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La solitudine del (Neo-)paganesimo
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A seguito di alcuni commenti di lettori, evidentemente compiacenti della rinascita neopagana, cerchiamo di vedere più da vicino l’essenza (analizzandone di sfuggita per lo meno i tratti salienti) di un fenomeno vasto, che sta influenzando in maniera diffusiva e sempre più invadente i cuori e le menti di molte persone in cerca di senso e significato profondo al proprio vivere.

«Il Neopaganesimo è un insieme eterogeneo di religioni naturali basate principalmente sui culti precristiani dell’area europea e mediterranea. L’insieme di queste credenze, che possono essere anche diverse tra loro, ha comunque dei punti fondamentali comuni a tutte, quali il rispetto della Natura, la concezione politeista del divino (in entrambe le sue polarità, maschili e femminili), il riferimento ai miti antichi e la credenza nella magia. Si parla spesso di Neopaganesimo piuttosto che di paganesimo per distinguere un percorso spirituale che si rifà alle religioni precristiane del passato (senza intenzione di riprodurle pedissequamente) contestualizzandole comunque al presente» (1)

«Non ci fu mai una religione pagana nell’antichità, ma semplicemente ci furono un gruppo di religioni che oggi noi chiamiamo, un po’ impropriamente, visto l’origine del termine, ‘pagane’ (da pagus, abitante del villaggio nda)… il Neopaganesimo non è una religione, è piuttosto un movimento spirituale dove stanno prosperando diverse religioni, ma anche questo non è del tutto vero. La rinascita del paganesimo è stata un fenomeno culturale che si è coagulato principalmente attorno al neoclassicismo, agli studi sul cestismo e sul druidismo e sulle religioni teutoniche, ma anche al contatto con l’Induismo e il Buddismo e la proliferazione delle correnti dell’esoterismo occidentale, ed infine attorno alla nascita (o rinascita) della Wicca. Questi nuovi movimenti religiosi hanno delimitato uno spazio in cui è possibile essere semplicemente dei ‘nuovi pagani’ senza per questo essere né Wiccan, né Neoellenici, né Druidi e così via. Può sembrare una situazione paradossale, eppure non lo è. I nuovi pagani colgono innanzitutto una suggestione, uno zeitgeist, cioè uno spirito del tempo(2)».

Nel paganesimo è dominante il concetto di «pluralità pervasiva del divino», un immanentismo prepotente e magico, che irrora la superficie del vivere quotidiano, scandendone i ritmi in maniera evidentemente parallela.
Il Neopaganesimo ineluttabilmente proietta l’uomo in un mondo esoterico, in cui diviene difficile percepire la differenza tra realtà ed immaginazione o addirittura (nei casi più gravi) suggestione demoniaca.
L’esoterista neopagano è convinto che esistano forze ed energie latenti nella natura e nel mondo; vibrazioni che sono manifestazioni del divino e del sacro, monismo radicalmente esasperato.
Questo il pensiero di chi crede in tale filosofia.

«Tutti gli Dei sono un unico Dio e tutte le Dee sono un’unica Dea».
«E’ quello che potremmo definire una sorta di politeismo esoterico, legata alla concezione, teosofica prima e magica poi, delle forme-pensiero. Esistono delle forze cosmiche e il nostro pensiero e la nostra immaginazione rivestono queste forze di una forma, dandogli l’aspetto delle Divinità storicamente esistite e venerate nel paganesimo antico. Ma queste forme, questi volti, non sono che interfacce che l’uomo usa per relazionarsi alle vere forze cosmiche che stanno dietro la maschera. Seguendo questa linea di pensiero è persino dubbio che il Dio e la Dea siano delle persone divine: più probabilmente sono forze impersonali - mentre sono personali i vari volti che assumono per via del nostro relazionarci ad essi. Poiché siamo esseri umani, la relazione privilegiata è quella personale (…) dunque siamo portati a vedere la Polarità primordiale come una coppia di persone divine… dietro alla Polarità c’è un’Unità più alta, un mistico Uno al di là della comprensione che garantisce il riposo da ogni tensione, la pacificazione di ogni contrasto. Oppure, come storicamente avvenuto, si può compiere il passo verso il monoteismo dalla protesta sociale: così ha fatto il femminismo neopagano, asserendo che esiste soltanto una Dea. Insomma, da qualunque lato vi si arrivi, il passo pare essere quasi obbligato: se gli Dei e le Dee non sono che maschere di Forze superiori impersonali, è giocoforza supporre l’esistenza, peraltro attestata da buona parte delle religioni esistenti, di un qualche Uno superiore da cui il Dio e la Dea sgorgano… assume l’aspetto di un monismo: esiste un’unica sostanza di cui tutto e tutti sono composti - questo è il Divino. Si assiste però negli ultimi anni ad un nuovo orientamento: la diffusione massiccia dello  sciamanesimo e della comunicazione con gli spiriti di natura attraverso il channeling e pratiche affini mostra la tendenza a riportare ancora una volta l’ago della bilancia ad una concezione più politeistica e, francamente, animistica. Ogni cosa è animata, ogni oggetto, ogni pietra, ogni albero ha il suo spirito. Il Divino, che sembrava essere stato ricondotto all’Uno della Grande Dea o della Grande Energia cosmica, torna a moltiplicarsi, dandosi all’uomo in forma ancora più parcellizzata, ma molto più personalizzata. In questa prospettiva è necessario distinguere categorie di esseri non umani. Fra l’uomo e gli Dei esiste una gerarchia più o meno ben definita di entità, spiriti, maestri, guardiani che fungono da mediatori fra la Grande Energia e il singolo individuo» (3).

