Santoro e quei giovani abissali
10 Maggio 2008
Ricevo questa mail:
«Caro Direttore,
Le scrivo dopo aver seguito la trasmissione Annozero nella speranza che anche Lei abbia avuto modo di vederla o che, in caso contrario, possa aver modo di visionarla per poter poi avere da Lei un parere su quanto si è detto e visto.
Sono profondamente indignata per il modo in cui questa trasmissione usa ogni mezzo, compreso l'avvenimento di Verona, per far politica sporca, disinformazione, per portare davanti al video personaggi così falsi, così sgradevoli; per far vedere e sentire solo ciò che qualcuno vuole, ciò che probabilmente viene scelto e preparato a tavolino; per colpire puntualmente la Chiesa e, come sempre , Berlusconi ( che noia!).
E’ una vergogna che ogni problema, anche quello più grave, si risolva sempre e solamente in una questione politica.
Io lavoro nella scuola e non faccio politica.
Lavoro nella scuola da diciotto anni (ne ho 36) e conosco molto bene quali sono i problemi dei bambini e degli adolescenti, che divengono pesanti macigni nei giovani.
E questi problemi non nascono dalle scelte politiche dei genitori o degli stessi ragazzi, no!
Ci sono abissi così profondi che un personaggio come Santoro non conosce, mi pare chiaro! Altrimenti si impegnerebbe a fare un tipo di informazione diversa...
Visto il titolo scelto per la trasmissione di questa sera mi aspettavo di vedere altro ma, ancora una volta, mi sono ritrovata a dover ascoltare il solito pappone politico, le solite accuse, le solite parole, i soliti volti...
Da quando poi il governo è di destra mi tocca anche di dover sentire che gli italiani sono un popolo di m…; che se l’autista del bus non ti fa salire dalle porte centrali è un fascista; che tanto ormai ci dobbiamo aspettare manganellate anche se buttiamo a terra una cicca.
Così tutti i prossimi fattacci diventeranno «delitti politici» e, naturalmente, su questo nuovo governo cadranno tutte le responsabilità.
Ho un sogno: una politica pulita che si stacchi con coraggio da certi teatrini che non le fanno onore e che sappia allontanare certi personaggi che non perseguono la verità, la verità, la verità!
Grazie.
Teresa»
Io non mi sono tanto scandalizzato, forse perchè da Santoro non mi aspettavo altro: la tesi secondo cui i violenti di Verona sono fascisti, e che si sentono coperti da un governo che è essenzialmente fascista, xenofobo e violento. E’ ovvia per la «sinistra». Ma il tutto mi è sembrato in tono minore, poco convincente.
Anzi, le dico la verità, una delle due cose che mi ha colpito è proprio stato il tentativo di Santoro - poco coadiuvato dalla platea e dai pochi ospiti - di dire una cosa meno rozza, e in fondo contraria alla tesi. Ossia questa: che quei violenti «di destra» sono potenzialmente antagonisti anche di questo governo. Ciò non è poco. Si vede che Santoro stava attento ai corsi di «Agitazione e Propaganda» che si tenevano alla scuola-quadri per comunisti delle Frattocchie (D’Alema invece era distratto), ed ha imparato la lezione.
Effettivamente, i due blocchi di «destra» e di «sinistra», il governo e l’opposizione, sono diventati estremamente istituzionali, politicamente corretti, «moderati» per definizione. «Grazie presidente», così titola il numero in edicola del Secolo d’Italia di Fini, e il presidente che ringrazia è Napolitano.
Veltroni fa il governo-ombra di sua maestà, e promette una opposizione razionale. Tutta questa istituzionalizzazione ipocrita e vuota - come ha capito Santoro - lascia scoperte, prive di legittimità e di rappresentanza, frange estremiste che esistono nella società.
Ciò è evidentissimo per il lato sinistro, con la scomparsa da parlamento di Rifondazione e con le sue militanze variabili, girotondini, transex, ecologisti del no, centri sociali. Ma anche a destra è accaduto qualcosa di analogo: quelle teste rasate, quei tatuati che picchiano stranieri e passanti col codino e che inneggiano a Mussolini sono un potenziale «fronte del rifiuto» del berlusconismo, ossia del neo-democristianismo. La scuola-quadri delle Frattocchie, che formava «rivoluzionari di professione», insegnava che queste forze senza legittimità nè rappresentanza possono essere «utilizzate».
Con molta spregiudicatezza, non importa se «fascisti» o comunisti di frangia: bastava il fatto che certi gruppi non avessero veri capi, nè vero progetto politico, ma che visibilmente fossero pronti ad esprimere nell’azione violenta un generico malessere: per questo erano strumentalizzabili e manipolabili per «fare qualcosa».
