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Il Complesso Sanitario-industriale. De noantri
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Parto da una di quelle notizie di malversazione pubblica di cui ci è prodigo l’ottimo Sergio Rizzo del Corriere. Magari a qualcuno di voi la faccenda è già nota, non pretendo di essere originale.

La Corte dei Conti ha citato in giudizio la Casa di cura San Raffaele di Cassino – clinica privata ma convenzionata con la Regione Lazio – per aver fatto subire alle finanze pubbliche un «danno erariale» di quasi 87 milioni di euro: in vecchie lire, è bene ricordarlo, oltre 172 miliardi.

Il trucco è questo: nel 2005, la ASL (del Lazio) riconosce che la San Raffaele è diventata, per 40 dei suoi 60 posti-letto, da «Residenza sanitaria assistita» (Rsa) a «Riabilitazione alta intensità» (Rai) e «Lungodegenza alta intensità» (Lai).

Queste sigle «esistono solo nella Regione Lazio», ma consentono alla proprietà della San Raffaele di pretendere dalla Regione medesima non più 110 euro al giorno per un posto letto normale (Rsa), ma 250 euro al giorno.

Un raddoppio degli introiti. A cui l’azienda non ha fatto corrispondere un aumento di «intensità» delle sue prestazioni (e dei suoi costi). Anzi. La Corte dei Conti ha appurato: che le prestazioni «più intense» vantate non sono state erogate. Che personale non abilitato è stato adibito all’assistenza diretta ai pazienti. E inoltre – citiamo Rizzo – «Cartelle cliniche con firme “identiche e seriali”. Somme ingenti per prestazioni oltre budget liquidate alla casa di cura: quasi 54 milioni dal 2006 a oggi, a fronte di un fatturato riabilitazione pari a 124,3 milioni. Cambi di regime di ricovero dei pazienti con le tariffe più elevate non decisi dai medici ma dal personale amministrativo. Perfino “l’alterazione delle scale di Barthel”, ovvero dell’indicatore di disabilità, non era stabilita dai sanitari».

Anzi: «Uno dei soggetti che ha effettuato la maggior parte delle modifiche delle scale di Barthel», scrivono i giudici, «risulta inserito nell’elenco delle timbrature come addetto alle pulizie». Nel complesso: «violazione sistematica delle convenzioni sanitarie ma soprattutto, omissione di controllo sulla conformità e sulla regolarità delle prestazioni» rimborsate.

I dirigenti pubblici non hanno mai fatto i controlli, in combutta con i privati. Chi sono questi dirigenti? La (falsa) convenzione che intensificò i guadagni della San Raffaele, l’ha firmata nel 2005 il direttore generale delll’ASL di allora, Carlo Mirabella. E chi aveva messo lì il Mirabella? Il governatore Storace. Anzi, la convenzione-truffa è stata firmata proprio negli ultimissimi giorni del governatorato: Mirabella firma il 14 febbraio, e Storace con la sua giunta «approva il giorno stesso con rara e fulminea sollecitudine». Nonostante manchi il parere – che è obbligatorio – del direttore sanitario Sandra Spaziani. E poi non ditemi che le lentezze burocratiche non si possono superare.

Storace se ne va. Arriva Marrazzo, e rimuove Mirabella. Ma poi rivince la destra con la Polverini, la quale rimette Mirabella al posto di direttore ASL. Mirabella – nota di colore che non mancherà di allietarvi – è stato indicato a quel posto da Franco Fiorito «Er Batman de Anagni», di cui è un protetto.

Alla nuova governatrice, la ben nota Polverini, la Corte dei Conti segnala la grave irregolarità e suggerisce «la revoca immediata dell’accreditamento» alla casa di cura falsamente «intensiva», oltre che il «recupero delle somme percepite illegittimamente», e – s’intende – la cessazione delle erogazioni.

Pensate che la Polverini l’abbia fatto? Non sia mai! È nella sua «autonomia» fare quello che le pare, infischiandosene della Corte. Lungi dall’obbedire, nella pienezza della sua autonomia – sovranità – decreta «nuovi posti letto» per la Casa di Cura San Raffaele di Cassino, posti letto che aveva «in precedenza tagliato alle altre strutture pubbliche della Regione Lazio».

Antonio Angelucci
  Antonio Angelucci
Ultimo dettaglio a cui volevo arrivare: la Casa di Cura così favorita dai pubblici dirigenti e politici localmente sovrani è privata. La sua proprietà fa capo alla famiglia Angelucci. Il capostipite Antonio Angelucci è noto come «il re delle cliniche provate convenzionate» nel Centro Italia, Lazio, Abruzzo e Puglia. È anche deputato del Pdl, azionista di Alitalia come voleva Berlusconi. Il figlio Giampaolo è stato condannato per corruzione ai politici. Possiede un giornale di destra, Libero. Ne possedeva anche uno di sinistra, «Il Riformista», perché con il mestiere degli Angelucci è stare coi piedi in due scarpe della politica. Avrebbe percepito contributi all’editoria non dovuti per 20 milioni...

