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La gran campagna per la censura planetaria
Maurizio Blondet
05 Gennaio 2011
Dal blog di Fiamma Nirenstein:
«Dichiarazione dell’onorevole Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della Commissione Esteri e presidente del Comitato di Indagine Conoscitiva sull’Antisemitismo
Questa mattina la Commissione Esteri ha approvato all’unanimità una risoluzione che intende contrastare la diffusione sul web dell’antisemitismo, oggi in verticale ascesa, e della xenofobia in generale. La risoluzione infatti impegna il governo a siglare il Protocollo Addizionale alla Convenzione di Budapest sulla cybercriminalità, che riguarda i reati di tipo razzista e xenofobo commessi attraverso sistemi informatici. Il Protocollo consente il coordinamento internazionale degli investigatori nelle indagini su tali crimini, facilitando l’applicazione della Legge Mancino sul contrasto della discriminazione razziale, etnica e religiosa. Questa legge trova difficoltà di applicazione quando le indagini vengono bloccate dai vincoli di territorialità, ovvero quando i siti che propagandano reati d’odio - e succede spesso - sono allocati su server stranieri. Con l’adozione di questo Protocollo sarà possibile scavalcare i limiti dei nostri confini».
Titolo: «Approvata in Commissione Esteri una risoluzione per combattere l’antisemitismo su internet».
Nel blog, la Fiamma fa seguire il testo in inglese della sua dichiarazione, probabilmente per far capire in patria con quanto zelo sta lavorando. In realtà, la risoluzione approvata in quella Commissione non prelude ad una imminente azione di governo per censurare la libertà di critica e d’opinione su Israele (antisemitismo, per lorsignori). La Commissione Esteri non è nuova a prendere risoluzioni per Sion, il che non sorprende dal momento che è la Nirenstein che la presiede, e che la Nirenstein se la canta e se la suona là, insieme ai suoi quattro componenti – da lei scelti ad uno ad uno fra gli amici di Israele (Friends of Israel) – del già noto Comitato d’indagine per l’antisemitismo, ossia i parlamentari Renato Farina (in arte agente Betulla), Enrico Pianetta, Paolo Corsini, Giancarlo Lehner, presi sul serio esclusivamente dai radicali (I componenti del Comitato per l'indagine conoscitiva sull'antisemitismo della Camera sono da alcune settimane minacciati su molti siti internet).
Anzi, ci sarebbe da rallegrarsi per future repressioni dei siti che propagandano reati d’odio, perchè le risoluzioni potrebbero magari essere ritorte contro i siti filo-israeliani o giudaici che propagandano odio a tutto spiano; odio etnico-religioso, islamofobia, apologia e incitazione all’assassinio.
Tali siti – ha ragione la Nirenstein – sono numerosi. Il suo stesso blog, ad esempio: ha esaltato l’eccidio commesso dai commandos israeliani sulla Mavi Marmara come atto dovuto («Hanno fattobene a sparare»). O come le numerose attività mediatiche internazionali volte ad eccitare l’islamofobia nelle opinioni pubbliche occidentali, e a stabilire alleanze fra i Friends of Israel e gruppuscoli dell’esterma destra europea in funzione xenofoba, magistralmente documentata dal giornalista Max Blumenthal (The great islamophobic crusade, tradotta da Miguel Martinez (L’Islamofobia inventata, prodotta e distribuita).
Haim Saban
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Lettura interessante per più di un verso, in quanto dimostra che esiste in corso una vera campagna per la crociata anti-islamica, ossia per eccitare la xenofobia di massa, ben finanziata dai fratelli Koch, giganti dell’industria mineraria che finanziano anche gruppi associati al Tea Party, dal miliardario Haim Saban, il barone dei media israelo-americano, che ha dato 9 milioni di dollari per pareggiare la stessa cifra raccolta in una sola serata per i Friends of the Israeli Defense Forces, e da Aubrey Chernick, un altro riccone (ex AIPAC) che ha dato vita a una intera rete di organizzazioni per perseguitare i musulmani in USA e Regno Unito.
