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NATO e Mogherini: guerra ai media russi
25 Marzo 2015
L’informazione che viene dalla Russia disturba la verità ufficiale eurocratica. Russia Today e l’agenzia Sputnik hanno troppo seguito in Occidente. Il 19-20 marzo, nella riunione dell’Eurogruppo – riferisce la Reuters –, «i leader europei hanno incaricato l’alta rappresentante Mogherini di preparare, per il prossimo vertice di giugno, un piano d’azione per difendere la libertà dei media e i valori europei in Russia». Conquistare i russi ai «nostri valori»: deve trattarsi di diritto a propagandare la vita omosex, nozze gay, bestemmia a mezzo stampa, offesa della religione del prossimo. Fra i nostri valori è scaduta invece l’antica e superata libertà di informazione ed opinione: già la Lituania, Paese-guida della nuova Europa, impedisce la diffusione sul suo territorio della televisione russa: «è unilaterale», è la spiegazione. Essere «unilaterale» è quasi peggio, per il giornalismo, che essere «omofobo». I media europoidi e americani non sono mai unilaterali, espongono sempre le due posizioni con oggettiva equanimità. Sicché la UE non ha trovato nulla da eccepire sulla censura adottata dalla Lituania; né sul Governo britannico che ha vietato a Russia Today di affiggere a Londra suoi manifesti pubblicitari, e minacciata di revoca della licenza in caso di recidiva, per violazione delle norme dalla televisione britannica». La censura e il disturbo delle trasmissioni estere fa parte dei nostri valori, come le nozze gay. «Lavoriamo a mettere in atto una strategia di comunicazione per fare fronte alla propaganda in lingua russa», aveva già confermato a gennaio la Mogherini (è incredibile con quale rapidità ha assunto la lingua robotica del Grande Fratello europoide). L’Europa probabilmente lancerà una sua catena in lingua russa che trasmetterà 24 ore su 24, onde istruire e sedurre i russi coi nostri valori, le direttive, le normative, le sapienze della burocrazia europea. Un giornalismo elettrizzante. «Questo progetto di lanciare una tv europea in lingua russa è sostenuto dalla Polonia, da Svezia, Danimarca, Germania, Olanda. Lituania, Regno Unito» , ha scritto il Time: «Le diplomazie capiscono che stanno perdendo la guerra dell’informazione contro la Russia». Ecco la frase rivelatrice: si tratta di guerra, non di contro-informazione. Siccome in guerra tutto è permesso, qualunque bassezza e viltà, è già accaduto che la gloriosa televisione tedesca ZDF abbia mandato in onda come proprio un reportage fatto dal «nemico» in diretta, e l’abbia presentato come proprio, rovesciandone il significato con il proprio audio. È accaduto il 19 gennaio: l’autore del reportage è Evgeny Poddubny, coraggioso inviato di guerra nel Donbass per Russia 24, che quel giorno, col suo operatore, nella cittadina di Uglegorsk (ai bordi della famosa sacca di Debaltsevo) si trova sotto il bombardamento dei cannoni di Kiev e documenta, a rischio della vita, come la piccola città venga sistematicamente distrutta, il terrore degli abitanti, la loro fuga, i dirigenti stessi della repubblica del Donestk presi sotto le cannonate che si rifugiano e scappano. Il 30 gennaio, la tv germanica ZDF manda in onda il reportage di Poddubny, senza citare la fonte, con il seguente commento: «Uglegorsk, a 50 chilometri da Donetsk: una città che i separatisti hanno ridotto al nulla a cannonate». Il contrario geometrico della verità. Le proteste di Russia 24 non hanno indotto la tv tedesca alle scuse, né a riconoscere al giornalista russo la proprietà del suo reportage. Sono i nostri valori: la veridicità, l’onestà e persino la proprietà intellettuale non ne fanno più parte. Il lavoro dell’inviato in diretta dal fronte si può e deve rubare e falsificare: è «la propaganda» che l’eminente, emblematica figura dell’Alta Rappresentante Mogherini si prodigherà a contrastare. È la guerra, e