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Giornalismo «oggettivo»: ausiliario del nuovo totalitarismo
Maurizio Blondet
04 Dicembre 2010
Il nostro amico Enrico Accenti, che vive in USA scrive a Blondet:
«Direttore,
vista la sua esperienza mi piacerebbe molto avere un suo commento riguardo una polemica tra giornalisti americani. Qualche giorno fa Keith Olbermann, il famoso anchorman del canale MSNBC, ha duramente attaccato il ‘mito dell’obiettività’ dei giornalisti. Il suo commento speciale è andato in onda in prima serata televisiva ed è il seguito di un editoriale di Ted Koppels, apparso sul Washington Post, in cui si sostiene che è la mancanza di obiettività la rovina del giornalismo. Olbermann risponde in maniera molto forte, sostenendo invece che è vero proprio l’opposto. Tirando in ballo giornalisti del calibro di Cronkite e Murrow, Olbermann sostiene che essi hanno salvato la democrazia americana proprio quando il loro giudizio personale è stato inserito nelle notizie. Alcuni esempi vengono riportati, tra cui l’attacco che Murrow fece del Maccartismo, che gli costò la carriera, e i pareri che Cronkite diede soprattutto sul Vietnam (sosteneva di ritirarsi elegantemente).
Keith Olbermann
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Secondo Olbermann quei grandi giornalisti ‘non erano semplici stenografi. Non erano uomini neutrali. Essi erano uomini che fecero quello che solo i migliori giornalisti di oggi provano ancora a fare. Valutano, analizzano, organizzano – mettono insieme una storia coerente, o una domanda difficile – usando solo i fatti come possono esser meglio valutati, con in aggiunta la loro onestà e coscienza’. Il giornalista inoltre afferma che se ‘insisti abbastanza che il principio che guida il grande giornalismo televisivo è la neutralità e l’obiettività e non le scelte soggettive e le spesso dannose valutazioni e i commenti prima o poi aprirai la porta ad inutili adorazioni al tempio di un falso dio. E il giorno che hai un falso dio avrai falsi preti. Prima piuttosto che poi, in un mondo in cui l’analisi soggettiva è marchiata come maligna e pericolosa, qualche politico ciarlatano vedrà lo spiraglio e coglierà il catechismo di quel falso dio, dalle parole come ‘oggettivo’, ‘neutrale’, ‘a doppio lato’, ‘paritario’ e ‘bilanciato’ e lo pervertirà in qualche slogan, in un marchio. Allora potrà creare qualcosa che non è più giornalismo, allo stesso modo che due persone che urlano uno contro l’altro non è un duetto musicale».
Secondo Olbermann se nel 2003 i giornalisti avessero veramente indagato sulla questione irachena invece di riportare i ‘fatti’ (‘Comunque sia erano bugie pure quelli’ dice Olbermann) a quest’ora si sarebbe avuta una storia diversa. L’Italia è la patria della par-condicio, che è addirittura una legge e spesso i dibattiti televisivi politici sono le urla di due uomini di cui parla Olbermann (cosa che negli USA è ancora limitata). Lei, da giornalista e direttore di una testata ‘diversa’, cosa ne pensa? Il testo e il filmato si trovano a questo indirizzo: (False promise of ‘objectivity’ proves ‘truth’ superior to ‘fact’)
Distinti Saluti,
Enrico Accenti»
Il lettore mi chiede un commento. Dovrei ripetermi, come accade troppo spesso dopo una certa età. Ha ragione Olbermann, naturalmente. Anzitutto per un motivo gnoseologico (di filosofia del conoscere): i fatti oggettivi non esistono. Esistono i fatti nudi e crudi – cosa del tutto diversa. Sono enigmi, per lo più tragici. Ciò significa che i fatti hanno disperato bisogno di essere interpretati, perchè da sè non si spiegano. E tutti, non solo i giornalisti, nell’esporre i fatti, li interpretano, volenti o nolenti, perchè è nella natura della mente umana interpretarli. Perciò è radicalmente falso e truffaldino il motto della stampa anglosassone, i fatti separati dalle opinioni.Non solo raccontare un fatto esprime già un’opinione, ma(come ben sappiamo) scegliere di metterloin pagina con un certo rilievo, in una certa posizione, con un certo titolo, a pagina 1 o a pagina 43, o magari tralasciarlo, è il modo surrettizio e abituale con cui il giornalismo obbiettivo parteggia. I fatti dunque hanno estremo bisogno d’essere interpretati.
