Un lettore: «Mi aspetto da lei un commento pepato sull’ultimo duetto Scalfari-Bergoglio seguito di nuovo da immediata rettifica. Pare Berlusconi...».
Senta, non è che ho tutta questa voglia di ridere. Atrocità indicibili avvengono in questi stessi giorni nel mondo, di cui sarebbe obbligo occuparsi.
Ucraini crocifiggono un bambino obbligando la madre a guardare poi uccidono anche lei. È accaduto a Slaviansk «liberata», ad opera dei miliziani di Kiev, questi che l’Occidente ha scelto di appoggiare contro la barbarie del separatismo russo. È solo uno dei crimini in corso contro la popolazione della città abbandonata dai separatisti armati. Gli autori si ispirano evidentemente al loro eroe degli anni ’40, il nazista Stepan Bandera, che sotto la protezione del Terzo Reich, con la sua milizia, operò la pulizia etnica della minoranza polacca, in vista della creazione di un’Ucraina razzialmente pura: «50.000-100.000 polacchi persero la vita, i rimanenti fuggirono. I guerriglieri banderisti si distinsero per inaudite barbarie, massacrando anche donne e bambini (colpi d’ascia, spellamento di persone ancora vive, amputazioni ed altre terribili torture)» (Wikipedia).
Delle atrocità attuali, ci sono testimonianze non anonime, deposizioni aventi valore legale, che accetterebbero di testimoniare davanti a un tribunale internazionale.
A Gaza sfracellano bambini, Santità...
I giudei ci stanno facendo rivedere i crimini contro l’umanità a cui già assistemmo nell’operazione Piombo Fuso, 2008. Qui può vedere alcune foto in un video girato da un chirurgo francese, Christophe Oberlin. Pezzi di corpi umani, teste sfracellate di bambini.
A Gaza c’è anche un medico norvegese di nome Erik Fosse, e sostiene che i giudei usano anche questa volta bombe Dense Inert Metal Explosive, che provoca ferite apparentemente leggere ma poi sùbito producono cancrene, che obbligano ad amputazioni. «Operiamo giorno e notte», dice il dottor Fosse, «perché molti bombardamenti sulle case avvengono di notte. Abbiamo molte famiglie che arrivano qui con dei feriti molto mal messi, perché colpiti da schegge e seppelliti sotto le macerie... Devo sottolineare che a Gaza la gente è molto indebolita da sette anni di blocco, e quando sono feriti aggravano di più».
Quello che l’Occidente compie o lascia compiere dai suoi complici e alleati, nel Donetsk come a Gaza, sono delitti previsti dal cosiddetto diritto di Norimberga: «punizione collettiva» di intere popolazioni, accanimento contro civili inermi, torture, crudeltà gratuite.
Un insieme di crimini da Tribunale Speciale internazionale, una delle belle invenzioni delle «democrazie» e del «progresso occidentale» a difesa dei sacrosanti «diritti umani». E ci sono pure i testimoni pronti, con grave rischio personale, a deporre contro i delinquenti. Dico con grave rischio personale, perché Serghei Dolgov, un giornalista filo-russo che cercava di documentare le violazioni di diritti umani in corso nella zona «liberata», è stato trovato cadavere: ucciso e torturato.
Ma si allestirà mai un simile tribunale? Non sembra che l’Occidente stia tenendo nota di questi delitti, come tenne nota di quelli di Karadzic e Mladic. Al contrario, li tace e li copre.
L’Epoca dell’Impunità
Siamo entrati in quella che un solitario blogger americano, Tom Engelhardt, chiama The Age of Impunity:
«Per lo Stato di americano è l’età dell’impunità», scrive. «Niente di quel che fa – torture, rapimenti, assassinii, sorveglianza illegale, aggiungeteci quel che volete – sarà mai portato davanti a giudici. Per nessuno di questi atti oltre i limiti nessuno sarà mai tenuto responsabile. I soli delitti che Washington persegue ufficialmente sono perseguiti sono quelli di coloro che cercano di far sapere agli americani i delitti commessi in loro nome e a loro insaputa».
E per fare un esempio, Engelhardt racconta un fatto avvenuto nel 2007 in Iraq: dopo che alcuni mercenari della Blackwater avevano ammazzato 17 civili in piazza Nisur, Baghdad, un funzionario del Governo USA di nome Jean Richter, insieme ad un altro collega (che ha voluto restare anonimo), fu inviato a valutare i fatti attribuiti all’agenzia di contractors. Richter si incontra con Daniel Carroll, che era il direttore della Blackwater in Iraq all’epoca. Ed ecco quello che Richter ha scritto nel suo rapporto a superiori del Dipartimento di Stato. «Carroll mi ha detto che “poteva ammazzarmi anche sùbito, e nessuno avrebbero detto niente perché eravamo in Iraq. Carroll usava un tono di voce basso, uguale, la testa lievemente abbassata, gli occhi fissi suoi miei. Ho preso la sua minaccia seriamente. Eravamo in zona di combattimento...».
