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Se non usciamo dall’Euro(pa) facciamo la fine dei topi
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Anzitutto una domanda: dove siete finiti, pacifisti? Girotondini? Arcobaleni? Popolo viola, o come cavolo vi facevate chiamare? Dovreste essere tutti in piazza a protestare. Non so se avete letto le notizie: «Kiev, la NATO prepara le truppe - Esercitazione anche con l’Italia - Un’esercitazione su larga scala con centinaia di militari di nove paesi, tra cui l’Italia, è cominciata martedì tra Polonia, Germania e paesi baltici. È un’esercitazione multi-nazionale su larga scala e coinvolge centinaia di veicoli, aerei e soldati da nove diversi Paesi». Ha luogo in Germania, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. All’esercitazione, oltre a militari dei Paesi in cui si svolge, partecipano anche forze statunitensi, canadesi e truppe d’assalto italiane».

Truppe d’assalto italiane, capite? Mandate provocare la Russia demonizzata con falsissime accuse (l’abbattimento del volo MH17, ad esempio), mandate a «difendere gli alleati baltici», quei paranoici che con i polacchi hanno dei conti da regolare con Mosca, a proteggere l’Ucraina che su istigazione americana ha subìto una sconfitta catastrofica dai «ribelli» filorussi, e la cui giunta ha bisogno della fuga in avanti bellica, con la protezione NATO per recuperare. Dovreste essere tutti in piazza a protestare, a vociare, a sventolare arcobaleni. Il pericolo di guerra è reale e imminente.

I guerrafondai nella NATO e nella UE hanno fretta: fra un mese Anders Fogh Rasmussen dovrà cedere la poltrona a di segretario NATO al norvegese Jens Stoltenberg, che è di tutt’altra pasta e sa cosa pensare delle provocazioni USA (era Primo Ministro laburista quando il “nazista” Breivik ammazzava 69 membri giovanili del suo partito nell’isola di Utoya, 2011); è per questo che Rasmussen si affretta a creare un corpo d’intervento rapido, una ridicola forza di 4 mila europei, buona giusto per provocare la scintilla e incastrarci in un conflitto maggiore, sotto falsi pretesti.

Vi siete almeno chiesto che cosa farà l’Italia se scoppia la scintilla della guerra? Scendete in piazza e gridate: «No alla NATO! No alla guerra!». Ai bei tempi del PCI lo facevate. Oggi avete più ragione che mai, perché l’Ucraina non essendo (ancora) un membro della NATO, l’Italia non ha alcun obbligo automatico di intervento in sua presunta «difesa». Non occorre dunque «uscire dalla Nato», basta esigere dai nostri politicanti di dichiarare la non-belligeranza, la neutralità in questo scontro artificioso, che ci ha già danneggiato economicamente. Se non scendete in piazza, se non scendiamo a protestare, quelli vanno avanti. Solo una massiccia protesta popolare può, forse, frenarli. E voi dove siete, pacifisti?

Ma cosa sto dicendo: italiani in piazza? Solo per qualche causa abietta come il calcio. Subiamo da otto anni una depressione che fa impallidire quella del ’29; che si accelera sicché negli ultimi cinque anni abbiamo avuto tre recessioni consecutive, perso 15 punti di Pil, i giovani disoccupati al 40% – e una burocrazia odiosa, dispotica e ricca, e tre Governi che ci sono stati scelti da altri – e non c’è un accenno di protesta di massa. Passivi come agnelli (o come capponi) ci lasciamo macellare uno ad uno, licenziati, falliti, suicidi... nessuna idea, nessun coraggio, nessuna unità civile.

I soli che protestano sediziosi sono gli statali – vogliono l’aumento, mentre tutti noialtri abbiamo avuto i tagli o la disoccupazione: avranno l’aumento, a nostre spese. Bisognerebbe almeno incendiare le sedi dei media che adulano Draghi, che bravo, ci ha salvato, invece ha dato il solito regalo alle banche...

