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Kabul? No, Tel Aviv. Ed altre demenze
21 Novembre 2013
Guardate le foto. Dove sono state scattate? A Kabu, o meglio in qualche zona sotto controllo dei Talebani che impongono i chador? A Riyad, la capitale del regno fanatico wahabita, portatore della forma di più oscurantista ed ottusa di Islam?
Ottusa e oscurantista sì, ma non è Islam. Queste sono donne ebree, e tali scene si svolgono a Tel Aviv. Sono femmine di una setta «ultra-religiosa» (haredim). I loro uomini sono quelli che si vestono coi cappelloni neri da cui spuntano i cernecchi unti, e i filatteri che pendono da sotto la giacca nera – insomma l’abbigliamento dei ghetti ebraici in Polonia dell’800, che per ignoto motivo ritengono più «antico» quindi più giudaico (anche se Mosè non pare si vestisse da askenazi polacco). Queste donne, mogli e figlie dei fanatici, hanno voluto essere ancora più fanatiche, aderendo agli insegnamenti di una donna, Bruria Keren, che esse chiamano «rabbanit», moglie di rabbi, anche se suo marito non è un rabbino. Rabbanit Keren insegna che bisogna vestirsi con 27 gonne e ben 7 veli per ottenere la vera e più pura modestia. Solo l’assoluta modestia delle donne ebree avvicina l’avvento del Messia, essa sostiene, e più gonne si indossano, più vicino è il Messia. Lei vi aggiunge i guanti neri, che calza giorno e notte. È interessante notare che questa donna così fortemente preoccupata della «modestia» è stata condannata a tre anni di carcere nel 2008 per gravissimi maltrattamenti suoi dodici figli, fra cui aver permesso «multipli casi di incesto fra i suoi figli»,
Bruria Keren mentre viene tradotta in tribunale. Nel 2008 è stata condannata per abusi sui suoi 12 figli
Entrata in carcere con le sue 27 gonne addosso,«rabbanit Keren» ha rifiutato di fare la doccia (oh my God!) per i due anni di detenzione. Non parla con nessuno e comunica solo per iscritto. Persino i giudici israeliani hanno sospettato l’infermità mentale; ma un numero sempre maggiore di donne haredi ne sta seguendo l’esempio. Evidentemente attratte dalla demenza massimalista (1) della disturbata, ne hanno fatto la loro maestra spirituale. Lei infatti, uscita dal carcere, impartisce i suoi insegnamenti – per quattro ore al giorno rinunciando al suo voto di mutismo – e dice di avere diecimila seguaci «in Israele, Canada ed USA»; il che è credibile, dato che gli ebrei più fanatici sono per lo più americani che hanno, per così dire, «incontrato la fede». Sembra addirittura che questa copertura nera sia diventata una vera moda fra le devote in Israele; varrà la pena di notare che questo velo («frumka», mix di yiddish «frum», devoto, e «burka») è molto più che un burka o un chador islamico: sette veli come questi fanno sì che le donne non vedano dove vanno. Quando esce, il che avviene di rado, la Rabbanit Keren si fa accompagnare a tentoni da uno dei suoi figlioletti. Inutile dire che l’obbligo femminile di indossare veli neri non ha alcun fondamento nella Torah. Anzi, è il contrario: dal racconto di Genesi 38 (14-16), sembra di dedurre che nell’antichità giudaica a doversi velare il volto erano le prostitute. Ci riferiamo alla «narrativa» della biblica Tamar moglie di Onan figlio di Giuda, che fingendosi una meretrice di strada eccita il lussurioso suocero, da cui si fa mettere incinta. 14 Allora ella si tolse le vesti da vedova, si coprì d'un velo, se ne avvolse tutta e si mise seduta alla porta di Enaim che è sulla via di Timna; (...) 15 Come Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché ella aveva il viso coperto. 