Yitzhak Shapira
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Chi lo sa, magari una decisione statale di punire i «reati d’odio» anche all’estero potrebbe finalmente chiamare in causa anche il rabbino Yitzhak Shapira, che nella sua scuola talmudica (la yeshiva di Yitzar, presso Nablus, finanziata dallo Stato), insegna ai suoi allievi le norme talmudiche da applicare per ammazzare non-ebrei: dato che i non ebrei sono «privi di compassione per natura», Shapira spiega, con testi rabbinici alla mano, che i gentili si possono uccidere per «frenare le loro malvage inclinazioni». «E’ giustificato», proclama il rabbino, «uccidere i bambini se è chiaro che cresceranno per danneggiarci, e in tale situazione li si possono colpire deliberatamente, e non solo nel corso di un combattimento contro adulti». (How To Kill Goyim And Influence People: Leading Israeli Rabbis Defend Manual for For Killing Non-Jews)
Se questi non sono reati d’odio, non si capisce cosa lo sia: che fa la Convenzione di Budapest? E perchè non si muovono l’agente Betulla e i radicali, così libertari?
Insomma tutto sembra intinto di quella lieve aria di ridicolo e di banale, che sempre accompagna l’attivismo della Fiamma. Il fatto è che l’esagitazione della nostra deputata è solo un piccolo ingranaggio di un ben più vasto e globale progetto per mettere sotto controllo il web.
Julius Genachowski
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A metà dicembre il presidente Obama ha creatouna Federal Commission on Communications (FCC), che ha lo scopo di regolamentare internet. A capo di questa FCC, è stato messo Julius Genachowski – che guarda caso è un talmudista con alle spalle anni di studio della Gemarah in Israele. Il nostro talmudista ha già annunciato di voler imporre quelle che chiama «le norme di circolazione» sul web, oggi afflitto da una deplorevole anarchia. I provider saranno obbligati alla «trasparenza» (qualunque cosa ciò voglia dire), e in cambio potranno addebitare prezzi diversi per diverse quote di banda larga e diverse velocità: così si otterrà di favorire i grossi media e le grosse imprese che possono pagare grosse cifre, strangolando i blogger e i siti con scarse disponibilità finanziarie. E’ la mano invisibile del mercato all’opera.
Tutto ciò a nome della «net neutrality», un’espressione che George Orwell avrebbe invidiato. Ma la terminologia orwelliana spesseggia nei progetti dei talmudici controllori del web. Per esempio uno degli altri cinque membri della FCC, Michael Copps, ha recentemente parlato alla Columbia University della necessità assoluta di «forzare l’apertura» dei siti: l’espressione usata, forcing opennes, vale sia come forzare la trasparenza che come aprire un sito col metodo dello scasso; lapsus freudiano. In realtà, Copps vuole controllare i contenuti di questi media chiusi e non neutrali.
Ha parlato di sottoporre i media su internet ad un «community values test» (qualcosa come prova di condivisione dei valori della comunità) per ottenere e mantenere la licenza (dunque i media web saranno soggetti ad autorizzazione di Stato?); se rifiutano, il FCC avrà i mezzi per obbligare i provider a mettere i ribelli nella corsia a bassa velocità. Copps ha ventilato l’idea di obbligare i siti internet ad assumere «quote di minoranze etniche»; ha evocato una regolamentazione che vedrà «periodi di rinnovo licenza più brevi, obbligo di rapportare in modo più dettagliato, e più specifiche obbligazioni verso il pubblico interesse per gli emittenti» («shorter license renewal periods, more detailed reporting requirements, and more specific public interest obligations for broadcasters»).
Che cosa ciò significhi in pratica, Copps l’ha chiarito in un’intervista alla BBC, dando libero sfogo alla sua insoddisfazione su come viene gestita l’informazione sul web, e non solo: «Non stiamo producendo il corpo di notizie e di informazioni di cui la democrazia ha bisogno per condurre il suo dibattito civico... Stiamo negando ai cittadini le notizie essenziali di cui necessitano per prendere decisioni intelligenti nel dirigere il loro Paese».
E’ Orwell allo stato puro. Tradotto dalla neolingua, il progetto di Copps e del suo talmudista capo è: lo Stato, attraverso la FCC, decide quali sono le informazioni di cui il cittadino ha bisogno – e quali invece gli sono dannose per la sua fiducia nel governo. Insomma, la stampa è veramente libera, quando i contenuti sono dettati dallo Stato.