la Mogherini obbedisce ovviamente alla NATO. È stato infatti il Generale Philip Breedlove, comandante supremo in Europa dell’Alleanza, a dare la direttiva, sottolineando: «Come nazioni occidentali e come alleanza occorre impegnarsi in questa guerra dell’informazione». Ha detto proprio così, «informational warfare». Come ha spiegato il Generale, i servizi dalla guerra del Donbass fatti dalle emittenti russe, specie quelle in lingua inglese, «nascondono il coinvolgimento diretto dell’esercito russo», ed è questa «falsa narrativa» che bisogna battere. Nessuna obiezione sul fatto che i media occidentali, ed anglo-americani in specie, abbiano totalmente nascosto la partecipazione di combattenti anglofoni, mercenari stranieri o persino (dai documenti recuperati sui corpi) di militari NATO a dar manforte a Kiev. È la dottrina militare USA detta Full-Spectrum Dominance, che consiste nel «dominio esclusivo» e nella «schiacciante superiorità» dell’intero «spazio di guerra: terrestre, aereo, marittimo, sotterraneo, spaziale, psicologico, biologico, cybertecnologico»: Breedlove ha detto che si tratta ormai di dominare l’intera narrativa del conflitto, la narrativa (falsa) è dunque uno strumento della guerra. Il Generale, risulta adesso, l’ha applicata durante l’attacco di Kiev al Donbass, dominando i social media con una vera e propria campagna... su twitter per diffondere la versione ufficiale. Londra, il miglior alleato, ha diligentemente seguito, creando nel seno delle sue forze armate una unità di «guerrieri di Facebook» (Facebook Warriors). Sembra che entrambe siano state debellate da valanghe di tweet russi e Facebook dal fronte; ma più preoccupanti, si deve dirlo, le valanghe di messaggini provenienti da europei che commentavano malevolmente – poniamo – l’idea americana di fornire armi letali alla giunta di Kiev ormai disfatta, e accusavano i Facebook warriors di diffondere menzogne, smentendoli punto per punto. Ma a far paura è il missile intercontinentale della informazione moscovita: la tv Russia Today, sigla RT. Una rilevazione tedesca compiuta per un mese (19 gennaio-19 febbraio) durante la fase rovente del Donbass, ha mostrato che il canale in inglese di RT è stato consultato su YouTube più di 10 milioni di volte; il canale spagnolo, quasi cinque milioni; quello in lingua araba, ha avuto 5,46 milioni di spettatori. Ma questo è niente in confronto all’originale di RT in lingua russa: 20 e passa milioni di utenti, ossia – probabilmente – tutti i russi spiaggiati nei Paesi baltici, quelli in Ucraina e quelli nel Donbass avevano adottato la catena come la «loro» fonte d’informazione più credibile. Allo stesso modo, gli arabofoni cercano e trovano su Russia Today notizie sulla guerra in Siria, e sui terroristi moderati, che non trovano altrove. È ancora RT che ha coperto molto più della media occidentale la crescita di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna. Solo un milione di americani si sono sintonizzati su Russia Today, ma è improbabile che Mosca pensi davvero di far breccia nella «narrativa» eccezionalista, incolpevolista per eccellenza, della superpotenza perfetta e solo Paese necessario. Ciò non toglie che i reportage americani, sul modo in cui il fracking avvelena l’acqua di intere cittadine statunitensi, di come i negri vengono uccisi a Ferguson, e i veterani delle guerre abbandonati a se stessi, hanno notevole valore di verità. E i giornalisti pagati dalla CIA? Istruttivo vedere che tutto ciò viene bollato dalla Mogherini come «propaganda». Chissà come chiama allora il nostro sistema di «informazione» dove un famoso giornalista tedesco, Udo Ulfkotte, corrispondente a Washington della Frankfurter Allgemeine, ha rivelato: «Per 17 anni sono stato pagato dalla CIA (...) Io e altri centinaia abbiamo lavorato per favorire la Casa Bianca... sono stato istruito a mentire, tradire e non dire la verità al pubblico». Aggiungendo