16. Se diresse verso di lei sulla strada e disse: fammi stare con te! Egli non sapeva che era sua nuora. Ma alle chiese: cosa mi regali per venire con me?...». Eccetera. Il caso delle israeliane in super-chador conferma un antico timore della psichiatria: se non curata in tempo, la «religione» ebraica aggrava tutti i suoi sintomi (come ogni altra psicosi) cronicizzandosi con il passare degli anni e decenni, portando gli individui che ne sono colpiti a comportamenti irrazionali e deliranti. Ovviamente ciò è pericoloso sul piano politico internazionale, dal momento che il popolo affetto da questa «religiosità», e i suoi capi, si sono dotati di 200 o 300 testate nucleari, con le quali minacciano nemici immaginari. E pensare che l’argomento forte di Netanyahu (e dei suoi servi in Occidente) offre per contrastare il programma nucleare dell’Iran, è che il mondo non deve consentire il possesso di un’arma atomica ad un regime «irrazionale» perché «religioso fondamentalista». Senti chi parla... A proposito, il regime sionista sta di nuovo attivando tutte le sue leve, lobbies e complicità occulte e palesi, per silurare anche il secondo round dei negoziati di Ginevra, in cui l’Iran sotto la nuova guida (Rouhani) è disposto a cedere parecchio, per l’alleviamento dell’embargo che subisce da decenni per volontà ebraica. Il primo round è stato silurato, come sappiamo, dalla Francia – più precisamente dalla Francia governata da Hollande. Il quale, subito dopo, è volato in Israele per raccogliere i meritati allori. In quell’occasione i francesi hanno saputo che il loro presidente parla l’ebraico meglio del francese: «Tamid esha’er haver shel Israel!», «Resterò sempre un amico d’Israele!», ha esclamato appena sceso a Tel Aviv fra le braccia protese di Netanyahu. La frase prova che anche Hollande è colpito dalla «religione» giudaica, per la sua stessa superfluità: non è «amico di Israele», è un israeliano, e basta vedere come cura, al confronto, gli interessi della Francia in Europa. Visitatori a Mosca Per mandare a monte anche il secondo round di negoziati sul nucleare iraniano, Netanyahu – in rotta con Obama, che giudica disinteressato alla «minaccia esistenziale» che l’Iran è per Sion – è volato a Mosca. La Russia è una delle potenze internazionali «5+1», e Netanyahu è andato a dire a Lavrov (il ministro degli Esteri) che loro, i 5+1, stanno lasciando a Teheran la possibilità di produrre materiale fissile di concentrazione militare. Lavrov ha risposto che «certe asserzioni critiche» sul negoziato «sono divorziate dalle realtà. Coloro che sospettano russi, americani ed altri partecipanti al processo» di lasciare falle del genere nell’accordo con l’Iran, «hanno un’idea assai bassa delle nostre capacità intellettive e dei nostri principii politici». (Netanyahu insists on 'real solution' to Iran nuclear crisis) Praticamente, una diagnosi di seminfermità mentale per il premier di Sion. Netanyahu non è stato il solo visitatore a Mosca. Diversi giornali del Medio Oriente hanno segnalato, il 14 novembre, che «il principe Bandar bin Sultan, capo dell’intelligence saudita, sta per recarsi in Russia allo scopo di acquistare sistemi di difesa anti-aerea ultra-sofisticati». È proprio quel Bandar che poche settimane prima aveva minacciato Vladimir Putin, a quattr’occhi, di attentati terroristici «islamici» alle future Olimpiadi invernali di Sochi, dato che lui, disse, «gestisce i ceceni che combattono in Siria». Come mai tanta cordialità, adesso? Un’ipotesi è che Bandar e il suo re Abdallah vogliano far dispetto a Washington comprando ostentatamente armi russe: non hanno digerito il fatto che Obama non abbia dato il via libera al loro progetto di far ammazzare il siriano Assad e mettere al suo posto, con un golpe tutto saudita, il generale disertore siriano Manaf Talas. Ma un avvicinamento a Putin, il primo sostenitore del regime di Assad, come si spiega? Fino a ieri, Mosca cercava di arrivare a un negoziato tra Assad e la ribellione per una fine delle ostilità in Siria (Ginevra II), e il regno saudita, che gestisce e finanzia la ribellione, è sempre stato contrarissimo. Pare che una telefonata di Putin a re Abdallah abbia fatto cambiare idea a quest’ultimo. Putin ha offerto un incontro a Riyad alla presenza dei rappresentanti dei ribelli; Bandar ha assistito alla telefonata, anzi pare che fosse lui a tradurre in arabo al decrepito sovrano le parole che Putin pronunciava in inglese.