Evidente la matrice monista, che cerca di identificare la divinità come una sorta di energia onnipervadente, di cui l’uomo ravvisa la vibrazione fuori e dentro di sé; lo scenario che si prospetta è in apparenza una sorta di mondo magico, fatato, nel quale l’uomo resta immerso, ma suo malgrado anche succube; l’apparente contraddizione degli opposti e delle polarità, resta superata e trascesa dall’unità primordiale dell’Uno.
In questa prospettiva il cristianesimo viene relegato ad una sorta di «idea limitante», una specie di mortificazione del pensiero e del reale… ma è proprio così?

«Il Neopaganesimo non può neppure fare a meno di una molteplicità di enti divini, almeno sul piano pragmatico. Il riconoscimento di questa molteplicità insita nel Divino stesso, è la grande ri-scoperta del Neopaganesimo. Laddove la maggior parte delle religioni tendono alla conciliazione e a placare tutti i conflitti - rivolgendosi dunque ad una prospettiva ultramondana - il Neopaganesimo recupera in maniera originaria e originale la spinta del paganesimo antico a riconoscere nel mondo il Divino in tutte le cose e dunque a rappresentarsi il Divino come radice della varietà della vita: esso stesso conflittuale, molteplice e, per certi versi, confuso» (4).

La molteplicità viene percepita come ricchezza, ma nel cristianesimo questa medesima ricchezza non manca affatto; la differenza fondamentale è che la visione cristiana «nomina», chiama per nome tale varietà di forze e di enti; li conosce, li identifica; e non mi riferisco soltanto alle schiere angeliche, beate o decadute, ma anche a tutto il creato, che conosce e «penetra intellettivamente» con la medesima Sapienza di Dio.
Egli è l’Essere personale, mai freddo e distante, come l’Uno primordiale, questi necessario più filosoficamente, che ontologicamente; Dio, l’unico vero, è perfettamente cosciente di chi sia e di quale sia la sua vita; questa conoscenza e coscienza rende la sua sovranità e la sua onnipotenza davvero autentiche; che ne sarebbe di esse, in un impersonale propagazione di vibrazione cosmica?
Un primo reale limite del neopaganesimo (e del paganesimo in genere) consiste nel concepire un’idea del divino, a livello (potremmo dire) molto sentimentale: il dio pagano è ridotto ad essere una vibrazione sottesa ad ogni vivere e pervadente ogni cosa, tanto da sussistere in una medesima sostanza.
Questa concezione teologica e cosmologica ha notevoli riflessi nella pratica spirituale: non esiste una preghiera per il pagano.
La contemplazione non è mai un evento di relazione, un mettersi in contatto con un «TU» divino, ma una sorta di rituale propiziatorio finalizzato proprio alla riemersione della latente forza divina presente nell’uomo.

Il pagano, in fin dei conti, vive in un universo incantato di cui però, per sua stessa ammissione, non è in grado di percepire i limiti e di dominare; le pratiche magiche e teurgiche aiutano ad esercitare certi poteri, ma questi risultano spesso non facilmente controllabili.
Non c’è preghiera, come non c’è grazia, perché gli dei agiscono nell’uomo, senza che quest’evento scaturisca da una libera cooperazione e da un atto d’amore, ma è risultanza - quasi matematica - di applicazione del rituale.

«La Wicca annulla la distinzione fra magia e religione, fondendo una nell’altra. Il risultato di questa fusione è precisamente una forma di teurgia: ogni atto magico è invocazione degli Dei e ogni celebrazione degli Dei è anche atto magico. La teurgia è dunque una forma di magia specificamente neopagana. (…) Teurgia significa etimologicamente ‘lavoro degli Dei’. Sono gli Dei che agiscono e l’uomo agisce in quanto non c’è parte di lui che non sia degli Dei, come insegnavano gli antichi misteri. L’atto centrale della pratica teurgica è l’invocazione. Nella Wicca esiste una tecnica chiamata in inglese ‘Drawing Down the Moon’, che tradotto significa approssimativamente ‘tirar giù la luna’. Si riferisce alla leggenda secondo cui le streghe della Tessaglia (una regione della Grecia) avessero il potere di tirar giù la luna con i loro incanti. Possiamo estendere questa esperienza al di là dell’ambito Wiccan, fino a farne un fondamento dell’intero movimento neopagano. Da qualunque prospettiva il Divino deve essere avvertito come presenza interiore, presenza interiore che sconfina con l’identità: l’uomo nel Neopaganesimo è in qualche modo deificato, perché si armonizza ad un ordine profondo che attraversa la realtà tutta e che è rappresentato dagli Dei. Il sentire neopagano vive di questa visione, la visione del Divino in ogni essere, e si alimenta di essa» (5).

