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Libia: il risultato della demokràzia
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«Il mandato di protezione dei civili da parte del Consiglio di Sicurezza attuato dalla NATO non finisce con la caduta dal governo di Gheddafi, e di conseguenza la NATO continuerà ad avere responsabilità...»; così si legge nel rapporto che il britannico Ian Martin, consigliere speciale dell’ONU, ha rimesso al segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon (1).

Dunque stiano allegri i libici, la NATO continuerà proteggere i civili come ha fatto fino ad oggi.

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Nel rapporto Martin, per esempio, si stima che il prodotto interno lordo della Libia calerà del 47%. Insomma, i civili ben protetti si trovano depauperati di altrettanto dalla azione umanitaria in corso. Altrimenti detto, sono ridotti in miseria.

È un piccolo sacrificio per la democrazia donata dall’Occidente. Anche se, certo, la Libia non sarà più «una delle nazioni più sviluppate dellAfrica», come aveva appurato proprio l’ONU nel suo Human Development Index: avanti, quanto a sviluppo umano, anche al Brasile, all’Arabia Saudita e alla Malaysia: evidentemente Gheddafi non si è accaparrato tutti gli introiti del petrolio, li ha anche distribuiti in infrastrutture, istruzione e sanità, come riconosce lo stesso rapporto Martin. (Human Develpment Report 2010)

Adesso, i civili sono protetti, ma mancano di elettricità, di gas nelle cucine, di rete telefonica, di alimentari nei negozi. Fanno la fila ai distributori per la benzina. Soprattutto, mancano di acqua potabile. Il Grande Fiume Fatto dallUomo, il reticolato idraulico che raccoglieva l’acqua dalle profondità sotterrane del Sahara, e che forniva acqua da bere e da irrigazione alla maggioranza dei libici, e in cui il Colonnello aveva investito miliardi di dollari, sono stati ridotti in macerie dai bombardamenti NATO. Bombardamenti intelligenti, che hanno sistematicamente distrutto il grande sistema: la centrale dell’irrigazione il 22 luglio, e per non sbagliare, il giorno dopo 23 luglio, hanno eliminato la fabbrica che faceva le tubature per la rete di distribuzione idrica, insieme con sei dei suoi dipendenti civili, piccolo danno collaterale necessario quando si entra in guerra per proteggere i civili.


La coda ad una stazione di benzina a Zawiyah


Una blogger di nome Sandra Barr ha compilato una lista largamente incompleta degli altri danni collaterali, di quelli di cui i media non hanno potuto evitare di dar notizia.

13 maggio: a Brega, l’uccisione di undici imam musulmani: ma si sa, i musulmani religiosi non sono compresi fra i civili da proteggere.

30 aprile: bombardamento della Scuola per la Sindrome Down a Tripoli: l’orrendo regime aveva fatto una scuola per i mongoloidi. Un tipo di scuole che non esiste nel libero Occidente, è stata giustamente eliminata. Lo stesso giorno, un bombardamento ha eliminato una residenza di Gheddafi, uccidendo il figlio Saif, un suo amico e tre bambini.

12 giugno: bombardata l’università di Tripoli. Il numero dei morti, pardon danni collaterali, non è ancora noto.

8 agosto: bombardamento dell’ospedale di Zliten, con almeno 50 morti civili, parecchi dei quali bambini. Il bombardamento di ospedali dovrebbe essere catalogato come crimine di guerra e contro l’umanità dalle norme internazionali vigenti. Ma ora, non più vigenti da quando l’Occidente non le rispetta: ossia dall’11 settembre 2001, l’inizio della Grande Guerra al Terrorismo Globale.

9 agosto: lo spianamento con incursioni aeree del villaggio di Majer, che ha ammazzato 85 civili, precisamente 33 bambini, 32 donne e 20 uomini. Il mandato di proteggere i civili ha richiesto anche questo piccolo sacrificio. Qui, è da notare, la NATO ha usato la stessa tattiche che Israele ha adottato per compiere gli stermini di Qana: dopo le prime tre bombe sganciate alle 11 di sera, diversi abitanti del luogo sono accorsi alle case bombardate per cercare di salvare vicini e parenti rimasti sotto; a quel punto, la NATO ha ripetuto l’attacco, ammazzando gli altri. (NATO Massacre at Majer requires International Law Suits)


Il Segretario di Stato americano Clinton parla con Mustafa Abdel Jalil (C), presidente del
Consiglio nazionale libico di transizione e Mahmoud Jibril (L),
capo del governo provvisorio
dei ribelli libici durante una passeggiata
al Palazzo dell'Eliseo Parigi, 1 set 2011

Ban Ki Moon
   Ban Ki Moon
Del resto, i massacrati non hanno di che lagnarsi: il segretario generale Ban Ki Moon ha emanato per loro un comunicato in cui si dice «profondamente preoccupato dai rapporti che riferiscono di un numero inaccettabile di vittime civili», ed «esprime sincere condoglianze e la sua solidarietà al popolo libico, in particolare a coloro che hanno perduto i loro familiari nei recenti attacchi».