Non c’è dubbio sull’ispiratore di queste nuove concezioni della libertà di espressione: Cass Sunstein, ebreo, giurista costituzionale alla Chicago Law School, recentemente messo a fianco di Obama come capo di un nuovissimo White House Office of Information and Regulatory Affairs. Già in un articolo sulla Boston Review del 2001, il celebre costituzionalista deplorava: «A causa di internet e di altri sviluppi tecnologici, sempre più persone esercitano una ‘personalizzazione’ (delle informazioni) che limita la loro esposizione agli argomenti e ai punti di vista di loro scelta». In altre parole, non sono più esposti all’influenza di Fox News, CNN e New York Times. Questo «crescente potere dei consumatori (sic) di filtrare quel che vedono», fà male alla democrazia, nuoce alla «net neutrality e alla net diversity».
Sunstein propone che i siti troppo di parte vengano obbligati, per legge, ad accogliere i punti di vista opposti ai loro. Ovviamente, non hanno nulla da temere i blog di fan dell’Inter, non si chiederà loro di acccogliere le tesi dei fan del Milan; e nemmeno Monsanto sarà mai obbligata a postare il parere dei contrari agli OGM. No, chiaramente Sunstein ha in mente uno specifico tipo di siti, quelli che dovranno essere forzati a pubblicare le rettifiche inviate dall’ambasciata di Israele e i comunicati stampa di Netanyahu.
Cass Sunstein
Nel 2008, difatti, Sunstein ha dichiarato di voler sottoporre a sanzione penale o amministrativa le «teorie cospirazioniste»: «Lo Stato può imporre qualche tipo di tassa, finanziaria o d’altro genere, a coloro che diffondono tali teorie». Più recentemente, il gran giurista ha esposto e sistematizzato i suoi progetti in un saggio dal titolo Democrazia e il problema della libertà di espressione (Democracy and the Problem of free speech) in cui dichiara che sottoporre a regolamentazione stringente i media serve a «rinvigorire i processi di deliberazione democratica, assicurando un’attenzione più grande ad argomenti pubblici e una maggiore diversità di opinioni». Ragion per cui Sunstein si propone di riformulare il Primo Emendamento della Costituzione (quello che vieta al Congresso di impedire per legge la libertà di religione, di espressione, di stampa e di pacifica riunione), che è stato fino ad oggi mal inteso, come se volesse creare un libero mercato di idee.
No: contrariamente a quel che si è creduto fino ad oggi, la libertà di parola è un problema per la democrazia, ed è per difendere la democrazia che bisogna regolamentare tale libertà di informazione.
Il ragionamento di Sunstein è il seguente: i parchi pubblici sono resi disponibili per discorsi, manifestazioni e proteste anche se i vicini, magari, vogliono silenzio e quiete. Ebbene, i siti internet sono spazi pubblici, dunque sono obbligati ad ospitare anche le opinioni sgradite.