Visione apparentemente ottimista, in realtà cela foschi retroscena dai tristi e disperanti esiti: proviamo a portare alle estreme conseguenze le premesse di queste posizioni esistenziali.
L’uomo è un essere solo, coinvolto (senza che vi sia bisogno di un proprio assenso esplicito) in una vita meramente materiale (in fin dei conti è così, perché il post-mortem non è inteso se non come sopravvivenza altra e comunque non necessariamente personale; al contrario del cristianesimo, dove la vita termina aprendosi alla Trascendenza assoluta, alla totale realizzazione di sé, nella felicità piena e totale), che lo disintegra come persona e lo spoglia di ogni individualità, intesa come coscienza di sé, di altro rispetto a cui instaurare un rapporto; nel cristianesimo, «l’essere per», «l’evento relazionale» connota di ricchezza e di libertà la vita interiore; la scelta di avere parte al mondo del creato, di immergersi nel suo senso profondo, di sperimentarne il linguaggio spirituale, di coglierne l’armonia ultima, che ha radici in Dio stesso, è una scelta d’amore; tale opzione non esiste nel paganesimo: gli dei sono così come sono senza alcuna necessità di rapportarsi con l’uomo, di cercarlo, di donarsi a lui; la logica del dono, dell’amore incondizionato, e, a ricaduta, del sacrificio (che significa essere tutto per l’altro, per il suo bene, costi quel che costi) non appartiene alla filosofia pagana; tutto è dovuto, cristallizzato, asettico.

L’esito spirituale di questa sterilità è evidente nella mancanza di una vera mistica; il sentimentalismo, l’istintualità primitiva e bassa prevale sulle facoltà superiori, sulla ragione e sullo spirito, luogo ed organo dell’incontro con lo Spirito Divino, che pervade ogni particella d’essere dell’uomo; il paganesimo non per nulla esalta l’intuito personale oltre ogni logica di buon senso, dimenticando che lo spirito trascende la materia, ma superandola, non quando resti in essa invischiato; non vi può essere piena libertà di decisione e di donazione, nonché pienezza di vita interiore se non vi è totale dominanza delle pulsioni inferiori e completa padronanza di sé.
Il rifiuto di una morale oggettiva e universale, che cede il posto proprio al libero criterio dell’esperienza personale, finisce con il subordinare la razionalità e la ragionevolezza alla brutalità, alla logica dell’interesse del piacere e del perverso.
Il relativismo morale è la conseguenza triste di questa perfida ideologia.
Non siamo noi a sostenerlo; basta leggere quanto affermano gli stessi neopagani.

«Partiamo innanzitutto dal Peccato. Molto semplicemente, nella Wicca non esiste questo concetto. Sta a noi decidere cosa sia ‘nuocere’, sta a noi decidere chi sia ‘nessuno’, sta a noi decidere cosa implichi il ‘fare ciò che si vuole’. E’ una responsabilità che non tutti si sentono di affrontare, e  questo è il motivo per cui tanti rifuggono da essa, mal interpretando come fosse una legge morale il (saggio e semplicissimo) consiglio del Rede. (…) La ciclicità della Vita e della Morte che la Wicca trova così congeniale è solo un aspetto del più ampio spiraleggiare del tempo che vede l’assenza di un Inizio e di una Fine, nell’eterno rigenerarsi della Ruota dell’Anno come si rigenerano gli Dei stessi e come noi rinasciamo, sempre progredendo verso mete che non sappiamo, ora, neppure identificare. Come non ci sarà un Giudizio (o un Ragnarok), così non vi fu mai una creazione, o quantomeno non una Creazione primigenia (…) nel Neopaganesimo la dimensione della brama, della passione e in genere di tutto ciò che è piacere, corpo e che lega non è svalutata, ma all’opposto innalzata. Il mondo ci lega a sé in infiniti legami e non è possibile pensare ad alcun distacco» (6).

Lo sconforto di una lugubre solitudine, causata dall’assenza di Dio, è niente più né niente meno che un materialismo magico e superstizioso, uno sconfortante «non sentirsi amato», un apparente vigore di vivere, spoglio di vera ascesi (quindi vigore senza vera forza!); è rifiuto della Vita eterna che solo Cristo viene a portare, illuminando l’uomo nelle viscere profonde del suo vivere e morire e in ogni suo minimo gesto quotidiano di essere, che riecheggia nell’eternità.

Stefano Maria Chiari



1) Da http://www.neopaganesimo.it/
2) Da http://www.athame.it/wicca.html
3) Ibi.
4) Ibi.
5) Ibi.
6) Ibi.


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