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Il «Grande Adesso» che ci ha ucciso il futuro
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Douglas Rushkoff è un rinomato esperto di mediologia, cyber-cultura, reti, nuovi media. Ebreo newyorkese, interessante per motivi che si vedranno poi, egli lancia uno spaventato allarme: il progresso tecnologico, il web e tutto il resto (ossia il mondo in cui proprio lui dovrebbe sentirsi a suo agio) «ci ha ucciso il futuro».

Vaste risonanze, quelle che evoca Rushkoff: «Tutte le crisi accadono adesso”, e tutte insieme”, – dice – ed anche le risposte, prima che i problemi si possano ben diagnosticare. Le pause tra un evento e la sua spiegazione – lo spazio in cui si calibrava l’opinione pubblica – è scomparso, e adesso la reazione è indistinguibile dall’azione iniziale. Il verdetto, la presa di distanza, lo stesso significato di ciò che accade è più sfuggente di quanto sia mai stato. Mettiamo insieme narrative disparate e andiamo a caccia di conclusioni. Milioni di post per minuto nei social media sono analizzati come se questo vasto sbriciolame di opinioni, di congetture, di fantasie e tifoserie potesse coagularsi in qualche modo in una storia con una trama. Ma non ci riescono».

Che ve ne pare? È la vertigine di cui fa esperienza ciascuno di noi travolti dalle notizie (o da quelle che sembrano tali), dalla continua grandine di «dichiarazioni» di politici che «reagiscono» all’ultima; in Italia, abbiamo persino un movimento politici che s’illude di cavalcare questa tempesta, e ricavarne una sintesi, il significato stesso della democrazia diretta. Rushkoff, uomo del Sistema americano, ne vede i danni politici per l’ultima superpotenza imperiale (1).

«Eccoci nel mondo dello shock del presente, dove tutto accade così veloce da essere simultaneo. Benvenuti nel mondo del Grande Adesso. Per le istituzioni, specie politiche, l’effetto è profondo. Questa trasformazione ha drammaticamente degradato la capacità degli operatori politici di stabilire piani a lungo termine. Vanno fuori rotta, ed oggi semplicemente reagiscono alle raffiche di eventi che arrivano, mentre si svolgono. È sparita, d’improvviso, la vecchia nozione di controllare la narrativa. Non c’è tempo per mettere le cose in contesto, solo per la gestione delle crisi».

Il controllo della narrativa, fino alla propaganda, è il nerbo del potere imperiale, e Rushkoff uomo dei media lo sa bene: Hollywood, le quattro agenzie (cosiddette) di stampa a cui si abbeverano tutti i media ufficiosi del mondo, il pensiero unico globalista-liberista, la diffusione del «sogno americano»... tutto è messo in pericolo dall’insieme di tecnologie che lo stesso Impero terminale ha creato, diffuso e imposto al mondo contando di rafforzare con esse il suo dominio mondiale.

«Sì, il ritmo con cui l’informazione si diffonde e si moltiplica è accelerato, ma ciò che si verifica ora non è la semplice accelerazione. Quel che stiamo subendo oggi è l’amplificazione di tutto ciò che per caso accade nel momento, e il rimpicciolire di tutto quello che non accade nell’istante. Non è solo che una ricerca su Google privilegia il recente sul rilevante; è che è un’intera società a farlo».

Questo imprigionamento nel presente, nota il nostro mediologo, ha ucciso la spinta verso l’avvenire, la speranzosa certezza del futuro che è stato il motore del progressismo americanista.

«Fino alla fine del ventesimo secolo, lo spirito del tempo era animato da una sorta di futurismo che guardava avanti. Era il senso che stavamo accelerando verso un grande cambiamento alimentato da nuove tecnologie, reti, connettività globale. Oggi, questo cambiamento è finalmente arrivato, ma invece che incoraggiarci a guardare avanti ancor più, ci ha messo in corpo un presentismo divorante. La nostra vecchia fissazione per il ritmo del progresso è annegata nell’ondata di ciò che accade proprio adesso. È impossibile tenersi al passo, figurarsi il guardare avanti».

