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Cattolici - Romani o Greco - Ortodossi?
don C. Nitoglia
20 Febbraio 2015
SECONDA E TERZA PARTE Introduzione II parte Nel primo articolo sul dilemma che agita le coscienze dei cristiani di fronte al modernismo in filtratosi in ambiente cattolico romano e che spinge non pochi verso l’“ortodossismo bizantino scismatico” ho sviluppato le ragioni teologiche che militano a favore della Chiesa romana come unica vera Chiesa di Cristo al di fuori della quale non v’è salvezza. Tuttavia vi sono anche prove, che si possono dedurre dall’archeologia e dalla storia, a favore di Roma come prima Sede di Pietro e dei suoi successori. Vediamole.
Il primato di Roma nel Cristianesimo primitivo Roma mèta dei pellegrini «Il primato di Roma nell’antica età cristiana fu ben presto dimostrato dai viaggi (...) che gli esponenti di varie Chiese intrapresero verso Roma. Che cosa mai poteva attirarli alle rive del Tevere (...) se non la Chiesa romana, di cui essi riconoscevano il prestigio della fama e di una reale, preminente autorità? Ed infatti (...) essi venivano a Roma per esporre ai capi della Chiesa romana i loro problemi, per chiedere consigli ed aiuti» (M. GUARDUCCI, Il primato della Chiesa di Roma, Rusconi, Milano, 1991, pag. 9). Fondata da S. Pietro e S. Paolo, che a Roma erano stati martirizzati e sepolti, la Chiesa romana cominciò ben presto ad attirare a sé i fedeli delle altre Chiese cristiane, ma fu soprattutto durante il II secolo che tale richiamo divenne evidente. Attorno al 154, S. Policarpo, vescovo di Smirne, discepolo dell’Apostolo Giovanni, venne a Roma per chiedere consiglio direttamente al papa Aniceto, sulla data in cui si dovesse celebrare la Pasqua (questione allora dibattuta e sulla quale le Chiese d’Asia dissentivano da Roma). Nel 178 S. Ireneo da Lione, che aveva avuto come maestro S. Policarpo, venne a Roma per conferire con papa Eleutero. «Questi viaggi (...) dimostrano (...) che nell’età più antica la Chiesa di Roma primeggiava fra le altre e che le altre ne sentivano il fascino e ne riconoscevano l’autorità» (M. GUARDUCCI, Il primato della Chiesa di Roma, cit., pag. 14). Le cause del primato La potenza politica di Roma, che in quei tempi era capitale dell’Impero, contribuì a dar lustro alla Chiesa romana. Ma si trattò soltanto di un contributo e non della causa principale del primato spirituale esercitato da Roma. Vi furono infatti altri motivi di carattere spirituale. S. Ireneo da Lione S. Ireneo, nell’Adversus haereses (III, 1-2), opera composta tra il 175 e il 189, si domanda come sia possibile riconoscere la vera Tradizione cattolica. La risposta è che bisogna studiare l’insegnamento che gli Apostoli trasmisero ad ogni Chiesa locale che fondarono. Per far ciò è necessario risalire per la serie dei vescovi che in ogni Chiesa locale succedettero l’uno all’altro, fino a raggiungere l’inizio di ogni serie. Ma poiché l’impresa sarebbe così troppo lunga, è meglio limitare l’esame alla sola Chiesa di Roma, che è quella che è, «la più grande e la più importante e conosciuta da tutti, fondata e istituita dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo. A questa Chiesa, per la sua più forte preminenza [potentior principalitas] è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli che provengono da ogni parte del mondo; ad essa, nella quale (...) fu sempre conservata la Tradizione apostolica». S. Ireneo continua dicendo che attraverso la serie ininterrotta dei vescovi, la Tradizione divino-apostolica è giunta sino a noi. Ma perché, potremmo domandarci, la Chiesa di Roma è la più importante? I motivi li troviamo già riassunti in S. Ireneo: 1°) è la più grande e la più importante; 2°) è universalmente nota; 3°) fu fondata dagli Apostoli Pietro e Paolo; 4°) gode in tutto il mondo fama di una salda fede. L’Epistola ai Corinzi di S. Clemente romano Nel 96 d. C. alcuni giovani della Chiesa di Corinto, rivoltatisi contro gli anziani sacerdoti di quella comunità, li avevano deposti. S. Clemente scrive ai Corinzi la sua famosa lettera per riportare la concordia tra loro. Egli cita l’esempio della perfetta disciplina dell’esercito romano e asserisce che causa della discordia sono state l’invidia e la gelosia. L’Epistola clementina fu accolta a Corinto con grande venerazione. Sappiamo infatti dalla Storia ecclesiastica di Eusebio da Cesarea che ancora intorno al 170 essa veniva letta durante