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Omicidi consentiti
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Talmud /10
Vale la pena di cominciare questo capitolo mostrando che l’eutanasia dei malati – questo delitto nazista per eccellenza – è consentita dal Talmud. Sanhedrin 78 b: «Chi uccide un terefah (‘persona sofferente di una malattia mortale, da cui è impossibile la guarigione’ spiega la nota in calce), è esente». Si prosegue sancendo l’incolpevolezza di uno che commette pederastia con un moribondo o terefah. Ammesso ne abbia voglia.


Lo stesso trattato Sanhedrin 77 a e b insegna vari modi per uccidere il proprio prossimo sano (anche un ebreo) senza incorrere nella violazione del comandamento di Mosè, e nelle punizioni conseguenti. Si può:

- Legare il prossimo in modo che muoia di fame

- Legare il vicino sì che muoia di insolazione.

- Legarlo in modo che muoia di freddo. L’importante è legare il vicino da ammazzare prima che faccia tanto caldo o tanto freddo da morirne. Allora tutto è regolare.

- Legare il prossimo in modo che un leone lo uccida (sic). Perchè comunque, l’uomo non sarebbe sfuggito alla morte, anche se con le mani libere, voi non avete colpa: così ragiona il buon talmudista.

- Legare il prossimo in modo che le zanzare lo pungano a morte. Siccome le zanzare vanno e vengono, e quelle che hanno punto la vostra vittima quando lo legaste sono andate via, ed altre sono arrivate a finirla, voi siete puro e senza macchia.

Siccome un ottuso goy potrebbe non credere che il libro più rispettato della religione ebraica consiglia queste azioni, ecco qui il testo:


Come si può vedere, anche uccidere uno per soffocazione, mettendolo sotto un tino, o dentro una «camera di alabastro» (cioè chiusa ermeticamente, spiega la nota), è lecito. L’importante è non mettervi dentro una candela accesa, che consumerebbe l’aria; lasciate che sia la vostra vittima a consumare tutta l’aria respirando, e non sarete colpevole.


Come si vede qui sopra, si può assassinare il prossimo gettandolo in un pozzo, «se nel pozzo c’è una scala e poi un altro interviene per toglierla, o anche lui stesso» (ossia l’assassino) «è senza colpa, perchè quando l’ha gettato poteva salir fuori».

Insomma, la regola generale pare quella indicata nella nota 3: «Rabbi Zera afferma che non si incorre in alcuna pena causando indirettamente la morte di qualcuno».

Si può tirare una freccia contro qualcuno, se costui ha in mano un balsamo (con cui poteva curarsi la ferita), e un altro o lo stesso arciere gli strappa il balsamo dalla mano. Il sapientissimo rabbi Ashi: «Questo vale anche se c’era un balsamo al mercato», ossia basta che sia disponibile da qualche parte il farmaco, e si può ammazzare con la coscienza tranquilla.

Similmente, potete serenamente ammazzare il prossimo affogandolo, dice il Sanhedrin 77 b. Basta che lasci che l’acqua scorra un po’: l’acqua in cui hai gettato il tizio, non è la stessa acqua che lo ucciderà. Dunque tu non ne hai colpa.


Ma allora – si dirà – un pio ebreo non può mai togliersi la soddisfazione di assassinare attivamente, in modo diretto e personale, con un colpo di pistola, il prossimo suo? Il Quinto Comandamento lo vieta: «Tu non ucciderai».

Ma il Talmud ha la scappatoia: Il comandamento di Mosè ti condanna se tu uccidi un uomo da solo. Ma se ci si mette in dieci, che si aiutano l’un l’altro nell’omicidio, il comandamento non vale più.

Lo dice il Sanhedrin 78 a: «Se dieci uomini hanno ferito un uomo con dieci bastoni, successivamente o simultaneamente, e quegli è morto, essi sono esenti» da colpa, perchè nessuno di loro, singolarmente, ha provocato la morte. Un rabbino opina però che l’ultimo che dà la bastonata può essere colpevole. Seguono le solite sottilissime dispute...