«La nostra politica (occidentale) ne viene destabilizzata in modo fondamentale. La capacità dei dirigenti politici di indicare scopi collettivi, organizzare movimenti o anche solo intravedere soluzioni a lungo termine è intralciata dall’ossessione con l’Adesso – ossessione loro, ma anche nostra». L’esito è, o si sta pericolosamente avvicinando alla «paralisi politica», dice lui. E noi italiani-europei non possiamo che sottoscrivere.

«Le storie tradizionali, con un inizio, svolgimento e fine, non funzionano più», aggiunge il nostro personaggio, sgomento: né ad Hollywood né alla Casa Bianca. Il telecomando non meno che il video-registratore e YouTube «hanno eroso le funzioni narrative della televisione, inscenando invece un paesaggio de-costrutto di unità di informazione (memes) indipendenti. I percorsi tipici di una storia, da cui dipendono sia le notizie sia l’intrattenimento, non possono più funzionare quando il pubblico può sfrecciar via, o andare avanti o indietro, premendo un pulsante.

«Ma senza una narrativa-guida per dare senso e creare obbiettivi, finiamo per dipendere troppo da ciò cui accade di accadere nel momento. (...)

È ovviamente l’Amministrazione, la politica americana di Governo, a soffrire di più: «Priva di una storia che organizzi il reale, l’Amministrazione è alla mercé del mondo. Spesso occorre un vero disastro – l’attentato di Boston, l’uso di armi chimiche in Siria – per generare un intreccio capace di sostenere una narrativa per qualche giorno. Ma poi questa si disfà di nuovo...».

Fatto interessante, l’esperto di media cita due «narrative» del Governo americano che non hanno retto se non per poco, perché erano false.

L’attentato bomba durante la maratona per dilettanti di Boston, il 15 aprile 2013, ha avuto una narrativa lineare: a mettere la bomba erano stati due fratelli Tsarnaev, terroristi islamici ceceni abitanti in USA. Poche ore dopo la Rete ha scoperto e fatto sapere al mondo che: a) durante la maratona era in corso un’«esercitazione» da parte di personale di sicurezza che prevedeva un attentato alla bomba e i corridori ne erano stati persino avvertiti; b) i fratelli Tsarnaev erano in contatto con l’FBI da cinque anni, come ha testimoniato la madre dei due attentatori; c) nonostante sotto controllo dell’FBI, il fratello maggiore Tamerlan andava e veniva dalla Cecenia, dal Daghestan ed altri posti dominati dalla cosiddetta Al Qaeda, e una volta, nel 2011, al ritorno era stato intervistato dall’FBI; d) secondo i servizi israeliani, i fratelli Tamerlan erano due informatori della polizia federale: c) nell’indagine sono emersi degli arabi sauditi di cui non si è poi saputo più nulla... chi vuole rileggere tutti i dubbi sulla «narrativa ufficiale», veda qui.

Siria: la storia del regime di Assad che avrebbe «gassato il suo popolo» usando armi chimiche vietate – narrativa necessaria per giustificare l’intervento armato occidentale a fianco dei ribelli islamisti raccolti dai sauditi – è stata ripetutamente smentita e sbugiardata da personaggi autorevoli come Ron Paul, Pat Buchanan, Seymour Hersh: adesso non c’è più dubbio che sono stati invece i «ribelli» a gasare le vittime siriane, per provocare l’intervento; mostrando ai media i corpi di gente che loro avevano ammazzato. (Hersh uncovers ‘false-flag’ Syria chemical attack)