la Messa domenicale. «Nella sua famosa epistola (...) Clemente non accenna esplicitamente al primato della Chiesa di Roma, ma la sua stessa iniziativa di rivolgersi alla Chiesa di Corinto in veste di ammonitore e di paciere dimostra ch’egli sentiva fortemente la preminenza spirituale della sua Chiesa» (Ibid., pag. 24). L’Epistola ai Romani di S. Ignazio d’Antiochia «Varcati i limiti del I secolo, ci s’imbatte subito in un’esplicita affermazione del primato spirituale della Chiesa di Roma. Voglio dire quella di Ignazio, vescovo di Antiochia nella Siria» (Ivi). La Chiesa di Antiochia era stata fondata dallo stesso S. Pietro ed era guidata all’inizio del II secolo da S. Ignazio, che aveva conosciuto personalmente S. Pietro e S. Paolo. Nel 107 S. Ignazio fu incarcerato, condannato a morte e avviato verso Roma ad bestias, nel Colosseo. «Secondo Ignazio, la Chiesa romana presiedeva, cioè era preminente, rispetto alle altre Chiese del mondo cristiano» (Ibid., pag. 26). L’epigrafe di Abercio Abercio, vescovo di Ierapoli, scrive tra il 170 e il 200 d. C. e rievoca il ricordo di un viaggio compiuto a Roma durante il regno di Marco Aurelio (161-180). A quei tempi esisteva il grande impero Romano e Roma ne era la capitale. Roma stessa era considerata regina aurea. Abercio scrive: « (...) il quale [Cristo] mi mandò a Roma per vedere il regno e la regina dall’aurea veste e dagli aurei calzari. E vidi lì un popolo avente uno splendido sigillo». È chiaro che il regno e la regina sono Roma, il popolo è quello romano dominatore del mondo, la sua potenza era concepita come uno splendido sigillo impresso su di esso. Cercando a Roma il regno e la regina vestita d’oro, Abercio dimostra di concepire la Chiesa di Roma come la prima tra le altre. Inoltre scrivendo che Cristo stesso lo ha mandato a Roma, Abercio dimostra di non credere che il primato della Chiesa di Roma dipenda dalla potenza politica dei Romani, ma sia un primato spirituale per volontà di Gesù Cristo. Tertulliano Nato attorno alla metà del II secolo da una famiglia pagana, si convertì al Cristianesimo. Poi si avvicinò all’eresia dei Montanisti attorno al 213. In una delle sue prime opere (De praescriptione haereticorum) risalente al 200 circa, quando era ancora cattolico, cioè legato e sottomesso al Papa e alla Chiesa universale di Roma, accenna al primato della Chiesa romana: parla di Pietro come della pietra sulla quale Cristo fonderà la sua Chiesa, colui al quale Cristo stesso affiderà le chiavi del Regno dei Cieli, inoltre dichiara che proprio “da Roma deriva anche a noi [Cristiani] l’autorità”. Clemente alessandrino Egli definisce Pietro come l’eletto di Cristo, il primo degli Apostoli. Commenta poi il passo di Matteo (XVII, 27) in cui Cristo ordina a Pietro di pagare il tributo per sé e per il Maestro, con lo statere trovato nella bocca del pesce che per primo avrebbe abboccato all’amo, come segno di un legame strettissimo e speciale tra Cristo e Pietro. La Basilica Lateranense Roma ha, tra gli altri, il primato di possedere la più antica Basilica cristiana riconosciuta come tale anche dall’autorità civile, anzi addirittura costruita da essa: S. Giovanni in Laterano. Essa è legata al nome dell’Imperatore Costantino e al ricordo della vittoria riportata da lui, contro l’empio Massenzio, presso il Ponte Milvio, alle porte di Roma, il 28 ottobre 312. È noto che il culto cristiano si svolgeva nei primissimi tempi nelle varie case dei Cristiani, e che poi si sentì il bisogno di avere edifici speciali adibiti espressamente al culto divino. Edifici di questo genere dovettero sorgere abbastanza presto, probabilmente già nel III secolo, negli intervalli tra le varie persecuzioni. Da quanto scrive Eusebio di Cesarea, in Asia non mancarono edifici destinati al culto, ancora più antichi della Basilica Lateranense. «Ma fra questi edifici e la Basilica Lateranense corre (...) una differenza sostanziale. Mentre quelli furono costruiti per iniziativa di zelanti vescovi (...) la Basilica Lateranense fu eretta per volere della somma autorità civile dell’imperatore e naturalmente anche a spese di lui. Costantino (...) prese su di sé l’intero costo dell’opera» (Ibid., pagg. 71-72). La Basilica Lateranense fu perciò il primo edificio cristiano riconosciuto come tale. A questa prerogativa se ne aggiunse un’altra, quella di essere l’unica Basilica cristiana rimasta dopo tanti secoli ancora viva e vitale. È assai