Il fatto è che niente garantisce che l’interpretazione sia giusta. Esempio (anche qui mi ripeto): dal sorgere e tramontare del Sole – fatto nudo e crudo, che più limpido e oggettivo non c’è – i sacerdoti aztechi trassero l’interpretazione che occorrevaalimentare il Sole con fiumi di sangue umano, altrimenti il Sole non sarebbe risorto. L’interpretazione e valutazione dei fatti, dunque, è sempre un rischio, perchè incorpora sempre una filosofia, una visione del mondo, una Weltanschauung di chi espone i fatti (nel caso, del giornalista).E per i più, tale visione del mondo è inconscia, o peggio appresa dal conformismo corrente, non pensata in proprio: un miscuglio di luoghi comuni, di politicamente corretto, di ossequio alle autorità vigenti nel dato momento.
La maggior parte dei giornalisti sono di questo tipo, e tanto più la loro Weltanschauung è quella corrente e dominante (cioè, oggi, la più falsa), tanto più riscuotono gli applausi, perchè è la più diffusa e promossa dai sistemi di potere (e di comunicazione totale) vigenti.
Poi ci sono i giornalisti la cui visione del mondo è una ideologia, ossia una tecnica del potere. Meglio, sono i giornalisti che sono coscienti della loro Weltanschauung – perchè se la sono fatta in proprio – e la dichiarano. Ma proprio questi vengono percepiti come di parte dalle folle, che sono tutte di parte, ma ad un livello intellettuale (e morale) infimo.
Murrow, quando denunciò i metodi persecutorii del Maccartismo, fu bollato di comunista e perse il posto.Nel mio piccolo, qui, sono bollato di complottista, catto-fascista, e ho perso il posto ad Avvenire per aver detto qualche semplice verità, eccetera. O peggio, ancora sono assillato da lettori che scrivono: «... lo ammetta, lei è filo-Berlusconi». Perchè la Weltanschauung delle masse italiote si riduce a questo: essere pro o contro Berlusconi, tertium non datur. Le interpretazioni di minoranza non sono ammesse. E’ così che le masse vengono ingannate: perchè lo vogliono. Non è una novità. Vulgus vult decipi, è un detto antico romano.
Al che, troppi che detengono qualche briciola di potere (anche giornalistico) sono fin troppo contenti di concludere: «... ergo decipiatur». Tanto più che giova alla carriera, i potenti ti danno volentieri interviste e indiscrezioni, magari ti danno del tu, entri nelle loro cerchie, e ti possono anche scegliere come direttore del Corriere, o del TG1 o TG3. Perchè sì, come ho detto, i fatti vanno interpretati, e l’interpretazione è un rischio, e non ha garanzie di oggettività. Ma questo rischio è il rischio inerente alla libertà umana, libertà tragica, di un essere gettato nella vita come un naufrago è gettato nel mare in tempesta, e che deve nuotare (interpretare, usare la mente e il cuore) per sopravvivere.
L’ oggettività, la neutralità nel dare le notizie, il bilanciamento delle opinioni è un tentativo di sfuggire ai rischi della libertà. Ma è una illusione, esattamente come – i banchieri fondarono la Comunità Europea nell’illusione ideologica che togliendo la sovranità alle nazioni, si sarebbero scongiurate per sempre le guerre; le guerre, altro rischio della libertà. Per eliminare il rischio, abbiamo eliminato la nostra libertà, ed oggi ci troviamo ad avere truppe a combattere in Afghanistan da nove anni, e in Iraq per cinque. Ecco un fatto politico che ha bisogno di interpretazione urgente. Perchè siamo là? La risposte ufficiali accettate dai giornalisti obbiettivi, Siamo là perchè i terroristi non ci attacchino qua, Siamo là per combattere Al Qaeda non mi sembrano diverse dalle risposte dei sacerdoti aztechi: facciamo sacrifici umani a migliaia, perchè altrimenti il Sole non sorge.
E com’è possibile? Non siamo aztechi, non condividiamo nessuna delle loro superstizioni, siamo anzi cinici, ultracritici verso le autorità, derisori del sacro, laici e secolarizzati; siamo ricchi di informazioni, di dibattiti, di par condicio, eppure siamo anche noi finiti a fare sacrifici umani di popoli lontani, e ad approvare genocidi. Ci siamo ricascati, nonostante tutta la libertà d’informazione. Questo è un altro fatto nudo e crudo, che esige un’interpretazione.