Rushkoff avrebbe potuto altrettanto bene citare il caso NSA, la narrativa dello spionaggio americano per difendere tutti noi dal terrorismo, sgretolata da Snowden. Ma è straordinariamente rivelatore il fatto che questo esperto, che non è (direttamente) un uomo del governo USA, invece di criticare il Governo, senta ed approvi che esso ha bisogno di emettere menzogne su menzogne, propaganda su propaganda, per mantenere la sua egemonia mondiale; il che, in qualche modo, equivale a confessare che –ormai – quel potere globale si regge su menzogne e illusioni mediatiche più che su poteri e legittimità reali, che per questo le «narrative» gli sono indispensabili, ma che nello stesso tempo la stessa tecnologia che quel potere ha creato e diffuso nel mondo le sfata e vanifica. Nemmeno gli viene in mente che anche l’impero sovietico, nella fase terminale, era radicalmente un Regno della Menzogna – una «logocrazia», un potere sulle parole – (che i nostri comunisti, pappagalli, ripetevano) e si reggeva esclusivamente sulla menzogna ufficiale: statistiche false, falsi trionfi sociali e politici, e appena provò a farne a meno, crollò.

Ma Rushkoff, in compenso, indovina che la crisi che descrive è una crisi assoluta dell’americanismo, ne devasta i fondamenti morali, psicologici, sociali, ideologici, tutti insieme . L’iper-velocità è infatti la colonna e il fondamento dell’ideologia americana, che ha imposto al mondo l’accelerazione dei processi, il contrarsi dei tempi, i mezzi tecnici per questa estrema accelerazione: ed ora si scopre di aver creato un mondo «paralizzato in un presente che non può più evadere da sé stesso, incatenato in una valanga di crisi insolubili, perché il futuro – dove si troverebbe la soluzione – non esiste più» (così Dedefensa). O anche: «A forza di acquistare velocità, si è finito per trasmutare la velocità, lo spostamento, nel suo contrario, il movimento da fermo». Il titolo del saggio di Rushkoff, «The Present Shock: when everything happens now» richeggia deliberatamente «Lo Shock del Futuro», il best seller degli anni ’70 del futurologo Alvin Toffler. Entusiasta dell’utopia americanista, Toffler incitava i lettori a cavalcare la velocità crescente e vertiginosa, la brevità dei rapporti umani, la diversità, l’innovazione continua disorientante che il nuovo mondo stava creando, in vista dei futuri successi, delle magnifiche sorti e progressive che la rivoluzione tecnologica, l’informativo-telecom, stava per darci. L’uomo vecchio doveva abbandonare i suoi ritmi (troppo lenti) perché altrimenti sarebbe rimasto indietro, perdente nella corsa verso un Uomo Nuovo dotato di livelli inauditi di capacità tecniche, di conoscenze e di prosperità: il transumanismo (2) era a portata di mano — naturalmente, Dio ed altre superstizioni non avevano alcun posto in questo mondo del transumano divinizzato.

Oggi, il tono di Rushkoff è in stridente contrasto pessimista. Le promesse profezie di Toffler si sono avverate, ed ecco che il presente totale impedisce al futuro di manifestarsi, l’iper-modernità collassa in una paralisi fallimentare, vittima di tutte le crisi che si presentano insieme (inquinamenti, effetto-serra, rottura del patto sociale, destabilizzazioni mondiali, virus mutanti, guerre multiple senza definibile vittoria, droga, terrorismo — l’elenco è di Rushkoff) e non si possono gestire senza presa di distanza. Il neo-futurologo non ha da proporre che una «gestione» di questa catastrofe, e invita gli americani ad apprendere «endurance»: «Non tornano più i tempi in cui l’America piantava una bandiera sulla Luna e dichiarava vinta la guerra spaziale. Gli ostacoli moderni sono di tipo cronico, devono essere gestiti e mitigati col tempo... non sono guerre che si vincono».

