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Il Pakistan si difende dal (vero) nemico
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Le forze di sicurezza del Pakistan hanno arrestato tre cittadini americani, dipendenti del consolato USA di Lahore, mentre filmavano siti «sensibili» nella città: edifici governativi e soprattutto il posto di controllo presso il ponte Sherpao di Lahore. Fra i tre arrestati c’è una donna, di cui i pakistani hanno dato il cognome (Morgan) trovata in possesso di una dozzina di foto di vari posti di controllo e di polizia a Lahore.

Dopo tre ore di interrogatorio, i tre sono stati rilasciati su pressione del personale diplomatico USA, accorso sul posto. Ma la loro auto è stata sequestrata perchè – udite udite – circolava con una targa falsa. (Pakistan arrests 3 US embassy employees) Secondo un altro giornale «The Pakistan Ledger», gli americani arrestati erano quattro, su tre veicoli con i vetri oscurati, cosa proibita in Pakistan, ed erano dipendenti della Blackwater.

Non è il primo arresto di cittadini USA in Pakistan. Ai primi di dicembre gli agenti dal Paese hanno catturato nella città di Sarghoda (zona settentrionale del Pakistan) cinque americani, tre di origine pakistana, uno di origine egiziana ed uno yemenita, partititi da Washington dopo essersi lasciati dietro, a casa, un video in cui annunciavano l’intenzione di commettere un attentato suicida. «Al Qaeda, naturalmente», ha detto l’FBI.

Le forze di sicurezza pakistane sono in stato di massimo allarme, data l’ondata di sanguinosi attentati che hanno investito il Paese nelle ultime settimane, secondo i media occidentali la risposta dei talebani alla pressione militare che subiscono dall’esercito pakistano – a sua volta premuto da Washington – nelle zone di confine con l’Afghanistan.

Mentre le centrali americane hanno cominciato a dire che il problema Afghanistan è in Pakistan, e a preoccuparsi ad alta voce di come l’armamento nucleare pakistano rischi di «cadere nelle mani dei fanatici islamisti» (e perciò gli USA debbano metterci le mani sopra), anonimi assassini hanno messo a segno una quantità di attentati-strage indiscriminati.

Il 28 ottobre a Peshawar un’auto-bomba ha massacrato 125 persone;  ai primi di dicembre due bombe scoppiate una dopo l’altra apposta per provocare stragi nella folla che si addensava dopo la prima esplosione, ha ucciso 49 persone proprio in un frequentato mercato di Lahore, seppellendo gente sotto le macerie e uccidendo nelle botteghe in fiamme. Un attacco di «militanti» armati ha massacrato 27 persone in una moschea a Rawalpindi durante la preghiera del venerdì: tipica azione islamica.

Al Qaeda, naturalmente, dicono i pochi media occidentali che si sono curati di dare notizia di questa strategia della tensione. Ma l’intelligence pakistana ha qualche diverso sospetto, che si riduce ad un nome: Blackwater, la nota agenzia di mercenari che «lavora» per l’occupante USA.

Gli americani hanno sempre furiosamente smentito che Blackwater stia agendo in Pakistan. Il New York Times ha riportato con il dovuto rilievo l’assicurazione della CIA che la ditta di «private security contractors» non sta compiendo operazioni clandestine nel solo Paese islamico dotato di bombe atomiche. Il britannico Guardian, però, con una propria inchiesta ha dimostrato che Blackwater sta operando bombardamenti con aerei senza pilota da un aeroporto segreto della CIA nella base aerea di Shamsi, nella provincia pachistana del Beluchistan; dipendenti della Blackwater  sono stati visti a pattugliare la zona attorno all’aeroporto.

