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In Siria, l’Islam fa bancarotta
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Mentre Washington deve accettare un Assad ri-legittimato al tavolo delle trattative dove consegnerà i suoi arsenali di sarin e si sottoporrà volontariamente ai trattati anti-armi chimiche, che cosa fa il fronte della cosiddetta opposizione favorita da Washington? Si sgretola, si spacca, e nelle aree della Siria che hanno «liberato», i ribelli si sparano ferocemente a vicenda. Tredici maggiori brigate di ribelli hanno rifiutato l’autorità del Syrian National Council (il governo in esilio, ospitato dalla Turchia e mantenuti dagli americani) e si sono unite in una Unione Islamica che dichiara di voler instaurare, nella Siria «liberata», non la «democrazia», ma la sharia. Il guaio è che tre formazioni islamiste ritenute «pragmatiche», e in qualche modo centriste fra l’opposizione «democratica» e quella estremista (Liwa al Tawheed, Liwa al Islam e Suqor al Sham) hanno buttato la maschera e si sono schierate coi salafiti duri e puri, il cosiddetto Fronte al-Nusra (nella propaganda occidentale, Al Qaeda: ossia pagato dai sauditi e dalla Cia) indebolendo le posizioni del nucleo detto moderato.

Per la strategia americana, è un disastro: non hanno nessuno da presentare come «opposizione democratica» al negoziato Ginevra II, dove si siederà Assad affiancato dai russi. Nessuno di presentabile. Il segretario della NATO, Anders Fogh Rasmussen, non ha potuto nascondere il suo dispetto: «A dirla tutta, il problema è che l’opposizione conta gruppi estremisti e terroristi, e ciò ovviamente indebolisce la sua posizione negoziale», ha detto in un’intervista a McClatchy. Un ex analista di alto livello dell’intelligence americano che oggi insegna alla Georgetown University, Paul Pillar, ha detto: «Quelli avrebbero più che diritto a una sedia (nel Ginevra II) ma per la loro odiosa ideologia ed altre ragioni, sono gente che l’opinione pubblica americana non vuol vedere al tavolo». Fra le «altre ragioni» sono probabilmente compresi i video dove capi dei ribelli mangiano cuori di soldati uccisi, o trucidano soldati regolari presi prigionieri: video che la censura non ha potuto soffocare, e indeboliscono alquanto la narrativa per cui, in Siria, c’è una lotta di un popolo amante della libertà contro il mostruoso dittatore Assad, che lo gasa. Attualmente, la Armata Libera Siriana (capeggiata dal generale disertore Salim Idris, e «moderata») ha dovuto smettere di combattere contro l’esercito del regime perché sta combattendo contro brigate islamiste, come quella che si autonomina «Stato Islamico di Iraq e Levante»; e gli islamisti sono i più forti; amare di più i «moderati», per gli americani, comporta il rischio che tali armamenti finiscano poi nelle mani di Al-Nusra…

Quella che troppo generosamente i media hanno chiamato «Opposizione» si manifesta come una disarticolata cricca di fanatici religiosi, mercenari e terroristi, che per di più sta implodendo nel sangue fratricida, dimostrando di fronte al mondo la sua incapacità di cooperare al proprio interno , e dunque la sua indegnità come classe dirigente. Altro che il Califfato d’oro, che questi proclamano di voler instaurare: non sanno nemmeno restare uniti sotto il fuoco nemico. La loro azione s’è bruciata in inutili e gratuite crudeltà contro le minoranze cristiana e alawita, esecuzioni per odio religioso, devastazioni immani che hanno fatto fuggire un terzo della popolazione, terrore, criminalità pura. Per esempio, i numerosi sequestri di persona a scopo di estorsione, commessi da questi eroi di Allah: fra cui 150 donne e bambini rastrellati da Al-Nusra in 11 villaggi alawiti sopraffatti dai ribelli il 4 agosto. L’organizzazione dell’intrepida suor Agnes Mariam della Croce stava cercando di far liberare questi civili, di cui i ribelli inizialmente chiedevano un riscatto; poi però, questi poveretti sarebbero stati usati come «vittime dell’attacco chimico del regime»: i parenti li hanno riconosciuti, cadaveri, nei video diramati dai jihadisti per documentare il crimine – che evidentemente sono stati loro a compiere. (Il massacro di Ghouta: un false-flag realizzato con ostaggi rapiti)

