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Omosessismo, compromesso, i nuovi dogmi della chiesa OGM
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Vale la pena di tornare in argomento, perché con la precedente denuncia dell’inganno sotteso al testo unico sulle convivenze si ha l’impressione di avere scoperchiato una sorta di vaso di Pandora il cui contenuto va addirittura oltre il previsto e oltre il prevedibile.

In quello che appare come un vero e proprio «colpo di mano», il convegno di Milano ha giocato una parte fondamentale, pur nella indiscussa buona fede di molti. È servito ai promotori della manovra sovversiva a mascherare il loro vero obiettivo dietro una scenografia attraente, dove l’intellighenzia sedicente cattolica e una corte che piace – tutti sotto l’aggiornato ombrello vaticano – hanno suscitato entusiasmi, acquietato le coscienze, e trasportato i più là dove essi nemmeno sanno di andare a finire.

Gli ingredienti – a pensarci – in quel di Milano c’erano tutti. Il cast era al gran completo: dall’intellettuale, al giornalista, al politico, al sacerdote, al neo-convertito, all’avvenente e brillante mamma coniglia (e sia chiaro: è detto con affettuosa solidarietà di categoria), tutti erano autorevolmente rappresentati. C’erano persino i carri armati nemici schierati fuori dalla porta, l’estemporanea incursione di un contestatore come nota di colore, la potenza di fuoco della stampa di regime ad amplificare l’evento. C’era infine, in tutto questo, il comprensibile orgoglio dei resistenti cattolici, uniti finalmente insieme ai loro paladini sotto la stessa bandiera.

È d’obbligo però, a questo punto, per tutti, capire quale sia questa bandiera.

Perché se Introvigne, nell’indicare il piano di battaglia all’esercito convenuto, propone sotto mentite spoglie lo stravolgimento dei criteri fondamentali della morale cattolica e dello stesso piano della creazione divina, forse c’è qualcosa che non torna. E che va detto. Certo, si può anche fare finta di non vedere, ma – forse – non è l’atteggiamento migliore per evitare che venga apposta per l’ennesima volta l’etichetta «cattolica» ad operazioni che legittimano aberrazioni conclamate.

È evidente, infatti, che non basta dichiarare la bellezza della unione tra un uomo e una donna e brandire lo slogan che i figli devono avere un papà e una mamma – cosa che non costa niente, e ripaga con molti applausi – quando poi, in realtà, si lavora con zelo inusitato a favore di chi quel modello vorrebbe distruggere.

E qui viene da sé una riflessione: come può il cattolico Introvigne avere messo insieme una tale dirompente carica esplosiva sotto la famiglia (quella che i convegnisti sono accorsi a celebrare) senza il consenso episcopale e vaticano? E quindi: che tutto questo spiegamento di forze «cattoliche», il pullulare di iniziative, il proliferare di testate (neonate tipo la Croce e, come sembra, altre in gestazione) non sia proprio programmato per sostenere mediaticamente il nuovo piano di aggiornamento del paradigma famigliare in omaggio alle dissennate mode del mondo invertito? A far convergere tutti verso i nuovi dogmi di un cattolicesimo «geneticamente modificato»?

Per convincersi della non manifesta infondatezza di queste domande, occorre ancora una volta ricostruire innanzitutto le tappe fondamentali della strategia, sperimentata con profitto in altri ordinamenti (come quello francese), tramite cui si arriva senza intoppi al matrimonio omosessuale e alle connesse famiglie arcobaleno.

La famiglia vera, l’ultima isola di libertà e di autonomia morale, è già stata minata dal divorzio, dalla dissoluzione del principio di responsabilità verso i figli e dalla negazione del principio di autorità. E ora va abbattuta. Il facsimile omosessuale serve appunto a dare il colpo di grazia all’istituzione matrimoniale, che neppure la Chiesa si sente più di difendere. Ma poiché il matrimonio tra persone dello stesso sesso suona ancora male e suona peggio la conseguente possibilità di adozioni, bisogna tranquillizzare anzitutto quel mondo, cattolico e non, che continua in cuor suo a rifiutare questa enormità. Tuttavia, nella visione pragmatica che ormai domina le coscienze, si deve obbedire soprattutto allo spirito del tempo che soffia in senso opposto. E c’è una via collaudata per adeguarsi ad esso su questo tema, salvando apparentemente capra e cavoli: basta dare veste giuridica alle convivenze, creare uno status giustificato dal mero vincolo affettivo che lega i conviventi. Una volta creato questo nuovo soggetto titolare di diritti, in una prima fase si parificano le convivenze tra persone di sesso diverso a quelle tra persone dello stesso sesso. Poi, sempre in virtù del principio di uguaglianza, si estendono alle convivenze le prerogative ancora riservate ai coniugi, sul presupposto che l’elemento che accomuna questi ultimi ai conviventi more uxorio è appunto il vincolo affettivo, e dunque tutti possono (devono!) finire per godere degli stessi «diritti».

