Avremo la depressione, senza nemmeno la deflazione
13 Maggio 2008
Resteremo senza prodotti alimentari, ma i «prodotti finanziari» non ci mancheranno. La prima banca del Belgio, la KBC, ha proposto ai clienti un «prodotto» derivato legato al prezzo delle granaglie, più caffè, zucchero e cacao. Questa specie di obbligazione è andata a ruba, l’emissione è stata tutta comprata in 20 giorni. Grazie alla pubblicità. Lo slogan che la KBC ha trovato per promuovere la sua carta è: «Avvantaggiatevi dal rincaro dei prezzi delle derrate!»
(1).
Qualche deputato socialista s’è adombrato: ma come, s’invitano i risparmiatori a guadagnare «affamando gli abitanti più poveri del pianeta»? Perchè infatti la speculazione finanziaria, attivissima in queste settimane sugli alimenti di base, è determinante per renderli più cari e proibitivi per i poveri. In qualche modo, somiglia all’accaparramento di cibo del tempo di guerra, ma in modo più sofisticato. In tempo di guerra, l’accaparramento era stroncato. Oggi, nessuno stronca i prodotti finanziari.
In Belgio non mancano i giornali che difendono KCB dalle accuse. Il periodico economico Trend-Tendances scrive: «Quando critichiamo la KCB, critichiamo noi stessi. Siamo noi che chiediamo ai gestori dei nostri risparmi di procurarci il miglior rendimento possibile»
(2).
Giusto: con tutti gli altri «mercati finanziari» in calo drammatico, si può guadagnare solo nei «mercati» alimentari e del petrolio. E’ lì che s’è gettata la speculazione, a nome dei risparmiatori o investitori. I quali vogliono frutti monetari - ossia ricavare denaro dal denaro, senza lavorare. Ma è questo che ha voluto l’Occidente: lavorino i cinesi e le badanti romene, noi stacchiamo le cedole.
D’altra parte, nessuno è obbligato a comprare il «prodotto derivato» della banca belga. C’è libertà. E’ lo stesso discorso che ci hanno fatto sull’aborto: mica sei obbligato a farlo, lascialo fare a chi vuole. C’è una coerenza nel caos postmoderno.
Piccolo particolare: si tratta di una coerenza folle. I percettori di frutti finanziari sul rincaro del cibo, poi, spenderanno quei frutti per comprarsi il cibo rincarato. Il «guadagno» rischia di rivelarsi illusorio, come tutti i guadagni speculativi.
Il capitalismo terminale, così, dopo averci gettato nella depressione globale, ci deruba anche del tristo beneficio di tutte le depressioni: la deflazione, ossia i prezzi calanti.
Ci ha dato tutto: depressione più inflazione. Non ci possiamo davvero lamentare.
S’intende che certi prezzi calano: per esempio, le case in USA si comprano al 10% in meno rispetto a dieci mesi fa, e secondo Goldman Sachs il ribasso arriverà al 25%, quando i 10-12 milioni di famiglie che sono in «negative equity» - ossia pagano un mutuo che ha superato il valore della casa - getterano la spugna. Allora ci saranno molte case sul mercato, per un boccone di pane. Una pacchia, per chi avrà i soldi.
Microscopico dettaglio: in USA, la gente non ha i soldi. Lo prova il fatto che, con la crisi che soffia, gli americani hanno aumentato gli acquisti a debito, sulla carta di credito: nell’ultimo trimestre hanno aumentato le compere con la credit card del 6,7%, pari a 975 miliardi di dollari, ossia a 6 mila dollari in più per famiglia. Nonostante i tassi usurari del 20% e anche del 25%.
«Ho il timore che tanti americani continuino ad indebitarsi massicciamente sulle loro carte di credito perchè non hanno alcuna intenzione di rifondere», s’inquieta Peter Schiff, finanziere della Euro Pacific Capital
(3). Gli usurai cominciano ad avere questo assillo. Perchè tutta la grande giostra finanziaria globale si basa, in fondo, sulla massa di milioni di piccoli debitori che pagano mese per mese il rateo del loro debito. Se smettono di pagare, crolla tutto.