Dovevamo uscire dall’euro tre anni fa almeno. Invece, ci siamo stretti a questa moneta straniera tremebondi, vilmente convinti che ci portasse chissà quale «stabilità». Per anni abbiamo sopportato le devastazioni di una cura che – ora si capisce – veniva da una diagnosi sbagliata: gli eurocrati di Bruxelles e gli autocrati tedeschi hanno voluto curare un problema di basso livello di produttività, dovuto secondo loro alla mancanza di «riforme», laddove l’Europa soffre di una mancanza strutturale di domanda. Sicché questi medici da Lager, allo stitico, hanno ordinato anti-diarroici, astringenti potentissimi: e quando il malato ha preso a torcersi per il blocco intestinale, l’hanno anche insultato: «Vivete sopra i vostri mezzi, fate i compiti a casa».

Sono gli stessi medici da Lager che tengono la moneta euro vantaggiosamente sottovalutata per loro, ma spaventosamente sopravvalutata per noi italiani e per tutti i «periferici»: sopravvalutata del 30% sopra il marco se esistesse ancora, sopravvalutata del 40% sul resto del mondo. E i pannicelli caldi di Draghi non cambiano questo dato di fondo: noi europei del Sud sperimentiamo una crisi monetaria come se dovessimo indebitarci in una moneta forte straniera. La stessa crisi che provò l’Argentina quando agganciò la sua valuta al dollaro, ma molto peggiore – di tanto quanto l’euro è più «forte» del dollaro. Al fondo di questa crisi, sarà non tanto la bancarotta (magari!), bensì la fine del topo.

Sotto la cura tedesca, l’intera Europa ha cessato di crescere nelle ultime settimane. Per l’Italia è la crescita negativa (la terza recessione), con inflazione dal -1,6 negli ultimi quattro mesi; ma anche il Belgio è in deflazione (-1,5%), la Spagna è a -1%, la Francia -0,4. Persino la Germania ha subìto una contrazione. Berlino adesso capirà, correggerà la cura, ci hanno detto il Governo e i media... sì, proprio. Nega l’esistenza della deflazione perché, su scala euro, c’è ancora un’«inflazione dello 0,3». Berlino impone alla BCE di violare il suo stesso statuto che le impone un’inflazione del 2%, e noi non alziamo la voce. Noi che, come gli altri del Sud, in deflazione siamo già in pieno: altro che +0,3, noi siamo a - 1. Presto saremo a -3, e dovremo aspettare che la Germania si convinca – campa cavallo – mentre noi facciamo la fine del topo.

In Giappone, negli anni ’90, parlarono di «dis-inflazione». E ci vollero quattro anni perché la «disinflazione» (presunta benefica) diventasse deflazione conclamata. Anni in cui lo Yen si rafforzava trionfalmente, e in cui la Banca Centrale nipponica negava il pericolo, fino a che fu tardi.

È esattamente la situazione in cui si trova l’Eurozona oggi. L’euro è troppo forte; è un bene, dicono i cretini e i disonesti. Quando si dice che è «troppo» forte? Quando lo si valuta rispetto alle prospettive di crescita del Pil (negative per noi) e l’aumento della produttività (sotto-zero). Per di più, è reso fortissimo da un attivo della bilancia dei pagamenti i 200 miliardi: un attivo che gode quasi solo la Germania grande esportatrice, e di cui tutti gli altri Paesi non vedono niente, anzi soffrono dello squilibrio. Il danno è aggravato dal restringersi del bilancio della BCE dovuto alla restituzione del trilione (mille miliardi) prestato alle banche a tasso ridicolo e che vanno restituendo, e la ripianamento dei LTRO precedenti: cosa che equivale a ridurre la massa monetaria circolante, dunque a peggiorare la deflazione.

In questa situazione ci hanno imposto di «fare le riforme», ossia di tagliare il costo del lavoro, flessibilità competitività, austerità eccetera. Esattamente la cura peggiore del male, perché – ora si comincia a vedere appena – il problema è appunto la mancanza di domanda in Europa. Mancanza strutturale, ossia incastrata nei fondamentali, invecchiamento della popolazione, arretramento generale dei livelli di vita e delle prospettive e speranze, oltre che un enorme monte di risparmi tenuto in banca come sotto il materasso, proprio a causa della deflazione (i vecchi risparmiano più la moneta è «forte» e più i prezzi scendono, sperando in ulteriori discese).

