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I motivi per la guerra. Per Obama
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Anche The Economist, piano piano, ci è arrivato: profetizza che la guerra civile (ed incivile) in Siria non porta alla vittoria di un campo, bensì alla spartizione del Paese in tre zone: il Nord Est in mano ai kurdi, le rive dell’Eufrate in mano ai ribelli salafiti, e l’Est mediterraneo, sotto il controllo di Bachar Assad e i suoi alawiti. È esattamente la realizzazione del Piano Oded Yinon, enunciato sull’organo del Congresso Ebraico Mondiale Kivunim nel 1982 (1): la spaccatura di tutti i Paesi vicini secondo linee etnico-religiose. L’Economist ci fa persino una cartina:

Complimenti, giornalisti di Lord Rotschild. Non è nemmeno il caso di sottolineare che ai fanatici salafiti (i «nostri alleati») resterà il mano il medio corso dell’Eufrate, il fiume geopolitico di 2780 chilometri che nasce in Turchia, traversa Siria ed Iraq e porta 32 miliardi di tonnellate annue di acque essenziali per una zona semidesertica ma abitata, ed è già oggetto di dissidi fra i Paesi interessati. Che fatale e insperato seme di futuri conflitti intra-islamici, attentati, terrorismi, ingerenze ed interventi umanitari bellici!

Ciò spiega perché i sayanim Hollande, Kouchner e Bernard Henry Levy tanto strillano per lanciare la Francia in questa guerra, ed anche la decisione di Londra: l’impero britannico è o non è un «impero della mente»? Abilissimo a preparare ferite aperte geopolitiche da far sanguinare tra vent’anni o più.

Qui, i motivi si capiscono. Ma quali i motivi di Obama? Uno può essere la sua situazione interna. Nessun media italiano ne parla, ma Obama è «pericolosamente vicino all’impeachment», per usare le parole di Tom Coburn, senatore repubblicano dell’Oklahoma. Una marea di commenti sui giornali americani e soprattutto sulla rete ha reso «virale» il tema: Obama è da destituire? Uno dei collaboratori del presidente, David Axelrod, ha ammesso che il dibattito sull’impeachment è diventato «una sorta di virus che infetta i nostri ambienti politici e dovrebbe essere controllato».

Le menzogne sulle intercettazioni illegali della NSA da cui nessun cittadino americano si sente al sicuro, sono apparentemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sopportazione; e peggio, i tentativi di giustificarle legalmente, da parte di un presidente che è stato docente di diritto costituzionale ad Harvard. L’altra è stata la sporca faccenda dell’attacco islamico in Libia all’ambasciata di Bengasi, in cui ha perso la vita l’ambasciatore Chris Stevens: con retroscena sospetti di una operazione andata a male, che la Casa Bianca non ha mai voluto spiegare, e forse inconfessabili. Prima, c’è stato lo scandalo dell’agenzia delle entrate (IRS) scatenata a indagare fiscalmente sugli avversari politici di Obama, e specialmente gli esponenti del Tea Party; per non parlare delle telefonate di vari giornalisti dell’Associated Press che sono state spiate dall’Amministrazione. Le imputazioni di clientelismo, corruzione e insabbiamenti (cronysm corruption and cover-ups) ormai non si contano. La lista di fatti che, secondo le accuse, mostrano che «Obama has fundamentally abused the powers of his presidency and has done serious and impeachable injury to American society» è così lunga, che è impossibile citarli qui: chi vuole può prenderne una vista nel sito www.impeachobamacampaign.com/ o procurarsi il libro di Aaron Klein e Brenda Elliott, «Impeachable offenses. The case for removing Obama from office», che dicono abbia venduto 100 mila copie prima ancora di essere nelle librerie.

