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La catastrofe dell’Occidente (parte V)
04 Novembre 2010
John Henry Newman e la «rinascita cattolica» inglese L’inferno non è stato creato da Dio né l’ha inventato la Chiesa. L’inferno è il risultato dell’abuso della libertà umana. E’ il peccatore che, abusando del dono della libertà, crea il suo inferno, già qui sulla terra e, poi, nel post mortem nella pena del danno e nella pena del senso. L’abuso della libertà, che è lo sviamento del dono che Dio ha fatto all’uomo, è l’individualismo. A tutti i livelli, teologico, politico, sociale, economico. L’individualismo teorizzato e sistematizzato in dottrina, religiosa e politica, si chiama liberalismo. L’Inghilterra, per le vicende storico-teologiche fin qui narrate, è la patria del liberalismo. Premesso questo, poniamoci dunque la domanda: è essa una nazione definitivamente dannata, come sembra dimostrare l’abisso di nichilismo nella quale è precipitata alla fine della sua lunga parabola storica iniziata con Enrico VIII, oppure ha una speranza di redenzione? Agli occhi di Dio nessun popolo, nessuna nazione, è mai definitivamente dannato. La Redenzione è una possibilità sempre attuabile per il singolo come per i popoli. La Provvidenza opera sempre ed instancabilmente, anche quando non ce ne accorgiamo. Sovente solo a distanza è possibile vedere chiaramente la Sua opera. Quando Benedetto XVI si è recato in visita apostolica in Francia, il Paese oggi più secolarizzato tra quelli che un tempo erano cattolici, i media annunciarono il sicuro fiasco pontificio. Invece, contrariamente alla profezia mediatica, attorno al Papa si riunirono masse impensabili di francesi cattolici, fuoriusciti chissà da dove, chissà da quali catacombe esistenziali. La scena si è ripetuta a settembre, in occasione della visita di Benedetto XVI in Inghilterra. Anche in questo caso i media già pregustavano il fallimento della visita apostolica, anche perché le lobby scientiste, omosessuali, laiciste, avevano fatto sapere che sarebbero scese in campo organizzando manifestazioni contro il Papa. Alcune di queste lobby, con a capo ridicoli professoroni alla Hawkins, chiedevano, addirittura, l’arresto del Papa come mandante morale della pedofilia ecclesiastica. Invece, anche in Inghilterra le piazze si sono riempite di imponenti folle di fedeli cattolici. E la sorpresa è stata ancora più grande, rispetto al caso francese, proprio per via della storia, sopra descritta, della patria, catto-fobica, del protestantesimo anglicano e del liberalismo. L’Inghilterra antipapista incubatrice, tra l’altro, del calvinismo radicale successivamente trapiantatosi nelle colonie americane da cui emersero gli Stati Uniti d’America. Da dove venivano quelle folle cattoliche inglesi, se non da catacombe esistenziali d’oltremanica ancora più invisibili di quelle francesi? Più invisibili perché il livello di nonsense della vita religiosa inglese – l’anglicanesimo è ormai cosa morta e ne è rimasto solo il volto istituzionale di chiesa di Stato, in preda, tra l’altro, a gravi fratture interne dopo l’apertura al sacerdozio femminile ed al riconoscimento morale dell’omosessualità – ha trasformato l’Inghilterra nel più desolato deserto spirituale conosciuto nella storia dell’umanità. C’è una profezia di Leone XIII, un Papa che ebbe sempre molto a cuore il ritorno degli anglicani in seno alla Chiesa di Roma e favorì in tutti i modi questo processo, secondo la quale l’Inghilterra sarà salvata dalla Madonna. La profezia è nota oltremanica in questi termini: «Quando l’Inghilterra ritornerà a Walsingham, la Madonna ritornerà in Inghilterra». Walsingham è la località dove insiste il più grande santuario cattolico inglese. Leone XIII è il Papa che, nel 1879, fece cardinale John Henry Newman, il noto teologo anglicano tornato alla Chiesa cattolica, con grande scandalo dell’Inghilterra cattolico-fobica del suo tempo, a metà Ottocento. La sua clamorosa conversione produceva un effetto a catena di altre conversioni, specie tra gli intellettuali e gli scrittori. La valanga Newman, infatti, annovera, tra gli altri, Hopkins, Chesterton, Waugh, Tolkien, Dawson, Lewis, Marshall, Greene. Newman soggettivista o critico del liberalismo? Newman non gode di popolarità in un certo ambito cattolico tradizionalista perché gli si imputa, per il suo elogio del primato della coscienza, un retaggio