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Secessione e destrutturazione
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Di solito non mi auto-cito. Ma l’aprile scorso, dopo il successo della Lega alle regionali nelle regioni che producono e pagano – Veneto, Lombardia, Emilia, Piemonte – scrivevo più o meno: è da vedere se la Lega sarà in grado di rispondere alle altissime aspettative che ha suscitato in quelle regioni, altrimenti sarà travolta. Perchè è una enorme responsabilità aver ottenuto la leadership dai popoli di quelle regioni, che sono le più produttive, quelle che esportano e competono per produttività con la Germania, e che ogni anno trasferiscono al Centro-Sud la bellezza di 55 miliardi di euro in tasse. Quelle regioni, inoltre, sono un blocco geografico ed economico continuo; sono già, in fieri, uno Stato capace di vivere in secessione, ciò che non si può dire del Sud. E a cui la propaganda leghista, quando parla di federalismo, fa balenare appunto la secessione.
Adesso, con l’immane alluvione che ha sommerso il Veneto e i suoi macchinari esportatori sotto 500 litri d’acqua per metro quadro, la stoffa di questa leadership s’è vista?

Per una settimana, della tragedia non si sono accorti i telegiornali – tutti romani – ma nemmeno i ministri leghisti che stanno a Roma, evidentemente troppo bene. Solo quando i veneti hanno minacciato lo sciopero fiscale, Roma ladrona (con dentro i ministri leghisti) si son mossi. Bossi è arrivato a visitare le zone alluvionate a fianco del capo del governo e – secondo La Padania – ha detto quanto segue:



Ora, io spero (altrimenti siamo tutti fritti) che i lettori veneti, e nordisti in genere, colgano ciò che ha di offensivo per loro questo frasario, per tacere delle rozzezza e vanteria arrogante. Nemmeno l’armatore Achille Lauro, ras e sindaco di Napoli negli anni '50, che comprava i voti regalando alle plebi campane le scarpe sinistre con la promessa di dare le scarpe destre dopo la vittoria elettorale, avrebbe mai detto frasi del genere. Forse solo in Cecenia il capo di un partito che sia anche boss mafioso di una regione può garantire un capo di governo e un ministro, dicendo è ceceno e quindi non dovete preoccuparvi, e assicurando con la sua persona che vi porto gli sghèi. Come se fosse un favore ai sudditi, e non un diritto di cittadini di regioni evolute e moderne in stato di emergenza.

E’ evidente che quelle regioni sono troppo evolute e moderne per Bossi, che è invece infinitamente arretrato nella sua concezione di governo: vi porto gli sghei, baciatemi le mani; per Berlusconi garantisco io; dovete tutto a me, villici e pastori.

E’ un‘idea di governo clientelare, di uno che considera il Veneto, o la Padania, sua proprietà, come fosse un despota locale ottomano. Ad essere proprio buoni, è un’idea molto terrona della gestione pubblica. Troppo.

Una delle domande è: com’è che cittadinanze civili, i cui ceti produttivi competono con la Baviera, sanno muoversi bene all’estero a procacciarsi clienti grazie all’alta qualità dei loro prodotti, hanno dato voti a uno che fa esibizione di primitivismo politico e usa un linguaggio da capo-bastone ceceno? Senza esserlo, si badi, il che è peggio: perchè quando Kadirov garantisce qualcosa ai suoi soggetti, almeno essi vedono che ha dietro centinaia di fedeli armati di mitragliatori, numerosi sicarii ai suoi ordini, autoblindo, e Rolls-Royce cariche di lingotti d’oro: insomma, la forza bruta, che è già qualcosa.

Bossi non ha nulla di questo, in uno Stato (più o meno) di diritto non può garantire nulla col suo peso personale – come si fa invece in Sicilia, o come a Napoli fa un camorrista. Lui lo sa benissimo. E se usa questo linguaggio rozzo e vano, è perchè ritiene che questo linguaggio porti voti. E non deve aver torto, visto che i voti sono arrivati.

Non tanti, però, da giustificare la pretesa di Bossi che la Padania sia Cosa Sua. Mettiamo che la Lega abbia il 30%, significa che un 70% non la vota, nel Nord moderno ed evoluto. Un leader parimenti evoluto, che abbia un progetto grande, pericoloso e necessario (come il federalismo-secessione) dovrebbe aver la volontà di guadagnarsi quella parte maggioritaria. Se non lo fa, il motivo è chiaro: Bossi non vuole in realtà realizzare alcun progetto. Quel che gli interessa veramente è gestire e distribuire posti di potere al modo democristiano, siculo o di Roma Ladrona (non è per questo che ha voluto mantenere le provincie (1), a spese del denaro pubblico?