Il rovesciamento di prospettive è tragico. E la cura proposta, oltreché minimalista e poco americana («mitigare» i problemi) è anche impossibile: giustamente, perché la soluzione richiede «tempo», e il tempo non c’è più, vivendo tutti noi appiattiti nel Grande Adesso terminale — che ci siamo creati, come gli esseri del mondo a due dimensioni, la Flatlandia di Abbott.

Un elemento continua ad unire Toffler e Rushkoff: l’ateismo. Ma quello del nostro personaggio è molto più interessante (3). Rushkoff ha scritto – fra l’altro – un saggio dal titolo Nothing Sacred: The Truth About Judaism, che è una decostruzione del biblismo rabbinico, ha invitato gli ebrei a restaurare le «aperture» della loro religione, ha fondato un movimento per il giudaismo progressista, chiamato Reboot (notate il gergo computeristico) , e poi l’ha abbandonato perché gli altri ebrei con cui s’era alleato «erano più interessati al marketing e alla pubblicità del giudaismo che alla sua evoluzione», e a mantenere le «gerarchie trincerate» rabbiniche. E ciò, mentre lui, Rushkoff, si dichiara ateo.

Peccato, perché ciò gli impedisce di cogliere il senso profondo di quella «accelerazione» di cui denuncia la natura angosciosa e maligna. Il senso radicale di questo fenomeno è escatologico e metafisico. Ogni uomo oggi fa esperienza della accelerazione crescente del tempo: una sensazione, una illusione, gli dicono gli scienziati – che si sono dotati di orologi precisissimi. Il tempo matematico, oggettivo, segnato da quegli orologi, non accelera affatto. La vostra è una «impressione». Proprio così: il tempo «quantità», materialmente misurato, scorre sempre uguale. Ma è la «qualità» del tempo ad essere più veloce. Ed è più veloce perché è più povera – e precisamente, più povera di significato: e il significato, il senso delle cose, lo coglie lo spirito umano, non gli orologi atomici.

Non c’è tradizione metafisica o religiosa che non abbia avvertito come «nei tempi ultimi» il tempo accelererà. Nella dottrina indù, ciò è espresso nella nozione della durata decrescente dei quattro Yuga, le età del mondo, di cui l’ultima – l’Età Oscura – è anche la più breve. Nel mondo semitico, si narra dei patriarchi che vivevano fino a mille anni, laddove gli uomini di dopo il Diluvio hanno vita corta, e sarà sempre più corta fino alla fine; allo stesso modo, dureranno meno i regni universali, re e i governanti; il fiore della loro potenza sarà passeggero. Ciò, in convergenza causale con il precipitare nel lato «materiale» – sostanziale – del mondo, sempre più solidificato, oscuro, o sotto Kali (la materia prima universalis del tomismo). In questa corrente di sapienza, Cristo ci invita a pregare, all’ultimo, che «siano abbreviati i tempi» . Tempi dell’oscurità e della persecuzione, tempi guerre e rumori di guerre, tempi di cataclismi, tempi in cui le potenze del cielo saranno sconvolte...

Ci tocca citare René Guénon, come studioso di queste dottrine e simbolismi, in parte mantenute nelle massonerie «esoteriche» che frequentava:

«Al suo limite estremo, la contrazione del tempo dovrà avere come conseguenza finale la riduzione di esso in un unico istante, e la durata allora avrà cessato di esistere (...) Così il tempo divoratore finisce per “divorare sé stesso” talché alla “fine del mondo” ossia al limite stesso della manifestazione ciclica, il tempo non c’è più» (4).

È quella fine a cui San Paolo allude, nella impressionante nota (1Corinti, 15, 20-26) sul Cristo Vincitore cosmico: dopo aver annientato «ogni principato potestà e potenza», «l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte». Ciò, «quando consegnerà il Regno a Dio Padre».

