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Conseguenze del Concilio Vaticano II (1)
08 Marzo 2014
L’articolo di Blondet (Rahner I papa?) (1) mi ha fornito l’informazione di cui avevo bisogno per avere una sintesi delle tendenze che hanno agito prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II. L’informazione riguarda Rahner, un personaggio che ha esercitato grande influenza pur stando dietro le quinte del Concilio. Influenza che durò anche negli anni immediatamente successivi, incontrando solo pochi antagonisti e restando sempre poco noto al grande pubblico.
Con la scelta di escludere o cooptare alcuni piuttosto che altri si è determinato l’esito del Concilio. Innanzitutto la figura di Padre Riccardo Lombardi, che oggi è totalmente dimenticato, anche se suo nipote, Federico Lombardi, dirige la sala stampa della Santa Sede. Lombardi non venne neppure invitato ad assistere ai lavori del Concilio, Proprio il Concilio che lui per tanti anni aveva desiderato ed invocato. Lombardi era chiamato il microfono di Dio. La sua popolarità era enorme, la sua oratoria era insuperabile.
Voluto dal cardinale Franz König, l’esperto, che invece venne chiamato a svolgere il ruolo di suggeritore dietro i padri conciliari, fu Karl Rahner (2), un gesuita, noto per l’esorbitante numero di pubblicazioni dedicate alla teologia, alle quali applicava il pensiero oscuro del suo maestro: Martin Heidegger (si veda l’Appendice nella prossima puntata).
Papa Giovanni XXIII aveva sempre desiderato una Chiesa fondata su solide basi teoretiche, moderne e non conflittuali. Padre Lombardi, dichiaratamente anticomunista, doveva essere escluso dal Concilio. L’operazione non era indolore, ma papa Roncalli la compì senza ripensamenti. Anche la chiamata di Rahner, per accondiscendere l’influente cardinale König, ricevette il beneplacito del Papa. Roncalli non aveva cultura. Questa carenza lo espose al fascino di chi la cultura l’aveva e soprattutto la ostentava come Rahner. Certamente Roncalli ha agito nella sincera convinzione che sarebbe stato necessario, per il bene della Chiesa, aprirla alla modernità. Il problema era che della modernità aveva un’ idea almeno incompleta.
La modernità non è mai stata un’entità compatta, tutta opera del demonio, come era stata vista dai papi, sino a Pio IX incluso, ma neppure poteva essere accettata in toto senza un discernimento critico.
Nel 1775, nell’enciclica Inscrutabile divinae sapientiae, Pio VI aveva dichiarato che l’Illuminismo era semplicemente tutta roba del diavolo, «ad seducendos fidelium animos veneno suae falsitatis». Sotto un’apparente rivendicazione di libertà, esso si proponeva in realtà di diffondere l’ateismo e portare così alla dissoluzione di tutti i vincoli sociali (3). Con termini apocalittici, il pontefice aveva chiesto ai vescovi di mobilitarsi non tanto per attivare il braccio secolare dei sovrani che, a suo avviso, non sembravano percepire il pericolo, ma per affrontare direttamente la lotta, rafforzando le strutture nate con la Controriforma, vegliando sull’ ortodossia del clero per impedire il contagio di dottrine nemiche, tornando rigidamente alla vera filosofia, che si identificava con l’ossequio religioso all’autorità, fondamento della stabilità politica e dell’ordine sociale. Insomma il trono e l’altare.
Il Cristianesimo come religione impegnata a sostenere il potere politico in carica non ha mai funzionato troppo bene. Quando scelse di sostenere il potere finì per dimenticare le sue radici. Questo è avvenuto nell’Impero romano d’Oriente, dove la splendida Chiesa Ortodossa alla fine si richiuse nei formalismi e perse ogni influenza sulla vita dei popoli dell’Impero, dopo aver diligentemente servito il potere politico. Cristo aveva detto: il mio regno non è di questo mondo. Si riferiva ad un regno dell’ oltre tomba? Quando il popolo aveva cercato di farlo re egli era fuggito sul monte più vicino. I discepoli lo incontrarono poi, mentre stava passeggiando sulle acque del mare di Galilea.
Le direttive espresse da Pio VI vennero recepite con solerzia dall’episcopato francese. Questo atteggiamento fece della Chiesa di Roma il principale bersaglio della Rivoluzione, inasprì gli animi e contribuì a scatenare la peggiore persecuzione che i fedeli cristiani abbiano mai subito. C’era già stato il terremoto che distrusse Lisbona, l’infelice tentativo della Chiesa di addossarne la colpa ai peccati dei portoghesi e c’era già stato la prima sconfitta nello scontro con l’Illuminismo, che nell’occasione dette prova di saper fornire i principi giusti per affrontare la grande tragedia. All’interno della Chiesa c’era chi propendeva per il dialogo, che era possibile, senza rinunciare a nessun punto del credo cristiano, accogliendo dell’ Illuminismo i molti punti in comune con il Cristianesimo.
L’ostilità pregiudiziale spinse la Chiesa allo scontro frontale con l’Illuminismo, che divenne ferocemente anticlericale. La Curia romana pensava che l’Illuminismo sarebbe semplicemente passato di moda e che certe idee bizzarre sarebbero state dimenticate. Ma non fu così. La divulgazione capillare delle promesse, fatte intravedere dall’Illuminismo, scatenò in pochi anni la più grande rivoluzione politica, militare ed economica che la storia d’ Europa avesse mai conosciuto.
La Chiesa e moltissimi buoni cristiani furono il bersaglio principale di quella trasformazione, che divenne un flagello che può anche essere visto come opera del demonio. Quindi riconoscere nell’Illuminismo ciò che era accettabile, perché comune al messaggio cristiano, forse non avrebbe salvato dalla morte tutti i cristiani che vennero uccisi e salvato la Chiesa dalle persecuzioni, ma è certo che si sarebbe evitato un errore tragico, consumato contro la verità e contro lo stesso messaggio evangelico. Quando alla fine le armate francesi, che marciavano sotto la bandiera della libertà, dell’ uguaglianza e della fraternità, furono sconfitte sui campi di battaglia, gli stessi popoli, che avevano combattuto contro i francesi per difendere la fede, si trasformarono in nemici della Chiesa. Le idee della Rivoluzione vinsero dopo la loro sconfitta militare.
