Che bel governo di destra. Sembra Kerenski.
Maurizio Blondet
08 Maggio 2008
La bandiera israeliana sventola sul Campidoglio: così ha voluto il nuovo sindaco Alemanno, tanto per mostrare a chi deve obbedienza. All’alzabandiera hanno presenziato, leggo su Libero, l’ambasciatore Gideon Meyr e signora, insieme a Riccardo Pacifici. Non si sa se ridere o piangere.
Per l’amico Siro «si realizzano le maledizioni talmudiche di vendetta e dominio su Roma», chiaro segno dei tempi. Certo l’odio per Roma e la promessa - «La conquisteremo, la schiacceremo sotto i nostri piedi» - corre inestinguibile lungo il Talmud. Ma a me, Alemanno che innalza la stella di Davide sul Campidoglio come primo atto del suo governo, richiama allla mente un altro fatto tragicomico.
Marzo 1917, San Pietroburgo: fine dello zarismo, la rivoluzione borghese prende il potere e instaura la repubblica. E’ la repubblica di Kerenski, che diventa capo del governo mentre l’esercito si liquefa sul fronte occidentale, due milioni di prigionieri sono in mano all’armata tedesca, il disordine infuria sulle piazze piene di disertori che ammazzano gli ufficiali, nonchè di ubriachi e saccheggiatori; le difficoltà sono enormi, centinaia di poliziotti sono stati arrestati arbitrariamente, si sentono scariche di fucileria disordinate, i bolscevichi istigano il caos insieme ad anarchici e farabutti di diritto comune, l’approvvigionamento delle città non funziona più.
In tale situazione, qual è il primo atto che Kerenski ritiene assolutamente urgente? Quale il primo decreto necessario, che non può attendere, che emana la repubblica? L’iscrizione degli avvocati ebraici ai tribunali, onde potessero discutere le cause. Era la discriminazione più lamentata dagli ebrei sotto lo zarismo. E’ il primissimo atto di Kerenski.
«Il primo marzo, ventiquattr’ore prima dell’abdicazione dello zar, a qualche ora del famoso ‘Decreto numero 1’ che provocò lo sbando dell’esercito, i commissari della Duma B. Maklakov e M. Agemov, per il ministero della Giustizia, promulgarono la decisione di iscrivere al foro tutti i praticanti avvocati ebrei», scrive Solgenitsin
(1). Non si tratta di una misura impopolare.
In quei giorni, mentre «ogni problema concreto suscita divergenze nelle opinioni, e una totale discordanza degli scritti, la stampa intera e la società non si accordano, a quanto pare, che su un punto solo: la necessità di instaurare immediatamente l’eguaglianza di diritti per gli ebrei. Fedor Sologub (un poeta simbolista) scrive su ‘Notizie di Borsa’ (ecco dove pubblica un poeta): ‘Il primo passo essenziale per la libertà civile , senza il quale la nostra terra non può essere santa e il nostro popolo non può essere giusto, nè le gesta del popolo intero saranno mai sacre, è la soppressione di ogni discriminazione religiosa e razziale». Naturalmente il poeta borsistico non stava pensando all’uguaglianza di diritti per i Tatari di Crimea, nè per i musulmani, nè per i samojedi siberiani.
Nonostante ciò, il governo Kerenski non durò molto. Già stava arrivando dagli Stati Uniti Lev Trotzky per instaurare la dittatura del proletariato, imbottito di milioni di dollari in oro del banchiere Jacob Schiff e seguito dagli auspìci della rivista Forward, «a nome dei due milioni di ebrei che vivono negli Stati Uniti d’America». Firmava questo saluto il redattore-capo di Forward, tale Avraham Kagan; ora i nipoti e pronipoti di Kagan sono influentissimi esponenti neocon, ultraliberisti e bellicisti. Le mode ebraiche cambiano, e il governo Kerenski è passato alla storia come «il governo provvisorio». Magari anche Alemanno lo sarà.
Questo piccolo evento di servilismo, ridicolo o apocalittico che sia, sembra confermare la malignità che corre sul web: l’ebraicità di Alemanno (dopotutto, «alemanno», ossia tedesco, in yiddish si traduce «askhenazi»). Ipotesi non necessaria, il governo «di destra» è affollato di patrioti per Israele, che domani forse verranno insigniti dal Quarto Reich del titolo di «ebrei onorari», come il Terzo insignì il suo banchiere centrale, H. Schacht, del titolo di «ariano onorario».
C’è di più: siamo tutti in qualche misura diventati ebrei, se si deve credere alle definizioni che ne dà Riccardo Calimani («Non è facile essere ebrei - L’ebraismo spiegato ai non ebrei», Mondadori, 2004): «Il pluralismo, ritenuto una conquista del mondo contemporaneo, è una vera manna per gli ebrei... per descrivere la sana anarchia dei mondi (c’è) il giudaismo», che è «improvvisazione, contraddizione, affrancamento, desiderio di forzare gli schemi, di raggiungere i limiti» ciò perchè, spiega, «il giudaismo non s’è mai nutrito di metafisica», è «un pensiero nomade che non si rassegna alla staticità»
(2).
Non siamo tutti volonterosamente affannati in questo nomadismo super-moderno che forza gli schemi e «raggiunge i limiti»?
Niente metafisica: «L’arrivo del messia è il risultato di un processo di liberazione (...) terrena», come ci insegna il sullodato Calimani. Basta con le civiltà di una volta, il cui ordine mirava a tenere una porta aperta sull’aldilà, per chi magari cercasse, anzichè il successo in Borsa e nello spettacolo, il successo eterno. Come disse il rabbino Toaff: «L’epoca messianica è proprio il contrario di quello che vuole il cristianesimo: noi vogliamo riportare Dio in terra, non l’uomo in cielo». Ormai, come sappiamo, è rimasta una sola religione, con le sue liturgie obbligatorie: ed è questa che non vuol portare l’uomo in cielo. La religione «nomade».
Un tempo, «destra» significava, almeno come minimum, il radicamento nella tradizione, ossia la stabilità contro il nomadismo. Invece, guarda caso, il Secolo d’Italia del 7 maggio ha pubblicato due paginoni «culturali» in gloria di Hakim Bey. Chi è costui?
«Hakim Bey» è lo pseudonimo sceltosi da un sociologo americano, di nome Lamborn Wilson: pedofilo dichiarato ed orgoglioso, è l’ispiratore culturale della filosofia, diciamo così, dei centri sociali, dove si legge il suo libro «TAZ», che è l’acrostico di «Zone Temporaneamente Autonome».
Tali sono, spiega, i centri sociali: zone temporaneamente liberate da leggi e divieti, anarchici libertari, senza «metafisica»; «nomadi» perchè, sciolti dalla polizia, rinascono in un’altra casa occupata o area dismessa, nomadi come i concerti rave.
I modelli proposti da «Hakim Bey» sono: il Pir di Alamut, ossia il capo della setta degli Assassini, il Vecchio della Montagna, ma soprattutto le ciurme dei pirati: che nelle loro isole-covo, ci assicura, praticavano felicemente lo stupro (omo) sessuale ed ogni eccesso di droga ed alcool, sperimentavano il disordine come base della società e accumulavano tesori saccheggiati nei festosi arrembaggi
(3). Un modello di «affrancamento, di desiderio di forzare gli schemi, di raggiungere i limiti».
Ebbene: la pubblicazione del verbo di «Hakim Bey» sul Secolo d’Italia, è un gesto simbolico di almeno uguale importanza che la Stella di Davide sul Campidoglio. E mostra la coerenza del tutto. La destra è nomade quanto la sinistra. Una felice contaminazione di «culture», ben incarnata dai quattro skin che hanno ammazzato il passante a Verona: «neri» ma pienamente aderenti alla «sana anarchia dei mondi postmoderni», con le svastiche ma «pirati» e sicuramente Assassini
(4).
Non so: è un’ipotesi che offro a quei lettori e giornalisti di sinistra che hanno voluto sottolineare la matrice «fascista» dei massacratori veronesi.
L’irrazionalismo ha molte facce: Hakim Bey loda, fra l’altro, la repubblica di Fiume, governata da D’Annunzio, che aveva attratto ogni sorta di «bohemien, avventurieri, omosessuali, dandy militari - l’uniforme nera col teschio e tibie pirata, più tardi ‘rubata’ dalle SS - e strambi riformatori d’ogni tipo. La festa non finiva mai». Una zona temporaneamente autonoma, anche quella. Quasi una festa rave. E un governo provvisorio.
A proposito: avete notato che non c’è più nessuno che canzoni o sbertucci Berlusconi, o ci metta in guardia contro il suo nuovo governo? I grandi giornali pubblicano biografie rispettose dei nuovi ministri, anche della Gelmini all’Istruzione (ma chi cavolo è?). Napolitano si dichiara molto contento della «compagine» governativa, molto «compatta». La CGIL è pronta a collaborare. Con soddisfazione, tutti quelli che contano notano che non c’è nemmeno un cattolico, nemmeno un ciellino.
Il senatore De Benedetti, della nota sinistra aperta e illuminata (e fratello del finanziere anti-Berlusconi), si spinge a dichiarare al Corriere: «Calderoli farà bene». E anche Sacconi al Lavoro. Solo una critica a Tremonti, il nemico perchè non è liberista, ma sarà tenuto a freno dalla compagine che «farà bene».
Da dove viene questa tranquilla sicurezza? Forse, dal fatto che la «compagine» attuerà un programma già scritto. Altrove, naturalmente
(5).
1) Aleksandr Solgenitsyn, «Deux siècles ensemble», Fayard, 2002, pagina 30.
2) Citato da don Curzio Nitoglia, «Dal giudaismo rabbinico al giudeo-americanismo», Effepi, Genova, 2008, pagine 195-197.
3) «Un gruppo di capanne e tende davanti alla spiaggia, dedicate alle donne, al vino e anche ai ragazzi, alla canzone (i pirati erano innamorati della musica e ingaggiavano gruppi per intere crociere)... i bucanieri erano omosessuali... indulgevano nella fornicazione e nell’incesto, i bambini correvano in giro nudi e si masturbavano apertamente (...). Senza dubbio misero in atto alcuni desideri repressi d ella civiltà. Divenire selvaggi è sempre un atto erotico, un atto di nudità».
4) Hakim Bey, «TAZ», Shake Edizioni Underground, 1993, pagina 30. La Shake è la casa editrice del Centro Sociale Leoncavallo, ora apprezzato anche dal Secolo d’Italia.
Sempre Hakim Bey: «Nella nostra società (...) molte forze sono al lavoro, largamente invisibili, per eliminare la famiglia e portare in evidenza la banda». Egli pensa alla banda giovanile, che è la riemersione della banda «arcaica dei cacciatori-raccoglitori, nomade o seminomade»; insomma
«il ritorno alla stato selvaggio, un ritorno che è anche un progresso» («TAZ», citata, pagine 18-19. Ogni pedagogia scolastica si è sempre sforzata, fino a ieri, di spezzare e stroncare la banda giovanile, perchè in essa non c’è alcuna liberazione, ma al contrario il soggiogamento delle sub-personalità più deboli all’arbitrio del «capo» più bullo. I quattro di Verona ne sono un esempio lampante.
5) Non sto insinuando che l’hanno dettato gli ebrei, sia chiaro. Così rispondo a quel lettore che mi invita a piantarla di accusare Israele, che «è una realtà complessa» (anche il Terzo Reich era una realtà complessa, ma lo ricordiamo solo per i lager). In ogni caso, non sono gli ebrei a teleguidare tutto. Essi stessi sono teleguidati, come ha intuito un ebreo di nome M. Gerschenson, citato da Solgenitsin: «La continuità della storia ebraica è stupefacente. Si direbbe che una volontà personale realizzi qui un progetto di largo respiro, la cui finalità ci sfugge» (M.Gerschenson,
«La destinée du peuple juif», 1981). Di questa «volontà personale» che agisce nella storia, la Chiesa dovrebbe ricordare il nome.
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