Il crollo dei consumi interni è un problema molto più fondamentale delle «riforme». Eppure in questi anni si è lasciato che la BCE restringesse i suoi bilanci (sottraendo circolante) e lasciasse rafforzare l’euro verso tutte le monete del mondo – il mondo che simultaneamente si impegnava nella svalutazione a mitraglia: USA, Giappone, Regno Unito, persino Norvegia e Svizzera che non avevano nessuna intenzione di far diventare le loro valute delle «monete-rifugio».

Ciò mentre per ridurre il deficit di bilancio al sacro 3%, venivano imposte le varie austerità. In Italia, il problema specifico è che le austerità sono state imposte al popolo lavoratore dai parassiti pubblici, che per sé nessuna minima austerità si sono imposta. Ma in altri Paesi come Spagna, Portogallo e Grecia l’austerità è stata applicata con dura onestà, con tagli salariali agli statali, e il risultato è peggio che zero. In Grecia la disoccupazione non fa che aumentare, e diventa anch’essa strutturale.

Lo scopo della «cura» veniva perfino dichiarato: indurre la «svalutazione interna» nei Paesi deboli d’Europa. Svalutazione interna significa: non vi lasciamo svalutare la moneta, dunque svalutate il vostro lavoro, le vostre paghe. Così diventerete competitivi come noi, i tedeschi e a forza di ridurre le buste-paga, vedrete che anche i prezzi caleranno, e sarete tutti felici. Felici come noi nordici.

È, come dicevamo, il contrario della cura da suggerire se la diagnosi non fosse stata volontariamente sbagliata, se si fosse diagnosticato per tempo il calo dei consumi come problema principale. Invece ci hanno dato la medicina sbagliata, la chemioterapia, per due anni in tutta Europa, mentre tutti gli altri nel mondo facevano l’opposto.

La svalutazione interna ci è stata imposta, a noi periferici, come una deliberata forma di deflazione, quale già è. Fosse almeno stata congiunta ad una politica attiva della Germania per livellare gli squilibri nell’euro-zona. Ma cosa andate a pensare, che la Germania contribuisca? Il braccino dell’obeso maestro di scuola è corto, e poi la UE mica è una comunità di destino. Ci detestiamo ogni giorno di più, e i forti fanno di tutto per fregare i deboli.

Sicché il male – la deflazione – non è rimasta confinata ai deboli. Sì, noi ne soffriamo di più e prima, ma adesso è metastatizzata anche tra i forti ed obesi. Il Pil tedesco è fermo. Ovviamente, le del tutto inutili guerre commerciali e le sanzioni contro la Russia lo faranno aggravare – ma consentiranno alla Germania di sfuggire alla realtà, ossia che Berlino ha sbagliato e ci porta alla rovina. Tutte le previsioni di crescita vengono limate, si rivelano false, ottimistiche fino al delirio: è anche questo effetto della deflazione solidamente insediata.

Alcuni (i creditori) proclamano che la deflazione non è poi male; il potere d’acquisto di ogni singolo euro si rafforza, chi ha crediti li vede sempre più ingrossare... Il problema è dall’altra parte, dei debitori. Dei Paesi come l’Italia. Il Pil che non cresce rende impossibile ridurre la disoccupazione; figurarsi il Pil che decresce. Contemporaneamente, il rapporto debito/Pil peggiora: perfino se si taglia la spesa pubblica all’osso, siccome il Pil decresce, matematicamente il rapporto del debito col Pil aumenta. Per questo fatto matematico l’Italia vede aumentare il debito sul Pil, sarà al 140% a fine anno, nonostante l’austerità e l’avanzo primario del 2% sul Pil (ossia prima di aver pagato gli interessi sul debito, la nostra spesa pubblica è attiva).

Nello stesso tempo, la deflazione che soffriamo noi più degli altri rende troppo alti gli interessi sui fidi e mutui: chi chiede un prestito, in Italia deve pagare un tasso reale di 2% superiore a alla Francia e del 2,5% rispetto alla Germania. Capite anche voi che questo strangola ogni speranza di ripresa economica ed acquisto di competitività rispetto alla Germania, anche se abbassiamo i nostro salari a 500 euro; per questo dico che se non usciamo dall’Euro, facciamo la fine del topo.