Non furono le terribili persecuzioni scatenate contro i cristiani a far vacillare la fede dei popoli, ma qualche cos’altro di cui la storia non ha parlato abbastanza. Furono gli atroci errori compiuti con la restaurazione. Dopo che vennero sepolti i morti sui campi di battaglia, tutto non era più come prima. Per un enorme errore, o meglio a causa del peccato contro la verità, la Chiesa, i regni, tutto sarebbe dovuto tornare come prima. Ma questo era impossibile. Tutti i mezzi della nuova tecnica furono messi al servizio di una lunga repressione. L’urlo della rivolta ha animato guerre e rivoluzioni ben oltre la fine della seconda guerra mondiale.
Papa Roncalli si impegna nella preparazione del Concilio
Papa Pacelli aveva creato una Chiesa combattente, aveva superato le ostilità e le persecuzioni che provenivano dal nazismo e dal comunismo ateo. Aveva vinto semplicemente tornando a leggere e predicare il Vangelo. Sotto la spinta della tragedia della guerra gli orpelli di una Chiesa paludata erano stati abbandonati. Pacelli aveva animato schiere di predicatori che non ricalcarono certo le insulse litanie predicate dopo l terremoto di Lisbona. Pacelli aveva creato organizzazioni caritatevoli per rintracciare i dispersi nei tanti campi di concentramento sparsi per il mondo, organizzazioni per sfamare le popolazioni private di tutto. La Chiesa era presente come la forza che animava la rinascita dello spirito dell’ Occidente. I cattolici negli Stati Uniti godevano di grande prestigio. Il cardinale Spellman era stato designato da Pio XII a succedergli se i nazisti lo avessero imprigionato. La Chiesa alla fine del conflitto era l’unica organizzazione che in Europa era rimasta in piedi; essa ricevette dagli alleati una sorta di donazione di Costantino. Alla sua morte Pacelli consegnò una Chiesa forte.
Giovanni XXIII disarmò la Chiesa per raggiungere la pace sociale, aprendo alla sinistra, comunisti compresi. Ma compì un disarmo unilaterale. Fu un coro di giubilo per i tanti nemici più o meno sinistreggianti, ma fu anche un sospiro di sollievo per chi era in attesa di arricchirsi speculando sulla dissoluzione del patrimonio morale e materiale accumulato e custodito sino alla morte di Pio XII, la cui immagine dava fastidio anche da morto. Infatti cominciarono ben presto a spuntare accuse di vicinanza o compromissione con il fascismo e con il nazismo, accuse impensabili quando era in vita. Pio XII aveva ricevuto encomi ed attestati di stima e di riconoscenza, ma dopo la morte molti si dedicarono al saccheggio morale e materiale del patrimonio lasciato da quel grande papa.
Così siamo arrivati ai tempi nostri: quando si trattò di fare delle scelte per la composizione del Concilio. Come si è detto Papa Roncalli forse subì le conseguenze della sua mancanza di cultura. Questo forse contribuì anche a fargli nutrire ostilità verso Padre Pio da Pietralcina, che appariva a molti raffinati cardinali un rozzo frate piovuto nell’età moderna direttamente dagli anni più oscuri del Medioevo. Roncalli fece due scelte concomitanti: escludere padre Lombardi e consegnare Padre Pio ai suoi nemici. Gli effetti negativi di queste due scelte si sommarono o meglio si moltiplicarono negli esiti del Concilio Vaticano II, che Paolo VI alla fine concluse, pare su suggerimento dello stesso Padre Pio, onde evitare danni maggiori.
Già al futuro Giovanni XXIII, Padre Pio non era mai piaciuto. All’inizio degli Anni ’20, quando per due volte Roncalli aveva percorso la Puglia come responsabile delle missioni di Propaganda Fide, aveva preferito girare alla larga da San Giovanni Rotondo. Ma ad essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli fu soprattutto la fede ascetica, mistica, primitiva, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo. Per la Chiesa modernista di inizio secolo, come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni ’60 e ’70, per personaggi come padre Gemelli, che aspiravano a dare una veste quasi scientifica al credo religioso, gli stessi miracoli di Padre Pio erano intollerabili. Roncalli annotò: «Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione, che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili» (4).
Questo atteggiamento è ingiusto. Papa Roncalli doveva ben sapere che i santi sono perseguitati. Uno sguardo a chi erano i nemici di Padre Pio avrebbe permesso di constatare che si trattava in molti casi di posizioni preconcette, dettate da interessi personali, messi in crisi dalla figura e dalle opere del frate. Dopo aver ordinato una nuova visita apostolica a San Giovanni Rotondo, a quasi quarant’anni dalla sua peregrinazione in Puglia, Roncalli, nelle vesti di Giovanni XXIII, concluse che «purtroppo laggiù il P.P. si rivela un idolo di stoppa».
La preparazione del Concilio proseguì inesorabile verso l’obbiettivo di attuare una pacificazione tra la Chiesa e le sinistre. Obbiettivo giusto ma attuato in modo sbagliato perché venne svolto facendo rinnegare al cattolicesimo le poche cose giuste che aveva espresso. Invece di dichiarare e ribadire la vicinanza ai poveri, quelli che la sinistra massificava e chiamava proletari, la Chiesa condivise la linea fallimentare dei protestanti con la paranoica rincorsa verso la libertà senza limiti, conferendo alla Scienza un’autorità extra omnes. Invece di ribadire i punti essenziali della fede in Cristo, ci si abbandonava a vaneggiamenti che portavano all’ateismo o quantomeno al sincretismo.
Vennero licenziati i predicatori come Riccardo Lombardi, costretto ad una lenta agonia spirituale e fisica, vennero perseguitati i profeti, che facevano miracoli, primo fra tutti Padre Pio da Pietralcina, vennero messi sotto silenzio i messaggi della Madonna apparsa a Fatima, venne abbandonata alla falsificazione pseudoscientifica la stessa immagine di Cristo nella Sindone (di cui si parlerà più avanti). È stato tacitato sino alla scomunica un uomo come il cardinal Lefebvre, grande evangelizzatore, esempio di moralità e di fede.