Il che in fondo è meglio: pensate se il nuovo Stato possibile, la Padania evoluta e produttiva, fosse governata da un neanderthaliano del genere, che urla vi ho portato gli sghei! e richiede fedeltà pecorine come fosse un Kadirov, mentre è solo un Baùscia (dialetto milanese per spaccamontagne da osteria).

I veneti e i padani, è bene si rendano conto che non è la Lega che li porterà alla liberazione. Non li porta da nessuna parte.

C’è qui una recitazione dei politici, che si vogliono presentare come più primitivi di quel che sono convinti di dover attrarre a sè l’eterno residuo incivile, belluino della popolazione italiana? O forse sono veramente così? Ciò si nota anche nella sinistra in via di rottamazione: la tonitruante richiesta di dimissioni di Bondi per il crollo di un resto archeologico a Pompei è una recita sciacallesca in perfetta malafede. La schola gladiatorum poteva crollare dieci anni fa, o l’anno prossimo. Per il professor Carandini – il massimo archeologo, vero competente che però i media non ascoltano – il fatto era inevitabile ed è stato persino fortunato, perchè a crollare è stato un restauro sbagliato, risalente al 1948. La gestione camorristica e incivile di Pompei è una piaga che dura da mezzo secolo, ed è un crimine dell’intero mondo politico. Anzi di tutti noi italiani, che viviamo accampati sui resti di un passato glorioso che nemmeno capiamo più, come beduini accampati sulle tombe dei faraoni.

Nè vale opporre che, a livello locale, sindaci e governatori leghisti hanno gestito l’emergenza-alluvione in modo adeguato. La verità da stabilire una volta per tutte è: è la cittadinanza che ha gestito la propria tragedia. Non c’è bisogno di essere eccezionali amministratori di città e di paesi dove la popolazione è in grado di amministrarsi da sè molto bene, prende le pale e spala il fango, si aiuta a vicenda e stringe i denti. E non chiede gli sghei, bensì sostegni alla produzione interrotta nell’interesse stesso dello Stato, e – più sofisticatamente – una sospensione degli sciagurati studi di settore, per non dover almeno pagare tasse su guadagni non realizzati, anzi su perdite come farà sicuramente il fisco-avvoltoio (in mano per lo più a meridionali).

Bravini sì i sindaci leghisti, che hanno le stesse virtù della loro cittadinanza. Ma cosa risponde la Lega quando si nota che i comuni sono 8 mila in Italia, troppo piccoli per poter stanziare cifre sufficienti alla normale amministrazione, e che dunque occorre accorparli e ridurli, così come occorre ridurre le Regioni (e abolire le provincie)? Niente. Il che significa: decenti a livello tattico, nulli a livello strategico. Perchè primitivi, o al meglio, provinciali.

E vogliamo parlare di Gianfranco Fini? Sempre più spesso sento conoscenti di sinistra confidare: stavolta voto Fini. Perchè? Sta facendo la destra moderna, finalmente (strano, detto da sinistra). Sta demolendo Berlusconi (che è la ragione vera). E lo ha attaccato sul piano della legalità.

Sì, ho sentito il discorso di Perugia (stavo viaggiando in auto, mi sono sorbito l’ora e mezzo di democristianismi in tono almirantiano). Sorvoliamo sulla legalità di un presidente della Camera che, senza dimettersi dalla carica istituzionale (non vuol correre rischi, altrimenti Elisabetta Tulliani lo lascia per uno più ricco e potente), fonda un partito contro il governo di cui fa parte, apre una crisi extraparlamentare (lui che si dichiara il garante del parlamento), e fa che i ministri e sottosegretari del suo neo-partito rimettano il mandato nelle sue mani personali, roba da far invidia al Bossi-Kadirov. Sorvoliamo sulla cultura della legalità di un presidente della Camera che fa avere alla suocera Tulliani un contratto televisivo da un milione di euro l’anno, e non parliamo nemmeno della casa di Montecarlo: capisco, pur di liquidare Berlusconi qualunque mezzo è lecito, non si guarda per il sottile.

Ma dopo? Ho sentito il discorso di Perugia, e ho ascoltato Fini dire che tutto quel che ha fatto finora il governo del Salame gli va bene; solo, ìntima che il Salame si dimetta (e io sono d’accordo), e che vuole i diritti dei finocchi... Ma ciò significa che Fini, di suo, non ha alcun progetto per il Paese. Vorrebbe prendere il posto di Berlusconi, accaparrarsi una parte dell’elettorato berlusconiano, ma per far che?

