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Contro l’Iran, febbrili preparativi
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Non capita spesso che il Washington Post pubblichi rivelazioni scomode per il governo Bush. Oggi lo ha fatto un suo bravo giornalista esperto in sicurezza nazionale, William Arkin; non sulla  versione cartacea, si capisce, però sul suo blog allegato al sito del giornale più importante d’America (1).

Nel suo blog, significativamente intitolato «Early Warning» (Pre-allarme), Arkin riferisce di una missione segreta che, secondo le sue parole, ha testato la capacità dell’USAF di attaccare di sorpresa le installazioni iraniane.

«Il 12 agosto 2007, quattro F16 sono decollati dall’Iraq per un volo di 11 ore fino all’Afghanistan orientale, attraversando lo spazio aereo di sei diversi Paesi, per poi lanciare una decina di bombe a guida laser su bersagli talebani». Un volo di 2.100 miglia, che ha richiesto ben 13 rifornimenti in volo: un record.

Tanto più che, secondo i comandi americani, giunti sopra la destinazione i piloti hanno «avuto una finestra di soli due minuti per lanciare le bombe». Sono gli stessi comandi dell’Air Force ad asserire che tutta la missione aveva per bersaglio «posizioni di Talebani in Afghanistan».

La cosa si è saputa solo perchè gli equipaggi hanno ricevuto un premio molto ambito nell’aviazione, il Clarence MacKay Trophy, per «il volo più meritevole del 2007». Ma Arkin ha controllato i notiziari di quei giorni, con tutte le fonti giornalistiche anche indipendenti, e non ha trovato notizie di bombardamenti. Nè il 12 agosto, nè il 13 nè il 14.

Per il 15 agosto, il governo afghano ha annunciato un’operazione su Tora Bora, con due sortite di aerei della coalizione che avrebbero ucciso una cinquantina di ribelli. Ma non si tratta certamente del volo-record. Gli aerei del 15 agosto sono decollati, come ovvio, dal territorio afghano.

Che bisogno c’è infatti, per completare un bombardamento in Afghanistan, di partire da 2100 chilometri di distanza in un volo di undici ore, sicuramente una dura prova fisica e mentale per gli equipaggi? Arkin ha scoperto altri particolari.

Gli equipaggi del volo-record sono partiti senza sapere lo scopo della missione, «per destinazione sconosciuta», ed hanno ricevuto le informazioni necessarie in volo, aprendo documenti sigillati. Il  comandante della squadra ha avuto solo 18 ore per preparare la missione. La quale era così segreta, che non era stata inserita nel Air Tasking Order, il quotidiano referto sui voli programmati che viene distribuito ai vari livelli militari USA: il che deve aver complicato non poco i rifornimenti di carburante in volo e gli stessi sorvoli sui sei Paesi attraversati.

Arkin conclude - ragionevolmente - che la missione, che non ha bombardato nessuna posizione importante in Afghanistan, serviva in realtà a provare un attacco-lampo, senza preavviso, contro
le installazioni iraniane. E che l’esperimento è riuscito.

Questa notizia assume inquietante rilievo nei giorni degli scontri in Libano - dove Hezbollah ha reagito ad una provocazione del governo di Hanna Siniora, sostenuto da USA e Israele - e in cui tutti i commentatori che ho consultato vedono una manovra per giustificare un attacco di vasta portata.

«E’ l’occasione che il Partito della Guerra aspettava da anni», dice Justin Raimondo, e ventila che i neocon attorno a Cheney abbiano in serbo «una sorpresa» (2). Raimondo è un anti-guerra.

Dall’altro capo dello schieramento, è riapparsa Judy Miller, la columnist del New York Times che nel 2003 fu al centro di uno scandalo, quando si scoprì che la signora diffondeva attraverso il suo giornale la disinformazione emanata dalla Casa Bianca, da Rumsfeld e da Wolfowitz. Tornata in auge, Judy Miller è riapparsa sul New York Times con una «rivelazione» che sembra provenire dalle stesse fonti di allora: Hezbollah, assicura, addestra terroristi delle milizie irachene... a Teheran. Tutti i «cattivi» riuniti insieme, da Hezbolllah ad Al Sadr a Bin Laden, e tutti sono guidati dagli iraniani.

E’ esattamente lo stesso tipo di tesi che Israele sta propagandando con tutti i mezzi (anche alla Fiera del Libro di Torino) in questi stessi giorni: Hezbollah non è altro che l’avamposto dell’Iran nel Mediterraneo, quindi è un pericolo non per Israele, ma per tutti i Paesi mediterranei.

«L’Iran è un pericolo non solo per Israele ma per il resto del mondo», ha detto il 4 maggio scorso Shimon Peres, il vecchissimo presidente israeliano (il loro Napolitano); aggiungendo che se l’Iran dovesse fornirsi di un’atomica sarebbe «un incubo». Peres è il padre politico della bomba atomica israeliana, perchè fu lui ad ottenere dalla Francia, negli anni ‘50, l’assistenza necessaria per costruire il reattore di Dimona. Ora ha «l’incubo»: Israele vuole restare l’unica potenza nucleare nella vasta area medio-orientale.

Da Gerusalemme, il giornalista Peter Hirschberg (3) riporta l’atmosfera: ormai, secondo i sondaggi, il 75% degli israeliani crede inevitabile una guerra contro «uno o più Stati arabi», benchè il 70% sia a favore di un accordo con i palestinesi e con la soluzione a due Stati.

