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Washington vuol regalarci una Libia in Europa
04 Marzo 2015
«Prima che la settimana sia finita, dispiegheremo un battaglione in Ucraina per addestrare le truppe ucraine al combattimento che vi si svolge»: così parlò il colonnello Michael Foster, comandante della 173ma Brigata Aerotrasportata. «Sei compagnie degli Stati Uniti», ha precisato, «che addestreranno sei compagnie ucraine per tutta l’estate». Il Governo americano non ha dunque nessuna intenzione di rispettare il fragile accordo di Minsk 2: per il colonnello la «guerra è in corso in Ucraina», come se non esistesse una difficile tregua. Anzi vuole infrangere la tregua, riaccendere la guerra armare ancora di più il suo Governo fantoccio di Kiev e prepararlo alla rivincita. Sul rifornimento di «armamento letale» a Kiev, «non lo invieremo nel contesto dell’addestramento, lo faremo in modo separato». Come, s’è visto quando Poroshenko s’è presentato negli Emirati, dove era in corso un’enorme esposizione di materiali militari – IDEX 2015 – a firmare almeno venti contratti con ditte americane della morte. Con quali soldi, visto che l’Ucraina è in bancarotta, si può solo indovinare. O magari demandare, da parte di un Paese come l’Italia che è membro del Fondo Monetario, il quale ha prestato a questo paese in guerra 17 miliardi di dollari (che sono anche nostri). Dunque, Obama (o la Nuland) hanno deciso: scarponi USA sul terreno ucraino, senza nessuna delle esitazioni e indecisioni che accompagnano l’ipotesi di porre «boots on the ground» contro, per esempio, l’ISIS. Puro avventurismo, che non è solo una provocazione gravissima – e irresponsabile – contro Mosca. È che gli USA faranno dell’Ucraina una specie di Libia o di Somalia, dato che le potenti armi letali finiranno nelle mani di milizie private incontrollate. Quando decise (o fu istigata a decidere) di trattare i suoi cittadini russofoni come nemici da sterminare con cannoni e missili, Kiev aveva solo 6 mila regolari pronti al combattimento nella armata nazionale. A combattere nella Novorussia furono dunque le milizie neonaziste, motivate da odio ideologico, che sono diventate anche più necessarie adesso che la fuga dalla leva è diventata epidemica: le sole forze armate veramente disponibili a continuare la lotta la trentina di milizie volontarie neonazi, finanziate da ricchi privati, per lo più ebrei. Fra queste spicca il battaglione Dnipro, pagato direttamente dal gangster ebreo-oligarca Igor Kolomoisky: vero esercito privato che vanta 2 mila combattenti d’élite e 20 mila riservisti, serve a costui — nominato governatore di Dnipropetrovsk ai confini con le regioni di Donetsk et Luhansk (ossia della Novorussia) a proteggere gli interessi diretti (per lo più minerari) che il personaggio ha nell’area, e in quella che conta di riprendersi a guerra vinta. Ma all’occasione, l’oligarca ha finanziato anche altre milizie, come «battaglione Azov», battaglione Donbas, battaglione Dnepr-1 e Dnepr-2. Si verifica così il paradossale, tragico e ridicolo insieme che fanatici neo-nazi che inalberano mostrine del Reich, si sono messi al servizio di questo tipo d’uomo:
Kolomoisky è quello in mezzo. Con il Libro...
Generoso donatore delle cause sioniste, Igor Kolomoisky presiede la Comunità ebraica unita d’Ucraina, ma è anche presidente della Unione Ebraica d’Europa (fra i nostri confratelli europeisti ebrei pecunia non olet). Veramente è stato sollevato nel 2011 dalla presidenza del Consiglio europeo delle comunità ebraiche a cui era stato eletto nel 2010; ragion per cui Kolomoisky ha fondato, e si è eletto presidente nel 2011 – e la carica dura cinque anni – del Parlamento Ebraico Europeo, istituzione europeista creata, a quanto si apprende, «col sostegno finanziario del Bahrein». Terza o quarta fortuna dell’Ucraina (dopo Rinat Akhmetov e Viktor Pinchuk, stessa razza), valutato 1,3 miliardi di dollari da Forbes, Kolomoisky possiede la Privat Bank, la più grossa del Paese (non deve navigare in buone acque di questi tempi), metà della catena televisiva Ucraine News One (che alcuni chiamano Jewish News One), pezzi importanti del settore metallurgico, una mano nel gas. Tre nazionalità: oltre a quella ucraina, il grand’uomo ha quella israeliana – ça va sans dire – ma anche quella cipriota. Lui però di preferenza risiede in Svizzera. Quando è stato nominato governatore di Dnipropetrovsk dalla giunta di Kiev, questo vero patriota ha messo a frutto i suoi neonazi: è opera loro – del Primo Battaglione Dnepr – il massacro di Odessa del maggio 2014, dove nella sede del sindacato sono stati bruciati vivi, liquidati con colpi alla nuca, strangolati con fili elettrici, abbattuti mentre fuggivano dall’incendio da costoro appiccato