.
Chiudo ricordando il fondamentale «dogma della fede» per cui è la
sottomissione alla volontà e giudizio di Dio la fede della Chiesa che
salva.
Tale è la chiave per essere nella vera Chiesa di Cristo, sia per i pellegrini più semplici che per i più dotti.
A ciò si oppone il diritto di anteporvi la propria libertà di coscienza dichiarata dignità umana dai falsi profeti d’ogni tempo.
Quale altra poteva essere la sovverzione terminale dei tempi e del diritto operata da alto loco secondo il Profeta Daniele?
Arai Daniele
1) Vedi riferimento a John Courtenay-Murray S. J., nell’articolo «L’alienazione americanista che inquina il mondo».
2) Vedi discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II.
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