Si potrebbe pensare che siano casuistiche teoriche, fatte per amore di disputa legalistica, magari malvage fantasie, ma vacue. Invece, quando gli ebrei andarono al potere in Russia formando il nerbo dell’organizzazione bolscevica, praticamente tutti i metodi d’uccisione incolpevole descritti dal Talmud sono stati praticati; e su scala di massa.

Solgenitsn descrive le atroci requisizioni del grano eseguite nel 1919-21 da commissari che si chiamano Isaac Zelenski, Semion Voskov, Vladimirov-Cheinfinkel, Moisei Kalmanovic, Indembaum, tutti ebrei. Essi eseguivano la direttiva del Partito: «Le requisizioni devono essere fatte senza tener conto delle conseguenze, confiscano se necessario tutto il grano nei villaggi, e lasciando al produttore solo una razione da fame».

L’ultimo dei citati, Indembaum, commissario al vettovagliamento della provincia di Tiumen in Siberia, usava questi metodi: «I contadini che si rifiutavano di dare il loro grano erano posti in piedi nelle fosse, innaffiati d’acqua e morivano congelati». Il metodo di esecuzione ebbe successo e le zone requisite si riempirono di statue di ghiaccio.

Richard Wagner
  Jacov Sverdlov
Jacov Sverdlov, il membro del Comitato Centrale che organizzò il massacro dell’intera famiglia dello Zar e la dissoluzione dei corpi con benzina e acido solforico, era nato Ešua-Solomon Movševič Sverdlov; la squadra che compì l’eccidio nello scantinato di casa Ipatiev a Ekaterinburg era composta solo di ebrei, Yakov Iurovski, Pavel Medvedev, Golotchtchokin, Ermakov.

Scrive Solgenitsin:

«Nessuno, nemmeno gli esecutori, poté più tardi precisare come si succedettero le salve omicide nello scantinato della casa Ipatiev, quali di questi colpi furono mortali, chi fossero i tiratori». «Iurovski si vantava con grande sangue freddo di essere stato il migliore: ‘È stata una pallottola della mia pistola a fare secco Nicola (lo Zar, ndr)’. Ma questo onore spettò anche ad Ermakov e al suo ‘compagno Mauser’». La città del massacro, Ekaterinbug, prese il nome del capo-massacratore, Sverdlovsk.

Uno storico ebreo, G. Aronson, citato da Solgenitsin, ha ammesso: «Non si può non evocare l’azione dei numerosi bolscevichi ebrei che hanno lavorato nelle varie località in qualità di agenti subalterni della dittatura e che hanno causato innumerevoli mali alla popolazione».

Il grande teologo Sergei Bulgakov cerca di giustificarli: «Il volto che mostra il giudaismo nel bolscevismo russo non è in alcun modo il vero volto d’Israele (...). Esso manifesta, nel seno stesso d’Israele, uno stato di terribile crisi spirituale, che può portare alla bestialità». Ma invece era già tutto nel Talmud, in secoli di insegnamento talmudico che hanno formato quelle personalità.

Richard Wagner
  Il massacro di Ekaterinburg
Mentre la dittuatura del proletariato affamava e riduceva alla miseria le masse, e reprimeva col sangue e col terrore, gli ebrei migravano a frotte dalle provincie per andare a Mosca, dove già parenti e amici s’erano «sistemati» nelle alte sfere sovietiche, per lo più andando ad abitare nelle magioni della vecchia nobiltà o negli alberghi di lusso. Un giovanissimo David Azbel ha ricordato che venne a Mosca dove abitavano già due zie, che avevano sposato pezzi grossi del nuovo regime. Una delle zie, Liola Azbel, viveva «nella Prima Casa dei Soviet (il Nazionale) con tutto il fior fiore sovietico. Il loro vicino Ulrich, che più tardi diverrà celebre, diceva scherzando: ‘Perchè non apriamo una sinagoga al Nazionale, dove vivono solo ebrei?’. Un altro scherzo in quegli ambienti suonava così: ‘Bisognerà far venire un non-ebreo, altrimenti chi firmerà le esecuzioni il sabato?’.

(Aleksandr Solgenitsin, Due secoli insieme, Napoli, 2007, volume II, pagine 130-136).

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