Sicchè il portavoce della CIA George Little ha annunciato pubblicamente che il direttore dell’Agenzia, Leon Panetta, aveva giusto posto fine al contratto che aveva stretto con la Blackwater per condurre bombardamenti con droni in Pakistan. (CIA admits Blackwater presence in Pakistan)

Contratto terminato? La cosa sembra perlomeno incredibile, dato che il presidente Obama ha appena ordinato più attacchi con droni in Pakistan, in un codicillo semi-segreto collegato all’ordine del suo «surge» in Afghanistan (i 30 mila uomini in più). E decine di generali e analisti politici in tutti i talk-show americani stanno ripetendo che il successo del «surge» afghano dipende dalla distruzione dei supposti «santuari» che i Talebani e Al Qaeda (naturalmente) mantengono in Pakistan. (Tackle Taliban or we will, US tells Pakistan)

Il Pentagono ha intimato al governo pakistano che, «se non agisce più aggressivamente» contro i suddetti santuari, «userà più forze sul lato pachistano del confine» per liquidare le basi di Al Qaeda che attaccano le truppe USA in Afghanistan. Insomma, ha annunciato l’espansione della guerra al Pakistan: una violazione delle convenzioni internazionali secondo il «diritti» di Norimberga. (Obama quietly authorises expansion of war in Pakistan)

La destabilizzazione del Pakistan  pare la scusa necessaria per sequestrargli le testate atomiche che preoccupano Israele, senza contare il progetto di smembrare i Paesi musulmani per «linee etnico-religiose» indicato come strategia israeliana a lungo termine dalla rivista Kivunim (Direttive), del Congresso Sionista Mondiale, già  nel 1982. Già il fatto che la base CIA-Blackwater sia situata in Belucistan, area dove fermentano tensioni separatiste, è molto significativa. La strategia della tensione in corso, con gli attacchi-strage indiscriminati in Pakistan, si situa fin troppo bene in questo progetto. E chi meglio della Blackwater per adempiere a questi compiti?

Il governo iracheno ha più volte chiamato in giudizio la compagnia davanti a tribunali USA per una serie di uccisioni indiscriminate contro iracheni innocui e disarmati, fra cui una sparatoria commessa per puro piacere dai contractors per le strade di Baghdad (17 morti). E’ stato in seguito a questi «incidenti» che la ditta ha cambiato il suo nome fin troppo programmatico (Blackwater, Acqua Nera) in un più anodino «Xe Services». Il suo fondatore e direttore Erik Prince è stato accusato da un ex Marines suo dipendente di aver organizzato l’assassinio dei testimoni che potevano deporre contro di lui. Erik Prince è stato accusato di contrabbando d’armi, con cui ha rifornito le milizie del PKK, l’organizzazione terrorista curda: il che depone a favore delle inclinazioni sovversive della ditta.

Due testimoni, anonimi per ragioni di sicurezza, hanno deposto sotto giuramento che Prince (figlio di una ricchissima famiglia del Michigan) «si considera un crociato cristiano con la missione di eliminare i musulmani e la fede islamica nel mondo», e che per questo «incoraggiava e ricompensava (i suoi dipendenti) a distruggere la vita quotidiana degli iracheni».



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Perchè Prince è un pio cristianista; è stato fra i dirigenti di Christian Freedom International, un ente protestante che si è dato il compito di «sostenere i cristiani perseguitati per la loro fede in Gesù Cristo»; ha fatto ampie donazioni ad un gruppo di legali ultra-cristiani, chiamato Alliance Defense Fund, e donato almeno 200 mila dollari al partito repubblicano. E’ persino un ecologista: ha finanziato il «Green Party», un minuscolo partito «verde» di Luzerne, Pennsylvania. Probabilmente perchè questo partitino appoggiava il candidato repubblicano (ed ebreo neocon) Rick Santorum contro il candidato locale democratico.

E’ a questo tizio in attesa di giudizio che gli Stati Uniti affidano per contratto le loro operazioni di bombardamento con droni, confidando che Prince è capace di prendere ben altre iniziative di testa sua. Del resto, come stupirsi? Con un simile curriculum, c’è quasi da temere che Prince possa essere il prossimo candidato al «Premio Auschwitz per i diritti umani – Giovanni Paolo II» che Papa Benedetto XVI ha appena conferito ad André Glucksmann, noto per il suo odio anti-islamico  almeno quanto Prince, e «grande sostenitore della causa cecena».

