Il 5 giugno 1968, Robert Kennedy, senatore e candidato alla Casa Bianca, fu ucciso all’Hotel Ambassador di Los Angeles da Sirhan Sirhan, un giordano-palestinese di 24 anni con un revolver Iver-Jonson Cadet, con tamburo da 8 colpi calibro 22, tre dei quali raggiunsero Bob Kennedy. Uno dei tanti assassini solitari della storia americana. Tre mesi prima, in aprile, Martin Luther King era caduto sotto i colpi di un tiratore scelto solitario; pochi anni prima, nel novembre 1963, John Kennedy, fratello di Bob e presidente degli Stati Uniti, era stato ucciso a Dallas da un assassino solitario di nome Lee H. Oswald, a sua volta eliminato (e ammutolito per sempre) due giorni dopo da un altro assassino solitario, tale Jack Ruby, poi morto di cancro fulminante prima che potesse apparire in un’aula di tribunale a render conto del suo atto (1).
Oggi, 44 anni dopo, una testimone di quella notte tragica di Los Angeles, Nina Rhodes-Hughes, oggi 78enne, ha dichiarato alla CNN che l’FBI «distorse» la sua dichiarazione giurata alle autorità. Oltre a Sirhan «c’era un altro sparatore alla mia destra», ha detto la Rhodes, «bisogna dire la verità, basta coi depistaggi». (Key witness to RFK assassination says Sirhan Sirhan didn’t act alone)
A caldo, l’FBI raccolse la deposizione della signora Nina Rhodes, e in essa risulta che lei aveva sentito 8 colpi di pistola; nella deposizione di allora non si accenna ad un secondo sparatore.
«Mai detto otto colpi», sostiene ora la signora, «mai detto. Ci furono più di otto spari. Almeno 12, forse 14. E lo so perchè ho la cadenza nella testa».
Nina Rhodes-Hughes nel 1965
Fatto significativo, la Rhodes non è mai stata chiamata di persona in nessun tribunale, durante uno dei numerosi processi a Sirhan, a confermare la sua dichiarazione raccolta dagli agenti federali. Lei però dice che un giornale la intervistò poco dopo l’attentato, e nell’intervista lei disse di aver sentito almeno 12 colpi. Parla ora, perchè qualche mese fa gli avvocati di Sirhan Sirhan (che è in prigione da allora) hanno chiesto una revisione del processo, adducendo appunto la tesi del complotto: il loro cliente sarebbe stato «ipno-programmato» a credere di essere l’assassino di Bob Kennedy.
Ciò che dice oggi la signora Rhodes coincide con la testimonianza a caldo di Frank Burns, uno dei tanti presenti che era vicinissimo a Bob Kennedy (ebbe una guancia abrasa da un proiettile): «Il rumore era come lo scoppiettìo di una striscia di petardi, non c’era una cadenza regolare...».
Ora, i colpi sparati da un’arma a tamburo non possono non avere una cadenza regolare. Inoltre, nessuno degli otto colpi andò a vuoto: tre colpirono Bob, ma gli altri cinque ferirono cinque persone che stavano attorno: Ira Goldstein, una giornalista, un sindacalista, un dirigente della ABC TV, un giovane volontario della campagna elettorale, e una consigliera del candidato. Nessuno gravemente, ma certo un risultato notevole per un revolver. Inoltre, i fotografi indicarono ad alcuni agenti altri due proiettili conficcati nella porta girevole della dispensa dell’albergo (la sicurezza stava facendo uscire Bob Kennedy attraverso le cucine).
L'arresto di Sirhan Sirhan
Una perizia giudiziaria del 1975 scoprì che alcuni proiettili avevano segni diversi da quelli lasciati dall’arma di Sirhan. Il medico legale (coroner) di Los Angeles, dr. Thomas Noguchi, che fece l’autopsia di Robert Kennedy, accertò senza alcun dubbio possibile che la ferita mortale alla testa era dovuta ad un proiettile sparato da dietro il senatore, quasi a bruciapelo. Tutti i testimoni furono però concordi ad affermare che Sirhan sparò stando di fronte al senatore, forse da un metro di distanza.