E non basta. «Quando l’Ambasciata USA in Baghad, la più grande del mondo, seppe cos’era successo, agì prontamente. Diedero ragione al manager della Blackwater e ordinarono a Richter e all’investigatore suo collega che aveva assistito alla scena di uscire subito dal Paese, con la loro inchiesta non completata. E sì che sotto altre circostanze, una minaccia di morte contro un funzionario americano avrebbe attivato un gruppo della CIA o una formazione per le operazioni speciali a strappare il colpevole dalle strade di Baghdad, depositarlo su una nave della US Navy per gli interrogatori, e poi abbandonarlo a Guantanamo in attesa di processo...».
Capisce che con questa situazione mondiale, fa un po’ specie doversi occupare di quel che il Papa ha detto a Scalfari. Siccome non leggo Repubblica, so quel che di quel colloquio hanno riportato i media: essenzialmente, ciò che interessa detti media laicisti quando parlano della fede cattolica: preti pedofili (il Papa è contro, che meraviglia!), matrimonio dei preti (troverà le soluzioni), e preti che non denunciano in modo pubblico e costante mafia e ndrangheta (il Papa li terrà d’occhio). A quel che risulta, è Scalfari che ha portato il Papa su questi argomenti a preferenza di altri (Gaza? Le forze anticristiche infurianti in Ucraina e Medio Oriente? Il satanico che ci assedia impunemente? Macché: il sesso dei preti, questo interessa). E Papa Bergoglio risponde, di buon grado, desideroso di compiacere.
Sono temi non nuovi, anzi talmente ripetitivi che mostrano la corda (nessuno che parli mai dei rabbini pedofili), ma piacciono perché mostrano una Chiesa sempre pronta a scusarsi, sempre in peccato, sempre colta a predicare una cosa e a farne un’altra, e ciò per voce del Sommo Pontefice che si presta volentieri... La BBC ne ha ripreso altrettanto volentieri le parole, con questo titolo: «Papa Francesco: circa il 2% del clero cattolico è pedofilo».
Cattolici agghiacciati (come l’amico Gnocchi) tendono a rimproverare Bergoglio di celebrare il Vaticano III per via mediatica, a forza di interviste su Repubblica. E specificamente, con la metodologia che consiste nello spararle grosse all’intervistato, come a lanciare ballons d’essais, e poi far rettificare dalla Sala Stampa Vaticana: il Papa non ha detto questo, Eugenio ha riferito a memoria... Vorrei rasserenare, nel mio piccolo, gli agghiacciati e gli arrabbiati. Non avendo vissuto per tanti anni in Italia, SS. non pare al corrente che noi italiani abbiamo lunga esperienza di un celebre praticante di tale metodologia: Berlusconi, come ha ben visto il lettore. È una specialità del Cavaliere rilasciare interviste in cui le spara grosse, e poi diramare la smentita: «I giornalisti mi hanno frainteso», anche se c’è il video e la registrazione audio.
Così, quando vediamo ripetersi dal Soglio questo fatto, noi sappiamo ciò che il Papa non sa; che noi abbiamo in mente l’originale brianzolo, e quindi capiamo sùbito che dal livello dell’apocalittica tragedia siamo calati di livello, al più familiare registro del comico italiano. Riconosciamo immediatamente le improvvisazioni casalinghe e le battute familiari dell’immortale commedia dell’arte, Arlecchino servo di due padroni, Totò Peppino e la Malafemmina, Franchi & Ingrassia, Berlusconi e la Nipote di Mubarak... Certo, da credenti, dispiace un po’ per l’autorità messa in gioco, ma non escludo nemmeno che con questo Egli intenda de-mitizzare il dogma (odiatissimo dai laicisti come dai modernisti e Rahneriani) dell’infallibilità pontificia, ormai superato, dimostrandone l’inconsistenza.
Perché, diciamocelo: non occorre una speciale luce dello Spirito Santo per evitare di farsi intervistare da un giornalista che sistematicamente, ripetutamente, travisa le tue autorevoli parole. Un minimo di umana accortezza basta ad una personalità di alto livello per chiudere la porta in faccia a simile giornalista dopo il primo fallo, tenersi alla larga da un tale individuo che ti mette in bocca parole non tue.
E invece no: lo si rifà, di nuovo. E di nuovo si fa rettificare dalla Sala Stampa. Una rettifica che rettifica pochissimo, ma è accompagnata da sviolinate e lodi al Giornalista Principe o Divino: cosa che io mi limito a mettere in grassetto:
«Su la Repubblica di questa domenica mattina viene pubblicato con grande evidenza il resoconto, firmato da Eugenio Scalfari, di un suo nuovo colloquio con il Santo Padre Francesco. Il colloquio è cordiale e molto interessante e tocca principalmente i temi della piaga degli abusi sessuali su minori e dell’atteggiamento della Chiesa verso la mafia. Tuttavia, come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore».