La scia di sangue continuerà chissà quanto, perché questi sono pieni di soldi e di armi, e ormai non hanno alternativa se non formare bande di signori della guerra occupanti loro feudi, alla libica o alla somala. Possono creare una quantità di altre tragedie, per esempio opponendosi con le armi al lavoro degli addetti Onu per prendere possesso degli arsenali chimici di Damasco. Ma una cosa è certa: il «loro» Islam è fallito. Ed è fallito proprio come progetto politico, la creazione di una comunità dove il diritto religioso è il diritto civile, la Sharia.

L’Islam politico che questi nutrono nelle loro teste squilibrate, s’è mostrato indegno del potere, un turpe residuo barbarico e cannibalesco, immeritevole di governo. E si è dimostrato tale non a noi occidentali «infedeli», bensì agli occhi atterriti delle popolazioni musulmane ed arabe.

La bancarotta politica e morale (nonché intellettuale) dei Fratelli Musulmani in Egitto è addirittura storica. Pensateci: da un secolo questo movimento aspirava al potere e vi si preparava, formandosi una solidissima base sociale con le sue attività caritative. Finalmente, la rivolta popolare contro il regime Mubarak. La Fratellanza non vi partecipa, annusandone la natura libertaria più che islamista; ma poi ne approfitta, e siccome è il solo partito già organizzato, vince facilmente le elezioni. Lo fa, tra l’altro, promettendo ampia partecipazione al nuovo governo delle altre forze. Invece hanno occupato tutti i posti coi loro militanti (come minimo mediocrissimi, se non semi-terroristi), hanno cercato di passare una costituzione «islamista», hanno negato in ogni modo il pluralismo; hanno perseguito giornalisti che li criticavano, hanno lanciato la loro piazza contro sciiti (vi sono stati linciaggi), hanno bruciato o lasciato bruciare chiese copte, e che giovani cristiane venissero rapite, convertite a forza e sposate a forza a musulmani; frattanto, incapaci di governo dell’economia, hanno aggravato tuti i problemi egiziani. Come ha scritto un commentatore, «hanno voluto governare come un’opposizione settaria, non come un’autorità politica, che unisce e non divide come principio di buon governo». Si sono dimostrati un tale grumo di settarismo, oscurantismo e inettitudine, di violenza corpuscolare e di arretratezza mentale, che la stessa popolazione egiziana – di cui tanti che li avevano votati – ha invocato l’intervento dei militari per mettere fine al «governo musulmano». È innegabile che per chiedere le dimissioni di Morsi, sono state raccolte in poche settimane 22 milioni di firme. E il 30 giugno, a gridare «Morsi vattene!», sono stati 14 milioni di egiziani, la più grande manifestazione della storia del paese. E il 72% degli egiziani, secondo i sondaggi, è stato d’accordo con la messa fuorilegge della Fratellanza.

In un solo anno di «governo», i capi dei Fratelli Musulmani sono riusciti a disgustare l’Egitto degli islamisti. Complimenti, bel risultato politico.

La stessa revulsione sta provocando in Tunisia il dominio degli islamisti di Ennahda. Se ne parla meno, essendo il Paese piccolo e poco influente. Ma vale la pena di ricordare che a febbraio è stato ammazzato il capo del partito d’opposizione «Patrioti Democrarici Uniti», Chroki Belaid, che aveva denunciato l’occupazione del potere da parte degli uomini di Ennahda; in risposta, c’è stato uno sciopero generale e manifestazioni di massa di protesta contro questo assassinio, di cui gli islamisti al governo sono tenuti i mandanti: avevano dichiarato Belaid «empio», dunque eliminabile. Adesso esplode lo scandalo delle ragazze tunisine – alcune solo tredicenni – mentalmente plagiate da imam salafiti, e poi spedite in Siria per soddisfare i bisogni carnali dei «guerrieri di Allah», con la promessa di raggiungere il paradiso se si davano agli eroi. Adesso queste ragazzine tornano, incinte e traumatizzate da infinite violenze, e raccontano alle famiglie agghiacciate le loro storie: prima di ogni atto sessuale venivano «sposate» all’uomo che le avrebbe violentate, e il matrimonio veniva sciolto subito dopo, onde potessero «sposarsi» col prossimo cliente...perché dietro questo sacro orrore si intravvede un business della prostituzione organizzata da mafie, e grosse somme che passano fra imam islamisti e trafficanti di carne. Adesso un deputato di Ennahda , Habib Elluz, ha proposto l’adozione di Stato per i figli nati da queste poverette, esaltate come jihadiste sessuali. (Tunisie: Ennahda adoptera les enfants nés du "djihad sexuel" des Tunisiennes en Syrie)