soggettivista di matrice protestante che avrebbe reso torbido il suo cattolicesimo. Vedremo come questo elogio della coscienza sia in realtà poco conosciuto nel suo effettivo contenuto filosofico e soprattutto molto frainteso. Il giudizio non benevolo in ambito tradizionalista fa il paio con quello, invece, assolutamente entusiasta dei cattolici liberali che, non a caso, in occasione della recente beatificazione del cardinale inglese, hanno fatto di tutto, su molti media ad iniziare da Il Foglio, Il Giornale e Libero, per far passare, anzi ribadire, la rappresentazione di Newman come un catto-liberale, antesignano del modernismo novecentesco. Anche qui però gioca un ruolo nefasto il fraintendimento del pensiero di Newman. La raffigurazione di Newman come catto-liberale è soltanto frutto di ignoranza del suo autentico pensiero. Non sono, infatti, ascrivibili a posizioni catto-liberali affermazioni di Newman come queste: «… per liberalismo io intendo la falsa libertà di pensiero (…). Il liberalismo dunque è l’errore di sottomettere al giudizio umano quelle dottrine rivelate che, per loro natura, sono al di là di esso e ne sono indipendenti (…) la cui accettazione si fonda unicamente sull’autorità esterna della Parola di Dio». Come si vede, qui, Newman ribadisce la cruciale e tradizionale distinzione tra coscienza retta e non retta. Già in questo è possibile comprendere quale sia il suo effettivo riferimento alla coscienza. La diffidenza di Newman verso il liberalismo traspare da molte sue pagine. Ad esempio, nella sua Apologia, egli scrive: «… il liberalismo fu l’insegna di una scuola teologica, di carattere arido e poco invitante, non molto pericolosa in se stessa, ma pericolosa in quanto apriva le porte a una serie di guai che essa stessa non prevedeva o comprendeva. Attualmente esso non è altro che quel profondo, plausibile scetticismo che più sopra ho indicato come il risultato della ragione umana quale è esercitata in pratica dall’uomo naturale». Quel che Newman denuncia nel liberalismo inglese è la «la sua tendenza antidogmatica» in materia teologica che riduce «la verità religiosa ad una opinione privata o ad un sentimento personale». Qui Newman, lungi dall’anticipare i modernisti, anticipa invece la Pascendi di Pio X, laddove quel documento individua nella riduzione della fede a sentimento religioso il nocciolo essenziale del modernismo. La visione liberale, per Newman, pone tutte le religioni sullo stesso piano e, costringendole nel privato (anche quando – aggiungiamo noi – come negli Stati Uniti non ne nega l’egualitaria, e perciò soggettivista e relativista, espressione pubblica) le rende tutte al tempo stesso plausibili e perciò, in ultimo, inaccettabili nella loro pretesa di Verità. Per Newman: «… senza dubbio c’è, nel cuore di alcuni o di molti di loro (dei liberali, nda) una vera antipatia o un vero sdegno contro la verità rivelata». Il percorso di Newman dall’anglicanesimo al Cattolicesimo deve molto alla sua amicizia con John Keble che l’aiutò a capire che la fede senza rinnegare, anzi valorizzando, la ragione non può fare a meno dell’autorità del Magistero fondato sulla Tradizione. Questo permise a Newman di uscire dalle aporie e dalle secche dell’anglicanesimo che se da un lato pretendeva di rimanere gerarchico e di perpetuare la Tradizione apostolica dall’altro, invece, si poneva in posizione scismatica e pertanto contestativa verso l’autorità di Roma ed il Magistero del Papa. Da qui, dall’ammirazione per la Chiesa di Roma, iniziò a maturare in Newman l’interiore adesione al Cattolicesimo, che alla fine, onesto innanzitutto con se stesso, non potette più nascondere e rese pubblica. Fondamentale in questo processo di maturazione – e non a caso – fu la devozione alla Vergine Maria e la fede nella Presenza reale di Cristo nell’Eucarestia. Proprio i due capisaldi della fede cattolica che erano stati messi al bando nell’Inghilterra tudoriana, fino al divieto, nel XVII secolo, per legge di credere al mistero eucaristico. Parallelamente all’accrescersi dell’ammirazione per il Cattolicesimo, in Newman si fece strada l’avversione per la Riforma. Un’avversione che gli venne soprattutto dall’approfondimento dello studio della patristica e delle eresie antiche. In particolare di quella ariana. Newman finì per scorgere un parallelismo tra arianesimo e liberalismo. L’arianesimo evidenziava, secondo il cardinale