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Il moscerino e il cammello
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All’unisono, la stampa italiana scopre la sua nuova eroina: Lubna. Colonne su colonne di giornale per rendere noto al mondo, applaudire, invitare a commuoversi per la ricca signora sudanese Lubna Hussein, addetta stampa dell’ONU, che condannata dal feroce regime islamico del Sudan per aver indossato dei jeans, ha rischiato 40 frustate, poi commutate in una multa di 200 dollari; multa che lei rifiuta, per andare in carcere (un mese) e «trasformare il suo caso in una battaglia civile per le donne».

Solo il Corriere della Sera le ha dedicato tre, diconsi tre articoli. A pagina 14, «I pantaloni antiregime di Lubna», a firma di Paolo Lepri. A pagina 17, ampia cronaca su cinque colonne («La giornalista in pantaloni che sfida gli islamici») e un commento di Luigi Accattoli, il vaticanista. E’ tutto un crescendo di peana, sempre più sperticati: «Donna coraggiosa, coraggiosa come Aung San Suu Kyi, come Anna Politkovskaya», per Lepri. Accattoli la paragona a Giovanna d’Arco, anche lei condannata perchè indossava i pantaloni (e per altre due o tre cosette).

D’accordo, è bello che l’Occidente si riscaldi ancora per delle figure sublimi, e perseguitate. Però, siamo giusti, cerchiamo di mantenere il senso delle proporzioni. Lubna ha sferrato la battaglia dei pantaloni. Non è stata nemmeno staffilata (spiace un po’, avrebbe fatto più sensazione); s’è beccata una multa. La Politkovskaya è stata ammazzata, Giovanna d’Arco  bruciata viva, Aung San Suu Kyi è agli arresti da 40 anni in Birmania.

«Il grande merito» di Lubna, ci spiega Lepri, è «aver riportato l’attenzione su un paese canaglia, il Sudan, che era stato cancellato da una mano nera nella lavagna dell’interesse del mondo».

Chissà di chi è questa mano nera che cancella l’attenzione mediatica sul Sudan. Il Corriere coltiva una teoria del complotto, naturalmente islamico; è noto che è la lobby musulmana a controllare i media occidentali, e a sopprimere le informazioni sulle loro persecuzioni di donne in jeans. Non c’è giornale che, da noi, abbia il coraggio di scrivere una riga contro Ahmadinejad, contro Gheddafi, o contro il capo del Sudan, o di pubblicare vignette insultanti contro Maometto. Giustamente, il Lepri prende coraggio dall’esempio della bella perseguitata di Kartum:
«Lubna può insegnarci molte cose, ma soprattutto a non aver paura», inneggia Lepri, e in crescendo vibrato: «Lubna non ha mai taciuto, non ha mai avuto nemmeno una volta la tentazione della sottomissione... ci ha dimostrato che ribellarsi è giusto, vincere è possibile».

Parole sante. Incitati da tanto esempio, osiamo riportare qui notizie apparse su vari giornali algerini (Al Marada ed Al Khabar del 6 settembre), che a noi appaiono degne di nota, e al Corriere no. Apprendiamo che l’arresto, recentemente operato dall’FBI a New York, del rabbino Levy Izhak Rosenbaum e dei suoi complici di traffico di organi umani, ha preso le mosse proprio In Algeria, da numerosi casi di bambini scomparsi.

Perchè dal 2001 al 2008, sono scomparsi in Algeria 841 bambini fra i 4 e i 16 anni; rapiti per lo più in grandi città, Algeri, Orano, Annan, gettando nella disperazione le famiglie. A volte vengono ritrovati i cadaveri (81 solo nel 2007), ma più spesso se ne perdono del tutto le tracce; non vengono richiesti riscatti.

In Algeria scompaiono, o sono scomparsi, anche centinaia di adulti: da mettere forse sul conto di anni di guerriglia islamica divenuta folle, ma non mancano i sospetti sul «potere», ossia sul regime corrotto ancorchè «laico». Fatto sta che la polizia algerina, non riuscendo a chiarire il macabro mistero, ha chiesto l’assistenza dell’Interpol. E, secondo i giornali algerini, è stato proprio il coordinamento attuato dall’Interpol fra varie polizie (fra cui quella del Marocco) che ha portato allo «smantellamento della rete di contrabbando internazionale di organi» conclusasi in USA con la cattura di rabbi Rosenbaum e di altri 43 americani.