probabile che la decisione di erigere una grande Basilica come ex voto a Cristo Salvatore, fosse presa dall’Imperatore subito dopo la vittoria su Massenzio presso il Ponte Milvio. La zona del Laterano apparteneva, al tempo di Costantino, al patrimonio imperiale. La Guarducci spiega che probabilmente quando Costantino entrò vittorioso a Roma, prese dimora nella casa del Laterano. Quando poi, alla fine del gennaio 313, partì da Roma si compiacque di lasciare la casa del Laterano a papa Milziade. Non è perciò strano che l’Imperatore volesse far costruire la futura cattedrale di Roma nella medesima località, molto vicino alla ex-casa dell’Imperatore, oramai casa del Papa. La Basilica fu dedicata - secondo un’antica tradizione - il 9 novembre. Ora, poiché la dedica delle chiese avveniva abitualmente di domenica, considerando l’età di Costantino e di papa Silvestro (succeduto nel 314 a Milziade), e durante il cui pontificato la Basilica fu in gran parte costruita, ci si offre la scelta tra il 9 novembre 312 e il 9 novembre 318. Ma è fisicamente impossibile che la dedica sia avvenuta il 9 novembre 312, vale a dire circa dieci giorni dopo la battaglia del Ponte Milvio. Resta allora il 318. Annesso alla Basilica sorse, per volontà dell’Imperatore, il Battistero, dedicato a S. Giovanni Battista. Questi due edifici furono costruiti con il materiale più prezioso dei più bei templi pagani di Roma, e furono ornati senza risparmio col fasto intonato alla ex-casa imperiale, nella quale, papa Milziade e i suoi successori sarebbero andati ad abitare. Alla Basilica fu assegnata la rendita annua di 4. 390 solidi, al Battistero quella assai più ingente di 10. 234 solidi. Ma per quale motivo la rendita destinata al Battistero era tanto maggiore di quella concessa alla Basilica? Perché i 10. 234 solidi dovevano comprendere l’appannaggio del Papa che allora aveva l’esclusivo diritto di amministrare il Battesimo in quell’edificio. Nella seconda metà del XII secolo la Basilica era ancora dedicata soltanto a Cristo Salvatore, ma più tardi assunse anche il nome di S. Giovanni dai due oratorii annessi al Battistero. Dopo il periodo dell’esilio avignonese (1305-1377) i Pontefici abbandonarono definitivamente la loro antica dimora in Laterano, ma la Basilica Lateranense restò sempre la Cattedrale di Roma e sempre e soltanto ad essa spettò il titolo di “Archibasilica”. Essa viene nominata anche Caput ecclesiarum, Mater ecclesiarum, Magistra ecclesiarum, Papalis sacrosanta Archibasilica Lateranensis Cathedralis Romae, «perché tutti da essa ricevono impulso e Magistero» (Giovanni Diacono). Conclusione II parte
Abbiamo constatato che tra la fine del I e la metà del III secolo, il primato spirituale della Chiesa romana veniva generalmente riconosciuto in tutto l’orbe cristiano. Al riconoscimento del primato si associava poi quello dell’universalità. «La Chiesa di Roma, ed essa sola, era la Chiesa universale, la Chiesa di Cristo» (Ibid., pag. 43). Introduzione III parte Oltre alle prove teologiche, storiche e archeologiche vi è la prova fondamentale del primato di Roma a partire dal ritrovamento delle ossa e della tomba di S. Pietro in Vaticano. Vediamola.
La tomba di san Pietro e il primato di Roma
La Tradizione della Chiesa vuole che Pietro venisse a Roma e vi morisse martire, durante la persecuzione di Nerone, crocifisso a testa in giù, e fosse sepolto in Vaticano, vicino al luogo del suo glorioso martirio. Sulla sua tomba, divenuta ben presto oggetto di venerazione, nel IV secolo sorse per volere di Costantino, la prima Basilica vaticana. Questa tradizione si offre alle indagini della scienza. La professoressa Margherita Guarducci ha studiato profondamente la questione, lavorando a partire dal 1952 nei sotterranei della Basilica Vaticana, riuscendo a decifrare gli antichi graffiti sotto l’Altare della Confessione nel 1958 ed infine a identificare le reliquie di S. Pietro nel 1964 (cfr. M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro. Una straordinaria vicenda, Rusconi, Milano, 1989; Le reliquie di Pietro in Vaticano, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1995; Le chiavi sulla pietra, Piemme Casale Monferrato 1995; Il primato della Chiesa romana, Rusconi Milano 1991). Ora «se Roma era il centro della Chiesa universale, il punto focale di questo centro era la tomba di Pietro» (M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro ..., cit., pag. 10).