I servizi pakistani fanno quello che possono, in un governo affollato di collaborazionisti, per intimidazione o per corruzione. Il 2 dicembre scorso hanno arrestato un alto funzionario, tale Qadir, assistente speciale del ministro dell’Interno Tasnim Qureshi: aveva firmato licenze alla DynCorp – un’altra ditta di mercenari – che consentivano agli uomini della ditta di portare «armi sofisticate» dovunque in Pakistan all’insaputa della sicurezza interna. Qadir si faceva pagare 2 mila dollari per ogni licenza illegale; ha ricevuto in tutto 270 mila dollari. I servizi pakistani hanno recuperato anche parte delle armi illegali (138 pezzi), e sostengono che quelle introvabili sono nascoste nello spazio inviolabile dall’ambasciata USA.

Infatti l’ambasciatrice Anne Patterson aveva richiesto personalmente al ministero dell’Interno le licenze per le armi speciali della DynCorp: esistono lettere da lei firmate che provano queste pressioni, e le armi per cui chiedeva la licenza illegale erano quelle stesse ritrovate. La Dyn Corp, dice l’ambasciatrice, ha un contratto per fare la guardia all’ambasciata.

Ma è da aprile che i giornali e i servizi segreti (ISI) spiegano e dimostrano che, invece, la DynCorp sta reclutando a suon di dollari ex ufficiali dei commandos pakistani dello Special Services Group  (SSG), nell’evidente tentativo di creare milizie private agli ordini degli americani, sottratte al controllo e persino alla conoscenza delle autorità militari nazionali. Il 29 novembre il ministro dell’Interno Rehman Malik e stato costretto dalla stampa (e dai generali) ad aprire un’inchiesta sul caso.

Molti degli uomini reclutati sono ufficiali che hanno frequentato corsi e scuole di guerra in USA. Avevano anche formato una «ditta di sicurezza privata», la Inter-Risk, che aveva chiesto e ottenuto una licenza provvisoria dal governo, benchè milizie private siano vietate per legge in Pakistan. Più tardi però, chiaramente su impulso dei comandi militari, la licenza era stata revocata; e a settembre la polizia pakistana ne ha approfittato per fare irruzione nelle installazioni della ditta, ormai illegale, una serie di capannoni-caserma alla periferia di Islamabad. Vi hanno trovato istruttori della DynCorp, i quali avevano già «promosso» dopo addestramento 59 ex commandos del SSG, e stavano finendo l’addestramento di altri 59.



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Il campo d’addestramento alla periferia di Islamabad dover la DynCorp addestrava ex commandos pakistani per trasformarli in «private contractors», chiuso dalla polizia in settembre



Singolare la reazione della ambasciata USA: s’è presa cura di spostare i primi 59 «diplomati» al sicuro nel consolato USA di Peshawar. E il vice-capo della missione americana, Gerald Feierstein, ha tenuto una conferenza stampa il primo ottobre per annunciare che la Inter-Risk e la DynCorp avevano i dovuti permessi per operare in Pakistan: notizia falsa, come ha dovuto ammettere il giorno dopo il ministero dell’Interno (i cui membri sono ingrassati dalle tangenti), riaffermando che la Inter Risk era un ente vietato. Ma gli americani hanno fatto ricorso legale; ai primi di novembre il tribunale di Lahore ha dichiarato che le attività della Inter-Risk sono consentite.

Cosa stupefacente, ha scritto il commentatore Ahmed Quraishi, dato che «nei mesi scorsi sono avvenuti cinque o sei episodi in cui sono stati arrestati cittadini americani vestiti come talebani afghani, e forniti  di armi che solo l’esercito regolare pakistano può portare in pubblico... E’ chiaro l’intenso desiderio di Washington di far diventare il Pakistan il terzo teatro di guerra dopo Irak e Afghanistan».

Con complicità evidenti nei ministeri pakistani. Tanto che da qualche giorno corrono voci che i militari siano sul punto di riprendere il potere in Pakistan, se non con un colpo di Stato inducendo alle dimissioni il presidente Zardari. (US Security Firm Bribes Pakistani Officials, Top Interior Ministry Officer Arrested)



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