Da Ottawa dove insegna, l’analista geopolitico Darius Nazemroaya (di origine iraniana) elenca tutti i segnali recenti che indicano una febbrile preparazione israeliana al conflitto imminente: chi è interessato può leggerlo; non lo traduco perchè sono annoiato di ricevere le solite accuse di «antisemitismo» e complottismo (4).

Mi limito a riferire che l’analista ricorda  la vastissima esercitazione di difesa civile, condotta su scala nazionale tra il 6 e l’11 aprile scorso, in cui Israele simulava la protezione dei civili da un attacco «nemico», in risposta ad un attacco israeliano. Nello scenario, migliaia di missili cadevano su Israele. Da Gaza, dal Libano (Hezbollah si dice abbia 13 mila razzi e missili), e dalla Siria.

Difatti, dal 2006 dopo la sconfitta in Libano, Israele conduce regolari esercitazioni che simulano un’invasione in Siria, con addestramento dei soldati in villaggi-modellosiriani allestiti sul Golan.  Secondo i siriani, a queste esercitazioni presenzia un generale USA. Già dal 2006, secondo il britrannico Sunday Times, «Iran e Siria sono al vertice dell’agenda militare israeliana».
E citano un generale sionista che dice: «In passato ci siamo preparati per un possibile colpo militare contro le installazioni nucleari iraniane. Ma l’accresciuta fiducia in sè dell’Iran dopo la guerra in Libano significa che dobbiamo prepararci a una guerra totale, in cui la Siria sarà una parte importante».

Secondo l’analista di Ottawa, tutti i preparativi delineano uno scenario in cui l’Air Force compirà un bombardamento a sorpresa delle centrali iraniane, mentre contemporaneamente Israele colpirà - in modo simultaneo e con incursioni nel territorio nemico - Hamas a Gaza, la Siria ed Hezbollah in Libano. In questa guerra totale non potrà non essere trascinata anche la Giordania, abitata da una maggioranza di palestinesi.

Gli iraniani proveranno a rispondere a un attacco con una ritorsione, a cui sono preparati: sostengono di potere lanciare migliaia di missili nei primi cinque minuti. Una vera guerra - di una settimana, prevedono i comandi israeliani (lo prevedevano anche in Libano nel 2006) - che avverrà  sulle coste del Mediterraneo, ossia sotto casa nostra.Non è escluso l’inquinamento di tipo nucleare.

L’Italia sarà comunque coinvolta  fin dai primi istanti, se il governo non ritirerà i 3 mila soldati italiani che fanno da patetica «forza di interposizione» tra Israele (la superpotenza mediterranea e la quinta potenza atomica del mondo) e gli agguerritissimi Hezbollah.

Come nel 2006, ci saranno devastazioni immense, e non ultimo l’inquinamento del Mediterraneo, come avvenne nell’aggressione al Libano del 2006. Il petrolio salirà forse perfino oltre i 200 dollari «profetizzati» da Goldman Sachs, provocando il collasso economico di molti Paesi, fra cui il nostro.

Tutto questo non è necessario nè, soprattutto, inevitabile. L’Iran ha appena avanzato una proposta per le sue attività nucleari, che gli USA si rifiutano  di ascoltare (5). La fretta di Bush e di Olmert si capisce: entrambi sono assediati da una crisi politica, l’americano da una crisi economica di cui non si vede la fine (6), Olmert da accuse di corruzione. Una guerra sarebbe per loro la fuga in avanti capace di tenerli al potere, e di deviare le frustrazioni e l’ostilità dei loro cittadini verso il «nemico».

Ma non è inevitabile. Basterebbe che l’Europa dimostrasse un po’ meno sevilismo verso questo vicino mediterraneo con 500 bombe atomiche. Ma il nostro governo non lo farà.

Berlusconi, appena giunto alla celebrazione dei 60 anni dello Stato ebraico, ha così definito le proteste per la Fiera del Libro: «Sono cose isolatissime: tutto il popolo italiano è vicino ad Israele. Siamo il popolo più vicino». Anche troppo vicino, come forse dovremo accorgerci presto.




1) William Arkin, «A secret Afghanistan mission prepares for war with Iran», Washington Post,
9 maggio 2008.
2) Justin Raimondo, «The silenced majority - non one wants another war; so why does it seem inevitable?», Antiwar.com, 9 maggio 2008.
3) Peter Hirschberg, «Israelis believe another war is coming», Antiwar.com, 9 maggio 2008.
4) Mahdi Darius Nazemroaya, «Beating the drums of a broader Middle East war», Globalresearch,  7 maggio 2008.
5) Sue Pleming, «US declines to help present nuclear deal to Iran», Herald Tribune, 9 maggio 2008.
6) La banca Citigroup, la più grande degli USA, ha annunciate l’intenzione di vendere «attivi che non fanno parte del core business» per l’astronomica cifra di 400 miliardi di dollari, onde far fronte ai buchi che ha prodotto nei bilanci lo scoppio della bolla subprime. L’American International Group, che è la più grande compagnia assicurativa del mondo, riporta per il primo trimestre una perdita mai vista, 7,81 miliardi di dollari, per i problemi causati dalla crisi dei subprime. E Dick Cheney dichiara che l’economia USA «è l’invidia del mondo».


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