Elluz è lo stesso parlamentare che, nel marzo scorso, ha proposto di introdurre nel Paese l’escissione (l’ablazione del clitoride nelle bambine) come «chirurgia estetica» , producendosi nella seguente spiegazione: l’ablazione «nei climi caldi evita la puzza della femmina e le permette così di non disgustare l’uomo». Si noti che mai in Tunisia i musulmani hanno praticato l’escissione, costume africano non coranico (il che conferma che questi islamisti sono ignorantissimi del Corano, oltreché ossessionati dal sesso). (Pour Ennahda, l'excision c'est beau c'est bon!)

Luridume morale, ipocrisia, bieca persecuzione di avversari politici, di professori universitari trascinati in giudizio da studentesse in niqab, giornalisti che devono lasciare il Paese dopo aver criticato il regime, resistenze che si dimostrano nella magistratura e fra gli alti ufficiali. Recentemente il generale Rachid Ammar s’è dimesso denunciando la volontà di Ennahda di occupare i posti nello Stato Maggiore, e profetizzando «la somalizzazione della Tunisia». Se gli islamisti tunisini riescono a tanto, ancora una volta complimenti per la loro riuscita politica come governanti. Del resto, si ispirino pure alla vicina Libia, «liberata» dalla Nato dal regime di Gheddafi e lasciata in mano agli islamisti che si sono serviti degli arsenali gheddafiani, ed hanno stabilito il «loro» ordine: nessuna sicurezza, nessuna stabilità, assassinii e corruzione a livelli mai visti; e quanto agli introiti del petrolio che mantenevano gli abitanti, sono praticamente a zero per l’instabilità che provocano le bande islamiste armate.

Dovunque si volga lo sguardo, l’islamismo fondamentalista sta provocando il rigetto delle popolazioni, o almeno della parte più moderna, istruita, avanzata e pluralista di esse – che è anche la più necessaria per governare – e sempre per lo stesso motivo: perché esclude invece di includere, perché è mossa dall’odio invece che dalla generosità, perché pretende di cancellare la modernità che non è passata invano nelle società musulmane, fra le quali nasce una resistenza agli eccessi di passatismo integralista. Ciò avviene nella Turchia del «moderato» Erdogan, che si manifesta sempre più come un bizzoso tiranno, come nella Siria: dove il comandante della Brigata Al Faruk, Khalid al Hamad, non solo ha eviscerato un soldato dell’armata di Assad strappandogli il cuore e il fegato: ma ha voluto farsi riprendere durante l’orribile operazione, gridando: «Giuro davanti a Dio che mangeremo i vostri cuori, soldati di Bashar! O eroi, massacrate gli alawiti e strappate i loro cuori per mangiarli!».





Il fatto che questo islamista si vanti del suo atto e l’abbia voluto rendere pubblico, significa che non capisce una cosa elementare: che il video che ha voluto diffondere (come i tanti video di esecuzioni «sacre» che ci giungono dal fronte salafita) è una enorme pubblicità a favore del regime di Assad, e della sua continuazione. Meglio lui, che questi mostri. Per eliminare tali ripugnanti ed odiosi sanguinari dementi, persino l’uso dei gas nervini appare giustificabile...