(Bandar Sultan prêt à partir pour la Russie pour...) L’attentato a Beirut Chissà se è vero. Vero, reale e sanguinoso è stato l’attentato di Beirut del 19 novembre, dove due terroristi suicidi islamici (mai capito come si possa essere islamici e suicidi) hanno fatto saltare l’ambasciata iraniana che si trova nel quartiere di Hezbollah, ovviamente sicuro per gli iraniani. Almeno 25 morti e 150 i feriti nell’immane esplosione. Tutti gli osservatori sono stati concordi ad attribuire l’attentato ai sauditi (ossia al principe Bandar) e ai terroristi che loro gestiscono; ma non senza l’appoggio e l’approvazione di Israele, che condivide in pieno l’odio dei Saud e wahabiti per l’Iran sciita (ormai i Saud si sono ricongiunti alle loro radici dunmeh, abbracciando Sion). Pepe Escobar, il corrispondente nell’area per Asia Times, ha parlato di «Likudnik-Wahabi war of Terror» e di «asse sionista-wahabita» per l’attentato: esso è stato scatenato proprio mentre Damasco è impegnata a riprendere ai ribelli (salafiti) le strategiche alture di Kalamoun, che costeggiano la valle della Bekaa in Libano; ovviamente Hezbollah sta prendendo parte alla cruciale battaglia. L’attentato è dunque un atto di guerra punitivo commesso dai ribelli, o meglio, dai loro gestori. Con aggiunto un segnalino per Putin, che Bandar non vuol lasciare nel dubbio sulle sue capacità di regista del terrore. Ma invece, sentite come spiega l’attentato DEBKA File, il sito vicino al Mossad: «È un attentato che Iran ed Hezbollah si sono auto-inflitti come tattica di diversione». Cioè, scusate, per quale motivo Hezbollah e Teheran avrebbero fatto una strage «false flag» contro se stessi? Semplice, spiega DEBKA: la strage «è stata concepita per convincere i combattenti Hezbollah, inviati contro la loro volontà nel campo di battaglia siriano, che si battono per difendere la loro terra». Già, così è tutto chiaro: i disciplinatissimi guerrieri Hezbollah non vogliono essere comandati a battersi in Siria? E allora il loro capo, demoniaco Nasrallah? Come li convince? Facendo saltare l’ambasciata dell’Iran nel suo proprio quartiere e devastando il quartiere stesso, con morti e feriti Hezbollah. Semplice e lineare. Del tutto credibile. Tanto più che DEBKA può citare una fonte autorevole. Quale? «L’intelligence saudita», capito? « Un allarme saudita è stato diramate alle agenzie occidentali di intelligence compresa Israele, il 14 novembre, annunciante che Iran ed Hezbollah stavano per attuare una grossa operazione terroristica come colpo diversivo...». (Incredible! Beirut bombings killing 25 people were self-inflicted by Iran and Hizballah as a diversionary tactic) Che dire? È persino possibile che degli ebrei credano a questa versione dei fatti: è parte della loro patologia convincersi delle proprie «narrative» , le più strampalate, contorte e macchinose. Tre anni fa un gran rabbino, rabbi Israel Meir Lau, nel celebrare il Giorno della Memoria, rivelò che «Mosé è stato il primo sopravvissuto dell’Olocausto», quindi capite che non c’è limite al delirio cervellotico. Ma credere che un comunicato «dell’intelligence saudita» che parla di un auto-attentato di Hezbollah possa essere creduto dalle altre centrali d’intelligence «occidentali», che non sono affette dalla tipica psicopatia chiamata ebraismo, indica un aggravamento della condizione psichiatrica. È esattamente come Netanyahu quando vuol convincere Lavrov che le sue proprie deliranti allucinazioni contro Teheran descrivono la realtà. È un caso grave, l’ebraismo non curato. Voi direte: no, sei ingiusto, non tutti gli ebrei sono così. Sì, effettivamente ci sono ebrei normali. Come questi:
Sono ebrei di Manhattan che il 17 novembre sorso hanno fatto una piccola manifestazione di protesta contro i 20 mila insediamenti nuovi che Netanyahu vuol realizzare sulla terra dei palestinesi, o il poco che ne resta. «Gli ebrei dicono no agli insediamenti illegali», si legge sui cartelli. Ma questa rara manifestazione di buon senso ha fatto fumare la testa di un alto esponente della comunità ebraica americana, Steven Goldberg, presidente nazionale della Zionist Organization of America. Dentro la Sinagoga del West Side, davanti ad un pubblico parimenti infuriato, ecco cosa ha gridato Goldberg contro quelli che, fuori in strada, manifestavano: «… Do fuori di matto a vedere che abbiamo manifestanti che appestano il popolo ebraico, questi “mutanti” che ci tradiscono... A quelli che sono contrari al diritto delle donne di scegliere (l’aborto), dico: guardate questi ebrei che protestano, e forse cambierete idea sull’aborto». Riporto il testo inglese, perché potreste non crederci.