L’arte sacra venne ceduta al nichilismo dominante nell’arte profana. Alla fine veniva reso omaggio alla dea ragione, che impropriamente assumeva i connotati della Scienza, fatta travalicare ben oltre i confini, che essa stessa aveva stabilito. La Chiesa trasformata in un ente socialmente utile, una struttura ridotta a mendicare, dal potere unico planetario della grande finanza, un piccolo ruolo marginale.
Altri illustri esclusi – Balthasar
Hans Urs Von Balthasar
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Le esclusioni dal Concilio non si limitarono a padre Lombardi ma ce ne fu una altrettanto illustre. Un altro grande escluso fu Hans Urs Von Balthasar (5), pensatore teologo svizzero, l’unico, che abbia avvertito il ruolo della bellezza come mezzo per raggiungere il vero e il bene, in un’epoca tentata dalla debolezza rinunciataria, chiusa agli orizzonti della speranza e della verità ultima. La passione, tutta cristiana dell’annuncio, è in lui motivo di intenso desiderio del bello:
«La nostra parola iniziale — scrive inaugurando la sua opera maggiore — si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata, senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidigia ed alla sua tristezza».
Parole che sono assolutamente sconosciute ai membri del Concilio, impegnati in virtuosismi verbali infiniti e sterili. Il Concilio, nella foga di aderire alla modernità, ne assorbì la rinuncia alla bellezza ed alla sua esclusione. Questo si è tradotto negli innumerevoli edifici di culto con l’impronta di una ostentata negazione della bellezza. Non sarebbe possibile, con la bruttezza, la disarmonia e la disumanità delle nuove chiese, concretamente meglio documentare tale scelta della negazione e del travisamento del bello come simbolo e segno della negazione e del travisamento della realtà di Dio.
Cardinal Lefebvre
Marcel Lefebvre
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Papa Roncalli ebbe l’ansia di modernizzare la Chiesa e, grazie alla sua poca cultura, introdusse nel Concilio istanze estranee che iniziarono la trasformazione della Chiesa in quello che sarebbe poi diventato un ente socialmente utile, un risultato ben diverso da quello sperato. L’operazione si è conclusa con una serie di sconfitte tra le quali il disconoscimento della fede cristiana come radice dell’Europa. Questo disconoscimento è stato decretato da un’Europa la cui nascita ed il cui consolidamento la Chiesa aveva incoraggiato.
Ma la stessa Europa, struttura acefala, ente divoratore delle nazioni e dei popoli, una piovra malefica, che è riuscita ad instaurare il dominio delle banche e delle speculazioni finanziarie sulle rovine di tutte le utopie politiche, ha preferito richiamare in vita i ricordi edulcorati della Rivoluzione francese, dando all’Europa una leggera sfumatura giacobina. Questo è il risultato del culto della dea ragione!
I dibattiti all’interno del Concilio ebbero toni molto accesi. Prima di tutto c’è il grande oppositore: il cardinale Marcel Lefebvre, una figura che in altri tempi avrebbe almeno avuto l’onore delle armi. La nostra epoca annega tutto nella banalità e nella noia ripetitiva di notizie sempre dello sesso tenore: tutto è eguale, nulla realmente muta, tutto è già stato detto, fatto e pensato.
Gli organizzatori del Concilio se avessero potuto Lefebvre lo avrebbero certamente escluso. Anche lui portava l’eredità di una Chiesa combattente voluta da Pio XII, per superare le enormi tragedie delle seconda guerra mondiale e per difendere la cristianità dall’ateismo sanguinario dei comunisti. Questo aspetto oggi viene dimenticato, ma ricordo benissimo che dopo la fallita insurrezione scoppiata a causa del ferimento di Togliatti, vennero fuori le liste dei condannati a morte preparate dalle cellule comuniste. Ricordo che don Ferri, il canonico buon predicatore, che ogni domenica tuonava dal pulpito del duomo di Pesaro contro i nemici della fede e contro le porcherie di chi si considerava buon cristiano, nella lista compariva al primo posto, e non era uno scherzo.
Lefebvre aveva un curriculum di prim’ordine. Intransigente difensore della tradizione all’ interno del cattolicesimo. La sua opposizione come noto sfociò in uno scisma, che venne presentato dalla Chiesa come la triste conclusione delle bizzarrie di un vecchio ostinato.