Il mestiere degli Angelucci è uno dei più tipicamente italiani: imprenditore privato alla greppia del denaro pubblico. Ovvero: imprenditore privato che non deve affrontare il «mercato», perché ha un unico cliente, la Sanità. Tutto ciò che deve fare questo tipo di imprenditore è assicurarsi le «convenzioni» con la Sanità, ossia con i capintesta politici delle Regioni che la gestiscono. Il «come» ottenere le convenzioni, pare desumibile da fatto sopra raccontato: facendo a metà del bottino coi politici e coi dirigenti pubblici regionali. «Voi fatemi avere 250 euro-giorno per posto-letto invece che 110, e vedrete che ce n’è anche per voi…». Così posso, da ingenuo, ricostruire gli eventi. Di qui la fulmineità di Storace nel firmare la convenzione lucrosa proprio mentre doveva dimettersi, di qui la Polverini che gliel’ha aumentata, invece di togliergliela.

Vincenzo Angelini
  Vincenzo Angelini
E ce ne sono tanti, di questi «imprenditori» esenti dal mercato. Come quel Vincenzo Angelini che nel 2007 si fece fotografare mentre portava bustoni di banconote ad Ottaviano Del Turco, allora governatore delle Marche, per avere la convenzione al suo ospedale privato «Villa Pini». Alcuni di questi imprenditori sono poco rispettabili, altri molto di più: come quel Giuseppe Rotelli scomparso nel giugno scorso, non prima però di aver aggiunto al suo impero di cliniche private-convenzionate (il Gruppo Ospedaliero San Donato, che con 18 ospedali di cui 17 in Lombardia è il primo gruppo ospedaliero italiano e tra i primi in Europa) il San Raffaele di Milano, fondato e rovinato da Don Verzé: cacciando sull’unghia e senza una piega 405 milioni di euro «cash», e promettendo di rifondere i creditori di Don Verzé con altre centinaia di milioni.

Ora, 405 milioni di euro, sono un sacco di soldi per averli «cash». In vecchie lire, parliamo di 800 miliardi e passa. E non soli: Rotelli (oggi, la sua famiglia) ha altri miliardi, tanto che ha una quota non piccola della RCS, sicché può sedere nel consiglio d’amministrazione del Corriere della Sera. Come per Angelucci, pare che l’editoria sia una necessità in questo mestiere di imprenditore privato-convenzionato.

Un sacco di miliardi. Guadagnati convenzionando le cliniche, ossia avendo come cliente la Regione Lombardia. Guadagnati del tutto lecitamente – mi affretto a dire – ossia strappando un tot a posto-letto, e riuscendo a scremare da questa cifra un giusto profitto, grazie ad una buona gestione.

Tutto lecito. Tutto onorevole e, contrariamente agli Angelucci, senza disonestà in combutta coi politici regionali. Però, ricchezze così sfondate, fanno pensare; perché dopo tutto non è «il mercato» che paga questi privati e ne chiede i servizi, bensì la Regione ossia noi contribuenti.

La domanda è: non è che questi privati, dalle loro convenzioni col pubblico, ricavano troppo? Non è che le Regioni (cioè noi contribuenti) li copriamo d’oro? Non è che – stante anche il dissesto della Sanità – si potrebbe risparmiare, limando i loro profitti?

Dopotutto, il loro solo cliente essendo il settore pubblico, può dettare le condizioni – così pare a me ingenuo che sono. Se non accettano questi «privati», provino pure a far vivere le loro cliniche sul «mercato». Vediamo se lo trovano, un altro mercato. Invece no: sembra che siano loro, i privati, a strappare i prezzi più favorevoli.

Insomma, vedo qui un’analogia fatale con gli Stati Uniti. Là, sono la grandi aziende di armamenti , giganti come Lockheed, Martin Marietta, Raytehon eccetera, ad essere «private» ma ad avere un solo cliente, il Pentagono: da cui condizionamenti dei politici, ammanicamenti, mazzette per ottenere commesse, e gonfiamento finale di prezzi. E fosse solo quello: l’effetto politico più orrendo di questi «privati», detti il Complesso Militare Industriale (1), è di contribuire a mantenere gli Usa in continuo stato di guerra nel mondo, perché giova al loro business.

Noi abbiamo un «Complesso Sanitario Industriale», Rotelli e Angelucci e simili. Fatte le proporzioni, gli effetti sono gli stessi, arricchimenti indebiti, corruzione dei politici, esenzione dal «mercato» e dalla competizione leale. Come il Complesso americano spinge i politici alla guerra perpetua, non sarà che il Complesso Sanitario de noantri implica l’ospedalizzazione superflua?

