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Contro Mosca, un gran agitare attacchi nucleari. Preventivi.
Maurizio Blondet
09 Giugno 2015
«Washington prepara una Operazione Barbarossa 2.0 contro la Russia?»: titolo del giornalista Stephen Lendman (Progressive Radio Network), 7 giugno. «Follia militare: capo del Pentagono valuta colpi nucleari contro la Russia», Niles Williamson per World Socialist Website, 5 giugno. «Gli USA contano di usare armi nucleari in Medio Oriente»: Michael Chossudovski, Globalresearch, 5 giugno 2015. Sarà allarmismo di blogger alternativi di sinistra (ne avessimo in Italia di sinistri così) ma l’accelerarsi di simili titoli segnala il rapido aggravarsi del clima anti-russo nella Alleanza Atlantica, voluto da Washington nelle ore del G-7. Come ha spiegato in alcuni articoli importanti il New York Times, in quella sede il presidente americano doveva minacciare specificamente Matteo Renzi: la Casa Bianca è allarmatissima per l’intervista che il Corriere della Sera ha fatto a Vladimir Putin, in cui – vistoso cambiamento di linea del giornale – a Putin è stata data la possibilità di smentire la «narrativa» occidentalista sulle sue intenzioni aggressive. Anzi, Putin ha potuto dire che resta impegnato all’accordo di pace delineato a Misnk II, che anche Berlino e Parigi hanno accettato –– ma che adesso Poroshenko sta violando con la massiccia ripresa del conflitto in Donbass, certo non senza i suggerimenti del Dipartimento di Stato. Ancor più ha allarmato Washington la dichiarazione del presidente di Confindustria Sergio Squinzi contro le sanzioni alla Russia («Le nostre imprese stanno soffrendo... Sarebbe buona cosa cercare di ricostituire il rapporto»). Tutto ciò alla vigilia della visita di Vladimir a Milano (Expo) e Roma (Papa), fa temere alla superpotenza fanatica che il ventre molle di ogni alleanza (l’Italia) si sfili dal progetto di aggravare le sanzioni e di minacciare direttamente di guerra Mosca. Perché questo è: «Il Segretario alla Difesa USA Ashton Carter s’è incontrato nel quartier generale dello US European Command a Stoccarda con una ventina di Generali americani e diplomatici europei per vedere come alzare il livello (il termine usato è escalation) della loro campagna economica e militare contro la Russia». Campagna militare, dunque. Carter, secondo Reuters, ha comunicato che gli USA sono pronti a fornire a Kiev armamento letale, un proposito che avevano rimandato proprio quando l’accordo di Minsk II era stato stipulato senza la partecipazione americana. Dunque è il Governo americano che viola Minsk II a cui Putin resta impegnato? Sì, ma il pretesto è una nuova accusa, gravissima: Mosca starebbe violando l’accordo di limitazione sui missili nucleari a media gittata del 1987 (INF, Intermediate-range Nuclear Forces), in quanto starebbe testando missili da crociera di un raggio superiore a quello permesso dall’INF. Mosca nega l’accusa. Al Corriere Putin ha spiegato che la NATO ha armamenti 10 volte superiori ai suoi, e quindi solo un pazzo a Mosca può volere la guerra... Superior stabat lupus, come racconta Fedro. Forte di questa accusa, Carter ha avvertito gli europei che USA è pronto a lanciare missili a testata atomica contro bersagli all’interno del territorio russo, onde punire Mosca di questa violazione. Lo ammette l’ufficialissima Associated Press: il Pentagono ha avvertito gli europei che si tiene tre opzioni. Una, piazzare difese antimissile in Europa per abbattere i missili russi in cielo. Due, attaccare preventivamente i siti militari russi con bombardamenti non nucleari. Tre, ciò che Carter ha chiamato «countervailing strike capabilities». Traduce la AP: «L’opzione va fino ad implicare – ma senza dirlo esplicitamente – la capacità delle armi nucleari USA di distruggere i bersagli nel territorio russo».