inglese, una matrice gnostica in quanto riduceva la fede ad un ragionamento e pretendeva di cogliere l’essenza del Cristianesimo solo attraverso la sua riduzione alla razionalità immanente, anticipando in qualche modo la kantiana «religione nei limiti della sola ragione». Questo atteggiamento dell’arianesimo era la conseguenza della riduzione del Figlio ad un mero uomo assunto dal Padre. Newman si convinse che l’arianesimo naufragò nel dissidio che aveva aperto tra l’intelligenza ed il cuore perché fu mancante di ammirazione e gratitudine per la Chiesa e presunse di poter giungere alla Verità di fede senza la sua mediazione. La mentalità ereticale apparve a Newman simile a quella liberale: gli eretici di un tempo come i liberali di oggi, proclamando di essere portatori di idee nuove, finiscono per rivendicare dalla loro una forza speculativa insuperabile, che negano alla Tradizione, diventando, però, estremamente intolleranti verso la fede semplice dei buoni fedeli, giudicata, la prima, meramente devozionale e popolare ed i secondi ignoranti e mancanti di «illuminazione ed iniziazione». Il Cattolicesimo, invece, non disprezza affatto la semplicità della fede né la grazia che agisce anche nell’illetterato perché possiede quella capacità di usare la ragione ma sotto la sicura guida della Scrittura e della Tradizione che le eresie e, poi, le chiese riformate, compresa l’anglicana, non possiedono. Fu soprattutto questo che convinse Newman a fare il passo definitivo del gran ritorno in seno all’universale cattolicità. Seguendo questa traccia cattolica più tardi, tra il 1851 ed il 1859, Newman si adopererà nella fondazione dell’Università cattolica d’Irlanda che volle profondamente diversa, nella metodologia e nell’impostazione, da quella, che pur aveva frequentato, di Oxford. Anche qui la polemica newtoniana tocca il liberalismo e, nella fattispecie, l’utilitarismo di John Locke per il quale anche il sapere diventa una funzione variabile del mercato e, quindi, della ricchezza. Newman, al contrario, in polemica con l’utilitarismo lockiano, vedeva nell’Università un luogo a tutti accessibile di formazione dello spirito nella ricerca della Verità, necessariamente fondata anche sulla razionalità ma poi raggiungibile solo con un salto oltre di essa. Ma proprio perché il preambolo della razionalità non può essere saltato a piè pari, ecco che l’Università diventa il luogo al quale l’accesso non deve essere precluso per ragioni utilitaristiche e, soprattutto, essa deve essere il luogo dove il sapere non è mai sottoposto al ricatto del funzionalismo e dell’economicismo (1). Benedetto XVI e John Henry Newman Benedetto XVI, come è noto, si sta adoperando da tempo nel facilitare il ritorno degli anglicani in seno alla Chiesa cattolica. Ampi settori tradizionalisti dell’anglicanesimo, insofferenti delle derive nichiliste della cosiddetta comunione anglicana, derive inevitabili per una chiesa che si è separata dalla Roccia Petrina, hanno, di recente, chiesto di essere riammessi nella fede cattolica. La prassi ecclesiale in proposito, sin dai tempi di Leone XIII, è, per quanto riguarda vescovi e preti anglicani, quella di sottoporre gli aspiranti al ritorno alla comunione di fede con Roma ad un nuova ordinazione sub condicione. Lo scisma tudoriano se almeno inizialmente, come qualsiasi scisma, non ha interrotto la linea della successione apostolica, è stato però seguito da successivi e dirompenti cambiamenti sacramentali e dottrinali che non danno più la certezza che quella linea di successione non si sia interrotta nel corso dei secoli. Mentre nel caso di un vescovo ortodosso che torna a Roma non si pongono problemi di certezza nella successione apostolica, lo stesso non può automaticamente dirsi, con assoluta certezza, di un vescovo anglicano. Da qui la riordinazione sotto condizione della sua efficacia solo se, agli occhi dell’Onnipotente, la continuità apostolica fosse venuta meno. Molti hanno notato che la decisione del Santo Padre di presiedere personalmente alla beatificazione di Newman è in controtendenza con la linea che Benedetto XVI ha assunto per il suo pontificato ossia quella di celebrare, con solenne rito universale e romano, solo le santificazioni, lasciando invece le beatificazioni ad livello locale, diocesano. Derogando nel caso di Newman, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’importanza del cardinale