alla sede del medesimo sindacato. Ragion per cui è ricercato da Interpol per assassinio organizzato e ricorso a mezzi di guerra illegali — ma non deve preoccuparsi troppo dello zelo della benemerita istituzione poliziesca occidentale. Non solo perché è stato messo nella lista dei ricercati su richiesta di Mosca (il che deve raffreddare un poco l’entusiasmo di Interpol), ma soprattutto perché ha associato nella sua holding del gas R. Hunter Biden – il figlio del vicepresidente USA Joe Biden – e come amministratore ha assunto Devon Archer, un americano che è presidente del comitato di sostegno al segretario di Stato John Kerry. Le milizie neonazi (sotto paga ebraica) hanno un referente nel Governo di Kiev, a fianco degli oligarchi J Poroshenko e Yatseniyuk : trattasi nientemeno del Ministro dell’Interno, Arsen Avakov, uscito dai vertici del Battaglione Azov, che vanta coi riservisti (sia o no vero) dodicimila miliziani, ed ha scelto come simbolo quella della storica SS Panzerdivision Das Reich Arsen Avakov, che è anche parlamentare, ha dunque in mano la polizia. Tanto più che ha scelto Vadim Troyan, capo del partito Azov, che ha lo stesso nome del ‘battaglione’ paramilitare, a capo della polizia di tutta la regione di Kiev. Ora, le milizie paramilitari, diventate il nerbo della polizia, hanno rifiutato la tregua di Minsk: hanno dichiarato che non le riguarda, e che continuano a combattere. Non hanno arretrato il loro armamento pesante dalla linea del fronte, come dovevano. Si considerano invitte (nel giugno 2014 hanno ripreso Mariupol strappandola ai separatisti) e si sono macchiate di crimini contro l’umanità: il battaglione Aydar ha persino aperto un campo di detenzione clandestina nel centro della cittadina di Severodonetsk, dove torturava i detenuti (imitazione della CIA?), e quindi non hanno da guadagnar nulla dalla pace. Il loro temibile potere s’è visto a febbraio, quando Poroshenko ha cercato di sciogliere il battaglione Aydar: i paramilitari armati hanno bloccato l’accesso al Ministero della Difesa di Kiev minacciando l’occupazione, ossia il colpo di Stato. Poroshenko ha rinunciato al suo proposito, ma la tensione resta alta. Shaun Walker, giornalista del britannico Guardian che ha scelto di essere embedded col battaglione Azov e manda i suoi pezzi da Mariupol, la città che il battaglione ha dichiarato sua capitale dopo la riconquista di giugno, ha riferito che «quasi tutti» i paramilitari «hanno l’intenzione di portare il combattimento a Kiev» una volta finita con i separatisti della Novorussia. Il punto è che, secondo il rispettato analista Stephen Cohen (Princeton, esperto di Russia) anche Washington sta pensando di sostituire Poroshenko, sconfitto, debole, poco volonteroso di riprendere la guerra dopo la disfatta di Debaltsevo; vogliono metter al suo posto il giovane Yatseniuk, attuale Primo Ministro, giudicato più irriducibile, più ‘americano’, più intimo della Nuland (che lo chiamava «Yats» nella telefonata in cui disse: al potere mettiamo Yats e «Fuck Europe!», parlando con l’ex sottosegretario di Stato Geoffrey Pyatt). È dunque evidente la convergenza di fatto degli estremisti paramilitari e del Dipartimento di Stato: continuare la guerra e mandar via Poroshenko — che oggi rischia tanto, essendo ridotta la sua utilità residuale solo da morto ammazzato, come il povero Nemtsov (1). Il tempo stringe, il collasso economico dell’Ucraina accelerato (l’inflazione è al 272%, sono cominciati i razionamenti alimentari) rende sempre più urgente mettere il Paese sotto legge marziale e proseguire il conflitto con gli aiuti illimitati dell’erario USA e le nuove armi del Pentagono. Cohen ritiene possibile un colpo di Stato neofascista a Kiev abbastanza presto, col permesso americano, che detronizzerà Poroshenko dopo che la 173ma Aerotrasportata USA giudicherà di aver addestrato a sufficienza le truppe ucraine per scatenare la nuova guerra. Già Semion Semenchesko, comandante del battaglione punitivo Donbas e deputato della Rada ha reso pubblico un piano per creare un nuovo quartier generale della Forze Volontarie a Dnipropetrovsk — il feudo dell’oligarca, gangster e devotissimo talmudico Kolomoisky. Il motivo lo ha dichiarato lo stesso Semenchenko: «Gli eventi degli ultimi mesi e specialmente delle ultime settimane dimostrano l’incapacità dello Stato Maggiore (di Kiev) di coordinare efficacemente l’azione delle truppe». Insomma è la formazione di un esercito privato che non obbedisce più a Kiev. A questo nuovo quartier generale hanno già aderito 13 dei trenta battaglioni paramilitari, più le varie associazioni ‘volontarie’ comprese nel gruppo Pravi Sektor; il capo del Settore Destro, Dmitry Yarosh, ha firmato il memorandum di accettazione del piano. Il nuovo