Non capita a tutti di ricevere le condoglianze da una così alta autorità.

Secondo vari osservatori sanitari, la condizione medico-ospedaliera libica è oggi «un disastro assoluto»: gli ospedali sono strapieni di feriti gravi (militari ma anche civili protetti dalle bombe NATO) e per lo più sono danneggiati, e privi di elettricità e medicinali. Naturalmente, non funzionano più le incubatrici per neonati, gli apparati per i malati d’emergenza, le sale operatorie. Anche perchè medici e infermieri, specie a Tripoli, sono scappati per non essere trovati sul lavoro ed essere accusati di collaborazionismo dai ribelli alla conquista della capitale.

Libia_distruzione_NATO_2

Decine di corpi, molti dei quali in stato di avanzata decomposizione
sono stati accatastati in un ospedale abbandonato nel quartiere di Abu Salim



La situazione non viene rivelata dai media, ma da Medecins Sans Frontières, datato il 23 agosto e firmato da Jonathan Whittal il coordinatore presente a Tripoli: esso chiede «con urgenza» chirurghi specializzati in traumatologia e chirurghi ortopedici (per i feriti di guerra, meglio detta intervento umanitario), infermieri, ostetrici e levatrici, «che siano disponibili a un contratto di 3-4 settimane e a partire immediatamente».

Tutte necessità che non ci sarebbero, se la NATO non si fosse mobilitata per proteggere i civili in Libia.

Felicity Artbunoth, sul sito Global Research, informa che la «Nuova Libia» somiglia sempre di più al «Nuovo Iraq».

Anche qui, «un capo di Stato legittimo ha una taglia di un milione di dollari sul capo, vivo o morto».

Ecco «un altro Paese ricco di petrolio dove file di automezzi fanno la coda alle pompe, o dove si formano code di gente con taniche per lacqua».

Anche qui «la distruzione di servizi essenziali per mantenere la vita, istituzioni, scuole, ospedali, siti e tesori archeologici» (le belle città romane intatte fino a ieri).

«Un altro Stato dotato di una moderna e sviluppata infrastruttura ridotta alletà pre-industriale. Unaltra liberazione’, unaltra tragedia inimmaginabile, criminale». (Looming Tragedy: Vision of the “New Libya”: Visit the “New Iraq”)


Ufficio tecnico civile bombardato di notte dalla NATO, Tripoli


Una catastrofe umanitaria che si aggiunge alla iniziale catastrofe umanitaria, pochissimo segnalata, dei lavoratori stranieri egiziani o sub-sahariani (almeno un milione, forse due) occupati nella Libia ricca di Gheddafi a fare i lavori che i libici non vogliono più fare. Perso il lavoro, persa la paga, si sono affollati a centinaia di migliaia in campi-profughi in Tunisia, a ridosso del confine. I meno sfortunati sono stati gli egiziani, che in numero di 70 mila sono tornati in patria attraverso il confine con l’Egitto. I più sventurati i lavoratori sub-sahariani.

«Migliaia di lavoratori africani sono stati costretti a lasciare le aziende dove lavoravano, perdendo tutto. E sono esposti a maggiori violenze e attacchi a sfondo razzista perché rischiano di essere scambiati per i mercenari assoldati dal colonnello Gheddafi contro i ribelli», ha dichiarato Peter Bouckaert, direttore delle emergenze di Human Right Watch da Bengasi, già il 30 marzo scorso.

«Alcuni lavoratori dellAfrica occidentale hanno denunciato agli operatori di HRW di essere stati assaliti da civili libici, di aver perso tutti i loro averi; altri hanno denunciato di non aver ricevuto dai loro datori di lavoro nemmeno la paga dellultimo mese».

I negri immigrati sono vittime, ora si è appurato, della disinformazione e propaganda scientemente diffusa dai media occidentali, specie britannici e americani: la storia che il colonnello aveva arruolato migliaia di mercenari sub-sahariani per combattere i liberatori.

I ribelli hanno anche presentato alla stampa diversi di questi mercenari catturati. Spauriti, costoro hanno provato a dire ai giornalisti che loro erano muratori, operai e contadini venuti a lavorare in Libia, che li avevano prelevati dai loro dormitori e messi in prigione senza motivo. Pochi giornali hanno riferito che, dopo essere stati mostrati agli inviati speciali, questi mercenari sono stati rilasciati alla chetichella, perchè tornassero alla loro miseria.