E infatti tutto crolla. In due giorni sono fallite sei imprese grosse americane, tutte più o meno dipendenti dall’industria immobiliare e della famiglia: «Linens’n Things» e «Home Interiors», arredamento, per 650 e 310 milioni di dollari, poi Kimball Hill per 703, French Lick Resort per 142, Recicled Paper Greetings per 187, Tropicana Entertainmente per oltre 2 miliardi. Per confronto, nell’intero annno precedente, i fallimenti di questo livello sono stati in tutto 17. Ora, invece, cominciano le bancarotte a catena.
Motivo: queste imprese si sono immensamente indebitatre nei giorni recenti del credito facile, e non possono più far fronte ai loro impegni nell’oggi del credito limitato e costoso, quando le vendite diminuiscono. E almeno i due terzi delle aziende quotate hanno un rating da pre-insolvenza (nell’ultimo collasso precedente, la esplosione della bolla sulle «dot.com», le aziende in quello stato furono il 50%).
Chiusure in massa, licenziamenti in massa, salari che spariscono in massa. E non solo in USA.
«Quella di cui vediamo lo svolgimento è una recessione globale», dice Albert Edvards, stratega finanziario alla Société Genérale: «Niente e nessun luogo ne sarà immune. La liquidità si prosciuga, e finirà per schiacciare le due bolle in corso:
i mercati emergenti e le materie prime».
Ragionamento classico: in una recessione globale, non solo cala la domanda di materie prime, ma non ci sono soldi per comprarle ai prezzi alti correnti. Anche i «mercati emergeni» (Cina, India, Asia) esporteranno meno, e chiederanno meno materie prime. Dunque, prima o poi i prezzi di petrolio e grani dovrebbero almeno calmarsi. E’ lo scenario deflazionistico.
Ma questo scenario trascura il fatto che se l’Occidente non naviga nella liquidità, alcuni Stati, i soldi li hanno. Anzi ne hanno le casseforti piene. Le riserve della Cina, negli ultimi quattro anni, si sono quadruplicate, ed ora sono pari a 1.068 miliardi di dollari; l’India le ha triplicate, ed ora dispone di 303 miliardi; il Brasile ha quadruplicato, ed ha in cassa 189 miliardi di dollari. Le riserve della Russia erano sui 73 miliardi nel 2004, ed oggi sono 493. I Paesi OPEC hanno aumentato le loro riserve di un altro 42% solo nell’ultimo anno.
Ma basta pensare ai primi tre - Cina India e Brasile - perchè s’imponga una domanda scomoda. Perchè questi tre non solo hanno miliardi di dollari, ma miliardi di bocche da sfamare. La domanda la pone l’economista Doug Noland
(4):
«Quanto saranno disposte a pagare Cina, India, Russia e Paesi asiatici per procurare adeguati rifornimenti di cibo ed energia alle proprie popolazioni?» Non lo sappiamo.
Ma possiamo immaginare che Pechino non sfiderà il disordine sociale per risparmiare le sue montagne di dollari, negando alimenti a prezzo di sussidio alle sue popolazioni. E nemmeno India, Russia e Brasile. Compreranno a qualunque prezzo, in violazione di ogni dogmatismo teorico sulla legge della domanda-offerta, a dimostrare che grano riso e petrolio sono qualcosa di più di «merci» in listini variabili; sono «necessità» umane e sociali.
«E quelle riserve così massicce costituiscono un potere d’acquisto quasi senza limiti: sta per cominciare un’asta mondiale a chi offre di più, che instaurerà un’epoca inflazionaria».
1) Jean-Pierre Stroobants, «Un produit financier qui dé range», Le Monde, 12 maggio 2008.
2) La banca KCB è sotto inchiesta in Belgio per aver montato a suo tempo operazioni finanziarie intese a mascherare forniture d’armi al Sudafrica ai tempi dell’apartheid.
3) Ambrose Evans-Pritchard, «The global slump of 2008-2009 has begun as poison spreads», Telegraph, 12 maggio 2008.
4) Doug Noland, «A new inflationary epoch», Asia Times, 13 maggio 2008.
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento