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Pilsudski davanti al giudizio
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Il 12 maggio 1935, a 67 anni, moriva a Varsavia il maresciallo Josefz Pilsudski. Padre della patria, audacissimo stratega, nel 1918 con le armi in pugno aveva restituito alla nazione l’indipendenza dopo 123 anni in cui il Paese era stato spartito e smembrato tra la Russia, le Germania e l’Austria. Nel 1920, al comando delle forze polacche, mosse contro i bolscevichi, sconfisse l’Armata Rossa a cui strappò Kiev, liberandola.

La controffensiva sovietica fu rapida e baldanzosa: come vantò il generale russo Tukacevski nel suo ordine del giorno, intendeva «avanzare sul cadavere della Polonia fino a Berlino» per scatenarvi la rivoluzione comunista (il potente PC tedesco attendeva con ardore); da lì, come scrisse il membro del Comitato Centrale Nikolai Bucharin su La Pravda, «dritti a Londra e Parigi!».

L’avanzata rossa parve subito inarrestabile; il parlamento polacco si rivoltò contro Pilsudski, chiedendone le dimissioni come responsabile del disastro inevitabile e imminente; l’Intesa anglo-francese, inattiva e a cui non sarebbe spiaciuta la rovina dell’«avventuriero» megalomane polacco, consigliò di trattare coi bolscevichi, soverchianti.

Pilsudski, con una tattica geniale e imprevedibile, inchiodò le forze sovietiche sulla Vistola, alle porte di Varsavia, le accerchiò e le distrusse nell’agosto 1920, salvando con ciò anche l’Europa occidentale dalla rivoluzione (un giovane ufficiale della missione militare francese, Charles De Gaulle, fu testimone del «miracolo della Vistola»).

A Pilsudski i polacchi devono la fama di popolo militare e di buoni, eroici soldati. La sua successiva dittatura, necessaria per vincere le suicide fratturazioni della politica polacca, fu caratterizzata dal progetto, apertamente detto «prometeico», di smembrare l’URSS sollevando contro il regime comunista le sue disparate popolazioni, da una proposta alla Francia di colpire preventivamente il nazismo che aveva preso il potere in Germania, infine dal patto di non aggressione con la Germania di Hitler: tutto, evidentemente, dominato dalla preoccupazione di assicurare l’indipendenza della patria, mal difendibile e dai labili confini.

Era un uomo aspro, solitario, per natura non simpatico: come disse nell’elogio funebre il presidente Moscicki, il maresciallo «durante mezzo secolo di fatiche catturò cuore dopo cuore, anima dopo anima, fino ad unire l’intera Polonia nella porpora del suo spirito regale».

Morì di cancro al fegato, nel palazzo di Belvedere a Varsavia, sede della dittatura. Come detto, era il 12 maggio 1935 (1).

suor Faustina Kowalska
  suor Faustina Kowalska
Quello stesso 12 maggio 1935, dal convento di Wilno, nel diario che scriveva per ordine del suo confessore, suor Faustina Kowalska – la suora gratificata da grazie straordinarie, visitata da Gesù, che la scelse per diffondere nel mondo la fiducia nella sia infinita Misericordia, beatificata da Giovanni Paolo II – scrisse quanto segue:

«La sera mi coricai e subito mi addormentai, ma ben presto venni svegliata (...) dalla visione di una certa anima che stava per separarsi dal corpo fra orribili tormenti.

«O Gesù, mentre scrivo tremo ancora tutta, ripensando alle atrocità che le veniva rinfacciate...

«Ecco, ho visto tante anime di piccoli bambini ed anche di più grandicelli, di circa nove anni, che uscivano da una specie di voragine fangosa. Queste anime erano orribili e ripugnanti, simili a mostri spaventosi, a cadaveri in decomposizione. Ma quei cadaveri erano vivi e, gridando, testimoniavano contro quell’anima che stava agonizzando, un’anima che durante la sua vita aveva ricevuto tanti onori e tanta gloria, ma che ora si ritrovava sola coi suoi peccati. Da ultimo uscì una donna che reggeva una specie di grembiule pieno di lacrime! Ed anch’essa testimoniò molto contro di lei.

«Oh! Quanto è grande e tremenda l’ora in cui vedremo tutte le nostre azioni nella loro realtà e miseria! Nessuna di esse sfuggirà al giudizio di Dio».

Secondo suor Faustina, ci fu una intercessione della Vergine per quell’anima.

«Io non trovo parole nè paragoni per esprimere cose così terribili, e sebbene mi sembri che quest’anima non si sia dannata, tuttavia le sue pene non si differenziano in nulla dalle pene dell’inferno. Con un’unica differenza: che un giorno finiranno».

«Subito dopo vidi Gesù Bambino, ed era di una bellezza stupenda. Mi disse: “La vera grandezza di un’anima sta nell’amare Dio e nell’umiltà”. Io però non mi addormentai subito, perché ero sfinita e continuavo a riflettere su quello che avevo visto. O anime umane, come riconoscete tardi la verità! O infinita Misericordia di Dio, come hai promesso, riversati al più presto sul mondo intero!» (2).

(Spero che nessuno si aspetti un commento o una «spiegazione». In silenzio, non c’è che da riflettere, come fece suor Faustina).





1
) Josefz Pilsudski era probabilmernte un ateo. Da giovane era stato un socialista rivoluzionario militante, anche se con predominante venatura nazionalista: dedito alla lotta clandestina contro la Russia occupante e la russificazione forzata dei polacchi; fu direttore del giornale illegale Robotnik (Il Lavoratore) e partecipò ad attentati e ad azioni contro lo zarismo, atti per cui fu ripetutamente incarcerato e anche deportato in Siberia. Divenne il capo del Partito Socialista Polacco. La sua prima moglie, Maria Koplewska, lavorava nella redazione di Robotnik, ed era una divorziata. Siccome la Chiesa cattolica vieta il matrimonio dei divorziati, i due passarono al protestantesimo. Anni dopo, Josefz cominciò una relazione con un’altra e molto più giovane socialista, Alexandra Szcerbinska. La prima moglie però rifiutò sempre di divorziare; solo quando Maria morì nel 1921, i due poterono sposarsi. Ebbero due figlie.
2) Diario di suor Faustina Kowalska, Mimep Docete, pagina 124. Il volume porta in exergo una citazione, un caveat, espressa nel 2005 dall’allora cardinal Josef Ratzinger: «La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente».



 
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