Vi sono due fonti, autorevolissime e assai vicine ai fatti narrati, le quali provano che S. Pietro subì il martirio in Vaticano. Esse sono S. Clemente romano e Tacito. Alla fine del I secolo S. Clemente papa parlando della persecuzione di Nerone (64 d. C.), attesta che i Cristiani si raccolsero in quella occasione attorno agli Apostoli Pietro e Paolo per attingerne la forza necessaria a superare la prova (Epistola ai Corinzi, I, 5-6). Il grande storico romano Tacito, verso la fine del II secolo, attesta che Nerone, dopo l’incendio di Roma (64 d. C.), incolpato dalla voce popolare di averlo provocato, volle addossarne la colpa ai Cristiani e scatenò contro di essi una feroce persecuzione. Questa ebbe il suo epilogo, sempre secondo Tacito (Annali, XV, 44), nel Circo degli horti dello stesso Nerone in Vaticano, che era l’unico luogo di spettacoli rimasto a Roma dopo l’incendio del 64. Qui molti cristiani perirono. Le principali fonti letterarie sulla tomba petrina A Roma, durante il pontificato di papa Zefirino (199-217), un dotto fedele romano di nome Gaio polemizzò con Proclo, capo dei Montanisti romani. Poiché Proclo vantava la presenza in Asia minore di certe tombe famose dell’età apostolica, Gaio oppose a quelle tombe i “trofei” o tombe gloriose degli Apostoli Pietro e Paolo, esistenti rispettivamente in Vaticano e sulla via Ostiense. Le parole di Gaio sono riportate da Eusebio da Cesarea (Storia ecclesiastica, II, 25, 7), il famoso storico della Chiesa, che scriveva nella prima metà del IV secolo. S. Girolamo nel De viris illustribus, composto nel 392 afferma che Pietro fu sepolto in Vaticano e qui venerato dai fedeli di tutto il mondo. Inoltre nel Liber Pontificalis del VI secolo si legge che Pietro «fu sepolto sulla via Aurelia (...) presso il luogo ove fu crocefisso (...) in Vaticano». Gli scavi sotto la Basilica Il 28 giugno 1939, Pio XII impartì l’ordine di abbassare il pavimento delle Grotte vaticane per permettere all’archeologia di studiare la questione della tomba di Pietro. Era l’inizio di una straordinaria impresa. Gli scavi durarono una decina d’anni (1940-1949) e si conclusero alla vigilia dell’Anno Santo del 1950. La relazione ufficiale di essi uscì nel novembre 1951. Gli scavi portarono alla scoperta, sotto la Basilica vaticana, di una vasta necropoli di epoca pagana con successivi elementi cristiani. L’estrema zona Ovest della necropoli si trova sotto la cupola di Michelangelo, ossia sotto l’Altare della Confessione. Sotto questo altare, gli scavi rivelarono l’esistenza di una serie di monumenti sovrapposti. Cominciando dall’altare attuale (di Clemente VIII, 1594) e procedendo verso il basso, si trovano: l’altare di Callisto II (1123); l’altare di Gregorio Magno (590-604), che restò incluso nel successivo altare di Callisto; il monumento fatto costruire da Costantino ancor prima della Basilica (circa 321-326); dentro il monumento costantiniano un’edicola funeraria (fine II - inizio III secolo): il cosiddetto “trofeo di Gaio” (M. GUARDUCCI, Le reliquie di Pietro ..., cit., pp. 15s.). L’estremità Ovest della necropoli comprende un’area abbastanza vasta, chiamata dagli archeologi “Campo P”. Essa è delimitata da un muro, detto “Muro rosso” dal colore dell’intonaco che lo ricopriva. Al centro del “Muro rosso” è una nicchia semicircolare e un po’ più in alto un piccolo muro, chiamato “Muro g”, ricoperto sul lato nord da una selva di graffiti. Il “Muro rosso” con la nicchia semicircolare fa da sfondo al cosiddetto “Trofeo di Gaio”: la mensa votiva che i Cristiani innalzarono, nel II secolo, sulla tomba terragna nella quale era stato sepolto il corpo di S. Pietro nel 64. Tale “Trofeo” è detto di Gaio dal nome dello scrittore cristiano (di cui abbiamo parlato sopra) del III secolo, il quale asserisce che la tomba di Pietro è a Roma in Vaticano. Sotto il “Trofeo di Gaio”, gli archeologi nominati da Pio XII ritrovarono il luogo della sepoltura primitiva (tomba terragna), ma lo trovarono vuoto; come mai? Ciò si spiega pensando che agli inizi del IV secolo Costantino fece costruire, sul luogo dell’antico “Trofeo di Gaio”, una grande Basilica a cinque navate, il cui altare maggiore era ubicato esattamente sopra la tomba dell’Apostolo. Il medesimo imperatore aveva fatto raccogliere le ossa di S. Pietro dall’umida tomba terragna, e – avvolte in un prezioso tessuto di porpora e d’oro – le aveva fatte riporre in un asciutto e decoroso loculo marmoreo ricavato in un muro (il “Muro g”) che già sorgeva accanto alla sepoltura primitiva. La parete nord del “Muro g” era coperta da una “selva selvaggia” di graffiti, fra i quali spiccavano anche i nomi di Cristo, di Maria e di Pietro, ma gli autori degli scavi non riuscirono a decifrare quel groviglio di segni! Al termine dei lavori, gli studiosi giunsero a stabilire che i vari monumenti costruiti sopra l’Altare della Confessione, per iniziativa di alcuni Papi poggiano tutti, sovrapponendosi, sull’antico monumento di Costantino. In breve gli scavi ordinati da Pio XII confermarono archeologicamente quanto già la tradizione insegnava: la tomba di S. Pietro esiste ancor oggi sotto l’Altare papale. Nel messaggio natalizio del 1950, il Pontefice annunziò al mondo: «È stata veramente trovata la tomba di S. Pietro? A tale domanda la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo: Sì. La tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata. Una seconda questione, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del Santo. Sono state esse rinvenute? Al margine del sepolcro furono trovati resti di ossa umane; dei quali però non è possibile provare con certezza che appartennero alla spoglia mortale dell’Apostolo».
Si era dunque ritrovata con certezza la tomba di Pietro, ma le ossa del Santo sembravano essere scomparse. Il merito del rinvenimento di esse va attribuito principalmente a Margherita Guarducci. La quale cominciando a interessarsi degli scavi vaticani, vi portò il metodo che da lungo tempo aveva adottato e raffinato: vale a dire quello della ricerca scientifica rigorosa, essendo da molti anni studiosa di professione e titolare di una cattedra universitaria. Tuttavia, le reliquie del Principe degli Apostoli non furono ritrovate nel loculo marmoreo del “Muro g” (sulla destra del “Trofeo di Gaio”, innalzato nel II secolo sopra la sepoltura primitiva o tomba terragna, dove S. Pietro fu sepolto nel 64 d. C.) dove Costantino le aveva fatte riporre nel IV secolo. Come mai? Nel 1941, quando Monsignor Kaas, per controllare personalmente il procedere dei lavori, verso sera (a Basilica chiusa) faceva un giro d’ispezione nella zona degli scavi, accompagnato dal “sampietrino” Giovanni Segoni, una sera, durante l’ispezione, Monsignor Kaas notò che all’interno del “Muro g”, in mezzo a vari detriti, affioravano alcune ossa umane. La loro presenza era sfuggita ai quattro studiosi che lavoravano agli scavi durante il giorno. Ma non sfuggirono all’occhio vigile ed attento del Monsignore tedesco. Per un senso di rispetto verso i resti dei defunti, Monsignor Kaas decise di separare le ossa dai detriti, e di farle mettere dal Segoni in una cassetta di legno che lo stesso Segoni e Monsignor Kaas depositarono in un magazzino delle grotte vaticane. «Con ciò [scrive la Guarducci] Monsignor Kaas aveva salvato, pur non sapendolo, le reliquie di Pietro» (M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro …, cit., pag. 84). Nel 1952 la professoressa Guarducci chiese di poter visitare gli scavi. Suo desiderio era vedere coi suoi occhi un’epigrafe che si vedeva in un disegno pubblicato da padre Antonio Ferrua il 5 gennaio 1952 nella rivista “La Civiltà Cattolica” e il 16 gennaio nel quotidiano di Roma “Il Messaggero”. Si trattava di un disegno ricostruttivo dell’edicola eretta in onore di S. Pietro nel II secolo. A destra, era disegnata sul muro un’iscrizione greca: PETR / ENI. La Guarducci pensò che ENI potesse essere una forma contratta di ENESTI (“è dentro”), donde risultava la frase “Pietro è qui dentro”. Era necessario però verificare se la frase potesse continuare verso destra, nel qual caso il senso poteva essere diverso. Quando, però, la professoressa, guidata dall’ing. Vacchini, poté