E inoltre. Sono «privati» che però svolgono pubblici servizi; privatizzano solo i profitti. La convenzioni coi privati erano state presentate come un’iniezione di efficienza nel sistema ospedaliero pubblico, «più mercato meno stato»: ma avviene proprio il contrario. Come liberarsene? Ad occhio e croce, non sembra più possibile: troppi interessi si sono incrostati nel sistema.

Qualcuno – come per esempio l’amico Luigi Copertino, non so – potrebbe rispondere: la soluzione è ri-statalizzare il sistema. Ma naturalmente, in pratica, significherebbe dare il tutto in mano a questi politici che abbiamo. Lo Stato sono loro, oggi. I Marrazzo, Storace, Polverini, Formigoni e i Cuffaro e i Lombardo. Gente che è stata resa ancora più impunibile e insindacabile dal cosiddetto «federalismo», che consiste in questo: i caporioni delle Regioni sono sovrani quanto a spesa (nessuno li può giudicare), e le spese che non sanno coprire, gli immensi buchi, gliele copre a piè di lista lo Stato centrale. Già avviene alla grande in Lazio, Sicilia e Calabria. Comodo, questo federalismo. A cui s’è aggiunta di recente la sentenza della Corte Costituzionale che ha fatto scudo a tutti i malversatori pubblici: bocciando, e quindi cancellando, alcuni pochi meccanismi sanzionatori per gli amministratori locali che hanno fatto andare i conti in rosso con le loro malefatte, contenuti in un decreto del governo.

Riporto da L’Indipendenza, blog post-leghista:

«La sentenza 219 della Consulta trova l’arzigogolo italiano giuridico per cui non si possono cacciare gli incapaci perché la norma fissata dal decreto è “assunta in carenza di delega”. Ed è pure fuori legge la norma con cui si obbligano le Regioni a redigere una relazione di fine legislatura con riferimento in particolare alle situazioni economico-finanziarie e alle azioni intraprese per contenere le spese, soprattutto in materia sanitaria. Capita? Proprio lì, dove stata il bello, la polpa del bilancio delle regioni, la polpa del bilancio dello Stato. Non si deve: è fuori legge rendicontare. Viva i bilanci tira e molla. Colpa della carenza della delega» (...)

Bocciato «anche il passaggio della norma con cui si prevedeva lo scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del presidente della Giunta, come conseguenza di «grave dissesto finanziario». Anche in quel caso, ci sono «due profili apertamente contrari al modello costituzionale»: «l’articolo 126 della Costituzione – ricorda la Consulta – ha compiuto scelte precise in ordine al riparto delle competenze costituzionali tra gli organi investiti dell’applicazione del potere sanzionatorio. Tra questi ultimi non compare la Corte dei Conti, mentre si legge che al «parere affidato alla Commissione parlamentare per le questioni regionali non è attribuito carattere vincolante», al contrario di quanto previsto dalle norme impugnate».

Insomma i politici locali «possono fare, disfare, dissestare, distruggere» impunemente. La rinazionalizzazione della Sanità e delle sue aziende private-convenzionate si tradurrebbe in una magnazza ancor più scandalosa e persino più opaca, impunita e totale di oggi. Per esempio: per una serie di circostanze fortuite, un mio conoscente ha saputo che la Regione Calabria, o una sua ASL, si addebita 12 mila euro per fornire ad un vecchio un «ausilio acustico» (uno apparecchietto Amplifon) che, da privato, acquisto per 500 euro. È chiaro che la scrematura, enorme, se la spartiscono i politici col fornitore dell’apparecchio e, in quella Regione, con la mafia; e paghiamo noi, noi lombardi specialmente la differenza.

La statalizzazione mi vedrebbe favorevole, dal punto di vista filosofico; ma solo dopo accurata disinfestazione (con lanciafiamme) della classe politica attualmente incrostata sul Tesoro, e la sua sostituzione con una classe di politici del tutto nuova. Monaci obbligati tutte le sere a fare l’esame di coscienza;: «Quanto ho rubato al povero, al malato, alla vedova e all’orfano, con la mia azione? Ho meritato le pene eterne e la dannazione, oppure il paradiso?».

Dei Templari governanti, insomma. Dei santi della dottrina dello stato. Credo persino che sia possibile. In una nuova Cristianità. Dopo l’Apocalisse.




1) Il presidente Eisenhower, nel suo memorabile discorso d’addio trasmesso in tv il 17 gennaio 1961, mise in guardia contro la crescente influenza del Complesso Militare Industriale: «In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex. The potential for the disastrous rise of misplaced power exists and will persist. We must never let the weight of this combination endanger our liberties or democratic processes. We should take nothing for granted. Only an alert and knowledgeable citizenry can compel the proper meshing of the huge industrial and military machinery of defense with our peaceful methods and goals, so that security and liberty may prosper together». Naturalmente ciò varrebbe anche per i sanitari privati de noantri.

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