«È peggio di un crimine, è una idiozia»: così Talleyrand bollava l’inettitudine politica. Per la politica, i crimini non sono gravi, lo diventano se sono inutili: un errore che non si rimedia. In Siria, la barbarie ha divorato il cuore della rivoluzione, ha scritto qualche giornalista. Costoro hanno trascinato Allah nei loro gratuiti eccidi, nei loro false flag e nelle loro intestine fazioni, nel nome di Allah hanno violato le ragazze tunisine, sequestrato per riscatto e ucciso come «idolatri» cristiani e sciiti. Hanno fatto alla loro fede proclamata il più grave danno, mostrandone il fondo odioso e intollerabile, insostenibile nella modernità.

Fino al punto che l’osservatore deve concludere che ad essere inumano e fallito non è l’islamismo salafita, ma l’Islam in quanto tale: di cui costoro hanno solo dimostrato, portato alla luce, la radice assassina e ipocrita. Pare proprio che nella «religione» islamica, nessun’altra forma di governo sia possibile se non il dispotismo, l’arbitrio e l’esclusione settaria, che fa dei non-musulmani cittadini di serie b nei casi migliori, e nei peggiori, degli «idolatri» da assoggettare a pogrom.

L’Islam politico ha dimostrato, in Siria come in Egitto, in Libia come in Turchia, la sua inadeguatezza: «inadatto a comandare», unfit to lead, come dicono gli inglesi. Costoro non sono ancora giunti al primo livello del pensiero politico, ossia che il comando è la chiamata cordiale a genti diverse a fare qualcosa di grande insieme, ossia il contrario della divisione settaria che esclude gli altri; e che la sola scimitarra, ossia il terrore, non «comanda» mai: può opprimere e mettere a tacere per un momento, ma appena la pressione del terrore si solleva, il suo comando scompare.

L’impero Ottomano cominciò coi massacri alla turca, e finì come impero multinazionale relativamente tollerante, permettendo i culti religiosi, associando al potere reale ebrei e cristiani, evitando ogni odio fra sciiti e sunniti, concedendo ampie autonomie ai territori lontani. Anche allora, tuttavia, i dignitari della Sublime Porta potevano esser decapitati ad arbitrio del sovrano; e costui, appena salito sul trono (il Divano) si affrettava a far sterminare tutti i fratellastri, che suo padre aveva generato con le donne dell’harem, onde non avere concorrenti; con ciò, viveva nel terrore di avvelenamenti e rivolte di palazzo fra gli eunuchi di corte... Si intravvede qui la falla fondamentale della fede coranica: non distinguendo fra Cesare e Dio, non conosce diritti alla persona. Quanto a Dio, «ha fatto il fuoco caldo ma poteva farlo freddo»: è un despota divino di cui è inutile indagare i motivi; la sua Onnipotenza consiste nel suo arbitrio, indiscutibile. E il potere terreno si modella su quello.

Per parecchio tempo ormai islamisti, salafiti o Fratelli Musulmani, hanno avuto la loro opportunità. E cosa hanno ottenuto? Proviamo un elenco dei loro successi:

Sacrilegamente, hanno aggravato la fitna, la frattura fra sciiti e sunniti. Che cos’è il loro jihad? Invece di combattere gli infedeli, hanno definito infedeli gli altri musulmani, e procedono ad eliminarli.

Hanno disarticolato i Paesi musulmani secondo linee etnico-religiose, ossia sono stati loro a compiere il programma delineato dagli strateghi israeliani fin dagli anni ’80. Hanno servito gli americani, i francesi, gli inglesi, insomma i colonialisti storici. Hanno diffamato l’Islam stesso agli occhi del mondo, con le loro atrocità, ipocrisie, passatismi.

Guerrieri islamici, infami, non hanno mai combattuto Israele per liberare gli assediati di Gaza. Non si sono mai fatti promotori dei diritti dei palestinesi.

Delitto forse peggiore sul piano politico, hanno soffocato le possibilità positive nelle rivolte arabe (le «primavere»), sequestrandole per un progetto retrivo fino all’idiozia, il Califfato islamico – che è irrealizzabile, e che nessuno vuole «da loro», i mangiatori di fegati.