Un pignolo potrebbe obiettare che un «esperto giornalista» non si fida della sua memoria. Prende appunti, registra – magari di nascosto – e poi in ogni caso si offre di far rivedere all’interessato l’intervista, se è una persona importante. Lo farebbe, che so, con Napolitano o con la regina Elisabetta... e non lo fa col Papa? O il Papa si fida a tal punto del Divino Eugenio, da lasciarlo libero di mettere insieme il pezzo come gli pare? Ma allora, poi, perché smentire? Come si permette Scalfari di mettere in bocca al Papa parole che non ha detto? C’è da incollerirsi. Invece, ecco come prosegue la cosiddetta smentita:
«Quindi si può ritenere che nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio fra il Santo Padre e Scalfari, (però) occorre ribadire con forza quanto già si era detto in occasione di una precedente “intervista” apparsa su Repubblica, cioè che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa».
Strana espressione: «nella formulazione riportata non possono essere riferite con sicurezza al Papa». Ma in una formulazione diversa invece sì? E poi: nemmeno Berlusconi ha mai detto «le frasi riportate non possono essere attribuite con sicurezza a me». Somiglia troppo alla dichiarazione di uno sotto processo: «Queste frasi non mi possono essere attribuite con sicurezza», significa: «Non avete le prove che le ho dette». Perché? Non possiamo attribuire «con sicurezza» certe frasi a Bergoglio, significa che possiamo attribuirgliele ipoteticamente? Incertamente? Ufficiosamente? Ambiguamente?
Ed ecco, alla fine, che cosa smentisce la smentita:
«Ad esempio e in particolare, ciò vale per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei “cardinali”, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”.
Dunque la frase: «Il 2% di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali. E altri, ancor più numerosi, sanno ma tacciono, puniscono ma senza dirne il motivo», va corretta. Pedofili sono preti e vescovi e frati – il 2% «circa 8 mila» ha calcolato la BBC – , ma «cardinali», no. Nemmeno uno, assicura il Papa. E ciò è bello. Quanto al celibato dei preti, nell’intervista (non-intervista) il Papa ha detto a Scalfaro: «Fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò».
Ci si deve fermare a «le soluzioni ci sono». Tagliare «le troverò». E questi sono solo «due esempi». Altri «esempi» in cui le parole sono state mal riferite, in un articolo che «riporta nell’insieme il senso e lo spirito del colloquio», non ci è dato conoscere. Peccato.
Visto che i colloqui con Scalfari si ripetono tanto spesso ed appaiono ormai regolarmente su Repubblica, vien quasi da suggerire al Santo Padre: perché non tiene una rubrica su tanto prestigioso giornale? Risparmierebbe al vecchissimo Eugenio l’enorme sforzo di memoria, ed eviterebbe la necessità delle solite rettifiche: il testo sarebbe suo, a sua firma ed esprimerebbe con precisione le sue idee. Ma forse è proprio questo il bello: meglio lo sfumato, il flou, l’asserzione che certe parole non si possono attribuire «con sicurezza», il «qui lo dico e qui lo nego», per fare il verso a Totò. In fondo, sono chiacchierate fra due vecchi amici, a ruota libera, senza impegno, dove Scalfari punterà il dito sull’omofobia della Chiesa e SS si profonderà in pentimenti, impegnandosi a punire «con severità» quei preti che negano la Comunione alle coppie gay risposate... scusate, sto facendo qualche confusione, forse mi confondo con uno sketch di Crozza.
Non parlerò oltre, perché non sono attratto dalla comicità.
Una sola cosa noto nel Papa: l’eccezionale volontà di compiacere, di «mettersi in ascolto», di «venire incontro» , di sforzarsi di capire il punto di vista di Scalfari, il saperlo perdonare dopo che gli ha travisato ripetutamente il senso delle sue frasi... Se solo un decimo di tale compiacenza, volontà di simpatizzare, di comprendere e perdonare e benevolenza l’avesse usata per i Francescani dell’Immacolata, per il povero padre Manelli oggi praticamente in prigione, io come modesto laico credente sarei pieno di gioia. Invece il fondatore di detti francescani è stato rimosso e il suo ordine commissariato, senza una spiegazione. Totale assenza di accuse, silenzio e botte. Nessuna volontà di «capire», di «ascoltare le ragioni dell’altro», in questo caso, brutalità muta.
Questi due pesi e due misure, quando vengono adottate, non possono essere che dettati da ostilità ideologica, e ideologica simpatia. Alla fin fine, sembra quasi che il Papa abbia dei rimproveri solo per i cattolici praticanti. Com’è possibile?
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