I nomi di questi due ultimi autori fanno capire che le punte di lancia della campagna anti-Obama sono i neocon ultra-israeliani, uniti ai super-fanatici del liberismo che accusano Obama di aver imposto un sistema sanitario poco meno che comunista, e agli ultrà che non gli perdonano i tentativi di limitare la libera vendita delle armi, ciò che si considera in Usa un grave attentato alla libertà personale. Ma anche esponenti politici moderati tendono a giudicare nell’insieme la presidenza Obama come «lawless» (irrispettosa del diritto) e Obama stesso un uomo di «dishonest and fraudulent conduct».

Tom Coburn
  Tom Coburn
Uno di questi moderato è appunto il senatore Coburn. Oltre ad essere amico personale di Obama, è anche il firmatario del rapporto della Commissione d’inchiesta del Congresso sulle cause della crisi finanziaria del 2007-8, dove non ha nascosto che la causa maggiore del crack era stata l’abolizione della legge Glass-Steagall e lo smantellamento delle regolazioni bancarie: il che lo etichetta come repubblicano molto ragionevole. Adesso però, Coburn s’è unito ad un movimento di parlamentari che reclamano – nientemeno – che una «riforma costituzionale», allo scopo di limitare i poteri di cui il presidente ha abusato. È in qualche modo ironico che dopo aver ingoiato il cammello della presidenza Bush jr. (l’orribile false flag dell’11 settembre, le guerre senza voto del Congresso, le armi di distruzione di massa di Saddam e la mancata caccia a Bin Laden), il mondo politico di Washington scoli quello che, al confronto, è un moscerino – o una serie di moscerini. Che evidentemente sono meno tollerabili se vengono da un afro-americano.

Proprio per questo, forse, Obama e i suoi consiglieri stanno valutando i vantaggi di un attacco alla Siria per la sua immagine: un presidente di guerra, che può apparire in video come «warmonger in chief», tradizionalmente risale nei sondaggi e rinsalda l’esecutivo e i suoi arbitrii. Una rapida «vittoria» può allontanare il pericolo di impeachment. Forse. Ma può anche aggiungersi all’elenco dei motivi d’accusa.




1) È il caso di riprendere quel che Oded Yinon, un giornalista ritenuto megafono non-ufficiale al ministero degli Esteri israeliano, scrisse: «La dissoluzione della Siria e dell’Iraq in aree distinte su base etnica o religiosa, come già avviene in Libano, è l’obiettivo primario di Israele sul fronte orientale. L’Iraq, ricco di petrolio da una parte, e dall’altra lacerato internamente, è certamente candidato ad essere preso di mira da Israele. La sua dissoluzione è per noi addirittura più importante di quella della Siria. L’Iraq è più forte della Siria. A breve termine, è proprio la potenza irachena che rappresenta la più grande minaccia per Israele. Una guerra tra Iran e Iraq frazionerà l’Iraq e causerà la caduta del suo regime interno. Addirittura prima che esso sia in grado di organizzare una lotta su un ampio fronte contro di noi. Ogni tipo di scontro inter-arabo sarà a nostro favore nel breve periodo e accelererà il nostro scopo più importante che è quello di frantumare l’Iraq in vari staterelli come in Siria e in Libano. In Iraq è possibile realizzare una divisione in province su base etnica o religiosa come avveniva in Siria durante l’impero ottomano. Così tre (o più Stati) si formeranno intorno alle tre principali città: Bassora, Baghdad e Mosul, e così le regioni sciite del sud si staccheranno dal nord sunnita e curdo».

«Capital must protect itself in every way... Debts must be collected and loans and mortgages foreclosed as soon as possible. When through a process of law the common people have lost their homes, they will be more tractable and more easily governed by the strong arm of the law applied by the central power of leading financiers. People without homes will not quarrel with their leaders. This is well known among our principal men now engaged in forming an imperialism of capitalism to govern the world. By dividing the people we can get them to expend their energies in fighting over questions of no importance to us except as teachers of the common herd». Taken from the Civil Servants' Year Book, “The Organizer”, January 1934.


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