Il giornale Al-Khabar conferma che «gli arresti hanno avuto luogo dopo che le indagini hanno mostrato che bambini algerini rapiti, e portati in Marocco, erano direttamente collegati con la rete ebraica che usava gli organi dei bambini onde contrabbandarli in Israele e Stati Uniti, allo scopo di venderli fra i 20 mila e i 100 mila dollari».

Ovviamente i giornali algerini riferiscono della recente inchiesta del giornale svedese «Aftonbladet», secondo cui i palestinesi di Gaza e Cisgiordania sostengono da anni che giovani palestinesi vengono uccisi e smembrati dall’armata israeliana per trarne gli organi. Riporta anche le frasi che rabbi Rosenbaum disse al telefono ad un compratore, intercettate dall’FBI: «Lasci che le spieghi. E’ illegale comprare o vendere organi... Sicchè lei non può comprarli. Quel che lei farà, è dare un compenso per il mio tempo». Lamentando che la compensazione era aumentata a 160 mila dollari, perchè «è difficile ottenere gente», da quando Israele ha passato una legge che vieta la vendita di organi umani.

Qui, si tratta di una notizia più grossa della Lubna multata perchè porta i pantaloni. La faccenda del traffico d’organi a favore di israeliani, spesso pagati dai loro servizi ed assicurazioni sanitari, diventa sempre più ricca di dati, circostanziata e precisa, eppure è come - per dirla con Lepri - «una mano nera l’avesse cancellata dall’interesse del mondo». Se per caso i nostri giornali ne parlano, è solo per riferire lo sdegno di Israele a queste voci ed accuse: nulla di vero, si tratta solo di atroci fantasie antisemite, il ritorno alla vecchia accusa di assassinio rituale...
E’ possibile. Ma se si vince la tentazione della sottomissione (come ci insegna Lubna, secondo Lepri) si finisce per domandarsi se nella cultura ebraica ci sia davvero qualcosa che renda impossibile simili traffici. E si scopre che è il contrario: che esiste almeno una parte della cultura ebraica, che ammette quel delitto.

Israel Shahak, in «Jewish Fundamentalism in Israel», Londra 1999, riporta un rescritto del venerato rabbi Schneerson, gran maestro dei Lubavitcher:

«Se un ebreo ha bisogno di un fegato, si può prendere il fegato di un non-ebreo innocente per salvare il primo? La Torah probabilmente lo consente. La vita di un ebreo ha un valore infinito. Se vedi due persone annegare, un ebreo e un non-ebreo, la Torah ti impone di salvare prima la vita dell’ebreo».

Ora, di fronte alla cattura di rabbi Rosenbaum di New York e alla sua comprovata compravendita di organi per ricchi ebrei, si ha l’impressione che il rescritto di rabbi Schneerson non sia una speculazione teorica, un caso del tutto ipotetico per una discussione tamudica. E’ forse il via libera teologico allo strappo di organi goym? Se la Torah consente «probabilmente» di prendere da un non-ebreo il fegato, organo unico, che condanna l’espiantato a morte certa, magari consentirà «sicuramente» lo strappo di un rene, che tanto è doppio, o la presa di un cuore da un cadavere ancor caldo di un palestinese, che tanto è morto?

Lepri del Corriere, se ha imparato da Lubna a «non aver paura», non faccia la lepre e si getti su quest’argomento: ne ricaverà pezzi un po’ più corposi che su una multa per abiti considerati in Sudan indecenti.

Non abbia paura, e legga come rabbi Schneerson giustifica teologicamente l’asportazione di organi da non ebrei:

«Il corpo dell’ebreo sembra simile a quello del non ebreo (...) ma la similarità è solo nella sostanza materiale, aspetto esteriore e qualità superficiale. La differenza della qualità interiore è così grande che i corpi devono considerarsi di specie del tutto diverse (...). Un ebreo non è stato creato come mezzo per uno scopo; egli stesso è lo scopo, dal momento che tutta la sostanza della emanazione è stata creata solo per servire gli ebrei. ‘In principio D. creò i cieli e la terra’ (Genesi 1;1) significa che tutto fu creato per il bene degli ebrei, che sono chiamati ‘il principio’. Ciò significa che tutto è vanità in confronto agli ebrei».

Rabbi Schneerson di venerata memoria non mancava di insistere:

«L’intera realtà non ebraica è solo vanità. Sta scritto: ‘e gli stranieri pascoleranno le vostre greggi’ (Isaia 61:5). L’intera creazione esiste solo per il bene degli ebrei».