In questo soffocamento hanno eseguito il mandato della monarchia saudita, e degli emiri del Golfo suoi satelliti: subito hanno visto nelle rivolte arabe contro i despoti laici, un pericolo: la diffusione di idee di libertà, che sarebbero la fine per le loro dinastie corrotte e accaparratrici. Da qui il sostegno che hanno dato, con miliardi di dollari ed appoggio mediatico totale (Al Jazira), ai salafiti nelle elezioni in Tunisia e in Egitto. Il regno wahabita ha sborsato miliardi per far abortire la rivoluzione popolare in Yemen; ha mandato truppe per soffocare nel sangue l’insorgenza del Bahrein contro il caporione locale; s’è infiltrata nella ribellione libica, favorendo i peggiori fanatici. Come sappiamo, ha fatto lo stesso in Siria, pagando ed armando terroristi e mercenari raccolti da tutto il mondo musulmano, ceceni, occidentali manipolati, sauditi che è meglio mandare a morire per una causa estera, ché non gli venisse l’idea di cambiare le cose in patria. Per i Fratelli Musulmani in Egitto, la monarchia saudita ha odio e paura: li teme come concorrenti del suo potere. Sicché in quel caso, ha sostenuto i militari. L’emiro del Katar invece li sosteneva coi suoi miliardi: mesi fa è stato sollevato da una congiura di palazzo, che non è ancora risolta e può sboccare in altre pugnalate: l’ex numero due del deposto sovrano, scappato sul suo yacht, resta proprietario di Al Jazira che continua a sostenere fedelmente la Fratellanza.

Il peggio è, che la monarchia saudita riesce a trascinare dietro queste imprese, per i suoi fini la superpotenza americana, accecata dalla sua ideologia e dalle esigenze di Israele: la famiglia reale wahabita s’intende, considera Washington una nemica, ogni volta che parla di «democrazia» in Medio Oriente, ma sa come manipolarla: i miliardi di petrodollari non lasciano indifferenti i membri del Congresso, e nemmeno i ministri del governo. Del resto, la comune storica cooperazione nel creare il loro strumento detto Al Qaeda, costituisce un forte legame per sé. Per il momento, Ryad consiglia, e gli Usa seguono, credendo che gli interessi geopolitici coincidano.

Per ora. Perché è vicino il capitolo finale della storia degli Al Saud, dato che l’attuale principe ereditario, Salman bin Abdelaziz, è un giovanotto di 76 anni malato: è l’ultimo dei figli del fondatore del regno, Abdelazid bin Saud (morto nel 1953 lasciando stuoli di figli), e dopo di lui la questione della «legittimità» si porrà nel palazzo. Dietro l’annoso principe ereditario, un esercito di principi più o meno collaterali non nascondono le loro ambizioni di prendere il suo posto.

Bandar bin Sultan, il potentissimo capo dei servizi segreti, vuole farsi re. È il secondo uomo forte del Paese dietro Khaled Tougijri, capo di gabinetto di re Abdallah: vecchissimo e malatissimo, costui ha lasciato tutti i poteri in mano a Toujiiri, che spadroneggia dispoticamente (come un ciambellano del Diwan). Ma la morte prossima del re metterà fine al suo potere, non appartenendo Toujiiri al lignaggio reale. L’attivismo del principe Bandar, e il suo sforzo di trascinare Washington nella guerra in Siria, si iscrive in questa sua ambiziosa trama. Più c’è disordine, più i servizi sono necessari e il potere di Bandar cresce; del resto, Bandar s’è vantato con Putin di avere in mano gli islamisti peggiori operanti in Siria, ceceni compresi ha detto con non velata minaccia. Si ritiene che ci siano i servizi sauditi anche nella vera e propria guerra civile che è in corso in Iraq, dove la minoranza sunnita scatena attentati-strage contro le moschee, i centri e i quartieri sciiti.

Fatto sta che presto la dirigenza saudita del terrorismo islamista sarà assorbita, con veleni e pugnali come nella Sublime Porta del passato, nella guerra familiare di successione, e può implodere. Come già sono implosi i ribelli in Siria in fazioni dove tutti sono contro tutti. A quel punto, il bilancio orribilmente indegno dell’Islam della Sharia, l’Islam politico, sarà definitivo. Un pugno di cenere insanguinato.



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