Molti non hanno ancora ben chiaro quali siano stati i punti essenziali dello scontro tra Lefebvre e la maggioranza dei padri conciliari. Tutta la vicenda venne presentata come il frutto delle stranezze di un gruppetto di ecclesiastici ultra-conservatori e vagamente razzisti, a lungo guidati da un Vescovo disubbidiente al Vaticano. La realtà è diversa.ì
Lefebvre nasce nel 1905 da una famiglia di antica tradizione religiosa (con una cinquantina di religiosi consacrati di vario livello in 250 anni). Il padre è proprietario di industrie tessili, esponente della resistenza francese, incarcerato dai tedeschi 1941 e ucciso nel lager nazista KZ di Sonnenburg nel 1944. La madre, Gabrielle Watine (1880 - 1938), era morta in concetto di santità. Marcel ebbe sette fratelli: Renè nato nel 1903 (diventerà sacerdote), Jeanne nel 1904, Bernadette nel 1907 (della quale la madre predisse che «sarà un segno di contraddizione», come avverrà quando fonderà, insieme al fratello Marcel, la Congregazione delle Suore della Fraternità San Pio X), Christiane nel 1908 (della quale la madre predisse che sarebbe divenuta carmelitana), Joseph nel 1914, Michel nel 1920 e Marie-Thèrèse nel 1925. Marcel Lefebvre studiò al Seminario francese di Santa Chiara a Roma sotto la direzione di padre Henri Le Floch (1862-1950), che lascerà un'impronta indelebile nella sua formazione, fondata sulla tradizione della Chiesa e sulla teologia di san Tommaso d'Aquino. Dopo aver svolto il servizio militare in Francia, si laureò in filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, per essere ordinato sacerdote nel 1929. Dopo qualche anno come Vicario in una parrocchia operaia di Lilla, entrò nella «Congregazione Missionaria dello Spirito Santo» e, nel 1932, venne inviato come professore al Gran Seminario di Libreville in Gabon, del quale, due anni dopo, assunse la direzione. Il suo lavoro di evangelizzazione fu così intenso da triplicare il numero dei cristiani nel paese. Nel 1945 divenne direttore del Seminario a Mortain, in Francia. Due anni dopo Lefebvre venne consacrato Vescovo da Pio XII e inviato in Senegal come Vicario apostolico. Dal 1948 fu Vicario apostolico per tutta l’Africa Francese, rimanendo in Africa dal 1955 come primo Vescovo di Dakar, fino al 1962, quando venne eletto Superiore della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo. Durante la sua permanenza in Africa seppe dare al clero locale una spiccata vocazione evangelizzatrice tanto da triplicare, tra il 1933 ed il 1947, la popolazione cattolica del Gabon. Fu rappresentante della Santa Sede in 18 paesi africani, dove vi sono 2 milioni di cattolici, con 1.400 sacerdoti e 2.400 religiose. In 11 anni di lavoro come Delegato apostolico le diocesi passarono da 44 a 65. A Dakar raddoppiò il numero dei cattolici e le chiese da tre divennero 13. Il prodigioso sviluppo culturale, sociale ed economico dell'Africa francofona degli anni Cinquanta lo si deve, in gran parte, a Monsignor Lefebvre.
Giovanni XXIII si scontrò con Marcel Lefebvre sin dall'epoca in cui era nunzio apostolico in Francia. Papa Roncalli si era assegnato il compito di riprendere la politica di Pio XI, ostile a Lefebvre, dando l’impressione di voler cancellare ad ogni costo l’eredità di papa Pacelli. Per inciso va ricordato che la totale mancanza di realismo di Pio XI, se non fosse stata corretta dall’abilità diplomatica di Pio XII, avrebbe portato all’olocausto dei cattolici europei, che sarebbero diventati un altro dei bersagli della ferocia di Hitler. Tornato in Francia, Lefebvre, venne accolto dall’ostilità del clero francese, che nel frattempo si era incamminato verso un modernismo mondano, oggi approdato alla progressiva eclisse del cattolicesimo in Francia. I motivi di contrasto con l'episcopato francese e con papa Giovanni XXIII furono tre: la ferma opposizione di Lefebvre alle innovazioni in campo teologico, liturgico e sociale; il rapporto con l'Islam, che Lefebvre tacciava di fanatismo, e il sostegno di Lefebvre alla Cité catholique di Jean Ousset, un'associazione cattolica controrivoluzionaria.
Nel 1962 fu chiamato a partecipare prima alla Commissione preparatoria (come assistente al Sacro Soglio) e poi come delegato al Concilio Vaticano II. Monsignor Lefebvre aveva dedicato metà della sua vita ad evangelizzare popolazioni pagane e islamiche in Africa: era logico che non potesse accettare l’ecumenismo o le modifiche liturgiche, così fondamentali pe il Concilio, ma che, nella sua visione, altro non potevano essere che avanguardie di uno spirito neo-modernista, che avrebbe minato le basi stesse della vita religiosa.
Durante il Concilio si schierò con i conservatori del Coetus Internationalis Patrum e assunse un atteggiamento fortemente critico nei confronti del rinnovamento liturgico, della collegialità episcopale, dell'ecumenismo e della libertà religiosa. All'ex missionario l'ecumenismo, le modifiche alla liturgia e all'insegnamento religioso apparivano come altrettante concessioni a uno spirito neo-modernista e neo-protestante capace di condurre alla rovina del sacerdozio, all'annientamento del sacrificio e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa. I fatti gli daranno ragione entro pochi anni.
Allo scopo di mantenere viva la tradizione liturgica di San Pio V e la tradizione della Chiesa, aveva fondato nel 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con un proprio seminario ad Ecône, in Svizzera. Lefebvre si era ribellato alla frettolosa attuazione delle riforme conciliari. Nello stesso anno mons. Charriere, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo firmò il decreto di fondazione della Fraternità. Nell’anno seguente mons. Lefebvre annunciò ai suoi seminaristi il rifiuto di accettare il Novus Ordo Missae per motivi di coscienza. Fin dal 1972 i Vescovi francesi bollarono Ecône come seminario selvaggio e cercarono di ottenerne la chiusura a causa dell’ostilità verso il Vaticano II. Quindi l’ostilità contro Lefebvre non nasceva solo dal Vaticano ma derivava dall’atteggiamento del clero d’oltralpe, clero in ansiosa attesa di una riforma che lo portasse in linea con la modernità. Dopo inchieste e lunghe procedure ecclesiastiche mons. Pierre Mamie, vescovo svizzero, in stretto accordo con la conferenza episcopale del suo paese, d’accordo con il Vaticano, ritirò il riconoscimento canonico e ordinò la chiusura del seminario di Ecône (1975). Lefebvre rifiutò di accettare questa disposizione e disattese la proibizione di ordinare nuovi sacerdoti e di fare proseliti. Nestor Adam vescovo di Sion, che fu tra i fautori di questa condanna, si alienò una parte considerevole dei fedeli della sua diocesi, favorevoli a Lefebvre. Iniziò una lunga contesa dove Lefebvre utilizzò gli strumenti procedurali di cui disponeva per cercare di consolidare la comunità dissidente di Ecône. Il vescovo Richard Williamson, uno dei quattro ordinati nel giugno 1988 da Lefebvre, fu uno dei più attivi e coerenti continuatori della linea di Lefebvre.
Il 2 luglio 1988, Giovanni Paolo II dichiara il proprio dolore per l'infelice conclusione della questione ed emette la scomunica che venne rimessa solo nel 2009 da Benedetto XVI.