Di suo, Fini non ha mai dato un apporto e un contributo al governare, mai uno straccio di idee; le poche che ha esalato a Perugia, fra gli applausi di fascisti con le lacrime agli occhi e il quoziente intellettivo 65, erano idee dei radicali che lo guidano e imparaticce su Repubblica. Nel migliore dei casi, Fini al governo non farà nulla, se non la gestione notarile di un Paese che ha invece bisogno di un rovesciamento delle istituzioni ormai corrotte – a cominciare dalla magistratura, fino al Parlamento da mille deputati, e anzi fino ai presidenti istituzionali che convivono con note arraffatrici da rotocalco.

Ma c’è il caso peggiore. Che Fini farà quel che gli suggeriscono Ruben (B’nai B’rith Italy), il Council on Foreign Relations Europe di cui è fresco socio, o degli amici inglesi e americani che Fini va a trovare con fittissimi voli (di Stato) a Londra, in queste settimane. Proprio perchè di suo è un nulla, e non ha mai fatto un atto di coraggio in vita sua, è chiaro che Fini nelle sue audacie estemporanee è coperto da poteri forti che gli garantiscono il futuro. Insomma, più che mai, Fini è in politica per fare i suoi interessi, e suoi interessi privati e personalissimi, alla Tulliano’s.

Per giunta, la sua irruenza dettata dal rancore personale non è piaciuta a quegli amici importanti che l’hanno cooptato: prima della crisi si faccia la finanziaria, per non allarmare i mercati; si usino le forme regolari (anche lassù non è piaciuta la figura di un presidente della Camera che intima al capo del governo di dimettersi: mica vorremo fare la revolucciòn?!), e che la crisi avvenga in parlamento – ossia che Fini rischi qualcosa, si metta in gioco elettoralmente. Sono segnali leggibili in certi giornali, sul Corriere ad esempio, e alcuni risalenti al Colle. Secondo me, indicano che quelli di Londra, come l’hanno scelto, lo lasciano cadere. A fare il terzo polo con Casini, mentre a governare le ultime svendite si sceglie Draghi.

Sicchè siamo messi male come Paese – siamo o no contro Berlusconi, o per Bossi o per Fini – e per colpa nostra. O perchè stiamo fanaticamente col Salame qualunque cosa faccia, o perchè siamo per Fini chiunque sia, purchè faccia crollare il Salame; o perchè siamo leghisti e applaudiamo uno che ci porta gli sghei. O perchè, a sinistra, speriamo in Niki Vendola, o nei rottamatori di Firenze, o in Di Pietro, o in Grillo.

Insomma, come nazione votante siamo più arretrati della società civile e produttiva che, almeno a Nord, funziona a chiede cose vere e chiare. Per rancori e rabbie e tifoserie, aderiamo a partiti che non hanno alcun programma, e che noi sappiamo benissimo non averne alcuno. Fingiamo di credere a rinnovamenti da parte di leader che non vogliono fare alcunchè e – anche se volessero – non sanno farlo (Lega, come si fa il federalismo, in pratica? Chi sa guidare uno sciopero ancor meno, un processo di secessione? Ci sono le competenze per la sistemazione del territorio e fare di Pompei l’oro nero della Campania anzichè un centro di costo gestito da camorristi minimi?).

Per il Nord produttivo, significa fra l’altro continuare a farsi depredare di 55 miliardi annui. E' il declino sicuro, perchè se non vi sono piaciuti i governi Berlusconi, provate a immaginare governi Vendola, o Fini, o Bossi.

Dobbiamo cominciare ad essere cittadini serii. E comprendere che le rivolte cui applaudiamo – quella di palazzo di Fini, quelle dei rottamatori del PD, i grillini e i dipietrini – non portano ad alcuna rivoluzione, nè riforma; sono solo movimenti di destrutturazione, che destrutturano il sistema senza costruire nulla al suo posto.