Dunque, secondo questa ideologia, gli altri esseri umani sono solo «mezzi per uno scopo», lo scopo di essere usato dagli ebrei. Non pare a Lepri e al Corriere che questa ideologia non rigetti affatto l’espianto di organi da vivi e da morti non-ebrei, eventualmente il rapimento di bambini e di palestinesi per trarne organi, ma anzi giustifichi teologicamente questo tipo di orribili?

La replica indignata è, di solito, questa: che è antisemita prendere le idee di Schneerson, e della sua piccola setta estremista, e far credere che sono legge in Israele. Che sono idee del tutto minoritarie, di frangia, e non adottate dallo Stato ebraico. Ma è proprio vero?

A parte che gli Habad Lubavitcher, quelli che credono Schneerson il loro messia, sono un gruppo numeroso, potente e con schiacciante influenza in Israele e in USA; a parte che nessun altro rabbino ha rigettato come eretiche e inammissibili, contrarie alla Torah e al Talmud, le idee dei Lubavitcher (anzi il contrario: i rabbini-capi esprimono idee simili, invocando il massacro o l’espulsione in massa dei palestinesi), perchè mai la Sanità israeliana finanzia viaggi all’estero di ebrei bisognosi di organi non ebrei, sapendo bene cosa vanno a fare?

In queste settimane è in corso in Israele una grande campagna pubblicitaria, finanziata e sponsorizzata dal governo, che ha l’intento di combattere i matrimoni misti, di ebrei con non-ebrei.  Dappertutto ci sono manifesti con foto di un giovane o di una ragazza, con sotto la scritta «Perduto». Sono i ragazzi e le ragazze a rischio di sposare dei goym, trattati come persone scomparse. I manifesti, ma anche un videoclip TV di 30 secondi, invita chi «conosce un giovane ebreo all’estero» che sta per sposarsi con una non-ebrea, a chiamare un numero d’emergenza.

Nel clip, la voce fuori campo dice: «Insieme possiamo rafforzare i suoi legami con Israele, in modo da non perderli». La linea d’emergenza esiste davvero; di fatto, il pubblico israeliano è invitato a segnalare amici, parenti e conoscenti «in pericolo di matrimonio» inter-razziale, in modo che le autorità possano fare pressione su di loro, onde ritornino sulla retta via ebraica, ossia alla tradizionale endogamia.

La campagna (costo, 800 mila dollari) viene giustificata col fatto che la metà dei giovani ebrei che vivono all’estero si sposano fuori della comunità: sono duque «perduti» per il giudaismo.
Scusa accettata. Ma provate ad immaginare se uno Stato europeo - che dico - un partito, o la Lega Nord, lanciasse una simile campagna pubblicitaria. Pensate se apparissero manifesti con foto di ragazze e ragazzi «lumbard» che sono a rischio di sposare dei «terùn», e dunque devono essere dissuasi, sottoposti a corsi speciali (come accade in Israele) «per rafforzare il loro legame con la Padania».

Pensate alle accuse di razzismo che lancerebbe Il Corriere, ed ogni altro giornale dell’Italia e del mondo. Pensate alle trasmissioni che organizzergebbe Gad Lerner. Pensate allo scandalo, al clamore, allo stracciamento di vesti, alla richiesta della messa fuorilegge di quel partito... In Israele lo fanno, e nulla succede. Una mano nera cancella tutto dalla lavagna dell’opinione pubblica.

C’è il Quarto Reich razzista sull’altra sponda del Mediterraneo, i cui dottori della legge chiamano i non-ebrei «un mezzo per un scopo», e gli ebrei «il fine della creazione»; e questa ideologia è pure armata di 2-300 bombe atomiche. E i nostri giornali di cosa si occupano? Di Lubna, sudanese, che è stata multata perchè vuol portare i pantaloni.

E’ la classica storia dell’Occidente ipocrita, che scola il moscerino, e ingoia il cammello.

E’ così che il nuovo Reich razzista si potenzia, si fa sempre più arrogante e feroce, non contrastato dalla stampa, forte del silenzio intimorito o complice dei media. Suvvia, almeno Lepri impari dalle sue parole: «Lubna non ha mai taciuto, non ha mai avuto nemmeno una volta la tentazione della sottomissione... ci ha dimostrato che ribellarsi è giusto, vincere è possibile». Provi anche lui.



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