Lefebvre morì nel 1991, all’età di 85 anni. Venne benedetto da tutti i Sacerdoti presenti ai funerali (inclusi gli inviati della Santa Sede). Il significato della sua vita è ben riassunta nell’incisione che volle sulla sua lapide: «Tradidi quod et accepi» («Ho trasmesso solo ciò che ho ricevuto» - I Cor. 15:3). Quello stesso anno moriva anche il suo alleato Monsignor de Castro Mayer, che venne sostituito alla guida della «Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney» da Monsignor Licínio Rangel, consacrato Vescovo da tre dei quattro Presuli, che furono a loro volta consacrati illecitamente da Lefebvre. In altri tempi si riconosceva agli avversari la grandezza umana, una grandezza che travalicava i conflitti e persino la differenza della fede professata. Adesso gli avversari sconfitti sono condannati alla cancellazione della memoria, a dimostrazione della perdita della fede nell’eternità.
Uno sguardo statistico alla Chiesa nei decenni dopo il Vaticano II
Per colmo della sorte, la stessa Scienza, sotto le vesti di un ramo delle scienze sociali, in modo indiretto dirà che questo sforzo di modernizzazione è stato un errore, perché, avendo la Chiesa perso consenso, ne è risultata snaturata persino la sua funzione sociale. In altre parole non può neppure aspirare ad essere un tranquillo ente socialmente utile. Esistono studi dove si dimostra scientificamente che la crisi di consenso e la crisi delle vocazioni religiose derivano proprio dalle innovazioni introdotte nelle diverse chiese della religione cristiana. Infatti come contro prova vengono presentate le statistiche delle vocazioni religiose e della partecipazione ai riti sacri per le religioni che non hanno innovato. Una religione come l’Islam, che non ha mutato di un virgola il Corano e la sua interpretazione, non c’è e non c’è stata crisi, anzi è in continua espansione. Lefebvre, il cardinale scomunicato, aveva ragione.
È stato un articolo di Introvigne (6) a rivelare dati statistici inoppugnabili, che mostrano la crisi della Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. La rivoluzione postconciliare è la causa, e non certo il rimedio, dell'attuale disfacimento nella Chiesa ed attorno ad essa. Sostengono i progressisti che i problemi della Chiesa deriverebbero da un'insufficiente modernizzazione e apertura al mondo. Essi dicono: senza le innovazioni del Concilio e del post-concilio, la situazione sarebbe peggiore. Basta una semplice osservazione per smentirli. In quali nazioni la situazione della fede cattolica è in condizioni peggiori (meno pratica, meno vocazioni, meno battesimi ecc.)? In quelle del Nord Europa e del Nord America, dove maggiore è stata l'impronta progressista. Se si confrontano le religioni, guardiamo quali di queste decrescono e quali avanzano. Nel primo gruppo: luterani, anglicani, calvinisti (che hanno aperto al divorzio, all'eutanasia, alla contraccezione se non addirittura all'aborto, ai matrimoni gay, ecc.). Nel secondo gruppo: evangelici, pentecostali, musulmani... religioni rigide ed inflessibili. È innegabile che c’è una relazione biunivoca tra modernismo e perdita del senso religioso.
Volendo parlare di fede religiosa può sembrare un controsenso citare una Scienza che nel suo stesso nome può apparire come una bestemmia. Si tratta della: teoria sociologica detta dell’economia religiosa. I fondatori di questa teoria sono personaggi molto seri: sono i sociologi statunitensi Rodney Stark, Roger Finke e Laurence R. Iannaccone, e il punto di partenza del loro metodo è l’idea che alla sociologia delle religioni sia possibile applicare, con buoni risultati, modelli che derivano dagli studi sull’economia. Quindi l’evolversi del favore, che le diverse religioni hanno presso il pubblico dei diversi paesi, viene studiato ricorrendo a modelli presi dagli studi di statistica applicata all’economia.
Si suppone che anche nell’ambito del bisogno di fede si possa ipotizzare l’esistenza di un mercato costituito da un lato da «consumatori religiosi», dall’altro da organizzazioni religiose, in concorrenza tra loro, che offrono diverse fedi a cui aderire.
La teoria è tutt’altro che peregrina e non è neppure nuova perché è stata già messa in pratica sin da quando sorse la vendita delle indulgenze. Collocare veri e propri contratti per vendere le indulgenze era un’operazione apertamente economica. Le indulgenze erano il prodotto messo in vendita per soddisfare il bisogno di garantirsi una gradevole vita dopo la morte. Il delegato del papa, che vendeva le indulgenze, viaggiava con al seguito un banchiere, che incassava i soldi ricavati dalla stipulazione di veri e propri contratti con i credenti. Martin Lutero fece la sua fortuna sberleffando tutta la pratica delle indulgenze, che erano diventate autentici buoni del tesoro (7) validi per il regno dei cieli. La dissacrazione fatta da Lutero non piacque a molti e ne venne fuori una serie di guerre, che imperversarono in Europa per molti anni. Indagare sul mercato delle richieste e delle offerte nel campo della fede religiosa utilizzando strumenti razionali, scientifici non può certo essere condannato come poco rispettoso delle religione. Non erano stati anche i padri Conciliari a sostenere il primato della ragione dispiegata nella nuova Teologia e mettere da parte credenze popolari, considerate retaggio di antiche superstizioni? Adesso li ripaghiamo con la loro moneta!
Se si applicano modelli mutuati dalla scienza economica, verrà fuori anche una valutazione del livello di gradimento delle diverse dottrine in competizione tra loro, perché sono le dottrine il «prodotto» che le «aziende religiose» offrono.
Facciamo un esempio del mondo di quaggiù: esiste un bisogno di mobilità che ha indotto le pubbliche amministrazioni a costruire una costosissima rete di strade sempre più fitta. Quando il bisogno primario era pregare si costruivano invece grandi ed altrettanto costose cattedrali. Per soddisfare questo bisogno di mobilità l’industria produce mezzi di locomozione sempre più efficienti e diversificati per le diverse esigenze, dall’aeroplano supersonico, sino alla bicicletta elettrica, passando per l’automobile. Per raggiungere questo risultato si sono studiati e compresi tutti i più intimi segreti della chimica della combustione, della meccanica e dei materiali. Conoscenze tecniche e scientifiche che sono l’equivalente della teologia nella fede religiosa, teologia che infatti si cerca ostinatamente di far diventare una Scienza.