Il sofisma talmudico qui è visibile: il parco pubblico è la Rete, non i siti. I siti e i blog sono appunto analoghi a coloro che nel parco pubblico concionano, espongono le loro tesi e informazioni, protestano e manifestano. I blogger sono dei privati; e i siti sono – come i libri – creazioni di privati autori. Di norma, l’autore di un libro non è obbligato a sostenere la tesi opposta a quella che espone; Sunstein pretende che chi si esprime sul web faccia proprio questo. Da qui si vede come la nuova regolamentazione democratica in salsa talmudica colpisca la più intima qualità della persona: tu devi pensare anche il contrario di quel che pensi, devi dare anche le informazioni che ritieni in coscienza false. E’ il definitivo trionfo del bispensiero, del double-speak, vigenti nella dittatura totale immaginata da Orwell. (JEWISH APPOINTEES COULD END FREE INTERNET)
Quando ad essere un privato cittadino era lui, nel 2008, Cass Sunstein propose in vari articoli la «infiltrazione cognitiva» da parte di agenti del governo in «chat rooms, social network o anche gruppi reali» che sostengono «false teorie cospirazioniste» (che siano false, lo dice Sunstein) per infiltrarvi le nozioni e le tesi favorevoli al governo stesso. Ha proposto anche che il governo paghi «credibili voci», ossia giornalisti ed esperti apparentemente indipendenti per farle intervenire in dibattiti pubblici e in siti onde rafforzare le tesi governative: come infatti riconosce lui stesso, la gente che tende a non credere alle fonti governative, è disposta ad ascoltare fonti che paiono indipendenti (come Wikileaks?), anche se pagate dal potere. Ora che è un pubblico funzionario, ai più alti livelli della casa Bianca, Sunstein avrà modo di realizzare questi suoi progetti, le sue regolamentazioni, le sue punizioni finanziarie o d’altro tipo, fino e non esclusa la modifica del Primo Emendamento. (Got Fascism? Obama Advisor Promotes 'Cognitive Infiltration')
Il dispositivo di legge per la censura del web esiste già. Nel 2009 il senatore democratico Jay Rockefeller (della nota famiglia) e la repubblicana Olympia Snow hanno introdotto il Cybersecurity Act of 2009 (S.773). Una normativa esemplare. Per attuarla, basta che si dichiari una «cybersecurity emergency»; e le occasioni non mancheranno. Provvidenzialmente, Wikileaks ne ha già offerta una.
Del resto la infiltrazione cognitiva è già praticata dal regime israeliano, in base ad un programma lanciato l’estate scorsa dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Costui ha ordinato alle ambasciate israeliane di Londra, Berlino, Roma, Madrid, Parigi, l’Aia, Oslo e Copenhagen di approntare ciascuna una lista di mille amici di Israele, da lanciare in una grande campagna di pubbliche relazioni per difendere le politiche israeliane. Questi amici – giornalisti, politici, attivisti ebrei ma anche capi di gruppi religiosi cristiani, politologi, intellettuali – dovranno organizzare manifestazioni, scrivere e far pubblicare articoli, tenere riunioni per diffondere le tesi di Israele. In ogni capitale europea, i mille amici saranno regolarmente convocati all’ambasciata ebraica per essere istruiti con appositi briefing; il fondo-spese delle ambasciate per le pubbliche relazioni è stato, per questo scopo, raddoppiato. Le ambasciate dovranno inviare ogni tre mesi un rapporto a Tel Aviv sulle attività di questi amici; a fine anno ci sarà una valutazione generale dei risultati.
Il governo israeliano, più precisamente il ministero degli Esteri, darà appoggio alla campagna in tre modi: diffondendo messaggi politici sulle posizioni israeliane riguardo al processo di pace (allo scopo di mostrare quanto Israele ami la pace, ma dall’altra parte non c’è nessuno con cui trattare); informazioni su diversi settori - economia, turismo, tecnologia - per valorizzare la società israeliana e non ridurre le notizie su Israele al conflitto coi palestinesi o alle guerre col Libano; e infine comunicati a pioggia sulle violazioni dei diritti umani in Iran e Siria (vedi il caso Sakineh, effetto di tale propaganda), e informazioni allarmistiche sulla crescente potenza di Hezbollah, onde mostrare il caratteri di nemici dell’Occidente dei nemici che Israele vuole aggredire. (Israel prépare une bataille médiatique à venir, serons nous prêts?)
Sarebbe interessante conoscerre la lista dei mille amici stilata dall’ambasciata di Sion a Roma. Ma purtroppo, nulla al proposito si troverà mai su Wilileaks. Tuttavia, non dovrebbe essere difficile ricostruire questa lista a lume di naso. Magari, c’è nella lista il grande politico super partes che minaccia: «Antisionismo è antisemitismo». Il sindaco che accende la Menorah, con il suo controllore Pacifici al fianco. I numerosi opinionisti che difendono anche le azioni meno difendibili e più atroci dello Stato razzista mediterraneo. Gli islamofobi da prima pagina, da stadio o da talk show, i laudatori di Ben Gurion come faro di civiltà, i cristianisti convertiti alla crociata... ho l’idea che siano, da noi, persino più di mille. E i quattro amiconi della Niresntein che, nella loro Commissione, ci vogliono far tacere, sono solo un piccolo, ridicolo ingranaggio di una macchina molto più grossa, e in piena attività.
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