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La Germania ha vinto la Grecia. Per nostra rovina, e sua
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Così, Berlino ha voluto stravincere. Sunteggia l’economista francese Berruyer: «La zona euro fa pagare ad Atene a carissimo prezzo il prolungamento dell’aiuto per quattro mesi». Appunto, con una precisazione mai abbastanza ripetuta: tutte le volte che si parla di «aiuto alla Grecia» si intenda: aiuto alle banche europee creditrici della Grecia, essenzialmente alle banche tedesche e francesi.

Per esempio, quando nel marzo 2012 l’Europa generosa concesse il «secondo salvataggio» alla Grecia, l’immane cifra 170 miliardi di euro, «l’80% di tali fondi è andato alle banche UE detentrici dei titoli di debito dello stato greco, non all’economia greca».


«Credo che chieda una proroga». «Nein!»


Si è sempre trattato solo di salvare le banche, di non far subire loro la perdita vera del loro cattivo investimento — se si può chiamare «investimento» l’aver prestato troppo, immensamente e colpevolmente troppo, ad un debitore povero come la Grecia. E con esse, si tratta di salvare l’intero sistema bancario europeo sostanzialmente insolvente, appeso ad un filo: l’illusione che il debito greco sarà pagato.

Il meccanismo, l’ha spiegato Zero Hedge: tutto il sistema finanziario è oggi fondato sul «collaterale»: le «garanzie» che le banche e gli speculatori possono dare per i loro affari speculativi. I Titoli di Stato (Buoni del Tesoro e simili) sono ritenuti dalla teoria finanziaria i più «liberi da rischio» (d’insolvenza), quasi come moneta sonante, e sono infatti moneta-debito «sicura» . Per questo sono la base che la speculazione dà in garanzia per le sue imprese ultra-rischiose: moneta-debito «solida» perché lo stato pagherà i suoi debiti e non fallisce, è la base su cui appoggiano speculazioni che sono – come disse Maurice Allais – debiti su debiti, uno sull’altro a montagne sovrapposte.

Sui debiti pubblici poggia, in ultima analisi, l’astronomico mercato dei derivati. Che misura, si ritiene, 700 mila miliardi di dollari (700 trilioni): ossia oltre dieci volte il Pil del mondo intero. E i titoli pubblici sono il «collaterale» che «garantisce» questa immane bolla, compresi i titoli della povera Grecia. Su cui poggia tutto il castello di fuffa e di bit.

I Bot sono collaterali

Cosa vuol dire «collaterale»? Vuol dire che la banca – un nome di fantasia, Duetsche Banke – dice al «mercato dei derivati»: signori, se qualcosa va storto, io posso pagare! Vedete, ho i titoli pubblici... della Grecia. Naturalmente nessuno (altro che la Grecia) può garantire la sua solvenza in una bolla che supera di dieci volte il Pil mondiale. Se quello scoppia, tutto il sistema finanziario viene nebulizzato come da bomba H: in un istante, il denaro non vale più niente, perché oggi – ricordatelo – la moneta è moneta-debito. Il suo «valore» è fondato sul presupposto che, mentre lorsignori speculano diventando miliardari, qualcuno nel fondo della scena paghi il suo debito (il suo mutuo, il suo fido, il suo prestito pubblico) lavorando e facendosi tassare. Per pagare i prestatori, ossia lorsignori. Che hanno «prestato», sia chiaro, moneta scritturale, da loro «creata dal nulla».

Adesso forse capite meglio che la vera domanda-incubo che ossessiona Bruxelles, Berlino e Francoforte, quella che fa perdere i sonni a Draghi, non è «come aiutare i greci che muoiono di fame», bensì questa: se Atene fallisce, «cosa accade degli scambi e transazioni che le banche UE hanno fatto usando i titoli pubblici greci come collaterale?».

Ora, bisogna sapere che le banche europee «funzionano a debito» persino più delle banche USA: queste ultime sono 20 a 1 (grossomodo: il capitale di altri a prestito è 20 volte il capitale proprio), le banche europee nel complesso sono «leveraged» 26 a 1. A questo livelli di «leva» finanziaria, «basta una riduzione del 4 per cento nei prezzi degli attivi per spazzare via interamente il loro capitale» (Zero Hedge). Quindi ogni riduzione dei valori dei Titoli greci – e non parliamo degli italiani e degli spagnoli e francesi che potrebbero seguire un fallimento ellenico – ridurrebbe il sistema bancario europeo ad un buco nero collassato e fumante come un cratere atomico.