Volendo esprimere una visione perfettamente atea (il che è quantomeno un controsenso) possiamo dire: come diversi rami della Scienza e della Tecnica hanno contribuito a realizzare i prodotti industriali destinati a soddisfare il bisogno di mobilità, o altri innumerevoli bisogni materiali, così la Teologia e le diverse filosofie di supporto cercano di confezionare fedi religiose con diversi aspetti e sfumature per soddisfare il bisogno di trascendenza. Si preparano prodotti religiosi che soddisfino al meglio il bisogno di fede per affrontare l’ ultimo viaggio, quello senza ritorno. Anche in questo settore merceologico si cerca la qualità. Anzi la qualità viene al primo posto, perché la durata del prodotto deve essere eterna. Non si guarda a spese ma soprattutto si accettano i sacrifici. Infatti i prodotti migliori, dopo gli sberleffi di Lutero, non si pagano apertamente a chi li ha confezionati ma si conquistano con opere di bene, che fruttano qualche cosa per vie indirette anche a chi ha confezionato un prodotto religioso prescelto. Ecco perché in questo campo, confezionare prodotti religiosi che soddisfano anche desideri materiali, assurdamente mischiati a quelli spirituali, oppure che vengono incontro a debolezze umane, non convincono i clienti, che chiedono una fede seria, perché si preparano al viaggio senza ritorno, dove aspetti materiali e debolezze umane sono cose prive di senso. Anche in una visione quasi atea queste considerazioni erano ovvie, ma i padri conciliari hanno preferito affidarsi all’alta qualità del pensiero tedesco, quello di Rahner-Heidegger, proprio come oggi scegliamo il made in Germany, che va così di moda.
Scrivono Stark e Finke (8) che «nella pratica i comportamenti religiosi e la teologia sono collegati. Contrariamente alle proteste dei nostri critici meno attenti secondo cui il nostro accostamento riduce semplicemente la religione al marketing, abbiamo sempre sostenuto che l’incapacità di alcune denominazioni, quelle ‘progressiste,’ di ‘vendersi’ con successo trova le sue radici nelle loro dottrine – solo vivide concezioni di un soprannaturale attivo e provvidente possono generare un’atmosfera religiosa vigorosa»
Invece le denominazione progressiste si sono vendute anche troppo bene se si considera la pessima qualità che hanno in pancia.
Le teorie dell’economia religiosa si sono occupate anche del sacerdozio e della vita consacrata nel cattolicesimo. Sono passati più di dieci anni dalla pubblicazione di uno studio molto importante uscito nel numero di dicembre del 2000 della Review of Religious Research, organo della Religious Research Association, scritto dagli stessi Stark e Finke, con il titolo Catholic Religious Vocation: Decline and Revival, … (9) I due sociologi prendono in esame la caduta libera delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa maschile e femminile cattolica in sei Paesi: Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna e Olanda, durante i trent’anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II. Ne indagano le cause. Quantitativamente la caduta è stata enorme soprattutto fra i candidati al sacerdozio: da -81% in Olanda a -54% in Gran Bretagna, quindi fra le vocazioni religiose maschili, da -82% in Gran Bretagna a -68% in Francia, nonché, in misura minore, fra quelle femminili: da -51% in Olanda a -43% in Gran Bretagna. La ricerca di Stark e Finke mostra come la caduta davvero impressionante negli Stati Uniti delle vocazioni maschili inizi alla fine degli anni 1960 e abbia i suoi tassi più significativi in un’epoca precedente agli episodi di pedofilia attribuiti a sacerdoti, episodi che dunque, per quanto possano avere contribuito alla crisi vocazionale, non ne sono la causa principale.
Finke e Stark concludono che si deve cercare come causa principale del declino delle vocazioni un avvenimento, o una serie di avvenimenti, che si sarebbe verificato nella seconda metà degli anni 1960 in modo improvviso, coinvolgendo sia gli uomini sia le donne cattoliche. Questo avvenimento, secondo i due sociologi americani, può essere solo l’ insieme di fattori che derivano dalla crisi successiva al Concilio Ecumenico Vaticano II, un avvenimento che, come è noto, ha avuto conseguenze particolarmente gravi negli Stati Uniti.
Applicando il modello dell’economia religiosa, Stark e Finke affermano che, con i cambiamenti derivati dal Concilio, i costi della scelta sacerdotale e religiosa cattolica sono diminuiti in modo marginale, forse la disciplina si è rilassata, ma la struttura fondamentale, improntata a rinuncia al matrimonio, povertà e obbedienza, è rimasta eguale. Mentre i benefici sono diminuiti improvvisamente. La crisi postconciliare ha diminuito sia la solidarietà all’ interno dei presbiteri e dei conventi (padre Lombardi auspicava la nascita di comunità di fedeli per resistere allo schiacciamento delle coscienze individuali ad opera dei mezzi di comunicazione di massa), sia la stima di cui le figure sacerdotali e religiose godevano all’interno del mondo cattolico prima del Concilio.
Giacché la teoria dell’economia religiosa postula che le scelte vocazionali non si sottraggono alla normale dinamica di una stima del rapporto costi-benefici, Finke e Stark concludono che questo rapporto negli Stati Uniti è stato improvvisamente e drammaticamente alterato negli anni tumultuosi del post-concilio.
È possibile una controprova empirica. Se si paragona la situazione del Portogallo, della Spagna e dell’Italia, con quella degli Stati Uniti o del Nord Europa, ci si accorge che, dopo il 1965 nel primo gruppo il numero di vocazioni, se diminuisce, non lo fa con lo stesso ritmo drammatico come nel secondo gruppo. Il declino delle vocazioni nel primo gruppo di nazioni sembra essere stato frenato anzitutto da tradizioni culturali: le figure sacerdotali e religiose continuano a godere di autorevolezza e stima. In Italia o nella penisola iberica la crisi e il dissenso postconciliari, pure non assenti, non hanno raggiunto quel grado di virulenza bene illustrato per gli Stati Uniti da un libro del grande filosofo e romanziere cattolico Ralph McInerny (1929-2010), What Went Wrong With Vatican II (McInerny 1998).