nel panorama della Chiesa attuale. Un’importanza dovuta al potenziale di riaffermazione della continuità della Tradizione che il suo pensiero, se ben compreso (ed ecco la necessità di rispedire al mittente i fraintendimenti sia di destra che di sinistra), riveste nell’attuale panorama storico. Una piccola annotazione storica. A nostro giudizio – e lo diciamo con molta umiltà – Papa Benedetto XVI, nei discorsi durante la visita oltremanica, ha fin troppo concesso sul piano storico all’Inghilterra in ordine ad un suo presunto ruolo di baluardo contro il nazismo. Il Papa, del resto, non è uno storico e in materia non dottrinale può benissimo esprimere giudizi parziali o non completamente fondati. Abbiamo già detto delle segrete corrispondenze, sin dal XVI secolo, tra la rete occultistica inglese e quella tedesca ed abbiamo visto come tale rete fosse ancora operante nel 1941 in occasione del volo del delfino di Hitler, Rudolf Hess. In realtà, l’Inghilterra non si è opposta alla Germania nazista per presunti nobili scopi di libertà e democrazia, quanto piuttosto per lo stesso motivo per il quale, sin dai tempi di Napoleone, essa, pur avendo il baricentro del proprio dominio globale al di fuori dell’Europa, ha sempre tenuto d’occhio quanto accadeva sul Vecchio Continente per il timore che l’emergere di una potenza europea potesse mettere in difficoltà la sua egemonia geopolitica mondiale. Questo fu il vero motivo che spinse Churchill, che fece arrestare il gerarca nazista per impedirgli di prendere contatto con i circoli filo-nazisti della corte, a far naufragare la missione di Hess. Una missione che mirava a porre, dopo Dunkerque, le basi per una pace separata tra Germania ed Inghilterra, in nome della comune presunta superiorità razziale nordica, tale da garantire alla prima l’egemonia territoriale ed alla seconda quella marittima. Già ai tempi del Reich guglielmino, l’Inghilterra, nonostante la parentela tra i regnanti e la comunanza religiosa riformata, si era, del resto, comportata in modo da affamare i tedeschi, mediante un blocco navale, ai danni della Germania, dei commerci marittimi tra le colonie tedesche e l’Europa, sempre più stringente. Questo blocco fu causa non secondaria del primo conflitto mondiale. Insomma, lungi dall’essere paladina di libertà e democrazia, l’Inghilterra è stata sempre una spietata dominatrice dei mari ed una cinica curatrice dei propri interessi nazional-imperiali. Se la Germania, per due volte nel XX secolo, non avesse costituito un pericolo per gli interessi geopolitici inglesi, l’Inghilterra dell’oppressione della dittatura nazista e della sorte degli ebrei non si sarebbe di certo fatto un cruccio umanitario. Effettuata questa dovuta opera di disincanto storiografico in ordine alla politica inglese, passiamo ora a spiegare i motivi, squisitamente teologici, connessi anche con gli eventi storici vissuti dalla sua generazione, per i quali il Santo Padre stima, sin dal 1946, l’opera di Newman, che egli ha iniziato a conoscere, da studente di teologia nel seminario della Diocesi di Frisinga, mediante Alfred Laepple, suo docente, che proprio in quel periodo stava scrivendo un testo sulla teologia della coscienza in Newman, poi pubblicato nel 1952 con il titolo Il singolo nella Chiesa. Il grande convertito inglese era stato, negli anni del regime nazista, il punto di riferimento del gruppo cattolico antinazista della Rosa Bianca, i cui membri avevano trovato nella teologia della coscienza di Newman l’antidoto a quanto in un discorso pubblico ebbe ad affermare, con sprezzo del ridicolo ma anche con tragicità inenarrabile, Hermann Goering: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler!». Bisogna ammettere che l’affermazione del grasso gerarca definisce meglio di qualsiasi argomento storico-filosofico cosa è il totalitarismo. Non solo, però, quello nazista o quello comunista, ma anche quello liberale. Sì, perché esiste anche un totalitarismo liberale sicché lor signori liberali non possono assolutamente scagliare la prima pietra. Neanche essi sono, infatti, immuni dal peccato totalitario, a motivo del fatto che il totalitarismo, prima di ogni analisi politologica o sociologica, si identifica con l’immanentismo, con la negazione della Trascendenza, unica vera garante di autentica libertà. Ecco perché sono in molti oggi a scorgere proprio nell’Occidente liberale, che ha