L’inflazione zero (ancor più sottozero) è la condanna a morte per i Paesi indebitati. Si stima che l’Italia dovrebbe avere un surplus primario dell’8% del Pil (anziché l’attuale 2%) ad inflazione zero per stabilizzare il suo debito pubblico in rapporto al Pil, ossia solo per non farlo salire. La Spagna che ha fatto le riforme dovrebbe avere un avanzo primario del 2%; invece attualmente ha un disavanzo primario di -1,44.

Ciò significa che per farci «stabilizzare» il debito, ci imporranno più gravi austerità, altri tagli salariali (svalutazione interna) oltre a quelli in corso, e di conseguenza meno spese per i consumi, da cui meno investimenti da parte delle imprese, che avranno come risultato più disoccupati, meno salari e ancor più bassi, ancor meno consumi – nel circolo vizioso invincibile che è proprio delle tragiche deflazioni.

Ve lo dico da adesso: in Italia, il salario medio dovrebbe essere decurtato del 30-40% per avvicinare il nostro lavoro in competitività a quelli dei tedeschi. Anzi, siccome anche in Germania l’inflazione sta diventando negativa, la salita per noi si fa più erta, dobbiamo tagliare ancora i salari: 45% basterà? O il 55%?

La misure prese dalla BCE, la limatura ai tassi ormai ridicoli, promesse di acquisti di titoli che praticamente non esistono (ABS) e regali alle banche, non servono ad aumentare la domanda nell’economia reale – che è lo scopo che ci si deve prefiggere, e sùbito, presto, prima di finire come topi. Anche indebitarsi a zero che cosa serve? Nessuno vuole più indebitarsi, la crisi della domanda e dei consumi avanza, «il cavallo non beve» (e inoltre in deflazione, i tassi zero sono ancora troppo alti, proibitivi). Serviranno forse al nostro export – ammesso che abbiamo ancora Paesi desiderosi o possibilitati ad importare quel che noi vendiamo: la Russia non può più, i nostri maledetti politici hanno aderito alle sanzioni contro Mosca.

Chiaramente, la Germania ha «vinto ancora una volta», vietando ogni rilassamento delle politiche di austerità, imponendo i suoi interessi (sarà lei che respirerà di più). Come ogni volta, la Germania ha vinto.

E noi restiamo nell’euro, invece di uscirne e svalutare, e non pagare più gli interessi sul debito (o pagandoli i neo-lire svalutate). Le nostre sirene mediatiche ci ripetono che l’euro ci conviene sempre. Davvero?

Una delle cose che ci dicevano quando ce lo imposero, fu: l’euro farà crescere a livelli fantastici l’interscambio fra i Paesi che condividono la moneta unica; i nostri affari intra-europei cresceranno alle stelle. Saremo tutti ricchi.

Guardate adesso questa tabella, che smentisce questa menzogna



Il commercio intra-euro è calato negli ultimi dieci anni. Non è salito, è sceso. Sceso al livello di quando l’euro non c’era. E sì che allora, quando ci si scambiavano beni nelle varie monete, l’interscambio addirittura saliva. Negli anni ’80, saliva perfino dell’8%. Con l’euro, contrariamente alle promesse e alle bugie, l’interscambio ha cominciato a scendere. La prova finale che si stava meglio quando si stava peggio, che l’euro è la rovina.

È un’altra «vittoria» tedesca, questo calo. A forza di vincere, come sempre, in modo ricorrente, perderà. Perderà l’intera Europa. Forse l’anno prossimo, il FN in Francia, l’UKIP in Gran Bretagna faranno finire i Governi europoidi attuali, quelli delle chiappe aperte, della servitù volontaria e dell’accettazione del dominio?

Forse, ma non da noi, dove nessuno scende in piazza e protesta; e dove abbiamo accettato un Mario Monti, un Letta , un Napolitano senza scendere in piazza e incendiare le sedi dei giornali... Forse fra un anno. Ma fra un anno, credetemi, saremo tutti morti.

Come topi.




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