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Afghanistan: massacri deliberati
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Perchè siamo in Afghanistan? Qualcuno ce lo ricordi… ah sì, signora Bonino: per liberare le donne dal chador. Ora parecchie donne e bambine sono state liberate dal chador per sempre, in un paesello chiamato Bala Baluk, fra i 120 civili innocenti e poverissimi, massacrati dal bombardamento dei Marines.

Come mai? Ah sì, signori: è colpa dei terroristi, dei talebani che si fanno scudo della popolazione. Effettivamente, dei talebani hanno attaccato là un posto di blocco dell’esercito afghano (e liquidato tre civili, secondo loro spie di Kabul). Per questo sono arrivati gli aerei americani a bombardare. Non sfuggirà che la scusa è quella usata da Israele per massacrare bambini e donne a Gaza: Hamas si fa scudo di loro.

E questo dopo un’accupazione armata che dura da otto anni. Qualcosa che gli occupanti del Terzo Reich non sono mai giunti a fare.

Per il diritto dell’Occidente, civiltà superiore, l’armata occupante è «responsabile» dei civili; per Israele e gli USA no – la civiltà occidentale è diventata suprema. Nel solo 2008, sono stati uccisi dai bombardamenti 552 innocenti civili. Dai droni, in tre anni, 701. Un buon prezzo, per uccidere 14 membri di Al Qaeda, presunti. La vita dei musulmani costa poco, sono esseri inferiori.

Questo genere di azioni ha già provocato in Pakistan, nella zona di frontiera afghana, un milione di profughi interni, terrorizzati dalla morte che viene dall’alto. Quest’ultimo massacro, poi, coincide col giorno in cui il presidente Obama riceve a Washington il presidente afghano Kazi e il primo ministro pakistano Zardari, incitandoli a meglio combattere ciò che ha inventato Bush: «Al Qaeda».

Non si capisce per ora se è un classico Obamanismo – «parlare» da Obama, agire da Bush – o se qualcuno, nel Pentagono o nella lobby, ha deciso di sabotare l’Obama «buono» mettendolo di fronte a fatti irrimediabili, il cui solo senso è invelenire la popolazione locale, e accelerare la disintegrazione di Afghanistan e Pakistan – secondo il noto progetto israeliano. Perchè c’è chi soffia sul fuoco, e ne abbiamo una prova.

Nel febbraio scorso, FOX News (del noto Murdoch) ha mandato in onda un video impressionante: una ragazza di 17 anni  sculacciata (eh sì) da un talebano barbutissimo e molto inturbantato, davanti a una folla plaudente (fra cui, è stato detto, un fratello della ragazza). Il video, che sarebbe stato ripreso nello Swat (regione tribale) è stato mostrato dalla TV pakistana e postato sul web; ha suscitato enormi proteste nel Pakistan, fra la maggioranza della popolazione che non è estremista; il governo è stato accusato dai giornali e da molti politici di aver lasciato instaurare nello Swat la Sharia. Ragion per cui, il governo ha aperto un’inchiesta sul posto, e il «chief justice» Iftikhar Chaudry (recentemente tornato a capo della magistratura, da cui era stato cacciato dal generale Musharraf) ha ordinato un’inchiesta, mandando agenti giudiziari e funzionari sul posto.



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La ragazza vittima della esecuzione in piazza è stata interrogata (1). Si chiama Chandi Bibi. Ha detto che lo sculacciamento non è avvenuto. Ha detto che l’uomo con cui (secondo la Fox) avrebbe avuto una relazione illecita per cui sarebbe stata punita, è invece suo marito. E che nessun talebano l’aveva obbligata a sposarlo (anche questo aveva detto Fox).

Conclusione: il video è un falso, come ha denunciato il ministro pakistano dell’informazione, Mian Itfikhar Hussain.

Anche certi particolari ne dimostrerebbero la falsità: il vestiario della gente che assiste al supplizio, e del talebano sculacciatore, non si adatta alla data secondo cui il video sarebbe stato ripreso, gennaio 2009. A gennaio, lo Swat è innevato, e il freddo è rigidissimo. Il video pare essere stato ripreso in primavera o autunno, e non pochi mesi, ma due anni fa.

Ma certo, questo falso ha rafforzato l’idea che la signora Bonino vuole ci entri bene in testa: che siamo lì in armi da otto anni, e bombardiamo villaggi, e provochiamo un milione di profughi, per «liberare le donne» dalla «sharia maschilista».

Dopo otto anni di occupazione feroce e inetta, si deve pur inventare qualcosa per giustificarla ai nostri occhi. E negare la realtà. Per esempio questa: che mentre ai talebani bastano 4 dollari per trovare un giovanotto disposto ad attaccare un posto di blocco dell’esercito collaborazionista afghano, Kabul è affollata di «assistenti allo sviluppo» occidentali, che sono pagati da 250 a 500 mila dollari annui dalle istituzioni internazionali. Gli USA dicono di aver speso, per «sviluppare l’Afhanistan» e conquistare cuori e menti, 31 miliardi di dollari dal 2002.

Può darsi. Ma Jena Mazurella, che nel 2006 era in Afghanistan come direttore della Banca Mondiale (anche lui per «sviluppare» il Paese, con 500 mila dollari di stipendio) ha appurato che il 40% degli «aiuti internazionali» era «speso male, sprecato».