trionfato in termini globali, un neo-totalitarismo che – sono parole di Augusto Del Noce e non di un pericoloso comunista o fascista – «è molto più capace di dominio che non i suoi modelli superati, hitleriano e staliniano». Augusto Del Noce, giustamente, vedeva nell’Occidente trionfante il giungere a compimento del processo di reificazione dell’uomo che è, a sua volta, parte di un più vasto processo di secolarizzazione e di scristianizzazione. L’attuale pontefice nel 1990, ancora cardinale, per spiegare l’impatto suscitato dal pensiero di Newman sul Cattolicesimo tedesco che aveva attraversato l’epoca nazista, ha scritto: «Era un fatto per noi liberante ed essenziale sapere che il ‘noi’ della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà - anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza - così ci insegnava con la lettera al Duca di Norfolk - non si identifica affatto col diritto di ‘dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili’. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e ‘la sua raison d’être’ è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza (…). Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma sé stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione… di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore di una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa… una formulazione tratta da una delle sue prediche dell’epoca anglicana: ‘il vero Cristianesimo si dimostra nell’obbedienza, e non in uno stato di coscienza. Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l’obbedienza; egli guarda a Gesù (Ebrei 2,9)… e agisce secondo la sua volontà’. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera ed accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d’animo spirituale» (2). Primato della coscienza e del Papa Abbiamo detto che Newman non gode di buona fama in certi ambiti cattolici tradizionalisti ma che tale giudizio di sospetto è dovuto ad una scarsa conoscenza delle posizioni teologiche da lui sostenute. Quel che in particolare ha fatto ombra a Newman, agli occhi di alcuni cattolici tradizionalisti, è la famosa frase nella quale egli sembra anteporre il primato della coscienza all’autorità del Papa. Ma come spesso accade, una frase tolta dal suo contesto assume un significato diverso da quello che ad essa il suo autore, in quel contesto, gli ha dato. Così è stato anche per Newman, spesso malamente e decontestualmente citato. La frase sotto accusa è la seguente: «Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa». Detta così, in astratto, essa può certamente essere letta come un’affermazione di soggettivismo teologico. Il fatto, però, è che essa fa parte della famosa Lettera a sua grazia il duca di Norfolk nella quale Newman, all’indomani della proclamazione, durante i lavori del Concilio Vaticano I, del dogma dell’infallibilità pontificia, in materia di dottrina e di morale, difendeva questo dogma. In quel testo Newman difendeva il dogma dell’infallibilità papale a fronte dell’accusa che Gladstone aveva mosso ai cattolici: quella di essere gli strumenti di un potere straniero fondato sull’autoritarismo liberticida. Lasciamo la parola ad un caro amico, italiano, docente di filosofia presso una università irlandese che ha dedicato alla questione un interessante articolo, del quale riportiamo un ampio stralcio: «La questione particolarmente delicata del rapporto tra coscienza ed autorità venne trattata da Newman in uno dei suoi ultimi lavori, la ‘Lettera al Duca di Norfolk, pubblicata nel 1875 come risposta alle accuse di William Gladstone, un importante politico liberale che fu più volte primo ministro. Gladstone sosteneva che, particolarmente dopo la dichiarazione del Concilio Vaticano I riguardante l’infallibilità papale, i cattolici inglesi si trovavano ad essere fedeli a due autorità tra loro incompatibili, ossia al Papa e alla regina. I cattolici erano diventati cittadini inaffidabili perché guidati da una potenza straniera e avevano rinunciato alla loro coscienza in quanto obbligati dalle scelte di un singolo. Newman rispose spiegando qual è l’uso appropriato dell’autorità papale, chiarendone i limiti e anche le forme di dissenso ammesse dalla dottrina cattolica in circostanze eccezionali. Uno dei capitoli della lettera è dedicato proprio ad una dettagliata analisi delle caratteristiche della coscienza secondo la tradizione