Stark e Finke – che non sono cattolici, – ribadivano nel loro studio di non volere affatto sostenere che la Chiesa cattolica deve adottare una soluzione conservatrice per risolvere i suoi problemi di vocazioni. Evidentemente fornire indicazioni di questo genere non spetta alle scienze umane. Dal loro punto di vista, meramente tecnico, Stark e Finke osservavano che la Chiesa Cattolica avrebbe potuto risolvere la crisi vocazionale in due modi: diminuendo i costi o «restaurando i benefici tradizionali». Come emergeva in quello studio, «diminuire i costi» è una formula che è stata perseguita, per esempio, da diverse branche della Comunione Anglicana: «paghe alte» – soprattutto negli Stati Uniti, buoni stipendi da manager per i vescovi – e virtualmente nessuna restrizione; porte aperte ai divorziati, agli omosessuali praticanti, e così via. I risultati anglicani, come è noto, non sono stati brillantissimi. «Restaurare i benefici tradizionali» sembrerebbe dunque più promettente che «diminuire i costi». Restaurare è possibile cancellando certe linee troppo democratiche (come è emerso dal Vaticano II) e ripristinando il rispetto delle gerarchie. Contrariamente alla vulgata secondo cui il Cristianesimo perderebbe colpi perché non è in sintonia con il mondo moderno e mantiene posizioni anacronistiche e premoderne, da molti anni la sociologia delle religioni mostra che nel mondo protestante crescono le chiese evangelical e pentecostali, la cui morale sessuale è spesso molto rigida, e il cui antagonismo verso la modernità è notevole. Perdono invece adesioni le comunità liberal, che pure ricevono l’applauso di certi media per le loro posizioni tolleranti in materia di aborto, eutanasia o omosessualità. Questo avviene perché quelli che la teoria chiama «consumatori religiosi», come tutti i consumatori considerano il rapporto costi-benefici, che nelle religioni è spesso più favorevole là dove i costi sono più alti. Le teorie economiche infatti c’insegnano che i consumatori cercano di minimizzare i costi e massimizzare i benefici. Non cercano soltanto di limitare i costi, a qualunque condizione, ma si sforzano di arrivare a un ragionevole equilibrio fra costi e benefici. La sociologia di per sé – dice Introvigne – non risolve nessun problema pastorale e può dare contributi utili solo se si presenta con la necessaria umiltà metodologica. L’accostamento alla religione in termini di mercato, consumatori, costi e benefici può apparire irriverente a chi ha meno familiarità con le teorie della religious economy. Ma questa impostazione del problema avviene in ossequio alla supremazia della razionalità, supremazia che il Concilio Vaticano II sembra aver sancito a scapito dell’ineliminabile irrazionalità della fede.
Parliamo di Karl Rahner, allora un gesuita non troppo illustre
Karl Rahner
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Le scelte importanti per indirizzare l’esito del Concilio non riguardarono solo gli esclusi. Ci furono chiamate che fecero molto più danni delle esclusioni. Forse per dare lustro, forse per accontentare i soliti immancabili adoratori del nuovo perché nuovo, forse perché arrivò un misterioso ordine esterno, venne chiamato un gesuita, noto per il gran numero di pubblicazioni di teologia. Il gesuita si chiamava Karl Rahner, di cui si è già detto all’inizio. Durante il papato di Pio XII per pubblicare i suoi scritti, visti con diffidenza dalla segreteria vaticana, Rahner doveva chieder l’approvazione preventiva.
Se alla fine del ‘700 la Chiesa aveva compiuto errori gravi nel confrontarsi con l’ Illuminismo, ora si trattava di trovare un accordo con l’Esistenzialismo, una corrente molto variegata e ricca di spunti facilmente riconducibili ad una convivenza con il Cristianesimo. Ma Papa Roncalli riuscì a compiere errori paradossali. Mentre Pio VI davanti all’Illuminismo si era irrigidito, aggrappandosi a concetti arcaici, dove si erano persi anche alcuni principi cardine del Cristianesimo, papa Roncalli venne preso dall’ansia di non apparire conservatore, finendo per precorrere lo sfacelo del modernismo. Ma chi era questo Rahner, chiamato a far da consigliere per guidare al meglio i padri conciliari?
Rahner da giovane era una specie di angelo con gli occhi lampeggianti di una luce fortissima e un po’ ambigua. Da vecchio la sua faccia era lo specchio di una intelligente e penetrante malvagità.
Rahner è stato allievo devoto di Hidegger, il filosofo con idee assolutamente incompatibili con il Cattolicesimo. Era sufficiente prendere nota dell’influenza di Hidegger su Rahner per prevedere che la sua influenza sull’andamento del Concilio sarebbe stata deleteria. Per chiarire questo aspetto si rimanda al capitolo finale dedicato alla storia della filosofia.
Ratzinger si pentirà di essersi inizialmente accodato alla linea tracciata da Rahner. Diventato papa cercherà di correggere alcune storture del Concilio, ma non ci riuscirà e ne verrà schiacciato. Anche lui all’inizio aveva creduto nel demone della potenza, aveva creduto che la forza della ragione avrebbe creato una nuova fede che non aveva bisogno dei miracoli. Ma la gente cerca i miracoli, ha bisogno dei miracoli, perché i miracoli entrano nella carne, avvertono della presenza di Dio, della sua potenza, della sua grandezza.