Per forza. La folla di assistenti allo sviluppo, per fare il bene agli afghani, deve pur trovare un alloggio. E non certo una capanna di fango, come hanno gli afghani. Ora, le case di stile regale sono scarse, a Kabul: i loro affitti alle stelle, degni di così ricchi stipendiati, hanno rincarato il costo degli alloggi minimi, a danno della popolazione.

«Interi quartieri di Kabul sono stati sequestrati e ricostruiti per accomodarci il personale delle agenzie di sviluppo e le ambasciate», ha scritto Patrick Cockburn (2), il solo giornalista che si sia interessato al problema. E racconta di un edificio nuovo, costruito da una ditta locale, la Property Consulting Afghanistan, affittato per 30 mila dollari il mese ad un’organizzazione – tenetevi forte – umanitaria.

E’ caro? «Sì, ma dispone di 24 stanze da letto con bagno, porte corazzate e finestre a prova di proiettile», si giustifica l’impresario, mister Bahadery. I bagni in camera li chiedono gli stranieri, aggiunge (il 77% degli afghani non ha acqua corrente); del resto, gli stranieri pagano ad occhi chiusi, e pagano ancora più per la propria «sicurezza» armata.

La questione della sicurezza mai garantita rende questi benefattori alquanto immobili: stanno a Kabul, vi affollano i ristoranti solo per loro, e di rado vanno nelle provincie pericolose.

Matt Waldman, di Oxfam, si è spinto fino alla provincia di Badakhshan, nel nord, dove 830 mila abitanti vivono di povera agricoltura. L’intero bilancio del locale ufficio di agricoltura, per l’irrigazione, le sementi e il bestiame selezionato – ha scoperto Waldman – è di 40 mila dollari. Ossia, due mesi di stipendio di un consulente umanitario occidentale. Il 42% degli afghani campa con un dollaro al giorno, e l’aspettativa di vita – dopo otto anni di occupazione e sviluppo – è di 45 anni. Un funzionario governativo afghano prende mille dollari l’anno. E ovviamente, è disposto a farsi corrompere dai miliardi di dollari che vede vorticarsi attorno.

La Oxfam porta un esempio tipico: la costruzione della breve superstrada che unisce Kabul all’aeroporto (serve agli stranieri) nel 2005 è costata 2,4 milioni di dollari al chilometro. Il quadruplo del costo normale in un Paese dalle paghe di 4 dollari al giorno.

L’uso di contractor esteri non porta alcuna soluzione al problema sociale-militare più acuto, la disoccupazione dei giovani. Sicchè in zone come Farh, Helmand, Uruzgan e Zabul, il 70% dei «guerriglieri» e «terroristi» responsabili delle aggressioni ai posti di blocco non sono altro che disoccupati giovani, senza idee politiche, che ricevono dai talebani o dai signori della guerra un kalashnikov al momento dell’attacco, e 4 dollari alla fine.

Del tutto trascurati i metodi semplici. C’è una «charity» britannica, Turquoise Mountain, che ha provato ad adottarli: per esempio assumendo gente per ripulire le strade (spesso sepolte da due metri di spazzatura), lavoro facile adatto a tutti, anche alle donne col chador.

I benefattori occidentali privilegiano grandi opere sofisticate, in cui i materiali e i tecnici vengono dai Paesi donatori. E tuttavia, ancor oggi l’Afghanistan compra la sua elettricità dall’Uzbekistan, e il 55% della popolazione non ha la luce, e solo un afghano su 20 ha l’elettricità tutto il giorno.

L’aiuto internazionale non solo va in stipendi, ma è scarso in sè. Per la Bosnia, durante e dopo il conflitto, l’ammontare di tali aiuti giunse a 580 dollari per ogni abitante; in Afghanistan, si parla di 57 dollari per abitante. Sono comunque 7 milioni di dollari al giorno spesi «per lo sviluppo» e l’assistenza allo sviluppo.

Per confronto: la spesa quotidiana per l’occupazione militare ammonta a 100 milioni al giorno: offre il Pentagono. Da qui i generosi bombardamenti che ammazzano civili. E’ colpa loro, si fanno scudi umani dei talebani.

Ovviamente, il governo Obama non è contento del governo pakistano, nè di Karzai: non fanno abbastanza «contro Al Qaeda», sono molli contro i talebani; non fanno mistero di volerli liquidare, questi collaborazionisti incapaci.

Gli USA temono, o fanno finta di temere, che 10-20 mila guerriglieri talebani siano in grado di debellare l’esercito pakistano (mezzo milione di uomini, aerei e carri armati) e impadronirsi delle bombe atomiche pakistane.

Gliel’ha ordinato Lieberman, glielo ordina Rahm Emanuel.

Il giorno della liberazione degli Stati Uniti dal potere di Sion, è ancora più lontano della liberazione delle donne afghane dal chador.

 

 



1) Moin Ansari, «Manufacturing consent using fake videos: Chand Bibi of Swat was never spanked. Video not in Swat», RupeeNews, 6 aprile 2009.
2) Patrick Cockburn, «Kabul’s new elite», Counterpunch, 3 maggio 2009.

 

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