visitare la zona degli scavi, rimase profondamente delusa: là dove l’iscrizione così interessante avrebbe dovuto trovarsi, c’era invece un largo squarcio nell’intonaco. Il frammento fu trovato da Padre Ferrua, che per motivi oscuri se lo portò a casa finché, quando nel 1952 la cosa fu risaputa, per ordine di Pio XII dovette restituirlo al Vaticano nel 1955 e la Guarducci poté studiarlo. Vide così che la riga superiore dell’iscrizione inclinava verso il basso, impedendo la continuazione della seconda riga. Quindi la lettura ENI e la conseguente interpretazione della professoressa risultavano confermate. L’epigrafe acquistava così un grandissimo valore (M. GUARDUCCI, Le reliquie ..., cit., pagg. 46-50). Intanto, nel 1953, la Guarducci aveva cominciato a studiare i numerosissimi graffiti esistenti sul “Muro g”, che i precedenti studiosi erano riusciti a decifrare solo in minima parte. La Guarducci stessa racconta così la vicenda: «Mentre mi scervellavo per trovare una via dentro quella selva selvaggia [di graffiti, nda] mi venne in mente che forse mi sarebbe stato utile sapere se qualche altra cosa fosse stata trovata nel sottostante loculo, oltre i piccoli resti descritti dagli scavatori nella relazione ufficiale. Era, per caso, vicino a me Giovanni Segoni, da poco promosso a grado di “capoccia” dei sampietrini. A lui (...) rivolsi (...) la mia domanda, ed egli mi rispose senza esitare: “Sì, qualche altra cosa ci deve essere, perché ricordo di averla raccolta io con le mie mani. Andiamo a vedere se la troviamo”. Egli mi guidò allora verso il deposito dei materiali ossei (...). Entrai dunque dietro il Segoni, per la prima volta, in quell’ambiente. Lì, fra casse e canestri pieni di materiali ossei e di altre cose varie, giaceva ancora al suolo la cassetta che più di dieci anni prima il Segoni stesso e Monsignor Kaas vi avevano deposta (...). Un biglietto, infilato tra la cassetta e il coperchio, molto umido ma ancora perfettamente leggibile, dichiarava che quel materiale proveniva dal “Muro g”. Il Segoni mi disse di averlo scritto egli stesso (...). Credetti opportuno e doveroso portare subito la cassetta nello studio dell’ingegner Vacchini e qui (...) la cassetta fu aperta e ne estraemmo il contenuto. Vi trovammo una certa quantità di ossa, di colore spiccatamente chiaro, frammiste a terra (...) frammenti d’intonaco rosso, piccolissimi frammenti di stoffa rossastra intessuta di fili d’oro (...). Debbo dire (...) [continua la Guarducci] che già mi era balenata alla mente l’idea, ovvia del resto, che il loculo del “Muro g” fosse destinato in origine ad accogliere le reliquie di Pietro (...). Allora però, davanti ai resti recuperati, io mi sentii fortemente scettica (...)» (Le reliquie …, cit., pagg. 85-87). Come antropologo fu scelto il noto professor Venerando Correnti che studiò le ossa contenute nella cassetta. Ecco il risultato dei suoi studi. Le ossa appartenevano ad un unico individuo, di sesso maschile e di robusta costituzione, la cui età oscillava tra i sessanta e i settanta anni; esse costituivano circa la metà dello scheletro e rappresentavano tutte le parti del corpo, tranne i piedi; alcune ossa presentavano tracce di colore rossastro che facevano pensare ad un tessuto che le avesse avvolte. Ora tutti questi elementi si adattavano alla perfezione a S. Pietro. Frattanto essendo purtroppo scomparso, nel 1958, Pio XII, Giovanni XXIII prese in mano la questione della tomba e delle reliquie di Pietro, ma la Guarducci nota che: «A lui [Giovanni XXIII, nda] però mancavano quell’innato impulso di amore verso Roma e la visione di quel vastissimo orizzonte culturale che avevano acceso in Pio XII uno straordinario interesse per i sotterranei della Basilica Vaticana » (Le reliquie …, cit., pag. 73). Nondimeno le ricerche continuarono. Tutti i dati scientifici fin allora raccolti, unitamente all’epigrafe “Pietro è qui dentro” (del “Muro rosso”), fecero sì che la Guarducci potesse annunciare a Paolo VI il 25 novembre 1963 che, con grande probabilità, le reliquie di S. Pietro erano state finalmente ritrovate.