(fine prima parte)
Raffaele Giovannelli
1) Maurizio Blondet, «Rahner I Papa?», EFFEDIEFFE, 12 Dicembre 2013 2) Karl Rahner nasce a Friburgo in Brisgovia nel 1904 da genitori cattolici (morirà a Innsbruck, nel 1984). In gioventù frequentò il movimento cattolico del Quickborn dove conobbe Romano Guardini. Entrò nell'ordine dei gesuiti nel 1922. Per la sua formazione fu importante aver seguito Heidegger dal 1934 al 1936. Nel 1963 venne chiamato fra i teologi del Concilio Vaticano II. Nel 1964 vinse la cattedra di teologia presso la Ludwig-Maximilians-Universität München. Le sue lezioni sul tema «introduzione al Cristianesimo» saranno la base per la sua fondamentale: Grundkurs des Glaubens (1975). Fu di sinistra sino a sostenere i movimenti della teologia della liberazione. E’ sepolto nella cripta della Chiesa dei Gesuiti di Innsbruck. 3) Daniele Menozzi, «La Chiesa cattolica e la secolarizzazione», Einaudi, 1997 4) Aldo Cazzullo: Padre Pio un immenso inganno, commento al libro di Sergio Luzzatto, Corriere della Sera, 25 ottobre 2007. La parte più scottante del libro si basa su annotazioni di Papa Giovanni conservate negli archivi del Vaticano. E’ difficile capire perché quegli archivi si spalanchino per Sergio Luzzatto, storico, ebreo, che con sottile perfidia mette in evidenza conflitti veri o presunti tra uomini di Chiesa e di fede, per arrivare infine a gettare discredito su tutti gli attori in gioco, sino a mostrare aspetti mortalmente negativi per la stessa Chiesa nel suo complesso. Se poi qualche storico di parte cattolica o semplicemente non favorevole ad Israele, pretendesse di raccontare fatti ed idee riguardanti poniamo ad esempio le efferatezze compiute dallo stato d’Israele contro i palestinesi, allora il consiglio ebraico al completo griderebbe allo scandalo di un risorgente odio verso gli ebrei. Dall’articolo citato è utile riportare qualche stralcio: «… Giovanni XXIII annotava: «I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime» .«Stamane da mgr Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giov. Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto». L’informato è Giovanni XXIII. P.P. è Padre Pio. E queste sono le parole che il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino a oggi e rivelati da Sergio Luzzatto. «Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente» annota il Pontefice. «L’accaduto—cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona— fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti». «Disastro di anime». «Immenso inganno ». Una delle «tentazioni» con cui il Signore ci mette alla prova. Espressioni durissime. Che però non si riferiscono alla complessa questione delle stigmate, su cui si sono concentrate le prime reazioni al saggio di Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento». All’inizio dell’estate 1960, Papa Giovanni è appena stato informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto delle bobine registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assume informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si è appuntato i nomi di «tre fedelissime: Cleonilde Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci», più una misteriosa contessa che induce il Pontefice a chiedere se il suo sia «un vero titolo oppure un nomignolo». Nel sospetto—cui il Papa presta fede—che la devozione delle donne nei confronti del cappuccino non sia soltanto spirituale, Roncalli vede la conferma di un giudizio che aveva formulato con decenni di anticipo. Gli appunti di Roncalli rappresentano uno dei passaggi salienti dell’ opera di Luzzatto. …. Un mito che nasce sotto il fascismo (Luzzatto dedica pagine che faranno discutere al «patto non scritto» con Caradonna, il ras di Foggia; ed è un fatto che le prime due biografie di Padre Pio sono pubblicate dalla casa editrice ufficiale del partito, la stessa che stampa i discorsi del Duce). … Scrive Luzzatto che «l’importanza di Padre Pio nella storia religiosa del Novecento è attestata dal mutare delle sue fortune a ogni morte di Papa». Benedetto XV si dimostrò scettico, permettendo che il Sant’Uffizio procedesse da subito contro il cappuccino. Più diffidente ancora fu Pio XI: sotto il suo pontificato si giunse quasi al punto di azzerarne le facoltà sacerdotali. Pio XII invece consentì e incoraggiò il culto del frate. Giovanni XXIII autorizzò pesanti misure di contenimento della devozione. Ma Paolo VI, che da sostituto alla segreteria di Stato aveva reso possibile la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza, da Pontefice fece in modo che il frate potesse svolgere il suo ministero «in piena libertà». Albino Luciani, che per poco più di un mese fu Giovanni Paolo I, da vescovo di Vittorio Veneto scoraggiò i pellegrinaggi nel Gargano. Mentre Wojtyla si mostrò sempre profondamente affascinato dalla figura del cappuccino, che sotto il suo pontificato fu elevato agli altari. ….» 5) H. U. von Balthasar, Gloria: una estetica teologica. 1: La percezione della forma (Milano: Jaca Book, 1975). Su von Balthasar cf. E. GUERRIERO, Hans Urs von Balthasar (Cinisello Balsamo: Paoline, 1991) Bibliografia: Balthasar, Hans Urs von (Lucerna 1905 - Basilea 1988), teologo cattolico svizzero. Compì gli studi di germanistica e filosofia a Vienna, Berlino e Zurigo. Nel 1929 entrò come novizio nella Compagnia di Gesù; nel 1944 fondò, con la dottoressa e mistica svizzera Adrienne von Speyr (1902-1967), l’Istituto secolare della Comunità di Giovanni, il cui scopo era trovare nuove modalità di presenza del messaggio evangelico nella vita quotidiana; nel 1950, impossibilitato a conciliare l’impegno per la Comunità con le richieste dell’ordine, lasciò i gesuiti. Non fu tra i teologi invitati al Concilio Vaticano II; nel 1984, tuttavia, gli venne conferito il premio Paolo VI per la teologia e nel 1988 fu nominato cardinale da Giovanni Paolo II. Morì due giorni prima della cerimonia di consegna della berretta cardinalizia. 6) Massimo Introvigne, La vocazione religiosa cattolica: declino e risveglio: un’analisi sulla base dei criteri della "rational choice", Cristianità n. 303 (2001) 7) R. Giovanelli, I libri Carolini, le Indulgenze e I BTP. 8) R. Stark e R. Finke, Catholic Religious Vocation: Decline and Revival, in Review of Religious Research, vol. 42, n. 2, Nashville (Tennessee) dicembre 2000, pp. 125-145. 9) Armando Torno, Il filosofo del Reich, un cattolico nascosto, Corriere della Sera, p. 29, 20 giugno 2011
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