Qualunque cosa: provocazioni, instabilità, insicurezza sociale, come forza bruta da scatenare per «cambiare lo stato di cose presenti», come diceva Engels. Questo è effettivamente il pericolo che l’Italia istituzionalizzata e bipartitica all’americana si troverà probabilmente di fronte. Un risorgere del neo-brigatismo nelle sinistre escluse, e un teppismo neo-squadrista a «destra». Ma non nel senso in cui credo pensi Santoro.
Quella gioventù di frangia, credo, è ormai inutilizzabile per qualunque scopo politico. E’ un «quinto Stato» senza collegamenti col «quarto Stato» (gli operai, che anzi votano a destra), un pulviscolo da discoteche e da feste rave o da palestre culturiste, sub-individualità possedute da microscopiche ossessioni e narcisismi, che obbediscono solo ai propri individuali impulsi primari. Che dunque, non può aderire disciplinatamente ad alcun progetto
(1).
Queste entità pulviscolari possono solo, secondo me, produrre ciò che producono negli Stati Uniti le analoghe frange marginali-antagoniste, lasciate fuori dai due partiti istituzionali, che obbediscono solo alla finanza: ossia le sparatorie immotivate nelle scuole, le lotte fra gang negro-portoricane, la chiusura in «chiese» inventate con pochissimi adepti fanatici, le imprese da supremacisti bianchi e dei «survivalisti» che, in vista di una fantasticata resistenza contro «i comunisti al potere», accumulano armi e cibo in scatola.
A «sinistra», ci sarà la chiusura in «comunità» gay e transex o centri sociali, volte a celebrare le loro «diversità» allo spinello e all’ecologia. A parte qualche possibile attentato di «Brigate Rosse» create ad hoc, e qualche entrata in clandestinità. Che certo sarà pericolosa e assillerà la società, ma sarà trattata come un problema d’ordine pubblico, ossia di delinquenza comune. Da reprimere sic et simpliciter, con il plauso dell’opinione pubblica.
Dico questo perchè ho presente il caso degli anarchici Black Bloc, che misero a ferro e fuoco Genova nel luglio 2001, contro il G-8 e contro Berlusconi. Chi li ha visti più? Quello sciame di cavallette spaccatutto è scomparso, non ha dato più segno di sè. Probabilmente, i suoi singoli membri sono nelle «comunità» a coltivare le loro ossessioni di frangia, ma sono incapaci di azione autonoma anche vagamente politica.
Quella volta, se comparvero in modo tanto virulento, è solo perchè - a mio parere - furono organizzate da altri poteri, statuali o polizieschi. Sono convinto che il luglio di Genova fu infatti una provocazione di polizia. E molti di quegli anarchici con la maschera nera sul volto dovevano essere agenti. Agenti di un certo tipo.
Uguale il discorso sulla «destra» antagonista. La violenza fascista, quella vera degli anni ‘20, non era un fine in sè; era un mezzo - speculare del resto alla violenza comunista - per prendere il potere nella illegalità rivoluzionaria. Ad usare la violenza erano «fasci» organizzati militarmente, composti di freschi reduci della Grande Guerra, che avevano nella carne la disciplina e l’uso metodico delle armi imparato nel sangue delle trincee. La violenza fascista era uno strumento, non un modo di passare la domenica, come per i violenti di Verona.
Il loro richiamo al fascismo è chiaramente inautentico, e resta appeso al loro collo come un richiamo vuoto, raccattato solo perchè evoca la massima «proibizione corrente»: la svastica tatuata è solo questo, un modo per provocare sfidando il solo divieto imperdonabile, visto che ormai nessun divieto esiste più, e tutti sono condonati . Ma il loro vero centro d’interesse sono le tifoserie calcio-teppistiche e cose simili.
L’attacco momentaneo e gratuito, senza nemmeno la previdenza minima di costituirsi una copertura, di diventare clandestini, di nascondersi in una folla. Detestabili, corpuscolari portatori di disordine, serviranno solo come pretesto per reprimere ciò che loro non hanno, il pensiero e le opinioni veramente «antagoniste», che corrono ancora liberamente su internet. Perciò detesto quelle teste rasate.
Devo però dire - spero di non essere frainteso - che purtroppo, non sono nemmeno il peggio.
Per lo meno, le loro episodiche imprese allarmano i media e vengono discusse in TV. Ma il peggio sono quegli altri giovani, che pur Santoro ha fatto vedere, e che non allarmano nessuno.
Parlo dei 160 mila che si sono presentati sperando di apparire al Grande Fratello: ragazzi e ragazze privi di ogni pur minima qualità anche fisica, e che proprio per questo sentono di avere il diritto di apparire in TV: siamo dei nulla, prendete anche noi, «cambiateci la vita», dicevano. Perchè la loro vita è spaventosamente vuota, e intollerabile.
Parlo di quei giovinottini che hanno la tessera di partiti di estrema destra, ma vanno ogni settimana dal parrucchiere a farsi depilare le ciglia e le gambe, e per rinnovare la messa in piega. Parlo di quei sedicenni che raccontavano di farsi le canne e di sniffare la coca e di aver provato i «cartoni» (LSD) dai tredici anni in sù, che tornano a casa la mattina alle sei da genitori ciechi e sordi, che confessano di non poter stare in casa nemmeno un’ora: devono uscire, farsi con pochi compagni, e tornare a casa solo per dormire esausti alle sei di mattina.
Quelle voci ancora da bambini, quelle manine già colte dal tremore del cocainomane, quello faceva compassione e suscitava allarme. Quelle voci che confessavano: non posso dire niente ai miei genitori, altrimenti perdono la fiducia in me - «Io se avessi figli non sarei contenta che mio figlio si droga», ha detto una - e che invocavano, senza saperlo, l’autorità di cui hanno disperatamente bisogno. E che nessuno gli dà.
Questo deve allarmare la società, molto, molto più dei violenti di Verona, che sono solo un caso particolare della patologia generale che ha colpito la nostra gioventù. Perchè tutti, proprio tutti, erano chiaramente ammalati gravi: di una malattia spirituale che si rifletteva fin troppo bene come malattia psichica e persino fisica (ricordo gli sguardi del più ben pettinato nel gruppetto-bene di Verona: sguardi da omosessuale, e invece era solo il narcisisismo estremo di un femmineo innnamorato di sè, del suo aspetto).
Tutti questi giovani che vivono davvero solo nella notte - le ore di Satana - che non leggono nè studiano perchè «non serve a niente», e che se non appari in TV non sei nessuno. Questi sono irrecuperabili: perchè vivono ermeticamente chiusi, disperatamente chiusi ad ogni voce, hanno bisogno solo delle sensazioni forti della coca, non sono raggiungibili da nessun’altra emozione o sentimento. Questo vuoto totale di speranza, questa solitudine, mi paiono invincibili.
E li abbiamo resi così noi tutti, «destra» o «sinistra», scuola (incapacee di suscitare il fuoco del sapere), televisione da audience e da pubblicità, e persino Chiesa: intesa come burocrazia professionalizzata, che predica dottrine sociali e liturgie riformate, e ovviamente non parla a questi ragazzi e al loro bisogno disperato di «perdersi per salvarsi».
Ma l’intera società, quelli, non vuole vederli. E li condanna a questo suicidio dell’anima e dei corpi. Con ciò, prepara letteralmente la fine del mondo; del nostro mondo di civiltà come lo conosciamo. Che cosa si può fare?
Lo chiedo a lei perchè, come insegnante, allude agli «abissi profondi» di quelle giovanissime anime perse. E’ proprio così, sono negli abissi; siamo di fronte ad una epidemia giovanile di perdizione, una piaga immane che dovrebbe mobilitarci tutti, e persino Santoro mi sembra che, alla fine, l’abbia intuito con qualche sgomento.
Ma alla scuola delle Frattocchie certe cose non le insegnavano. Certi di spiegarcelo lei, signora Teresa, che conosce i problemi abissali di questi bambini e ragazzi, che diventano macigni negli adolescenti. Lei scrive bene: si sforzi di dirci cosa sono questi abissi, e cosa si può fare per colmarli.
1) Fu il saggista Herman Berl a vedere, nel disordine sociale seguito alla repubblica di Weimar, «l’avvento del Quinto Stato». L’Europa tradizionale conosceva i quattro «Stati sociali» - sacerdoti, nobili (guerrieri), borghesi, operai e lavoratori - e vide nella rivoluzione francese l’emergere del Terzo Stato, la Borghesia, con il trionfo dell’economia al governo. Il socialismo si proclamò l’avanguardia del Quarto Stato, i lavoratori manuali. Ma Berl vide che emergeva invece, sotto questi, un Quinto Stato: tutto un mondo sub-umano che nel Medio Evo comprendeva banditi, mendicanti, folli e ossessi di varie ossessioni, e che oggi - quando ciascuno pretende soltanto di «essere quello che già è», senza sforzarsi di diventare migliore - domina la scena europea. Il Quinto Stato, avvertiva Berl, è informe: incapace di darsi una «forma», ed oggi assume il rifiuto di ogni «forma», di ogni disciplina e progetto, come «liberazione» dal giogo di ogni legge e di ogni morale, anzi da ogni aspirazione superiore, che richieda lotta e fatica. Il Quinto Stato può solo fare disordini e sommosse, ma nessuna rivoluzione. Perchè ogni rivoluzione è aderire a un progetto, a cui sacrificare la propria individualità e i propri impulsi momentanei. Ne ho trattato in «No Global», Ares, Milano, 2002.
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