cattolica. Newman parla di quello che oggi chiameremmo relativismo morale: ‘La coscienza ha dei diritti perché ha dei doveri; ma al giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell’ignorare il Legislatore e Giudice, nell’essere indipendente da obblighi che non si vedono. … La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto ad agire a proprio piacimento’. Newman mostra poi che secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa nessuno può essere obbligato ad agire contro la propria coscienza. Risponderà a Dio chi è colpevole dell’errore che avrebbe potuto evitare ma, se ritiene sinceramente che quella sia la verità, deve operare di conseguenza. La coscienza però non è una semplice opinione personale ma la doverosa obbedienza alla voce divina che parla in noi. In tal senso va interpretata un’espressione tanto celebre quanto fraintesa che appare alla fine della ‘Lettera al duca di Norfolk’: ‘Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo - cosa che non è molto indicato fare - allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa’. A fondamento dell’autorità c’è l’obbedienza alla verità oggettiva e, se questo senso morale viene meno, l’autorità stessa diventa tirannia perché si fonda sull’opinione e non su un ordine che ci precede. Nel proporre questo ipotetico brindisi Newman sfidava Gladstone a brindare a sua volta prima per la coscienza e poi per la regina, ossia mostrava che i cattolici inglesi potevano essere fedeli tanto al Papa quanto alla corona perché la loro obbedienza riguardava innanzitutto la voce divina che si esprime nella coscienza, senza la quale verrebbero meno tanto i doveri civici che quelli religiosi». L’autorità papale, dunque, provenendo nella sua legittimità magisteriale da Dio non potrà mai essere in contrasto, nel suo esercizio dogmatico in materia di dottrina e morale, con la voce della coscienza la quale, nel nostro intimo, è nient’altro che il modo in cui Dio, che è altro da noi ma ci contiene e perciò è, anche, in noi, ci si rivela, ci parla e ci muove verso il bene. Ritorno ad Agostino Ancora il nostro amico, di cui sopra: «Seguendo la tradizione, Newman intende la coscienza sia come senso morale, ossia ciò che ci fa distinguere il bene dal male, che senso del dovere, ossia ciò che ci spinge a fare il bene. In diverse sue opere egli descrive con insuperabile suggestione la voce del foro interiore che ci guida, ci induce a scegliere alcune cose e ad evitarne altre. Newman era così convinto del potere autorevole della coscienza da considerarla la migliore prova dell’esistenza di Dio poiché una legge interna testimonia un Legislatore esterno. In uno dei sermoni predicati a Dublino egli afferma: ‘Questa Parola a noi interna, non solo ci istruisce fino ad un certo punto, ma fa sorgere necessariamente nei nostri animi l’idea di un Maestro, un Maestro invisibile e nella misura in cui ascoltiamo quella Parola, e la utilizziamo, non solo impariamo di più da essa, non solo i suoi dettati ci appaiono più chiari e le sue lezioni più ampie e i suoi principi più coerenti, ma il suo stesso tono diventa più forte e più autoritativo ed obbligante’. La legge morale rimanda ad un ordine che ci precede, che non creiamo noi stessi e che pertanto richiede un autore. Questo autore non è un principio astratto ma una Persona, è un maestro che ci parla nel segreto del cuore. Ciò che ci è più intimo è anche ciò che ci apre alla trascendenza. La coscienza pertanto possiede secondo Newman un valore inestimabile, essa è infatti il legame tra la creatura ed il Creatore. Nel discorso già ricordato il cardinale Ratzinger scriveva: ‘Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza non si identifica affatto col diritto di ‘sbarazzarsi della coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri che non si vedono’. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e ‘la sua raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza’» (3). Da quanto abbiamo citato traspare chiaramente la sostanziale differenza tra la posizione di Newman e quella del liberalismo e del relativismo. A ben vedere, in Newman torna Agostino. Laddove, infatti, Newman scrive: «Questa Parola a noi interna, non solo ci istruisce fino ad un certo punto, ma fa sorgere necessariamente nei nostri animi l’idea di un Maestro, un Maestro invisibile e nella misura in cui ascoltiamo quella Parola, e la utilizziamo, non solo impariamo di più da essa, non solo i suoi dettati ci appaiono più chiari e le sue lezioni più ampie e i suoi principi più coerenti, ma il suo stesso tono diventa più forte e più autoritativo ed obbligante» – si coglie l’eco dell’agostiniano «Signore, Tu sei più intimo a noi di noi stessi». Dalla comune fede, questi due grandi, pur appartenendo ad epoche diverse e lontane, hanno desunto identiche posizioni teologico-morali. Ratzinger, in proposito, ha osservato che, se è vero che la libertà della coscienza in Newman è fondamentale, è altrettanto vero che: «… si tratta di un’attenzione nella linea di Agostino e non in quella della filosofia soggettivista della modernità». Newman, dunque, come seguace dell’Ipponate e non di John Locke! Ed, infatti, così Ratzinger continua: «Mi viene in mente qui la figura di Sant’Agostino, così affine alla figura di Newman. Quando si convertì nel giardino presso Cassiciaco, Agostino aveva compreso la conversione ancora secondo lo schema del venerato maestro Plotino e dei filosofi neoplatonici. Pensava che la vita passata di peccato era adesso definitivamente superata; il convertito sarebbe stato d’ora in poi una persona completamente nuova e diversa, e il suo cammino successivo sarebbe consistito in una continua salita verso le altezze sempre più pure della vicinanza di Dio (…). Ma la reale esperienza di Agostino era un’altra: egli dovette imparare che essere cristiani significa piuttosto percorrere un cammino sempre più faticoso con tutti i suoi alti e bassi. L’immagine dell’ascensione venne sostituita con quella di un iter, un cammino, dalle cui faticose asperità ci consolano e sostengono i momenti di luce, che noi di tanto in tanto possiamo ricevere. La conversione è un cammino, una strada che dura tutta una vita. Per questo la fede è sempre sviluppo, e proprio così maturazione verso la Verità, che ‘ci è più intima di quanto noi lo siamo a noi stessi’» (4). Scrive Ian Ker: «Il suo (di Newman) motto cardinalizio ‘Cor ad cor loquitur’, ‘il Cuore parla al cuore’, esprime bene la sua duratura influenza spirituale, personale, che ha condotto molti dallo scetticismo alla fede, dalla comunione parziale alla piena comunione con la Chiesa cattolica, e che ha meravigliosamente rinnovato la fede di tanti cristiani. Quelle parole le ha prese in prestito da un altro grande umanista cristiano, San Francesco di Sales (…). La sua teologia della coscienza… ricorda alla Chiesa la distinzione tra una coscienza autentica che sente l’eco della voce di Dio (quel che nel linguaggio preconciliare si chiamava la ‘retta coscienza’, nda) ed una coscienza ‘contraffatta’, che non è altro che ‘un egoismo evidente’ (…) il beato John Henry Newman è stato … un figlio autentico del Santo rinascimentale Filippo Neri, il fondatore dell’Oratorio, che ha resistito allo ‘sforzo violento (…) di porre il genio umano, il filosofo e il poeta, l’artista e il musicista, in contrasto con la religione’. Nel suo ‘L’idea di università’ Newman ribadisce che ‘conoscenza e ragione sono ministri certi della Fede’ e che la Chiesa ‘non teme la conoscenza’ poiché ‘tutti i rami della conoscenza sono collegati tra loro, perché il soggetto-materia della conoscenza è intimamente unito in sé, essendo atti ed opera del Creatore’. Non può esistere vero conflitto tra religione e scienza poiché ‘la verità non può essere contraria alla verità’» (5). Ed anche questo ribadire la convergenza, pur nella distinzione, tra Fede e ragione ci riporta alla grande tradizione della Chiesa, fino a Tommaso d’Aquino, fino ad Aurelio Agostino. Nel 1873, Newman, pregando, scrisse: «Amavo scegliere e capire la mia strada. Ora invece prego: Signore, guidami tu!». Per concludere Benedetto XVI, abbandonati tutti i cascami di qualsiasi teologia politica, anche se declinati in chiave cristiana, sta segnando il suo pontificato con l’indicazione di una via agostiniana per la Chiesa, che sappia andare oltre la modernità riappropriandosi, nel post-moderno, della Tradizione apostolica nella continuità dell’intera storia ecclesiale, senza cesure. In questo contesto, la beatificazione di Newman si pone nella scia di una Chiesa che si vuole più agostiniana, più mistica, proprio perché i tempi sono tali che non ci sarà mai una rinascita in senso sociale della fede se prima essa non rifiorisce nei cuori. Non è possibile appendere al muro il quadro (la realtà