Ora, riporto una recente informazione dal Wall Street Journal: «Grandi banche europee, fra cui Deusche Bank e Santander, verosimilmente non supereranno gli stress test disposti dalla Federal Reserve». Non passare questi stress test significa che le filiali americane di dette banche non potranno pagare dividendi ai loro azionisti all’estero; ma non è questo il peggio. Il peggio è che Deutsche Bank ha superato alla grande gli stress test disposti dalla BCE, dove i tedeschi – come si vede – comandano. Evidentemente stress test compiacenti.

La Deutsche Bank cova nella pancia derivati per 54,7 trilioni di euro – 55 mila miliardi circa – pari a venti volte il pur gigantesco Pil della Germania (2,7 trilioni), e ciò, secondo la FED, per cattivo governo e mancato controllo nella gestione del rischio. Non ha abbastanza capitale proprio in relazione alle sue avventure speculative.

Si capisce forse meglio perché l’opinione pubblica tedesca è aizzata concentrare l’odio sui greci «che hanno truccato i conti» e che «vivono sopra i propri mezzi», per cui devono essere «puniti» con l’austerità. Bisogna sviare l’attenzione della medesima opinione pubblica sulla condizione di bancarotta della loro banca più grossa e patriottica, che ha truccato i conti e che ha impegnato i depositi dei suoi clienti, i solidi e frugali lavoratori tedeschi, per 20 volte i loro mezzi, ossia il prodotto annuale della stessa operosa, solida e frugale nazione – modello morale per tutti i meridionali.

I greci sacrificati per Deutsche Bank


Si capisce anche l’inflessibile spietatezza dei Ministri tedeschi; non possono deflettere; e la mancanza di solidarietà mostrata dai Paesi del Sud, che hanno lasciato sola la Grecia: l’Italia ha dato 60 miliardi per «aiutare» Atene – in realtà per le banche tedesche e francesi – ed è legata allo stesso sporco trucco. La Grecia, oggi, coi suoi 11 milioni di abitanti, «deve» agli europei qualcosa come 340 miliardi (almeno la metà dei quali «aiuti» è stata costretta ad accettare da Germania e Fondo Monetario). Serve mantenere la finzione che il povero paesello sia solvibile, e che continuerà a servire il suo debito (ossia a pagare interessi ) su quei 340 miliardi, anche se per l’austerità imposta dai creditori, la sua economia è diminuita del -25% rispetto a cinque anni fa.

Tutti capiscono che è una finzione. Che, come disse Varoufakis qualche settimana fa, quando ancora poteva dire la verità, i creditori «hanno trattato un problema di insolvenza come se fosse un problema di liquidità», continuando a prestare liquidità ad un piccolo Paese insolvente che, se avessero accettato come insolvente cinque anni fa, sarebbe costato agli europei dieci volte meno di quei 340 miliardi. Adesso, la finanza e i governanti al loro servizio non vedono altra alternativa. Continuare la finzione, obbligare la Grecia ad essere solvibile ed accettare «gli aiuti». Perché ormai una svalutazione del debito greco farebbe 1) implodere un pezzo non grande, ma comunque significativo, dello sciagurato mercato dei derivati europei, gestito da banche operanti con leva 26 a 1. 2) Spagna, Italia e Francia avrebbero diritto ad un simile taglio del debito, o potrebbero reclamarlo: sono almeno 3 mila miliardi (3 trilioni) di collaterali «d’alta qualità» (o presunti tali) che si svalutano. Uno smottamento al disotto della piramide dei debiti uno sull’altro in equilibrio instabile. Impossibile.

Meglio che siano i greci a soffrire, anziché le banche. Che dico? Meglio siano tutti gli europei, tutti gli esseri umani in questa zona: anche i tedeschi, di cui 12,5 milioni sono a livello di povertà grazie alla deflazione, al controllo del valore della moneta voluto dai creditori.

E alla fine, io ne sono convinto, comunque la finzione non reggerà, e l’implosione avverrà.