che «le loro organizzazioni, dall’Aspen Institute, alla Commissione Trilaterale, all’Istituto per le politiche europee, alla German Marshall Found, all’American Council in Germania, all’American Academy, all’Atlantic Bridge, servono a influenzare mediante una propaganda mirata l’opinione pubblica». Dove Sharyl Atkisson, celebre inviata speciale di guerra della CBS, è sbottata: «Ci chiedono di creare una realtà che coincida con quello che fa comodo credere a loro», e dopo questa uscita viene messa sotto controllo dall’FBI, che fruga nel suo computer e la intercetta. L’informazione russa apre una breccia nella narrativa di guerra, ne impedisce la perfetta chiusura a bolla sulle teste occidentali: per questo viene definita «unilaterale», e giustamente; non consente la chiusura «da tutti i lati», indebolisce la full-spectrum dominance delle nostre menti e dei nostri cuori. Il fatto che il contrasto sia affidato alla Mogherini e alle sue idee, in qualche modo un poco conforta: la tv europide anti-russa sarà in quella lingua di legno servile, robotica e orwelliana che provoca revulsioni perfino in noi che la subiamo ogni giorno, figurarsi nei russi. Il timore è che alla fine, invece, si ricorra alla censura pura e semplice, al divieto di trasmissione, al controllo sul web e su youtube. Già ce ne sono i segni. «Allontanarsi da questo sito!», mi intima un messaggio quando tento di aprire Russia Insider. Non accade sempre, a volte sì a volte no. Ti fanno vedere che, se vogliono, possono. In Francia vi può capitare questo segnale che non vi lascia accedere. Ci stanno difendendo, le Mogherini e gli altri eurocrati, come ci difendono dal fumo e dal negazionismo: ascoltare l’altra campana fa male alla nostra salute. Radio Liberty dà l’esempio dei nostri valori Ha fatto malissimo alla salute di Andrei Babitski, giornalista russo ma assolutamente anti-Putin, liberal, occidentalista – al punto da essere dipendente da Radio Free Europe. Questa, ex Radio Liberty, era stata creata per trasmettere la informazione americana al di là della Cortina di Ferro, negli anni dell’URSS; era comunemente inteso che fosse gestita dalla CIA. Babitski era diventato noto come critico fierissimo di Mosca, per i suoi reportages dalla Cecenia; arrestato nel 2000 dalle truppe russe, era stato rilasciato su richiesta di Madaleine Albright, allora al Dipartimento di Stato. Un apostolo e un martire della libertà d’espressione, il più caro dei nostri valori. Fino al 2 settembre 2014, quando, inviato nella zona di guerra del Donbass (dalla parte di Kiev , ovviamente) assiste all’esumazione di quattro cadaveri e filma l’evento nella cittadina di Novosvetlovka: «Due civili e due insorti», ha raccontato; «secondo gli abitanti, i civili e non i miliziani, erano stati uccisi dal battaglione Aidar (i neonazi). Non ho messo alcun commento, ho solo inviato il video alla divisione moldava di Radio Free Europe . Il video è stato pubblicato online... i nazionalisti della sede ucraina di Radio Free Europe hanno fatto il diavolo a quattro, son diventati isterici, hanno fatto una scandalo enorme: e tutto per la pubblicazione di un video che mostrava ciò che avevo visto coi miei occhi, senza commentare...Il video è stato ritirato. Il 26 settembre, torno a Praga, e mi convoca la direzione: mi comunicano che non avevo più il mio posto». Babisky oggi avrà modo, pieno com’è di tempo libero e senza stipendio, di istruirsi meglio sui nostri valori, di cui (si sa, è un russo) aveva una conoscenza incompleta. Documentare crimini di guerra, non è un nostro valore. In compenso, se è omosessuale può convolare a nozze l’amato bene. O mostrare le pudenda bestemmiando come fanno le Femen; anzi gli consigliamo che lo faccia, scrivendosi sull’organo sessuale col pennarello qualche frase derisoria contro Putin. In Occidente, per questo, pagano.
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