Questo è proprio il meccanismo con cui ad esempio in Francia si è arrivati trionfalmente al traguardo.

Ora, Introvigne e i suoi saltano addirittura lo stadio «intermedio» (quello della disciplina delle coppie di fatto eterosessuali) e presentano direttamente un disegno di legge in cui si riconoscono tanti diritti (cioè quasi tutti, al punto che loro stessi osservano, con disarmante onestà, che: «alla fine è più facile elencare quello che resta ancora fuori») ai conviventi in quanto tali, anche omosessuali.



Testuale:

«Lo scopo di questo testo, composto da 33 articoli suddivisi in 8 capi, è far emergere tutto ciò che l’ordinamento già prevede, esplicitamente o implicitamente, in tema di tutela dei diritti dei conviventi: lo raccoglie e lo rende ordinato, fino a costituire un vero e proprio statuto della convivenza, sulla scorta di ciò che è già diritto vivente, o può diventarlo con leggeri aggiustamenti»; e ciò vale «sia che la convivenza riguardi persone di sesso diverso sia che riguardi persone del medesimo sesso».

Bisogna sottolineare il riferimento fatto – quale oggetto del recepimento legislativo – con totale sprezzo del pericolo (e anche un po’ del ridicolo, se non fosse una cosa tremenda) al «diritto vivente» e anche all’«ordinamento implicito» (!?). Nella sua relazione introduttiva, d’altra parte, il professor Introvigne specificava espressamente che nel testo unico si tiene conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione.

Ora, è ben noto quale sia l’orientamento manifestato in materia dalla giurisprudenza di ogni ordine e grado. Al proposito vale la pena di citare, per tutte, un paio di sentenze.

La prima, la decisione 4184/2012 in cui i giudici di Cassazione (presidente, non a caso, Luccioli, come al tempo della famosa sentenza che costò la vita ad Eluana Englaro), hanno riconosciuto alle coppie omosessuali «quali titolari del diritto alla vita familiare» anche quello di «adire i giudici comuni per far valere […] il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» ed eventualmente di sollevare anche le «eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni vigenti […] in quanto (ovvero nella parte in cui) non assicurino detto trattamento». Essi (i giudici!) indicano quindi espressamente la strada, in sentenza, attraverso cui perseguire l’adeguamento delle leggi italiane alle disposizioni europee che parificano le unioni tra persone di sesso diverso a quelle omosessuali (il riferimento è all’articolo 12 della Cedu, così come costantemente interpretato dalla Corte di giustizia Ue, che ha «privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi»).

La seconda, la recente pronuncia della Corte Costituzionale 170/2014 che – pigliando il testimone della Luccioli? –  stabilisce la permanenza del vincolo giuridico, con le relative garanzie, per la coppia in cui uno dei coniugi abbia cambiato sesso in costanza di matrimonio, e sollecita il legislatore ordinario a intervenire per disciplinare questo genere di unioni (tra moglie e sopravvenuto moglio...).

La Cassazione, quindi, nel quadro che esce dallo sguardo a queste due pronunce esemplari, suggerisce di adire la Corte Costituzionale; quest’ultima fa pressione sul legislatore, del quale ora Introvigne e compagnia, col disegno di legge di testo unico, recepiscono con solerzia l’invito.

Una corrispondenza di amorosi sensi tra poteri dello Stato, a cui finalmente partecipano attivamente anche i cattolici, che con malcelata soddisfazione escono dal forzato isolamento cui li aveva a lungo costretti il rispetto dell’etica famigliare.