Attacchi preventivi. Nucleari. Dentro il territorio russo. La domanda: chi è l’aggressore, Putin? E chi dichiara di preparare a commettere crimini contro l’umanità su scala nucleare, programmando la morte di centinaia di Migliaia di civili in Europa?, non viene naturalmente posta. I media continuano a rappresentare gli USA come la saggia democratica, benefica potenza che ci ha «liberato dal nazismo», e ne vuol ignorare l’impazzimento. Vogliono far credere che, al massimo, il Pentagono sta bluffando per intimidire e far cedere Mosca, che non farebbe mai veramente quel che ha detto qualche giorno fa a Stoccarda, nell’idea che dall’altra parte c’è qualcuno che ha la freddezza e razionalità che ai questi frenetici manca. Ma già in aprile, al Congresso, uno dei super-consiglieri di Ashton Carter sulle politiche nucleari, tale Robert Scher, aveva dichiarato: «Andremo ad attaccare quel missili (di portata supposta vietata, ndr) dove si trova in Russia». Ciò implica riempire il territorio europeo di missili da crociera americani. Guerra anche a Pechino Quanto alla sanità mentale di Ashton Carter, messo al Pentagono da Obama, fino ad ieri un punto interrogativo, pochi giorni fa a Singapore ha annunciato di essere personalmente impegnato a rimettere in riga Pechino, «uscito dalle norme internazionali» da quando sta attrezzando le isole Spratli con un campo d’aviazione. Contro la Cina, ha promesso, «il Dipartimento» sta investendo «in tecnologie che sono le più rilevanti in questo ambiente complesso, come: nuovi sistemi d’arma senza pilota in cielo e in mare, un nuovo bombardiere a lungo raggio, il cannone elettromagnetico (electromagnetic railgun) laser, nuovi sistemi per lo spazio e il cyberspazio, fra cui alcuni veramente sorprendenti ...». Più, va da sé, « i sottomarini della classe Virginia (atomici) ultimo modello, l’aereo da sorveglianza P-8 Poseidon, il recentissimo cacciatorpediniere invisibile Zumwalt, e il fiammante E-2D Hawkeye early-warning-and-control aircraft montato su portaerei...». Ha elencato insomma tutto giulivo le meraviglie tecnologiche che il Pentagono ha preparato per la guerra mondiale del futuro, quella ipertecnologica contro la Cina. Ed ha avuto la faccia di concludere che «gli USA sono contrari ad ogni ulteriore militarizzazione» nel Mar Cinese Meridionale, da parte, ovviamente, della Cina. È un livello di provocazione che Pechino non ha mai subito né accettato. Provocazioni numerosissime sono quelle che il Pentagono ha commesso contro la Russia, fra cui la nave da guerra USS Ross allontanata da un SU-24 di Mosca perché stava per penetrare nelle 12 miglia delle acque territoriali russe nel Mar Nero; la gigantesca BALTOPS manovra aeronavale NATO con 17 nazioni dell’Alleanza nel Baltico (durerà fino al 20 giugno) in cui gli USA hanno dispiegato tre bombardieri strategici B-52 che portano bombe atomiche; le dichiarazioni pronunciate il 28 maggio dell’americano Vice Segretario Generale NATO Alexander Vershbow, che viene dal Pentagono ed è quello che comanda davvero: «La Russia ha annesso illegalmente la Crimea; la Russia ha portato la guerra nell’Est Ucraina; la Russia sostiene i miliziani del Donbass con armi pesanti sofisticate, con truppe ed addestramento; la «aggressione russa» destabilizza l’Ucraina (sic); la Russia «usa la forza o minaccia di usare la forza poe raggiungere i suoi obiettivi strategici». Quasi ognuna di queste frasi diventa vera se alla parola «Russia» si sostituisce «USA». Ma ciò che conta, è che queste provocazioni configurano qualcosa di molto simile ad una dichiarazione di guerra. Poco prima di recarsi al G-7, Obama ha parlato con Poroshenko e riaffermato il massimo sostegno USA «alla sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina». Kiev viola Minsk, come ordinato Immediatamente il regime di Kiev ha intensificato gli attacchi con artiglierie e missili al Donbass, uccidendo decine di civili. Samatha Power, l’inviata Usa all’ONU, ne ha dato la responsabilità alla Russia. Kiev ha piazzato nei dintorni di Kramatorsk (Nord di Donetsk) tre batterie di missili Tocka-U, in aperta violazione. È un movimento chiaramente coordinato con gli USA: il premier Yatseniuk è volato a Washington accompagnato dalla ministra (americana) alle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, per ottenere fondi per il nuovo sforzo. Oltre colloqui con il Fondo Monetario (che all’Ucraina ha aperto la borsa senza i limiti imposti ad Atene), e con la lobby ucraina in USA, «Yats» è intervenuto al forum del Comitato Giudeo-Americano. E gli osservatori OSCE sulla linea d’armistizio del Donbass? Comunicano che ci sono state le violazioni, ma non dicono da parte di