Ma niente paura. L’Occidente, se con una mano e le bombe protegge i civili e restituisce la libertà ai popoli oppressi, con l’altra è pronto a ricostruire ciò che distrugge. L’Atlantic Council, un think-tank finanziato dalle Fortune 500, ossia dalle 500 più grosse multinazionali anglo-americane elencate dalla rivista Fortune (fra cui Shell, BP, Exxon, e le altre del sistema militare-industriale) ha già delineato i piani dei suoi sponsor in un articolo dal titolo umanitario: Rebuilding Libya. I benefattori sono pronti, date anche (lo dicono loro) «le immense risorse naturali, la piccola popolazione (7 milioni), e la capacità di attrarre gli investimenti e le competenze stranieri».

Quest’ultima capacità è assicurata dai 130 miliardi di dollari che Gheddafi aveva investito in Occidente, e che sono stati bloccati; ma ora vengono dati ai ribelli diventati governo legittimo. Più precisamente, ai ribelli legittimi verranno dati gli spiccoli, i contanti che servono per pagare gli stipendi, le piccole spese e la corruzione quotidiana. Sul resto, che resterà nelle banche occidentali, i benefattori mondiali si serviranno per il pagamento delle infrastrutture distrutte durante la protezione dei civili. (Rebuilding Libya)

Era ora di far entrare la Libia nella democrazia atlantica prediletta da Fortune 500. Gheddafi aveva costruito il Grande Fiume fatto dalluomo con fondi propri, senza ricorrere alla Banca Mondiale. Aveva finanziato la African Bank, una istituzione che ha permesso a diverse nazioni sub-sahariane di evitare gli aiuti del Fondo Monetario. E peggio: secondo il ben informato giornalista Pepe Escobar, il colonnello era sul punto di trasferire i suoi miliardi di euro dalle banche europee a banche cinesi. In più, avrebbe cancellato il progetto di una centrale nucleare da installare con l’assistenza francese, e deciso di non comprare aerei francesi Rafale. Dato che inoltre la Total esigeva una fetta maggiore della torta petrolifera, in Libia monopolizzata dalla nostra ENI, Sarkozy ha deciso l’attacco.

Gheddafi con Nuri Mesmari
   Gheddafi con Nuri Mesmari
Secondo Escobar, l’occasione è stata fornita dalla defezione del capo di protocollo di Gheddafi, Nuri Mesmari, in ottobre 2010, a Parigi. Avvicinato dai servizi francesi, sarebbe stato questo maggiorente a concepire un colpo di Stato mascherato dalla ribellione in Cirenaica. Ad allora risalirebbe la ribellione spontanea, concepita a Parigi; non senza l’approvazione dell’Arabia Saudita, che ha motivi ben precisi per detestare il Colonnello: vari tentativi di ammazzare il re Abdullah. L’assenso saudita è servito per assicurare il consenso della Lega Araba all’azione umanitaria e alla catastrofe umanitaria seguente. (Why Gaddafi got a red card)

Ma la primogenitura dell’idea spetta agli americani, e risale a 30 anni fa.

Era l’estate del 1981. L’edizione americana di Newsweek, il 3 agosto 1981, riferiva che la CIA aveva presentato alla Commissione Intelligence del Congresso un piano per abbattere il regime di Gheddafi. Si trattava, informò il settimanale, di «un classico piano di destabilizzazione firmata CIA. Un elemento sta in un programma di disinformazioneinteso a svergognare Gheddafi e il suo governo. Un altro era la creazione di un contro-governoche sfidasse la sua pretesa alla leadership nazionale. Un terzo elemento, potenzialmente il più rischioso, sarebbe una campagna paramilitare via via più intensa, condotta probabilmente da libici scontenti, che facesse saltare ponti, sferrasse operazioni di guerriglia su piccola scala onde dimostrare che contro Gheddafi erano attive forze politica interne» al Paese.

La proposta fu rigettata, soprattutto perché la Commissione della Camera Bassa non si fidava della «capacità e sano giudizio» dell’allora direttore della CIA, William Casey. (A Plan to Overthrow Kaddafi)

Si noti la data: 1 agosto 1981, era presidente da soli otto mesi Ronald Reagan, ancora convalescente dai colpi di pistola che il 30 marzo precedente gli aveva sparato John Hinckley jr., mandandolo in fin di vita. L’attentatore, 26 anni – il solito assassino solitario della storia americana – passò per squilibrato. Ma era amico dei figli della famiglia Bush, in particolare di Neil. (Bush Son Had Dinner Plans With Hinckley Brother Before Shooting)

Bush padre, che era stato direttore della CIA nel 1977, era allora vicepresidente degli USA: se l’attentato fosse riuscito, avrebbe sostituito Reagan alla Casa Bianca senza passare il vaglio elettorale. E forse, chissà, l’abbattimento di Gheddafi per mezzo di ribelli democratici sarebbe avvenuto 30 anni orsono.