sociologica della fede) senza prima mettere il chiodo (la fede nel cuore). Questo ci porta, riallacciandoci a quanto dicevamo all’inizio di questo nostro lungo intervento, ad alcune conclusioni. Innanzitutto che la Chiesa, in quanto Corpo Mistico di Cristo, non può identificarsi con nessuna cultura umana, attraversandole tutte e tutte rimodellandole laddove storicamente le condizioni lo rendano possibile. La Chiesa è sempre altra da qualsiasi pur solida Cristianità in senso sociologico. L’Occidente, quello di ieri ancora cristiano ma soprattutto quello di oggi post ed anti-cristiano, non può pretendere di identificarsi né con la Chiesa, strumentalizzandola nella strategia dell’ateismo devoto a supporto dello scontro di civiltà, né con una presunta eredità cristiana sulla quale esso si fonderebbe. Quei valori che l’Occidente post-cristiano rivendica per sé, a giustificazione della sua presunta superiorità di fronte alle altre civiltà, ossia la dignità della persona, la libertà, la solidarietà, non sono in realtà suoi ma della fede cattolica e della Chiesa. E se è vero che storicamente, sovente, la fede ha camminato insieme alle spade, ai velieri ed ai cannoni dell’Occidente in espansione planetaria, è pur altrettanto vero che questo cammino è stato sempre immancabilmente contrassegnato da contrasti, essenzialmente, irriducibili, per quanto diplomaticamente mediati, tra i missionari, da un lato, e i colonizzatori, che usavano del Nome cristiano, dall’altro. L’Occidente ha semmai secolarizzato quei valori, riducendoli ad istanze umanitarie e libertarie. Poi, però, esso tradisce anche quelle istanze quando le innalza, per esportarle, ma in realtà persegue disegni di egemonia geo-politica e geo-economica. Quei valori secolarizzati, ossia senza essere sorretti nella vita pratica dalla grazia, veicolata da preghiera e sacramenti, non sono altro che retorica e menzogna (e questo vale, in ogni tempo, per ciascun cristiano: non è sufficiente dirsi cristiani come non è sufficiente vivere in tempi di cristianità per essere degni di Lui e del paradiso). L’Occidente è responsabile di aver imposto con la violenza sé stesso al resto del mondo mentre blandiva le sue vittime non occidentali con i supremi valori della libertà e della tolleranza. Per questo è assolutamente necessario che i cattolici non facciano l’errore culturale e storico di presentare la Chiesa schiacciata, a mo’ di sovrastruttura religiosa, sull’Occidente. I cattolici devono fare molta attenzione a non ripetere l’errore anglicano ossia a non ridurre la Chiesa ad una istituzione a servizio del potere politico ed economico, oggi, globale. Perché l’Occidente non è altro che una regione del mondo e quando pretende di globalizzarsi, come ha preteso in questi nostri tempi, esso imita, come sosteneva Alvaro d’Ors (6), l’Unità Universale e Trascendente della Chiesa, imponendo una unità innaturale ed artificiale, quella politica e/o economica planetaria, che, nel tentativo di uniformare quanto invece per natura non può trovare unità immanente, ossia i popoli, le culture, i sistemi politici ed economici, assume, dietro il suo volto rassicurante, umanitario, pacifista, democratico e liberale, chiare fattezze luciferine. Luigi Copertino Articoli correlati: • La catastrofe dell’Occidente (parte I) • La catastrofe dell’Occidente (parte II) • La catastrofe dell’Occidente (parte III) • La catastrofe dell’Occidente (parte IV)
1) Confronta Angelo Bottone, John Henry Newman e l’abito mentale filosofico. Retorica e persona negli Scritti Dublinesi, Studium, Roma, 2010. Oggi Newman sarebbe un feroce critico delle riforme liberali in atto dell’università, tutte all’insegna dell’egemonia del mercato sulla ricerca, e questo dovrebbe molto far riflettere i millantatori di un Newman catto-liberale. 2) Confronta J. Ratzinger, Discorso in occasione del centenario della morte del cardinale John Henry Newman, reperibile in paparatzinger-blograffaella.blogspot.com. 3) Confronta Angelo Bottone in Bollettino Agenzia SIR. L’articolo ci è stato cortesemente inviato via mail dall’autore. 4) Confronta J. Ratzinger, Discorso …, opera citata. 5) Confronta I. Ker, A un mese dalla beatificazione - La ragionevole fede di Newman, in L’Osservatore Romano del 16 ottobre 2010. 6) Confronta A. D’Ors, La violenza e l’ordine, Marco editore, Cosenza, 2003.
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