chi. Anzi – fatto particolarmente sinistro – Heidi Tagliavini, la diplomatica elvetica che guida la delegazione mediatrice OSCE, ha annunciato sabato le sue dimissioni; è una persona giudicata universalmente sincera e capace nei suoi tentativi di portare i negoziati per l’attuazione di Minsk II. Non si sa se sarà rimpiazzata. A questo punto, occorre chiedersi se gli USA hanno davvero, e sono disposti a lanciare, bombe atomiche tattiche in Europa o Russia (che è Europa). Se lo domandate a Michael Chossudovsly, vi risponde che sì: armi nucleari tattiche (mini nukes) fanno parte dell’arsenale USA e della NATO; la bomba B61-11 per esempio ha una potenza che può andare da un terzo di quella di Hiroshima fino a sei volte tanto; può essere trasportata da un B-52 o da un F-16. E sì, ovviamente gli USA se ne sono dotati per usare a livello tattico, su un teatro d’operazioni convenzionale. Sono bombe «umanitarie» secondo il Pentagono, perché siccome verrebbero usate contro bunker sotterranei, le esplosioni avvengono nel sottosuolo e dunque «sono inoffensive per la popolazione civile in prossimità». L’uso di queste mini-nukes in Medio Oriente è stato previsto da almeno vent’anni. Secondo il Bulletin of Atomic Scientist, «la Libia era considerata un bersaglio potenziale prima ancora che la B61 fosse disponibile» negli arsenali americani. A caldeggiarne l’uso fu il vice-segretario alla Difesa Harold Palmer Smith Jr. nel 1996, sotto l’amministrazione Clinton, il padre della nuova generazione di atomiche «moderate» e miniaturizzate da usare in una guerra ‘convenzionale’, e non toccate dai trattati anti-nucleari. Israele: attacco preventivo contro Hezbollah Israele non è da meno, ovviamente, in questa strada del delirio. In aprile Yuval Steinitz, Ministro dell’Intelligence, ha affermato che «l’opzione militare resta sul tavolo» per impedire all’Iran di possedere un’arma nucleare (di fatto, per impedire un accordo che sollevi le sanzioni contro Teheran); e subito, Moshe Yaalon, difesa, ha ricordato l’utilità delle atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki per indurre il Giappone alla resa, «facendo solo 20 mila morti» (sic). Per intanto, Sion è tentata da una guerra preventiva contro Hezbollah, che avrebbe il vantaggio di mandare a monte il delineato accordo USA-Iran, e l’appoggio delle monarchie del Golfo, ormai apertamente alleate con Sion. L’ambasciatore israeliano all’ONU, Dor Gold, ha attaccato l’ONU per aver fatto niente per impedire il riarmo di Hezbollah. «O l’armata israeliana dovrà distruggere le armi immagazzinate nel Sud Libano, o subire il tiro di migliaia di missili su Israele. Voi cosa fareste al posto nostro?». Prontamente il 12 maggio il New York Times ha appoggiato l’idea, con un articolo dove si spiegava come e qualmente Israele si prepari «a quello che ritiene un nuovo e quasi inevitabile scontro con Hezbollah», condito da interviste a alti responsabili israeliani che dicono: «Colpiremo duramente Hezbollah». Amir Eshel, capo delle forze aeree israeliane: «Il Libano attraverserà un’esperienza di cui non può immaginare le dimensioni. Non vorrei essere al posto dei libanesi». Come il lupus che stava superior, ovviamente il Times of Israel accusa «la possibilità che Hezbollah cerchi di trascinare Israele in una guerra nel confine Nord». Immediatamente l’ambasciatore saudita a Londra, il principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al-Saud, s’è accodato: «anche noi ci facciamo la Bomba, se Obama si accorda con Teheran». Magari Israele gliela venderà. E al G-7? Obama non ha avuto bisogno di minacciare Renzi. Tutti gli europei si sono allineati senza la minima discussione: le sanzioni contro Mosca continuano, anzi si induriranno se Putin non restituisce la Crimea e non si umilia; nessuno si «smarca» dagli alleati, ha assicurato il nostro (loro) Gentiloni. La Merkel, ovviamente, è stata la prima. La sinistra italiana copre il suo asservimento al G-7 con un’arma di distrazione di massa: la polemica contro Maroni e «le regioni del Nord razziste ed egoiste» che rifiutano gli immigrati. Una campagna forsennata e violentissima in cui sono impegnati tutti i media sinistroidi, in una coralità sospetta. Non si esce dalla gabbia. Tema delle conversazioni e degli accordi al G-7, il riscaldamento climatico, con la storica decisione di «abbassare la temperatura del mondo di due gradi»: proposito demiurgico se non fosse puramente cartaceo, nessuno crede veramente che si farà. Ma il clima, quello è il problema, non le atomiche miniaturizzate. E nessuno ha chiesto a Obama: come sta Kerry? Come mai non si mostra in video?
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