La deflazione si aggrava, e non è affatto certo che il micro quantitative easing annunciato da Draghi funzioni. Anzi. Draghi ha promesso di iniettare 60 miliardi al mese nel sistema euro. Lo fa come lo concepiscono i banchieri, ossia comprando 60 miliardi al mese di Titoli pubblici europei. Il punto è che non li trova. Fatto paradossale: nel 2012, quando lanciò il primo LTRO, Draghi faticava a convincere la speculazione e gli investitori in generale, a tenersi i titoli europei. Oggi, non riesce a convincerli a vendere quei titoli alla BCE. Come mai?

È l’effetto della repressione finanziaria, degli interessi tenuti troppo bassi dalla Banca Centrale (da tutte le banche centrali occidentali).

Le banche comprano per lo più Titoli a breve termine come «cuscinetto» di liquidità; se li vendono alla BCE, sarebbero obbligati a reinvestire i soldi in altri attivi, tipo titoli ed obbligazioni private: sono Titoli per cui la regolamentazione della stessa BCE – al contrario dei titoli pubblici – obbliga le banche a mettere da parte riserve. Quindi, sarebbe un danno. Le assicurazioni e i fondi pensione, che comprano e possiedono titoli pubblici a lungo termine, hanno un simile problema. Sì, se vedono i loro titoli alla BCE in cambio di liquidità, ci guadagnano anche parecchio; ma poi dovrebbero reinvestire i soldi in altri titoli, il cui rendimento – grazie a deflazione, recessione e repressione degli interessi – è oggi molto inferiore a quello dei titoli oggi in loro possesso. Le assicurazioni e i fondi pensione devono avere un rendimento di 3,50-3,75 % ai loro investimenti finanziari per potere pagare i pensionati e i risarcimenti ai loro assicurati; ed oggi «ogni reinvestimento renderebbe lo 0,5%», come ha detto ai giornali Bart de Smet, ammministratore delegato dell’assicurazione belga Ageas.

Si aggiunga che – come esige l’ortodosssia monetaria ed impone il patto di stabilità – gli Stati si indebitano meno, ossia emettono meno Titoli — quei Titoli pubblici che le banche incamerano ghiottamente, per tutti motivi che sopra abbiamo visto. Se la BCE li vuole, questi titoli ormai rari, dovrà pagarli cari. Ciò ridurrà l’effetto inflattivo sperato dal QE, se mai qualcosa farà.

I Titoli pubblici? «Preferiamo tenerceli»; ha detto Antoine Lissowski, vice capo della CNP Assurances, francese, aggiungendo la conclusione: «La politica della BCE ha raggiunto i suoi limiti».

La politica della BCE ha raggiunto i suoi limiti, e con ciò la finzione. L’enorme baraccone truffaldino che devasta tutti noi. Come individui deboli e privati, cercate di capire cosa ciò significa. Vedete, per esempio, che i soldi che tenete in banca vi danno un interesse negativo. Se li tenete sotto la mattonella, almeno, l’interesse è «solo» zero. Detenere oro, vi dicevano, non serve: l’oro non da interessi, e la sua conservazione (per esempio in cassetta) è un costo. Giusto. Esattamente come tenere i soldi in banca. Con la differenza che, nel caso d’implosione monetaria, l’oro si rivaluterà, mentre il vostro deposito in banca sarà vaporizzato.

Se si guarda invece all’Europa e all’interesse comune, è la Grecia che oggi ha interesse ad uscire dall’euro. Lo ha detto persino il vecchio Giscard d’Estaing, che dell’euro è stato un massonico creatore: «La Grecia non può risolvere i suoi problemi, oggi, se non ritrovando una moneta svalutabile».

Questi grandi vecchi diventano di colpo sensati, quando non hanno più il potere... Giscard auspica un’uscita «in maniera ordinata, un’uscita in spirito d’amicizia». Ed è questo l’impossibile. Proprio il fatto che alla Grecia «conviene» in teoria uscire, obbliga i poteri inumani a dimostrare che l’uscita sarà un fallimento, una rovina, la morte... per ammaestrare agli altri, tentati dal riprendersi una moneta svalutabile.

Gliela faranno pagare, le imporranno sanzioni, punizioni e discipline. Tutto perché viva Deutsche Bank.



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