Intanto altre indagini scientifiche vennero estese al campo merceologico e chimico (condotte dalla professoressa Maria Luisa Stein e dal professor Paolo Malatesta dell’Università “La Sapienza” di Roma) e portarono, per quanto riguardava i tessuti, ai seguenti risultati. Si trattava di una stoffa finissima tinta di autentica e costosa porpora di murice; l’oro era autentico e finissimo: lo stesso tipo di tessuto porporino intrecciato con oro nel quale venivano avvolti i corpi degli Imperatori! Tutto ciò confermava che il corpo sepolto nella tomba terragna e poi avvolto in porpora ed oro dentro il loculo costantiniano fosse quello del Principe degli Apostoli: S. Pietro! Anche la terra incrostata alle ossa fu sottoposta ad esame petrografico dai professori Carlo Lauro e Giancarlo Negretti: si trattava di sabbia marnosa del tutto simile alla terra del “Campo P”, il che confermava la provenienza di quelle ossa dal loculo interrato o tomba terragna che giaceva sotto il “Trofeo di Gaio” del II secolo. A conclusione di tali accertamenti e di altri ancora, compiuti negli anni seguenti da altri scienziati, Paolo VI, il 26 giugno 1968, annunciò ai fedeli che le ossa di S. Pietro erano state ritrovate ed identificate. Tuttavia nel discorso di Paolo VI, la Guarducci trovò delle reticenze, inesattezze e contraddizioni, dovute al vecchio pregiudizio anti-romano ed anti-petrino ed al nuovo spirito ecumenico del subsistit in. Infatti il testo suona così: «Non saranno esaurite con ciò le ricerche, le verifiche, le discussioni e le polemiche (...) abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi (...) resti mortali del Principe degli Apostoli». E la Guarducci commenta: «La frase (...) è poco aderente al vero. Nel giugno del 1968, le ricerche e le verifiche erano oramai praticamente esaurite. Tutto era stato chiarito (...). Inoltre non era esatto definire le reliquie dell’Apostolo come “pochi ... resti” (...) esse erano, al contrario, relativamente molto abbondanti: in complesso circa metà dello scheletro. Questo (...) fu l’annuncio di Paolo VI: un annuncio se non perfetto, almeno però in quel momento sufficiente, anzi provvidenziale» (Le reliquie …, cit., pag. 118). Il 27 giugno 1968 le reliquie di S. Pietro furono solennemente riportate con un rogito notarile nel loculo del “Muro g”, dove Costantino le aveva fatte deporre nel IV secolo e donde ventisette anni prima Monsignor Kaas le aveva inconsapevolmente tolte, salvandole dalla probabilissima dispersione. Con il ritrovamento della tomba e delle ossa di S. Pietro, la tradizione storica della venuta di Pietro a Roma, della sua permanenza nell’Urbe immortale quale suo Vescovo, del suo martirio e della sua sepoltura, riceve una conferma scientifica irrefutabile e consolantissima per il Cattolicesimo. Inoltre, tale rinvenimento conforta ciò che il Magistero della Chiesa ha sempre sostenuto: il primato sugli altri Apostoli che Cristo ha conferito a Pietro si trasmette ai Vescovi di Roma, in forza della successione sulla cattedra di Pietro, a Roma, fino alla fine del mondo. Ed è per questo che gli avversari della Chiesa romana hanno più volte negato la presenza della tomba di Pietro a Roma. Roma città predestinata Gli Atti degli Apostoli (XXIII, 11) narrano che Cristo stesso si presentò in sogno a S. Paolo per annunciargli che, com’egli aveva dato testimonianza su di lui a Gerusalemme, così avrebbe dovuto darla anche a Roma. Ed ancora gli Atti, parlando della tempesta che colse S. Paolo durante il viaggio da Creta in Italia, fanno intervenire un Angelo per rassicurare l’Apostolo che sarebbe uscito illeso dal pericolo, perché era necessario che S. Paolo “si presentasse a Cesare”, cioè arrivasse a Roma (At., XXVII, 23). Nel VI secolo Giacomo di Sarûg, vissuto in Mesopotamia, accennando agli Apostoli che affidarono alla sorte la scelta del paese in cui ognuno di essi avrebbe dovuto predicare il Vangelo, considera un «divinum (...) opus» la sorte che assegnò Roma a Pietro. Era infatti, secondo lui, volontà di Dio che «il primogenito dei fratelli», cioè il Principe degli Apostoli, portasse il messaggio di Cristo alla «madre delle città», cioè Roma. Roma ha ricevuto dal Cristianesimo un privilegio unico: quello di una perenne vitalità. «Altre città famose del mondo antico erano morte, l’una dopo l’altra, (...) Roma invece rimase, e rimane, grazie (...) al Cristianesimo. In essa, infatti all’Impero caduco fondato da Augusto, subentrò l’impero perenne