Il piano di Sarkozy ha seguito comunque il piano delineato da Casey: disinformazione mediatica (far le più grosse: «Gheddafi sta per uccidere mezzo milione di civili», «Gheddafi ha ordinato ai suoi mercenari negri di stuprare le donne, e fatto distribuire loro il Viagra», tutte informazioni che Amnesty International ha controllato e trovato false), la creazione di un contro-governo fasullo, poi la spontanea guerricciola fatta da scontenti, ma assistita dalla NATO e dai suoi istruttori. Con alla fine la consegna di Tripoli, comando militare, a un tizio che è stato identificato come un terrorista di Al Qaeda dallo stesso Dipartimento di Stato, combattente islamico in Iraq e Afghanistan, e che la CIA ha fatto torturare dai servizi egiziani. Si veda a questo proposito il blog dell’amico Webster Tartpley, che contiene i dati di uno studio di West Point, da cui risulta che i militanti islamici libici attivi in Iraq superano quelli di tutte le altre nazionalità, sauditi compresi. (The CIA’s Libya Rebels: The Same Terrorists who Killed US, NATO Troops in Iraq)

La percentuale dei libici islamisti che si battono in Iraq


A questi viene ora consegnata la Libia. Il che ci suggerisce qualche idea sul buon uso dei terroristi islamici da parte americana: a volte sono buoni, come quando furono arruolati da Bin Laden e armati dalla CIA per battere i sovietici in Afghanistan; a volte ridiventano cattivi. In ogni caso, una riserva strategica: nel caso si renda necessario un intervento per liberare la Libia da Al Qaeda, ecco pronte la basi per la propaganda, la disinformazione e l’ulteriore bombardamento umanitario. Con la Libia così vicina all’Italia, la presa di potere di Al Qaeda non ci può lasciare tranquilli: con più convinzione di oggi, parteciperemo ai bombardamenti NATO come ci ordina Napolitano.

E pensare che ci chiedevamo come mai Sarkozy, nominalmente gollista, avesse fatto rientrare la Francia nella NATO, tradendo l’eredità maggiore di De Gaulle, che ben conosceva gli anglo-americani e non aveva consegnato la patria all’Alleanza Atlantica, per giunta dotandola di una forza atomica propria che – aveva detto chiaramente – era diretta «tout azimouth», ossia contro tutti i nemici, anche quelli dell’Occidente.

Ora si capisce meglio: Sarkozy è entrato nella NATO per profittare del Nuovo Ordine Mondiale – quello stilato dai neocon dopo l’11 settembre, e che, non a caso, somiglia al diritto internazionale talmudico imposto da Israele: nessuno Stato è legittimo, qualunque Stato è depredabile se così giudicano Washington e Tel Aviv. È questa la nuova legittimità instaurata dalla superpotenza dopo l’11 settembre, e per questo è stata attuato il mega-attentato di dieci anni fa: fare strame dell’ordine e dei trattati internazionali.


Nicolas Sarkozy, Mustafa Abdel Jalil (C), presidente del Consiglio nazionale libico di
transizione e Mahmoud Jibril (L), capo del governo provvisorio
dei ribelli libici, durante
la conferenza stampa "Amici della Libia"
al Palazzo dell'Eliseo, Parigi, 1 Settembre 2011

Ormai, la sola misura della legittimità è la forza militare: solo se uno Stato ne ha abbastanza da poter inferire danni ad USA e Israele, il che significa possedere armi atomiche, può vivere abbastanza tranquillo.

De Gaulle aveva previsto questa deriva americanoide. Bunga-Bunga, no: cosa volete pretendere, quando si passano le nottate con Lele Mora, Emilio Fede e le loro girls, anzichè coi briefing dei servizi segreti. Altri tempi, altri statisti.





1) Ban Ki Moon s’è rifiutato di rendere pubblico il rapporto Martin, come richiestogli da due Stati rappresentati all’ONU. Bisognerà presto fare un discorso su questo segretario generale coreano, che ha fatto dell’ONU una succursale di Israele: come dimostra l’altro rapporto ONU che ha giustificato l’aggressione israeliana alla nave turca Mavi Marmara. La Turchia ha rotto le relazioni con Israele dopo questo rapporto, ben consapevole che esso è il risultato della trame della lobby al Palazzo di Vetro. (Turkey vows to take legal action against Israelis involved in Gaza flotilla raid)



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