Tutto ciò a riprova del fatto che la mappa dei diritti è un preciso programma modellato sull’accoglimento di tutte le pretese che, a parole, si dice di respingere: le convivenze di ogni foggia vengono equiparate indipendentemente dal sesso dei componenti e quindi, nonostante si continui a rassicurare il pubblico che non si vuole il «matrimonio» tra omosessuali, nella realtà viene platealmente predisposto il terreno per arrivare proprio a quel risultato. Il tutto con la benedizione vaticana, dopo il seppellimento definitivo ed irrevocabile degli scomodi princìpi non negoziabili.

Quindi, è palese che il nostro relatore ha sposato in toto il punto di vista di chi combatte contro la famiglia vera, e lo ha fatto non solo avallando il proliferare delle convivenze, ma vantandosi pure di volerle consacrare giuridicamente.

Sempre in coerenza con i fondamenti della dottrina cristiana (!), peraltro, gli estensori del testo unico annoverano con soddisfazione tra le prerogative riconosciute ai conviventi (per il momento di sesso diverso, in attesa di equiparazione) anche l’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita (cioè alla fabbricazione degli esseri umani in laboratorio), resa lecita di recente dalla Corte Costituzionale anche nella sua forma eterologa.

Inoltre, va segnalata un’altra autentica enormità: al di là degli interessi contingenti tutelati sotto il profilo civilistico, il valore intrinseco riconosciuto alle convivenze alternative emerge dalla particolare tutela penalistica che viene alle stesse riservata, e in modo esemplare dalla parificazione delle stesse al rapporto di parentela secondo il codice penale. In questo modo – si badi bene – è il tessuto stesso dei rapporti interni alla famiglia che viene mortificato e le gerarchie affettive completamente calpestate a vantaggio del convivente estemporaneo. Viene infatti, tra l’altro, espressamente contemplato – nonostante la mutevolezza nella convivenza sia già in re ipsa – il caso di «mutamenti intervenuti nella composizione della convivenza».

Non richiede poi commento alcuno il fatto che la sbandierata «stabilità» del vincolo affettivo – che è presupposto dell’applicazione della normativa – sia rimessa all’apprezzamento nientemeno che delle amministrazioni locali.

Molto altro ci sarebbe da rilevare — che il testo (davvero unico!) è una miniera di trovate eversive e fantasiose, degno competitore della più scatenata magistratura militante anche nelle sue acrobazie giuridiche più temerarie. Bisogna riconoscere che, in esso, è dichiarato più volte in vari modi e con disarmante candore il salto del fosso nella concezione della famiglia.

La messinscena imbastita a Milano serviva evidentemente per accreditare quel salto presso il popolo cattolico, nel frattempo distratto con alcuni artifizi retorici di indubbia efficacia, tra i quali va anche annoverata l’insistenza compulsiva sul tasto economico quale argomento a sostegno della famiglia cosiddetta “naturale”. Criterio che in tempi di crisi e di pervasività dei criteri utilitaristici fa sempre la sua matta figura.

Alla fine, non resta che prendere atto di come la tenaglia diabolica si stringa sempre di più intorno ai focolai di resistenza fatti di quei pochi o tanti, cattolici e no, che non si rassegnano alla folle aggressione mossa alle strutture basilari della società umana.

Lo strapotere dei mezzi di comunicazione di massa genera quella che pian piano diviene presunta opinione diffusa (in realtà si spaccia come tale qualche idea maggiormente subíta che davvero maturata, che passa liscia liscia con la propaganda di regime perché quasi nessuno ha ben chiari i termini del problema). Poi, i giudici sono incaricati di tradurre in decisioni questa communis opinio, legittimati proprio dal fatto di consacrare con ciò il c.d. diritto vivente. Il problema è che si spaccia come spinta dal basso una versione decisa a tavolino, e condensata in formule martellanti, che la gente non fa che riproporre automaticamente perché la parola ha sostituito il pensiero.

Sicché, per paradosso, pare che sia il «popolo sovrano» a decidere, per bocca dei giudici e, in seconda battuta, del legislatore. Quando invece a decidere è il suo manovratore.

È la morsa «democratica» del totalitarismo strisciante.

Il dramma è che il mondo sedicente cattolico entri nel gioco, ancora una volta, da protagonista. Cooperi attivamente in questa fase terminale della agonia del tessuto sociale.

Finalmente, dopo tante campagne feroci contro le ingerenze della chiesa, sulla tomba dei princìpi non negoziabili, è stata siglata la Nuova Alleanza Cattolica tra chiesa post-cattolica e stato post-comunista.

E in tanti continuano ad applaudire.

Elisabetta Frezza





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