Sarebbe impossibile in breve rivangare le complesse teorie del complotto che diedero origine ad una vasta letteratura, e gli ancor più complessi argomenti dei «debunker» che si diedero a smentire tali teorie. Sorvoliamo sulle critiche che la versione ufficiale ricevette dallo stesso entourage di Bob Kennedy per il modo in cui la Polizia aveva condotto le indagini, e il fatto che la LAPD reagì a queste critiche chiudendosi a riccio, mettendo il segreto su tanti atti, o rifiutando di rispondere. Se ne può avere un’idea a questo indirizzo. Taciamo sulle molte testimonianze a proposito di un secondo sparatore, poi smentite dai debunker. (The Robert Kennedy Assassination: Unraveling the Conspiracy Theories)
Quasi mezzo secolo dopo, conta di più il fatto che nella vicenda, non essendo Sirhan stato ucciso (fu condannato alla camera a gas, ma la pena fu commutata per una riforma legale intervenuta), sarà forse possibile rievocare alcuni tratti della personalità di un «assassino solitario» ideale.
Sirhan stesso si accusò di aver sparato, anche se poi ha sempre ripetuto di non ricordare nulla del fatto, come se la sua mente fosse cancellata: ma potrebbe essere un accorgimento suggeritogli dagli avvocati per mostrare una «diminuita capacità». Come motivazione per il suo atto, diede la volontà di punire l’America per il suo appoggio ad Israele (era ancor fresco il ricordo della Guerra dei Sei giorni, 1967). Nato a Gerusalemme sotto il mandato britannico, arabo-cristiano, il ragazzo era emigrato in USA con la famiglia quando aveva 12 anni. Il padre, Bishara, descritto come un uomo violento, era poi tornato in patria abbandonando moglie e figli. Il giovane Sirhan era cresciuto come un marginale, senza un preciso mestiere. Nel 1965 aveva lavorato come garzone di stalla nell’ippodromo di Santa Anita, di Arcadia, California; ma, come testimoniò sua mamma, «è rimasto a casa per più di un anno senza un lavoro»: precisamente, dall’ottobre 1966 al settembre 1967.; Apparentemente, in parte a causa di un incidente all’ippodromo in cui aveva subito una grave ferita alla testa, dopo la quale, disse suo fratello Munir (ma può essere un altro suggerimento dei difensori) «non fu più lo stesso».
Abbiamo visto che il giovane arabo viene indicato come «cristiano». Verità da precisare: Sirhan è passato per varie denominazioni del «cristianismo» americano, dalla Church of Nazarene (una setta evangelica, che a quanto pare incoraggiò il trasferimento della famiglia in USA) ai Battisti, fino agli Avventisti del Settimo Giorno; per approdare infine, è stato scritto, «nell’occultismo». Il debunker sopra citato, Mel Ayton, butta lì un «Sirhan aderì ai Rosacroce nel giugno 1966».
Si allude alla Fratellanza AMORC, «antico mistico ordine rosacroce». Nei periodici popolari americani si trova spesso una inserzione pubblicitaria che invita a scrivere ad un dato indirizzo per ricevere – gratis – un opuscolo che illustra i benefici dell’entrare a far parte dei «Rosacroce, la Fraternità che conserva la segreta sapienza trasferita oralmente dagli antichi maestri». Il libretto è intitolato Mastery of Life, «Dominio della Vita», un invito che ben poteva attrarre l’instabile giovane immigrato. «Ho letto il vostro ‘Mastery of Life’ e capisco adesso fino a che punto non conosco me stesso», scrisse infatti il ragazzo nel formulario inviatogli per posta dal Supremo Segretario, in cui veniva gentilmente richiesto di dichiarare i motivi per cui volesse diventare rosacroce.
Si è calcolato che l’organizzazione spendeva allora mezzo milione di dollari l’anno per questa pubblicità: un desiderio di procurarsi nuovi membri che contrasta alquanto con l’originale e leggendaria Fraternitas Rosae Crucis del 1610, a cui molte personalità di allora cercarono di aderire, ma non ne trovarono il modo.
La odierna AMORC ha un centinaio di logge negli Stati Uniti (e parecchie anche in Europa). Ma per lo più, il nuovo adepto riceve i segreti insegnamenti per posta, dietro pagamento di 9,50 dollari mensili: parole di passo per le logge, lezioni per sviluppare capacità paranormali, rituali e mantra, istruzioni sulle visualizzazioni da ottenere, insegnamenti sulla reincarnazione. Si viene invitati a trasformare una propria stanza buia in un santuario rosacroce: bastano un tavolo, due candele, specchi.
In pratica, i mistici esercizi consigliati dalla fratellanza AMORC incoraggiano pratiche meditative consistenti nel fissare uno specchio: ciò per ottenere il preteso sviluppo di capacità extra-sensoriali, e in generale per conseguire la fermezza mentale con l’auto-ipnosi.