I’m mad as hell that we have protesters that have plagued the Jewish people, the mutants who betray us… For those who oppose a woman’s right to choose, I would say look at some of these Jewish protesters and maybe rethink a woman’s right to choose abortion.
Steven Goldberg
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E siete pregati di assaporare la contorsione mentale di questi argomenti. Goldberg sostiene che i manifestanti per i diritti dei palestinesi sono dei «mutanti»: non ne riconosce la natura ebraica, per il fatto che si comportano da persone normali. Devono aver cambiato DNA, altrimenti sarebbero paranoici deliranti come tutti i veri ebrei, come Netanyahu, come Rabbanit Keren e le sue seguaci. Questa è la logica che esibisce il dottor Goldberg. E non basta: questi ebrei col DNA mutato «appestano» Israele. Dunque, essi devono essere abortiti. Se le mamme li avessero abortiti, adesso non sarebbero qui a far impazzire di rabbia i veri ebrei... Sarebbe inutile domandare al delirante se egli propone l’aborto di adulti, visto che quando erano feti, le mamme ebree non potevano sapere che sarebbero diventati i manifestanti pro-palestinesi di domani... Temo che Goldberg risponderebbe di sì. È proprio quello che fanno, in Israele, ai palestinesi: li abortiscono quando hanno venti o trent’anni. Come tutte le malattie psichiche incurabili, l’ebraismo si aggrava anno dopo anno.
1) La Rabbanit è perfettamente in linea, del resto, con la stortura psichica di tutta la precettistica talmudica. Il legislatore Mose, nell’Esodo e nel Deuteronomio, intima: «Non mangerai l’agnello cotto nel latte della madre»; forse perché era una pratica pagana, forse perché quella «ricetta» ha effettivamente qualcosa di aberrante. Da questa frase viene il divieto fatto dal Talmud, e massicciamente osservato dagli ebrei, di mangiare il formaggio insieme alla carne nello stesso pasto. E’ un metodo che già Gesù condannava nei farisei: esagerare nella obbedienza al comando di Dio, in modo parodistico, travisandone il vero significato, rendendolo di fatto assurdo. I rabbini esegeti spiegano che essendo il divieto ripetuto tre volte nella Scrittura (due nell’Esodo, 23:19, 34:26) e una nel Deuteronomio (14:21) ciò significa che Dio non vuole che si mangi la carne di qualunque animale, non solo di agnello, con qualunque prodotto lattiero-caseario. L’autorità di riferimento è il Talmud (Chullin 115b) e «Rashi», ossia Salomone di Troyes, un molto venerato dotto medievale. I Lubavitcher, potentesetta haredim, prescrivono che devono passare sei ore fra un pasto di carne ed uno di formaggio. Le ragioni offerte: «siccome la carne è grassa, il sapore può restare nella bocca per molto tempo. Dopo sei ore tuttavia il sapore si dissipa (Rashi su Chullin 105a). Secondo, se un brandello di carne resta incastrato nei denti, mantiene la sua condizione halacica di carne fino a sei ore. Dopo sei ore, non è più considerata carne..». Altra cosa se si mangia «prima» il formaggio e poi la bistecca: «Secondo il Talmud (Chullin 105°) è sufficiente che uno beva o mangi qualcosa d’altro per pulire la bocca di ogni residuo di latte. Il cibo (da mangiare per pulirsi la bocca, ndr) può essere di qualunque genere, tranne farina, datteri o vegetali, che non puliscono la bocca a sufficienza». Tuttavia, «lo Zohar si limita a dire che uno non deve mangiare latte e carne nella stessa ora», e così via, nella casistica infinita che il Talmud prescrive per aderire alla Legge, tradendola nello spirito. Pagine e pagine del Talmud sono dedicate a questa essenziale questione teologica...
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