Dunque è il rovesciamento finale che annuncia l’accelerazione in cui tutti noi viventi siamo presi, trascinati. Al fondo di essa sarà la Gerusalemme Celeste a «scendere». La Sfera (che scorre), divenuta «Cubo», il più stabile dei solidi geometrici; anche il Paradiso Terrestre, che è all’origine un giardino circolare, alla fine dei tempi non tornerà: tornerà invece Gerusalemme, città quadrata; al cui centro non ci sarà l’Albero, ma Cristo, la Luce finale.

Guénon ricorda che nel Parsifal Wagner dice di Monsalvat (il castello che custodisce il Graal) che «il tempo qui si muta in spazio»: è un’altra allusione alla «fine del tempo». È ciò che è stato «successione di eventi» diventa «architettura», dove tutto il passato è «qui», solo, per così dire, nella stanza accanto: è il modo in cui Dio vede il mondo. E naturalmente Monsalvat è il Mons Salutis cristiano. Forse Wagner, invecchiato peccatore, aveva letto o s’era fatto consigliare per questo dramma da un teologo cattolico. Almeno è ciò che sospettò Nietzsche, accusando Wagner di «essersi miserabilmente prostrato ai piedi della croce». Parsifal, scrisse, «è un’opera di perfidia, un segreto tentativo di avvelenare le fonti della vita... la predicazione dalla castità resta un incitamento anti-naturale. Io sputo su chiunque non senta nel Parsifal un tentato assassinio dell’etica elementare...», ossia all’etica trasgressiva di cui il demente filosofo aveva creduto Wagner il modello.

Ma passiamo oltre. Meno colto di Wagner e più benintenzionato di Nietsche, onesto materialista, Rushkoff non riesce a capire che l’accelerazione del tempo – quel «Grande Adesso» in cui vede ingoiare «ogni principato e potestà e potenza» americanista – annuncia il Rovesciamento. Un rovesciamento che è completamento, pienezza e perfezione: bisogna capire fino a che punto il «Grande Adesso» annunci – come ormai vicina – la necessaria apertura all’Eterno Presente, che appunto il teologo Boezio definì il «Tota Simul», la Simultaneità Assoluta. L’eternità. «Interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio».

Noi, almeno, rallegriamoci: il Big Now ci dice che l’alba è vicina, l’oscurità si stinge. Cerchiamo di esserci in «quel giorno» immancabile, e non essere fra i «nemici» che Lui annienterà, avendoli posti tutti sotto i Suoi piedi.






1) Devo queste riflessioni e molte delle idee qui espresse a Philippe Grasset, il profondo autore del sito Dedefensa.
2) Sugli esisti anti-umani dell’utopia «transumanista» si trovano pagine definitive nel saggio di Enrica Perucchetti e Gianluca Marletta, «Unisex . La creazione dell’uomo senza identità», Arianna editrice, 2013. Tra l’altro, vi trovo frasi agghiaccianti del venerato maestro Umberto Veronesi, l’oncologo, a favore della «nuova sessualità» promossa dalle centrali finanziarie: «Ha senso (...) che per avere un figlio ci vogliano sempre e comunque un maschio e una femmina? Dopotutto, non pochi esseri primordiali si perpetuano per auto-fecondazione. Certo, per le specie evolute la dualità maschio-femmina è parsa sempre inderogabile. Ma possiamo dirlo ancora, dal momento che siamo capaci di manipolare il DNA e di clonare? «. Poi: «La transessualità (Veronesi commentava le vicende di Marrazzo e di Lapo Elkann, ndr) non deve inquietare, perché biologicamente potrebbe trattarsi non d deviazione, ma semmai un ritorno alle origini (...) Andiamo verso una sessualità nuova, più ampia, che può comprendere il travestimento». Non manca di aggiungere, l’orribile chemioterapista, che «quello omosessuale è l’amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione». Evidentemente, echeggiando una dottrina prescritta dalle Logge per le masse noachidi...
3) Si veda la biografia di Rushkoff su Wikipedia.
4) René Guénon, «Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi», Torino 1969, capitolo «Il tempo si cambia in spazio».




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