Sirhan Sirhan ai giorni nostri
Parecchi testimoni ebbero l’impressione che Sirhan, mentre si avvicinava a Kennedy, fosse in trance. Sua madre ha raccontato che il ragazzo aveva «trance-like experiences» fin da piccolo a Gerusalemme. Lo stesso assassino raccontò agli inquirenti del suo «incantarsi per ore» davanti, per esempio, a un barbiere al lavoro di là da una vetrina: anche questo, forse, un suggerimento dei difensori per ottenere la seminfermità. È anche certo che il giovane Sirhan aveva letto A sangue freddo, di Truman Capote, uscito un anno prima: qui Capote racconta che uno dei due serial killer, Perry Smith, «entrava in trance fissando uno specchio» e uccideva «in uno stato onirico-dissociativo». L’assassino di Bob Kennedy può aver preso di lì il suo metodo di difesa.
Molta attenzione ha suscitato uno dei bloc-notes in cui Sirhan aveva scritto in arabo «deve essere ucciso», insieme a una quantità di nomi, forse di cavalli, di persone che conosceva e di personalità diverse, fra cui «Niarkos» (il miliardario greco Stavros Niarchos?) e Kennedy; poi un’altra scritta: «Centomila dollari».
Contro alcuni cospirazionisti che leggono in questo notes un indizio del progetto di sparare a Kennedy, il debunker sopra citato scrive testualmente:
«... Non c’è alcuna indicazioni che si riferisca a qualcuno su una lista da uccidere. Le parole del notes di Sirhan sono semplicemente il risultato dello sconclusionato flusso di coscienza che egli ha imparato dalla letteratura rosicruciana come metodo per migliorare la sua vita».
Inutile sottolineare che con la pratica dell’auto-ipnosi una persona diventa più facilmente ipnotizzabile e influenzabile; si potrebbe aprire qui il capitolo delle suggestioni post-ipnotiche, degli ordini dati sotto ipnosi da eseguire nello stato di veglia successivo, e di cui si prescrive al paziente di non ricordare più nulla... Ovviamente, i debunker possono citare dozzine di psichiatri e ipnotizzatori medico-professionali, i quali oppongono che nessuna ipnosi può indurre una persona ad ucciderne un’altra, involontariamente.
Tutto vero. Ma in questa ormai vecchia storia, non ci si può sottrarre all’impressione di aver assistito almeno alle fasi preliminari della creazione di un solitary assassin:la «pesca» di molti potenziali candidati attraverso una vasta rete pubblicitaria, o un’esca concepita per attrarre un certo tipo umano; l’identificazione (o profiling) di una personalità instabile e debole con determinate caratteristiche psichiche (solitudine, dipendenza, sentimento d’inferiorità e di rivalsa?); la sua selezione fra i tanti e suggestione per «via iniziatica», con la promessa di poteri gratificanti per l’io, ma l’apertura della sua intimità ad influssi incontrollabili, ottenuta con speciali esercizi di preteso «auto-dominio di sè» che portano facilmente alla dominabilità da parte di altri.
Il resto della tecnica è uno dei meglio conservati segreti di fabbrica delle officine dell’Ombra, sulla cui soglia è giocoforza arrestarsi.
1) Questo infittirsi di assassini solitari dediti ad omicidi politici di tipo univoco – di personalità ritenute di estrema sinistra dallo «stato profondo» americano, non poteva che suscitare teorie cospirazioniste. Tutte ridicolizzate punto per punto da debunker professionisti e dilettanti. Solo mezzo secolo più tardi l’agente operativo della CIA E. Howard Hunt, sul letto di morte, ha confessato di aver partecipato all’assassinio di JFK, descrivendo un complotto che aveva a capo Lyndon B. Jonhson, il vicepresidente di John Kennedy. Anche l’amante di Lyndon Johnson all’epoca, Madeleine D. Brown, ha registrato in video quanto segue: la notte precedente l’assassinio di Dallas, Johnson emerse da una riunione con dirigenti dell’FBI, miliardari di Dallas e personaggi della criminalità organizzata dicendo esultante alla donna: «Those SOBs, quei figli di puttana non mi romperanno più i coglioni». A causa della morte di Kennedy, il vicepresidente Johnson salì alla presidenza senza elezioni. Dunque erano i debunker ad aver torto. Dopo cinquant’anni, le verità si possono dire perchè hanno perso la loro carica di pericolosità politica.
Anche il 30 marzo 1981 un assassino solitario sparò contro il presidente Ronald Reagan ferendolo gravemente: si chiamava John Hinckley, e disse di aver agito per attrarre l’attenzione dell’attrice Jodie Foster, di cui era innamorato. Hinckley era amico dei figli di George Bush (gli oggi ben noti Jeb, Neil e «Dubya»); se avesse ucciso Reagan, Bush – allora vicepresidente, ed ex capo della CIA – sarebbe divenuto presidente senza elezioni.
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