Non accade solo da noi. Accade in Francia con gli scioperi e le manifestazioni contro la riforma pensionistica, accade in Germania con violentissime manifestazioni antinucleari, in Inghilterra sono scesi in piazza gli studenti contro i rincari delle tasse universitarie; accade soprattutto in America. Il Tea Party, che ha avuto un successo elettorale eccezionale da gente che sta pagando la crisi provocata dalla finanza (e dal governo che l’ha lasciata senza norme), è però composto di leaderini disparati, con progetti utopici o microscopici contradditorii, su cui non si mettono d’accordo; la oscura voglia di rinnovamento c’è, ma le vecchie volpi del Partito Repubblicano hanno già cooptato diversi dei nuovi eletti nelle attrattive di Washington-ladrona: «Scendono in campo contro Washington chiamandolo un cesso, e scoprono che è una Jacuzzi», si dice; e vale anche per Roma-ladrona, gli altri saranno lasciati ad abbaiare alla luna, o a chiedere meno tasse per i ricchi, guerre all’Iran, tagli alla Sanità, senza mettersi d’accordo sui freni a Wall Street. Il che non disturba certo i manovratori.

Nel profondo, queste convulsioni politiche dal basso che non si coagulano in progetti, dicono molto. Dicono che la gente, le cittadinanze o le plebi, hanno raggiunto la percezione della crisi fondamentale del sistema. Il sistema tecno-bellicista (che manda i nostri ragazzi in guerre altrui che non si vincono mai), finanziario liberista selvaggio, la depressione peggiore del '29, l’esaurimento di risorse essenziali, il pluralismo democratico coi suoi presunti pesi e contrappesi, tutti insieme sono finiti, non funzionano più se non contro gli uomini, vengono al capolinea, e nessuno sa più cosa fare, o ha la volontà di fare qualcosa per il dopo. E sono esaurite tutte le ideologie, che nel ventesimo secolo furono i motori delle rivoluzioni di massa; illusioni, ma la loro mancanza decreta il disincanto ultimo, terminale (2) dell’uomo occidentale. Per questo, i blogger pensatori del sito Dedefensa parlano di crisi «escatologica».

Eskathos, in greco, allude a ciò che è ultimo, alle cose ultime. Dopo le quali non c’è nulla; o almeno nulla di pensabile nella nostra condizione presente.

Come credenti, preghiamo perchè Dio faccia nuove tutte le cose, come ha promesso. Da soli non ce la facciamo. Ci vorrà molta sofferenza, e molta purificazione per esserne degni. Può aiutare un ritorno alla pratica dell’esame di coscienza: non hanno colpa solo gli avversari politici, il disastro non è dovuto solo all’opposta tifoseria. Abbiamo tutti votato, quei mostri, osceni corruttori o mostriciattoli, abbiamo applaudito le loro astuzie e i loro stili di vita. Loro, in qualche misura, sono noi.




1) La Lega, con l’abolizione delle provincie (che poteva strappare, essendo al governo) avrebbe perso qualche decina di posti da distribuire ai compari, ma ne avrebbe tolti centinaia agli avversari e concorrenti. A questa scelta strategica è stato preferito il piccolo cabotaggio clientelare.
2) In realtà, di rivoluzione, o guerra civile ai poteri forti, si comincia a parlare negli Stati Uniti; significativamente, proprio dopo le ultime elezioni di mid-term, il cui risultato non ha accontentato nessuno. L’8 novembre, nel network progressista MSNBC, l’anchorman (che si dice conservatore) Dylan Ratigan s’è chiesto pubblicamente: «Le cose stanno andando così male nel nostro Paese, che sia davvero venuto il momento di fare una rivoluzione? Lovvia risposta è sì. La sola domanda è: come farla?». L’esperto finanziario (conservatore) Karl Deninger, che tiene il seguitissimo sito Market-Ticker, ha scritto negli stessi giorni ai suoi lettori: «Ciascuno di voi vuole un modo di salvare i suoi soldi, una strategia dinvestimento, un posto dove rifugiare i suoi risparmi. Lasciate che vi dica una cosa, gente anche se non vi piace: cè solo un modo, ed è di salvare tutti. Ossia, far finire per forza questo schifo (la corruzione della finanza con la complicità del governo, ndr) con qualunque mezzo necessario e possibile»; e poi ha stilato un intero programma di disobbedienza civile contro i banchieri e la FED. Ted Rall, noto vignettista: «Siamo a questo punto perchè gli Stati Uniti sono alla fine. Ci sarà una lotta intensa, violenta, probabilmente disordinata per il controllo: noi contro loro». Il giornalista David Sirota, autore di saggi contro le mega-banche: «Leccitazione elettorale biennale è loppio delle masse; un oppio particolarmente potente perchè depreda la psicologia della speranza. Noi vogliamo disperatamente credere di poter montare una sommossa vittoriosa. Ed è vero, possiamo. Ma non fino a quando capiremo che entrambi i partiti sono complici nella scalata ostile che vogliamo combattere».



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