Giustamente Olberman denuncia la parte di colpa dei giornalisti che si attenevano ai fatti, e neutrali e oggettivi riportavano le informazioni sulle armi di distruzione di massa di Saddam senza batter ciglio, perchè diffuse dal governo USA, ente oggettivo e neutro per eccellenza. Gli esempi si possono moltiplicare: siamo strangolati dalla speculazione e dall’euro, perchè i giornalisti neutri hanno adottato, e continuano ad adottare, il neutro e oggettivo parere degli economisti ufficiali, di Prodi, Ciampi e Draghi, Giavazzi, Padoa Schioppa. Del resto, non ci sono opinioni diverse. Sono state spazzate via dalle cattedre e dalla vita pubblica. Chi dovrebbero sentire, i giornalisti oggettivi, per raccogliere un diverso parere sull’economia e la finanza? Gente che non ha cattedre alla Bocconi. Che non ha cariche a Bankitalia o alla BCE. Marginali, selvaggi, tenutari di blog complottisti. Gente che non ha il potere di farti direttore di alcun media importante.
Ecco: il giornalismo oggettivo è un ausiliario del nuovo totalitarismo, quello che ci toglie la libertà con la motivazione che è piena di rischi per noi, e i poteri costituiti non pensano ad altro che al nostro bene: Se non fossimo entrati nell’euro, chissà dove saremmo oggi. E dove siamo oggi, con l’euro, lo vediamo.
Il giornalismo oggettivo e neutro serve i poteri costituiti. E non parlo dei politici, che sono soggetti a discussione; parlo della banche, dei banchieri e dei loro economisti, che sono non-eletti, e che per questo non si discutono nei dibattiti di Ballarò o di Sant’Oro. Non a caso le banche sono, per architettura, come templi: lo sono, sono i templi dell’ultimo dio indiscusso, il tasso di profitto, l’usura come norma, il mysterium tremendum della creazione di denaro dal nulla indebitando, la democrazia voltata in demokratura.
Per questo, bisogna diffidare del giornalismo oggettivo. Specie se strapagato (Fabio Fazio, 2 milioni l’anno; Sant’Oro, 600 mila). Il giornalista non merita così alte paghe, se non è parte dello spettacolo. Il giornalista serve modestamente la democrazia, quando espone i contro di una scelta politica. Qualunque scelta politica non è mai scelta fra un bene assoluto e un male assoluto (sarebbe facile allora), ma – anche la più giustificata – ha effetti collaterali, danneggia gli uni e favorisce altri gruppi. Per questo si devono conoscere i pro e i contro, onde poi aderire o rifiutare la decisione del decisore legittimo, che è il governo eletto. Ma dichiarando la propria opinione, la parte i cui interessi riteniamo siano da preferire.
E qui qualche riga sulla frase di Olberman: il giornalista deve rischiare di interpretare i fatti, a proprio rischio, con la sua onestà e coscienza. E proprio questa è la merce scarsa, e poco valutata nella borsa-valori della carriera. Uno, in genere, non diventa giornalista per servire la verità, ma perchè gli piace confricarsi coi potenti, illudersi di partecipare alle loro cerchie (ho conosciuto una giornalista che letteralmente cadeva in deliquio quando l’allora potentissimo Cesare Romiti le dava del tu; e da allora diceva: Ho telefonato a Cesare...), far carriera e soldi. A questo scopo, la coscienza e l’onestà non vengono molto valutati dal potere.
Ma non tutti sono così. Qui, per esempio, voglio fare un caso di diversa onestà e coscienza: la Gabanelli, rispetto a Sant’Oro. Certo, la signora è di parte, lo si vede, non lo nasconde. A volte forza le sue inchieste; a volte accusa e sbaglia. Ma se io fossi in Brunetta o Calderoli (il cosiddetto ministro per la Semplificazione Normativa), metterei dei funzionari a studiare ogni settimana le inchieste della Gabanelli, che poi dovrebbero intervenire a raddrizzare le storture, gli scandalosi sprechi, inefficienze, e le malversazioni che illustra. Ringraziando poi la signora per il suo contributo all’interesse collettivo.
Voglio dire: non vedo perchè un governo, di destra o di sinistra, debba considerare la Gabanelli come nemica. Invece è proprio così, e sarebbe così anche se venisse al potere la sinistra (cosiddetta). Un genere di nemico su cui si tace, a cui non si parla, mentre si va a frotte da Sant’Oro a litigare fra politici, e si telefona a Ballarò da presidenti del consiglio. E anche gli spettatori, i cosidddetti cittadini, preferiscono vedere Saviano, e applaudire la sua Corazzata Potiomkin, senza mai osar gridare è una boiata pazzesca, perchè è della loro parte, o così credono...
Cosa possiamo farci, il giornalismo ha i suoi limiti.
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