quartier generale riunirà i vari centri amministrativi delle milizie per operare il coordinamento «dell’intelligence e della logistica nella preparazione dei piani d’attacco contro la Novorussia». Oleg Lyasko (2), estremista e capobanda (la sua banda armata s’è fusa con il battaglione Azov) «falco» del Governo, annuncia una massiccia mobilitazione a Mariupol, una «fortificazione» della città per «difendersi dall’aggressore russo». «È l’epitaffio dell’Ucraina come Stato»: così il Generale Leonid Ivashov, oggi capo del Centro Internazionale per l’Analisi Geopolitica di Mosca, valuta la creazione di questo stato maggiore paramilitare separato. «Questa forza estremista, ben organizzata e ben armata, che dispone anche d’armi pesanti, finirà per distruggere lo Stato e la società. Questo Stato Maggiore paramilitare, dopo aver chiesto la dismissione degli ufficiali superiori dello SM, tenterà di sloggiare il comandante in capo. L’Europa potrebbe urtarsi ad una situazione simile a quella in cui è stato precipitato il Medio Oriente davanti alla minaccia caotica ed incontrollabile di Daesh». Green Greenwald (l’amichetto di Snowden) è d’accordo: paventa una «somalizzazione» dell’Ucraina, altri una sua riduzione alla Libia. Poiché gli americani hanno provocato questo sgretolamento di statualità ed hanno visto i risultati, il fatto che ora provino ad applicare il metodo all’Ucraina supera l’irresponsabilità per sconfinare oltre la delinquenza politica: in uno stato in via di deliquescenza, con una dirigenza e una amministrazione collassata, fornire armamenti ed addestramenti a ‘volontari’ del genere descritto significa, né più ne meno, voler creare un failed State (Stato fallito) nel cuore d’Europa, ai confini della Romania, Ungheria e Polonia. Gli USA, a distanza di migliaia di chilometri, possono infischiarsene. Ma quegli armamenti letali, missili anticarro per esempio, in mano a quelle che presto diverranno bande armate incontrollate in cerca di profitti per stare a galla nel crollo economico ucraino, possono raggiungere facilmente Berlino e Varsavia, Moldavia e Ungheria, dove i paramilitari nazi, una volta disfatti, cercheranno occupazione come pistole in vendita, o passando magari per le mani della delinquenza comune. Possiamo solo tremare all’idea di rapine a mezzi-portavalori a colpi di RPG o di Javelin, il missile anticarro da 2,5 chilometri di gittata ritratto qui:
L’ultima speranza è che Berlino – perché negli altri Stati europei non vedo che servile passività – pensi in tempo a sventare il delittuoso progetto americano — prendendo atto a questo punto che il nostro Alleato «vuole» crearci a fianco una piaga aperta, una Libia non separata dal mare. Più presto capiremo che il vero nemico è appunto il nostro alleato, più possibilità avremo di scampare.
1) Che siano stati gli americani ad ordinare l’assassinio di Nemtsov, un loro uomo ormai inutile, è più che possibile. Mi sembra insuperabile il ragionamento del blog Saker: «Se erano i russi a volere la sua morte, il valore di questo omicidio sarebbe nella sua invisibilità. Ma se fossero gli americani, il valore sarebbe nello spettacolo dell’assassinio stesso. E questo assassinio è carico di spettacolo». Dell’omicidio Nemtsov come di «uno spettacolo montato dall’Occidente per l’Occidente» ha parlato anche il deputato comunista Valery Fedorovich Rashkin. Il benemerito sito Washington’s a CIA, usato durante la sovversione anti-sandinista del Nicaragua, che raccomandava anche l’assassinio di personalità anti-sandiniste, di Contras filoamericani, «per creare martiri». 2) Lyasko è un criminale comune non privo di qualità: negli anni ’90 è finito in galera due anni per appropriazione indebita, è stato espulso nel 2010 dal partito Patria della Timoshenko, nelle cui liste era stato eletto parlamentare nel 2006, ha organizzato una sua milizia privata poi confluita nell’Azov. Amnesty International lo ha accusato di violenze, intimidazioni e sequestri di persona; ha sorvolato sui numerosi omicidi di cui lui e i suoi scherani si sono macchiati, perché passano come «operazioni anti-terrorismo». Tuttavia non è solo un delinquente: oratore incendiario, ex giornalista, con un seguito di ultra-nazionalisti — alle ultime elezioni ha raccolto 1,5 milioni di voti; è abile nell’accaparrarsi finanziatori importanti. «Lyashko è abituato a giocare sporco e sottotraccia. Nell’Ucraina di oggi, sconquassata dal conflitto nel Donbass e con il nemico russo bersaglio facile del populismo ultranazionalista, è diventato il catalizzatore per quell’elettorato che se fino a ieri aveva votato per l’estrema destra di Svoboda, adesso ha un’alternativa ancora più radicale» (Lettera 43, agosto 2014).
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