della Chiesa universale, cioè “cattolica”» (M. GUARDUCCI, Il primato della Chiesa di Roma Rusconi, Milano, 1991, pag. 141). Il motivo e la garanzia dell’universalità e della perenne vitalità di Roma va ricercato, – come fa notare la professoressa Guarducci – nella presenza in Roma della tomba e delle reliquie di S. Pietro, l’Apostolo sul quale Cristo stesso dichiarò di voler fondare la sua Chiesa, promettendo che le forze del male non avrebbero prevalso su di essa. Il fatto che a Roma esistesse la tomba di Pietro, l’Apostolo sul quale Gesù stesso aveva dichiarato di voler fondare la sua Chiesa, era di capitale importanza per il riconoscimento di tale primato. La Chiesa di Cristo è quella fondata su Pietro; ora, la tomba e le reliquie di Pietro sono a Roma, nel Vaticano; quindi la vera Chiesa di Cristo è quella Romana. La Guarducci conclude: «Sarebbe (...) pericoloso, dimenticare (...) che tra la dottrina unica del Cristianesimo e quelle degli altri due monoteismi esistono anche profondi contrasti, sui quali non è lecito passar sopra con indifferenza. Si pensi infatti che dogma fondamentale della Religione cristiana è quello della Trinità divina (...). Ora, nulla di simile si ritrova nelle altre due religioni monoteistiche. Si rifletta poi che, mentre per il Cristianesimo fondamento essenziale è l’avvenuta Incarnazione del Figlio di Dio (...) tale Incarnazione è negata dagli Ebrei (...). Quanto poi all’Islamismo, si ricordi che i Musulmani rifuggono (...) dall’idea che Dio abbia un “figlio” e che questo “figlio” abbia potuto subire il supplizio infamante della crocifissione. La prospettiva del Cristianesimo verso il futuro resta quella indicata dallo stesso Cristo. Parlando di se stesso, nel quarto Vangelo (Giov., X, 11) come del Buon Pastore (...), il Redentore afferma di avere altre pecore che non sono ancora del suo ovile, ma che lo diverranno. Egli pensa naturalmente ai discepoli futuri, (...) che verranno (...) nel corso dei secoli, ad ingrossare il gregge da Lui raccolto in Palestina. Alla fine dovrà esservi – Egli afferma – “un solo gregge ed un solo Pastore” (Giov., X, 16). E come avverrà questa felice unione? (...) Essa avverrà grazie all’opera degli Apostoli, ai quali (...) seguiranno i missionari. E dove avrà la sua sede (...) l’unico ovile benedetto che ospiterà fino alla consumazione dei secoli il gregge di Cristo? La risposta è facile, oggi ancora più facile che nel passato: l’avrà a Roma. È infatti accertato (...) che a Roma (...) la Chiesa cattolica (...) è – per miracolosa eccezione – materialmente fondata sulle autentiche reliquie di Pietro. A Roma, dunque, debbono rivolgersi gli sguardi di chi pensa al futuro del mondo cristiano e onestamente lavora per esso» (M. GUARDUCCI, Le chiavi sulla Pietra, Piemme, Casale Monferrato, 1995, pagg. 58-59). Conclusione Per riassumere, la Basilica di S. Pietro (simbolo della Chiesa romana) è costruita sulle reliquie di Cefa o Pietro, che significa pietra o roccia. Ora, «nella Bibbia Dio è spesso chiamato “pietra” o “roccia” (Deut., XXXII, 4-15, 18; 2 Sam., XXII, 32; Sal., XVIII, 3; Is., XLIV, 8) (...). Gli Ebrei si abbeveravano da una “pietra” spirituale “che li accompagnava” (...). Non si tratterebbe di una pietra materiale ma solo di Cristo che accompagnava sempre il suo popolo (S. Giovanni Crisostomo)» (in S. CIPRIANI, Le Lettere di S. Paolo, Cittadella Editrice, Città di Castello, 1965, pagg. 177-178). S. Paolo stesso scrive: «Bevevano da una pietra spirituale che li accompagnava, e questa pietra era il Cristo» (I Cor., X, 4). Perciò, la Chiesa romana è fondata gerarchicamente su Pietro, costruita materialmente (come Basilica-simbolo) sulle sue reliquie e Pietro spiritualmente è Cristo. Quindi la Chiesa di Cristo è quella romana o petrina e nessun’altra! La professoressa Guarducci termina così: «Su queste [reliquie di Pietro, ndr] è materialmente fondata la Chiesa di Roma (...). Cristo, dichiarando a Pietro di voler fondare su di lui la sua Chiesa (...) [ha] voluto profeticamente alludere proprio alla Chiesa di Roma, ed alla sua continuità lungo il corso dei secoli fino all’ultimo giorno (...). Sotto l’altare della Basilica [vaticana] si trovano ancora, miracolosamente superstiti, i resti mortali di quel Pietro che, per volere di Cristo, è stato, è e sarà fondamento della sua Chiesa» (M. GUARDUCCI, Le reliquie di Pietro in Vaticano, cit., pag. 133). d. Curzio Nitoglia
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